“L’aeroplano che plana si tuffa s’inpenna
ecc., crea un ideale osservatorio
ipersensibile appeso dovunque
all’infinito, dinamizzato inoltre dalla
coscienza stessa del moto, che muta
il valore e il ritmo dei minuti e dei secondi
di visione-sensazione.”
F.T. Marinetti, Manifesto dell’Aeropittura, 1929
Premessa
In questo palinsesto di mattoni tutti uguali, che compongono linee e volumi che aborrono le curve, protetti da un guscio di bambù, un luogo magico e intrigante, ordinare una mostra di Aeropittura (figlia legittima del Futurismo eroico marinettiano) poteva sembrare azione stonante e ripetitiva per la proliferazione perdurante di esposizioni (soprattutto pseudoesposizioni) sul Futurismo. E invece non è stato difficile trovare, in quello che è il labirinto futurista e in quello aeropittorico nessi, non di linguaggio, con il Labirinto dalla Masone, che appare severamente statico per quanto di metafisico ed anche esoterico che vi aleggia e vi si legge spesso nei vuoti e nei pieni della Masone, frutto del genio di Franco Maria Ricci. In certe visioni aeropittoriche si rinvengono ben individuabili labirinti, come in Sensazione di volo, 3 di Tato o in Incendio città di Dottori, dunque in quelle meno veriste e invece più trasfigurate, dove si leggono vedute aeropittoriche di complessi architettonici come fossero sentieri silenziosi sormontati da gotici archi di bambù. Nella composizione della mostra – a cui questo testo fa da introduzione – ho riscontrato numerose affinità con la conformazione del percorso del Labirinto della Masone. Il Labirinto, pur apparendo continuamente simile a se stesso nelle sue tortuosità, mostra numerose variazioni sul tema, ad esempio le differenti specie di bambù. Queste rispecchiano le molteplici declinazioni dei linguaggi aeropittorici che germogliarono dal Trentino alla Sicilia in trionfi di restituzioni di paesaggi, grigi o bruciati dal sole, popolati di aeroplani in festa o bellicosi caccia alla ricerca di gloria. Varrà la pena iniziare questo testo col fare chiarezza – si spera definitivamente – sull’origine dell’Aeropittura e sulla sua poetica multiforme, non senza prima aver riassunto – seppure siano ampiamente noti – eventi e modalità della nascita del Futurismo, progenie dell’Aeropittura. Saranno poi evidenziati i contenuti del manifesto del 1931 con una sintetica esposizione dei passaggi Somenzi-Marinetti che portarono alla sua definitiva stesura e pubblicazione. Importante sarà sottolineare quanto Marinetti scrisse sugli aeropittori (e gli altri futuristi attivi negli anni Trenta del Novecento) esaminando, con le necessarie osservazioni critiche, le declinazioni nelle quali articolò artisti e linguaggi, pittorici e scultorei, riferendomi in particolare al testo con cui introdusse la presenza futurista alla Quadriennale di Roma del 1939. Nell’ambito dello svolgimento dell’Aeropittura si sviluppò anche l’Arte sacra futurista che fu oggetto di un manifesto firmato da Marinetti e Fillia nel 1932 e che fu presentata in specifiche mostre in varie parti d’Italia, discorso coerente con la Ricostruzione futurista dell’universo che prevedeva l’incursione in ogni forma e linguaggio d’arte, a seguito della quale futuristi come Fillia e Dottori, seguiti poi da molti altri aeropittori, pensarono bene di svecchiare anche l’iconografia sacra ferma a obsoleti schemi ottocenteschi. Ci si soffermerà anche sulla diffusione europea dell’Aeropittura che Marinetti promosse personalmente nelle principali capitali del Vecchio Continente, ottenendo ovunque successo. Un capitolo sarà dedicato ai “Luoghi del Futurismo”, a quei gruppi locali e regionali di futuristi che nacquero in alcuni casi già dai primi anni Dieci del Novecento, ma più diffusamente dalla metà dei Venti in poi caratterizzandosi proprio con lo sviluppo e la diffusione dell’Aeropittura. Per non apparire reticenti, un breve passaggio andrà fatto sui rapporti Futurismo-fascismo, anche perché quell’indubbio coinvolgimento causò poi un pernicioso ostracismo verso un movimento e verso una vasta produzione d’avanguardia che solo dopo decenni è stato riportato a una discussione serena che, accanto a capitoli apologetici, a mio avviso sostanzialmente marginali, ha rivelato situazioni di ricca creatività e di innovazione, la cui consistenza ha influenzato indubbiamente lo svolgersi dell’arte nei successivi decenni del Novecento. Delle opere in mostra si evidenzieranno intanto quelle volutamente distopiche, per gli autori e per le loro diverse appartenenze e, talvolta, per cronologie non attinenti, come nel caso del dipinto di Anselmo Bucci del 1920, solo per dimostrare che le visioni dall’alto furono oggetto di attenzione anche al di fuori del Futurismo aeropittorico e al di fuori dei confini temporali dello sviluppo dell’avanguardia artistica oggetto della mostra. In questa esposizione c’è anche un omaggio all’ultimo degli aeropittori: Guido Strazza che, appena ventenne, suscitò l’interesse di Marinetti, ricevendo l’invito alla Biennale di Venezia del 1942, compie cent’anni quest’anno. Nel concludere questa premessa, mi sento di dover ringraziare Laura Casalis Ricci e Edoardo Pepino per avermi chiamato a questo cimento dandomi l’opportunità di realizzare una delle rassegne più complete e, soprattutto, documentate sull’Aeropittura e di esporne la storia e i contenuti con i caratteri bodoniani delle pagine prestigiose di un volume FMR. Fondamentale è stato il supporto, non solo organizzativo, di Elisa Rizzardi, giovane storica dell’arte che si occupa delle collezioni di Franco Maria Ricