IL PAESAGGIO.
SENTIERI BATTUTI E NUOVE PROSPETTIVE
Davide Caroli
“La missione dell’arte non è copiare la natura, ma esprimerla!”
Premessa
P = S + N
(Il Paesaggio è rapporto tra Soggetto e Natura).
All’art. 1, la Convenzione Europea sul Paesaggio, adottata
dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il
19 luglio 2000, recita che: “Paesaggio designa una determinata
parte del territorio, così come è percepito
dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di
fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”.
Questa definizione, pur in un documento che suscita
diverse perplessità negli studiosi, recepisce, però, quello
che emerge da anni di ricerche e discussioni che partono
sostanzialmente dal significato stesso del termine
paesaggio nella sua forma lessicale costituita, in quasi
tutte le lingue europee: paese e il suffisso -aggio (l’inglese
Land-scape, il tedesco Land-schaft, il fiammingo
Landshap).
Una struttura nella quale è sottolineato il ruolo fondamentale
del soggetto che abbraccia nel suo sguardo un
territorio; idea che sinteticamente Jakob semplifica nella
formula riportata in apertura di questo breve testo.
Il paesaggio è dunque percezione mutevole, un costante
rapporto diretto tra lo spazio e l’uomo, con tutto il
suo bagaglio di esperienze e inclinazioni che portano a
coglierne sfumature sempre diverse.
Sono passati più di venti anni da quel documento ufficiale
della comunità europea e l’interesse, lo studio del
tema del paesaggio non ha fatto altro che aumentare,
diventando oggi uno degli argomenti sempre più al
centro della discussione mondiale, affrontato e analizzato
da molteplici e differenti versanti.
L’ecologia, l’ecologismo, lo sviluppo sostenibile, il cambiamento
climatico, la tutela dell’ambiente hanno portato
questo tema ad essere in evidenza e in tendenza
nella discussione politica, sociale e generazionale, per
l’urgenza con cui, ad esempio, si stanno rivelando avviati
su un piano inclinato le mutazioni del clima che
avranno ripercussioni anche sulle nostre società.
La discussione su cosa sia oggi il paesaggio, sulle sue
precarie condizioni, dovute comunque non unicamente
al cambiamento climatico, alla sua considerazione
a livello urbano, sociale e anche umano, ai tentativi
messi in campo per tracciarne una documentazione e
indirizzarne l’evoluzione su binari più rispettosi, sono
piani paralleli e argomenti su cui si stanno sviluppando
studi, ricerche e approfondimenti che, negli ultimi anni,
stanno arrivando a conclusioni tanto raffinate quanto
affascinanti.
Non pare quindi banale affrontare il discorso sul paesaggio
anche dal versante culturale e artistico e portare
contributi alla discussione, partendo dalla visione di
chi, attraverso un punto di osservazione meno strettamente
scientifico, può offrire uno strumento prospettico
per analizzare questo tema con occhi diversi.
Ed in questo 2022, che vede ricorrere una data importante
per la cultura italiana, ci piace ripartire e citare
una delle prime e più appassionate voci che si alzarono
sulla tutela e difesa del paesaggio dallo schieramento
degli intellettuali, quella di Pier Paolo Pasolini, del
quale ricorrono i cento anni dalla nascita, che già negli
anni ’60 chiarì come, per lui, la perdita del paesaggio
non fosse soltanto una perdita estetica, ma la perdita
della capacità poetica della realtà. Lo osservava intorno
a sé in Italia, dove vedeva sparire il senso del mondo
contadino e i luoghi storici ridursi a frammenti senza
contesto. Ciò che doveva essere tutelato nel paesaggio,
per Pasolini, era il suo tessuto narrativo sublime e popolare
insieme.
Negli stessi anni, anche da altre prospettive, si intensificarono
letture ed interpretazioni del paesaggio che
confermavano come questo sia sempre stato argomento
che ha interessato e coinvolto le menti più attente
alle evoluzioni del contemporaneo.
È infatti nel 1969 che, ad esempio, vennero pubblicati
alcuni tra i principali saggi letterari di McLuhan nel volume
Il paesaggio interiore, nel quale l’autore canadese
analizzava la storia della poesia e arrivava a conclusioni
non dissimili da quelle di un grande storico dell’arte italiana,
Francesco Arcangeli, che immaginava una lettura
dello spazio, nella rappresentazione artistica, che non
limitasse l’idea di una realtà intesa come coinvolgimento
totale dei sensi e dell’umano, nella sua accezione più
ampia possibile.
Il paesaggio e la natura, perciò, continuamente al centro
della discussione e delle ricerche, in ambito sociale,
artistico e in ogni declinazione del sentire umano, con
accezioni più o meno “romantiche” o sentimentali, nel
tentativo di descrivere la realtà circostante.
Dunque, oggi ci troviamo ad affrontare e proporre quello
che, evidentemente, non è un tema inedito, ma possiamo
dire che volerci interrogare e voler documentare
gli ultimi sviluppi della ricerca artistica su questo argomento,
nelle sue evidenze più strettamente contemporanee,
può però costituire un utile momento di presa
di coscienza della situazione attuale, per fare un punto
dello stato attuale delle cose.
Farlo oggi, quando la modernità offre altri ulteriori piani
di lettura e possibilità tecniche di rappresentazione
della realtà, pone poi altre questioni su cosa vuol dire
raffigurare il paesaggio; domande che erano sorte, ad
esempio, anche quando la fotografia scompaginò le
carte dell’arte aprendo nuove vie, apparentemente
meno legate alle capacità artistiche del Soggetto, o
come quando una derivazione della fotografia, sfruttata
dalle scienze, permise di scoprire, con i microscopi,
nuovi mondi nell’infinitamente piccolo, un paesaggio
mai visto prima, e che rimane naturalmente invisibile
all’uomo senza un ausilio tecnologico.
Ora, ad esempio, come rapportarsi con le immagini che
ci giungono da Marte, scattate dai Rover, o le sempre
più definite fotografie che il James Webb Space Telescope
permette di realizzare?
Scatti di robot che possiamo però trovare in vendita
negli stand delle più importanti fiere d’arte. Possiamo
scoprire nuovi mondi, nuove realtà, nuovi paesaggi, ma
il soggetto “inumano” che filtro ci offre rispetto all’esistente?
D’altro canto non possiamo però ignorare come l’attualità
stia riportando a galla anche timori e drammatiche
prospettive, considerate ormai retaggio di anni più bui:
le distruzioni di intere città, con le bombe che stanno
martoriando in questi mesi le città dell’Ucraina, stanno
cancellando intere porzioni di paesaggio che, quando
dovranno essere ricostruite, porranno sul tavolo la questione
di come dovrà essere fatto: se salvaguardando il
ricordo di cosa era, o se aprendo alla possibilità di rinnovare
e innovare: una delle questioni sempre discusse,
quando si tratti di scenari post bellici, post sismici o
post emergenziali.
Dalle stesse premesse il nostro immaginario è anche
influenzato dal timore della prospettiva di una guerra
nucleare, lo spettro che si diffonde ad ogni conflitto, dichiarato
o meno, e che apre a scenari inimmaginabili
di cambiamenti del paesaggio e della realtà stessa che
già negli anni 60, portava gli artisti visivi più sensibili ad
immaginare apocalittiche derivazioni e stravolgimenti
della natura.
Per ovvie ragioni, questa iniziativa non intende essere
neanche lontanamente esaustiva o voler escludere
dalla discussione artisti assenti da questa rassegna:
si tratta di una campionatura parziale e arbitraria che
vuole offrire diversi punti di vista e modi di affrontare il
discorso sul paesaggio, partendo dallo sguardo di artisti
diversi per età, stili, approcci e provenienze.
Come in una passeggiata, fisica e virtuale, si parte dal
conosciuto, da quei sentieri già battuti e tracciati da
chi è venuto prima, da quei maestri che hanno già affrontato
la necessità di raccontare il paesaggio in altri
momenti e contesti storici, per addentrarci a scoprire
scorci e prospettive che oggi rivelano nuove strade e
nuovi luoghi.
Gli artisti e le opere
La storia del paesaggio in pittura ha, come ben noto,
radici relativamente recenti, potendone rintracciare
la nascita, secondo le connotazioni che oggi comunemente
gli attribuiamo: in ambito fiammingo, nella seconda
metà del ‘500, per poi svilupparsi ed estendersi
resto d’Europa, affermandosi definitivamente come
“genere” pittorico autonomo solo nel corso del ’600.
Fino a quegli anni, la raffigurazione della natura era
quasi sempre stata considerata di interesse marginale,
anche se esistono alcuni momenti della storia in
cui questa evidenza fu meno marcata. Dal mondo antico,
ad esempio, ci sono giunte scarne testimonianze
figurative, principalmente musive, nella maggior parte
delle quali sono raffigurate scene nelle quali il focus è
completamente centrato sulla narrazione degli eventi,
lasciando poco spazio alla scenografia paesaggistica;
è però in epoca augustea che la raffigurazione del paesaggio
trova particolare fortuna nelle pitture decorative
delle abitazioni nobili: la testimonianza più ricca, di
questo, ci giunge dalle domus pompeiane dove, secondo
le parole di Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia,
lavorò Spurius Tadius, noto anche con il nome
di Ludius, l’artista che sarebbe stato inventore della
raffigurazione del paesaggio, basato su una costruzione
prospettica delle immagini, e che era considerato il
maggiore rappresentante del quarto stile pittorico romano.
Non ci interessa, in questa sede, affrontare la storia della
raffigurazione del paesaggio, né in questa pagina, né
nel percorso allestitivo che abbiamo immaginato: si è
preferito offrire la possibilità di fare un’esperienza, tra
tecniche, stili, letture e coinvolgimenti diversi.
Come quando in una passeggiata si attraversano luoghi
e paesaggi diversi, naturali e urbani, anche in questa
nostra proposta espositiva abbiamo voluto fissare
solo pochi punti fermi; quando camminando lungo un
sentiero sappiamo da dove partiamo, ma non abbiamo
chiaro il punto di arrivo esiste la possibilità che il paesaggio
si offra a noi in modi inaspettati e sorprendenti,
lasciandosi così scoprire, da ciascuno, in un’esperienza
personale.
L’imbocco del sentiero
Sono stati selezionati per la sezione che apre questo
percorso alcuni grandi figure del ‘900 che con i loro lavori,
la loro sensibilità e la loro storia hanno tracciato
strade su cui poi si sono mosse altre generazioni di artisti,
nel rispetto di quei solchi o, volendo, in contrapposizione
aprire nuove vie.
L’opera grafica di Giorgio Morandi è universalmente riconosciuta
come una delle vette della tecnica incisoria,
perciò ci è sembrato giusto preferire grafiche dedicate
al paesaggio anche per l’importanza che l’incisione riveste
per il museo che ospita questa iniziativa.
E in questi semplici paesaggi, costruiti tramite un rigorismo
ed una semplicità di segni che caratterizza tutto
il lavoro dell’artista bolognese, traspare una visione del
paesaggio sintetizzabile in forme geometriche regolari,
le stesse che si ritrovano nelle più note natura morte.
Ennio Morlotti ha rappresentato per Francesco Arcangeli
la vetta di quel gruppo eterogeneo di artisti che egli
volle individuare, a torto o a ragione, nei suoi “ultimi
naturalisti”. E, tra loro, l’autore lombardo emergeva con
i suoi lavori nei quali la sua terra e la vegetazione diventavano
lo specchio di un’inquietudine umana che
vedeva nella trasfigurazione della natura il suo svelamento.
In merito ai paesaggi urbani di Mario Sironi, nei quali
campeggiano delle case monolitiche e delle alte ciminiere,
scandite secondo rigide prospettive lineari che
danno vita a delle città scarne, grigie e prive di vita,
Margherita Sarfatti scrisse “il pittore dei paesaggi urbani
meccanici e implacabili come la geometria delle vite
rinchiuse dei cubi delle case, fra i rettifili delle strade.
I paesaggi di Mario Schifano, che risentono come tutta
la sua pittura dell’influenza Pop, sono sempre caratterizzati
da colori accesi e innaturali, a rendere un’immagine
della natura visionaria e acida e, per certi aspetti
tecnici e poetici, non distante dal lavoro di
William Congdon
, del quale abbiamo l’occasione preziosa di
esporre un’opera inedita, esposta nella sua prima personale
presso la Betty Parson Gallery di New York nel
1949 e poi mai più vista pubblicamente, nella quale
emergono tutti gli elementi caratteristici dell’action
painting.
Per Carlo Carrà la pittura di paesaggio non è semplice
imitazione naturalistica, ma una lunga elaborazione
del dipinto, con la quale trasformare la pittura in narrazione
lirica. Tutti gli elementi del paesaggio concorrono
alla costruzione di un poema che usa il linguaggio della
natura, nel quale lo spazio si trasfigura e svela la sua
natura ideale, archetipica.
Elementi: Acqua, Terra, Aria
Gli elementi naturali, acqua, aria, terreno, costituiscono
la struttura fondamentale del paesaggio, nella sua accezione
di paesaggio naturale; abbiamo quindi voluto
qui individuare alcuni nuclei descrittivi che, prendendo
spunto da queste macro aree, offrano spunti di lettura
secondo direttrici classiche.
Le opere esaminate, genericamente ispirate ai vari elementi,
ci permettono di apprezzare il percorso artistico
reso personale dalla mediazione degli autori.
Incontriamo quindi raffigurazioni di paesaggi naturali,
o antropizzati, da diversi punti di vista, interpretazioni
canoniche o parziali, più o meno realistiche, mai banalmente
descrittive, in cui è interessante cogliere quali
aspetti, il filtro umano degli autori, vuole evidenziare e
valorizzare nel racconto della realtà.
Il paesaggio “in sé”, inteso come fenomeno reale, concreto
e tangibile diventa paesaggio “da sé”, raccogliendo il
modo attraverso il quale l’uomo vive e percepisce il paesaggio,
sia per gli aspetti visivi che per quelli sociali.
ACQUA
Talete di Mileto, considerato il primo filosofo a dedicarsi
a rinvenire l’origine dell’archè, riconosceva nell’acqua
il principio di tutte le cose: essa ha infatti un ruolo determinante
nella produzione dei corpi, rende la natura
feconda e, senza il suo concorso, la terra rimarrebbe
sterile. Sin dai tempi più remoti l’uomo ha riconosciuto
nell’acqua la sorgente di tutta la vita.
Per questo è per noi il punto di partenza del nostro percorso:
non solo semplici marine, l’elemento acqua è
qui soggetto e oggetto, modello e attore protagonista,
specchio di inquietudini o luogo simbolico, nelle interpretazioni
di artisti di generazioni e sentire diversi.
Nei paesaggi astratti di Armando Pizzinato e
Virgilio Guidi, emergono due raffigurazioni diverse di marine
veneziane: la prima caratterizzata da una prevalenza di
indefinite figure geometriche, la seconda invece costruita
per sole grandi campiture di colore. E in quest’ultima,
si può intravedere un collegamento, almeno a livello
stilistico, con le due immagini fotografiche di
Guido Guidi, raffiguranti la spiaggia di Tagliata di Cervia, due
vedute invernali, nelle quali il senso del paesaggio sta
tutto nella sospensione poetica della figurazione, che
appare risentire, a sua volta, delle atmosfere di Carrà.
Le stesse atmosfere sospese che risuonano nelle ingannevoli
immagini di Marco Palmieri, il quale ricrea
luoghi e paesaggi servendosi di carta e acquerello, per
poi fotografarli e trasformarli in ideali spiagge che non
esistono in natura.
Così, in natura, non esistono neanche i paesaggi raffigurati
nelle cartoline di Marina Paris, nei suoi lavori
l’immagine strappata e distorta trasforma luoghi di villeggiatura
montana in golfi, insenature e zone costiere,
stravolgendo completamente la percezione del dove.
L’acqua è soggetto ricorrente nei dipinti di
Federica Giulianini in cui il paesaggio ci arriva per forme a volte
appena percettibili, per sensazioni, per pennellate e
colori che evocano un altrove immaginifico; e non è in
questo dissimile la pittura di Roberto Pagnani, le cui
marine sono reminiscenze di viaggi in spazi mentali, a
solcare mari in paesaggi che riemergono dalla memoria
e che risentono della sua storia, nella tecnica e nella
tensione che le percorrono.
Sempre più legato all’emozione e ad una lettura “romantica”
del paesaggio è invece il polittico di Ettore Frani:
un paesaggio notturno apparentemente inquietante,
costruito sul contrasto tra chiari e scuri, che entra
in dialogo con l’opera incisoria di Ermes Bajoni.
Entrambi, a distanza di 30 anni uno dall’altro, giungono
ad una consonanza di immaginario, interpretando
il paesaggio, il mare in particolare, come lo specchio di
un’inquietudine interiore.
Sono invece toni pop e ironici quelli del lavoro di Luca Barberini:
le sue immagini, che prendono spunto da
temi di grande attualità, non nascondono, con amara
ironia, una pungente critica sul tema del rispetto del
mare e dello sfruttamento delle risorse ambientali.
TERRA
Da molti aspetti si può affrontare la descrizione della
terra come elemento forte, naturale, come grembo da
cui si sviluppa tutto il reale, ma anche, contemporaneamente,
come elemento fragile e cartina di tornasole di
mutamenti e stravolgimenti.
Nel nostro caso, si è scelto di raccontarla principalmente
attraverso lavori nei quali è valorizzato il legame con
la vita che nasce in essa, terra madre dunque, come generatrice
di vegetazione, piante o boschi, in una lettura
simbolica o fedelmente realistica.
E nella Zolla di Carlo Zauli c’è tutta la potenza della ricerca
materica, la terra diventa così non solo la materia
di cui è realizzata l’opera, ma anche l’oggetto stesso al
centro della sua riflessione artistica.
Takako Hirai, realizza da sempre lavori incentrati sul
tema della natura: si sente fortemente parte di essa e
avverte il bisogno di esternarlo tramite i suoi lavori a
mosaico che esprimono questa sua appartenenza con
una intima, delicata, poesia.
Una grande delicatezza contraddistingue i lavori di Giulia Dall’Olio
nei quali le cancellature a colpi di gomma,
sulla superficie nera, fanno emergere i dettagli di alberi
e di fronde, a ricreare il giusto spazio tra uomo e natura,
oggi che l’elemento antropico sovrasta quello naturale;
per sottrazione, quindi, il paesaggio naturale riappare
per riguadagnare il suo posto nel mondo.
Quella raffigurata è una natura stereotipata, senza nessuna
pretesa di fedele scientificità, l’opposto dell’intervento
artistico di Giorgia Severi che per denunciare il
rischio di perdita dell’ambiente naturale, e quindi del
paesaggio, parte da uno studio da esperto botanico
tutto incentrato sulle piante, e il suo racconto diventa
un resoconto fedele e scientifico: grazie al calco ceramico
e tecnica del frottage riproduce la corteccia degli
alberi facendola apparire quasi come epidermide umana
e accostando così il destino di tutti esseri viventi, legati
tra loro più di quanto possa sembrare.
La gestualità necessaria a tracciare la pelle delle piante
a rischio estinzione è assimilabile a quella utilizzata da
Andrea Francolino, il quale ricalca un metro quadrato
di terreno e, registrandone le coordinate spaziali e temporali,
fissa lo status quo di quel preciso momento, per
poter poi, con il passare degli anni, sottolineare le differenze
che saranno portate dallo scorrere del tempo e
dagli influssi della presenza dell’uomo.
Lo scorrere del tempo, uno degli elementi che nei paesaggi
classici è apparentemente assente nella fissità
atemporale delle scene, viene accentuato da Paola Babini
fin dal suo modus operandi: il sovrapporsi di strati
di pittura, di immagini e di colore creano scene in cui si
accalcano scorci, elementi naturali e antropici; elementi
che riemergono dalla memoria per ricreare non-luoghi
dell’inconscio che i toni cromatici violenti rendono
ancor più irreali.
Le due tele di Ernesto Treccani e Massimiliano Fabbri
affini per soggetto, stile e tema, trasportano nel corpo
dei fiori raffigurati, emozioni e sentimenti. Ma, mentre
per il primo questi emergono suscitati dalla natura
stessa, nel lavoro di Fabbri si riflette in maniera profondamente
personale e drammatica il rapporto con la
propria madre e la propria storia familiare.
La vertigine suscitata dal lavoro di Manuel Felisi chiude
la sezione della Terra e apre direttamente a quella
dedicata all’Aria. In una illusione ottica e prospettica, i
suoi alberi ci portano ad alzare gli occhi, a tendere verso
l’alto, cercando di staccarci dalla terra per poterne
godere appieno, cercando di abbracciarla in uno sguardo
unico e totale.
ARIA
Quasi cento anni fa, l’attrazione per la modernità, il progresso,
la velocità e la possibilità di volare furono per
i futuristi una delle molle che portarono alla nascita
dell’aeropittura, un modo per rappresentare il mondo,
sorpassando la cornice panoramica, guardandolo con
occhi nuovi.
Nell’opera di Tato, uno dei firmatari del manifesto della
pittura futurista, questa visione è ben evidente: “Con
qualsiasi traiettoria, metodo o condizione di volo, i
frammenti panoramici sono ognuno la continuazione
dell’altro, legati tutti da un misterioso e fatale bisogno
di sovrapporre le loro forme e i loro colori, pur conservando
fra loro una perfetta e prodigiosa armonia.
Fabio Giampietro non è un futurista ma, come loro un
secolo fa, è affascinato oggi dalle potenzialità offerte
dalla tecnologia; i suoi dipinti ad olio offrono una doppia
possibilità di fruizione: ad una classica visione dei
suoi paesaggi urbani, ritratti in una sorta di aeropittura
del XX secolo, si affianca la possibilità di viverli, indossando
un visore di realtà aumentata, facendo così
esperienza di una immersione nel paesaggio completamente
avvolgente e tecnologicamente spiazzante.
Il sogno del paesaggio
La mediazione sentimentale abbiamo visto che è quasi
sempre la chiave che sottende alla raffigurazione del
paesaggio, valorizzando una visione romantica della
natura che circonda l’artista.
Il soggetto umano prende a volte il sopravvento e si
perde così il legame naturalistico e quella che emerge è
una visione fantastica, quasi onirica, un paesaggio sognato.
Ma come per ogni esperienza immaginifica, può trattarsi
di visioni che traducono una serenità interiore, oppure
possiamo scontrarci con un paesaggio non idilliaco,
quando il filtro dell’inconscio stravolge l’interpretazione
degli elementi e ci restituisce sensazioni e atmosfere
sospese provenienti dall’inconosciuto.
Da un classico delicato paesaggio di campagna di
ERON ci arriva una sensazione di pace e serenità, accentuato
dalla scelta cromatica e dalla resa tecnica,
che ce lo fanno apparire come un ricordo d’infanzia
che riemerge, come una vecchia fotografia ingiallita
che passa dalla memoria direttamente alla tela.
La Cattedrale in mosaico vitreo dal collettivo CaCo, un
apparente “non paesaggio” ci restituisce la sensazione
di un prato rigoglioso mosso da un vento, che, in collegamento
con il titolo, riallaccia la percezione ad una
prospettiva di trascendentale e immateriale, come se
lo spirito della natura agitasse le tessere, ricreando uno
spazio mentale, metafisico e al contempo percettibile.
Dalle inquietudini personali può emergere un paesaggio
vacuo, appena percettibile come nell’opera di
Filippo Farneti, immerso in una foschia che rende indefinito
ogni contesto e dal quale, come recita il titolo,
si vorrebbe solo fuggire per tornare a qualcosa di più
solido e afferrabile.
O come nella Mirabilandia di Marco Neri, nella quale
emerge, come d’improvviso dalle nebbie della bassa,
una ruota panoramica, simbolo felice di un’infanzia
che appare però quasi fuori contesto, in quell’ambiente
pallido e freddo, lasciandoci attoniti e spiazzati, metafora
di luoghi e tempi incerti.
Una simile sensazioni di spaesamento si avverte anche
nell’incisione di Massimo Pulini, nella quale si sovrappongono
immagini incerte provenienti apparentemente
da momenti della memoria diversi che convergono
in un luogo dello spazio mentale in cui ricreano un ambiente
nuovo, che non ci trasmette serenità.
Un affastellarsi di immagini all’apparenza non coerenti
tra loro e nello spazio, caratterizza il lavoro di Giulio Ruffini:
i ricordi del paesaggio più personale, più legato
alla propria storia e ai propri luoghi, si mescolano in
una scena irreale della quale fatichiamo ad afferrare i
contorni, la coerenza, come nel racconto di un sogno
altrui.
Il paesaggio realizzato da Josè D’Apice ci trasporta in
uno spazio sospeso, metafisico, nel quale siamo attratti
e inquietati da un elemento inaspettato che sembra
minacciare la tranquillità dello scorcio montano, impedendoci
così di recepire quelle sensazioni di pace che
la scena suggerirebbe.
All’opposto, quasi rilassanti e positivamente idealizzate,
sono le due vedute urbane di Giuseppe Maestri e
Tono Zancanaro, i quali accentuano con la loro abilità
grafica un segno che ci permette di sintonizzare il nostro
immaginario con le loro visioni fantastiche con le
quali trasformano la realtà che hanno attorno.
Uno scorcio di autostrada nella campagna italiana,
così apparentemente lontano da una possibile visione
poetica, diventa per Enzo Morelli il soggetto perfetto
per una serie di lavori nei quali esprimere tensioni
inconsce della mente, in una rappresentazione realista,
ma fortemente volta verso un’intrinseca astrazione.
Lo stravolgimento dei colori, l’accentuazione dei contrasti
e la semplificazione delle forme in una perdita
degli elementi comuni di naturalismo codificato, sono
i filtri tramite i quali Salvo riporta i paesaggi e gli scorci
naturali, anche più banali, che nei suoi innumerevoli
viaggi ha modo di vedere.
I paesaggi realizzati da Enrico Lombardi, risultato di associazioni
mentali, luoghi forse visti ma ormai trasformati
dall’inconscio e da un’elaborazione profondamente
interiore, non lasciano spazio alle emozioni ma trattengono
una freddezza mentale davanti alla quale siamo
messi per confrontarci asetticamente con noi stessi.
L’inquietudine che suscita dalle scene di paesaggio di
Enrico Minguzzi è figlia anche dell’uso così personale
che fa dei colori: fluorescenze e colori cupi, contrapposti,
e densi di saturazione che spingono con indiscreta
violenza la nostra esperienza in un luogo inospitale,
quasi in un paesaggio post atomico che fa emergere
paure e insicurezze.
La stessa sensazione di precarietà che percepiamo immergendosi
nello spazio architettonico raffigurato da
Andrea Chiesi: strutture in disfacimento in cui la presenza
umana, ora ormai assente, lascia spazio ad una
natura che sembra risorgere e riprendere possesso degli
spazi, rivolgendo quella sensazione di presunta precarietà
in un momento di potente energia in fieri.
Per Mattia Moreni la raffigurazione delle angurie è stato
il transfer su cui proiettare tutte le angosce, le aspettative,
le delusioni e le tensioni che dalla sua mente,
lucidamente razionale, emergevano nello scontro con
una percezione romantica delle cose.
E in questo suo ritrarre e trasformare l’anguria, in disfacimento,
nel paesaggio c’è tutto il dramma della mente
che assolutizza l’oggetto della propria mania trasformandolo
nell’orizzonte del paesaggio mentale in cui si
muove.
L’IMBOCCO DEL SENTIERO
ARIA
ACQUA
TERRA
IL SOGNO DEL PAESAGGIO
Info Mostra
IL PAESAGGIO.
Sentieri battuti e nuove prospettive
17 Dicembre 2022 – 5 Marzo 2023
Bagnacavallo (RA), Museo Civico delle Cappuccine
Info
0545 280913
centroculturale@comune.bagnacavallo.ra.it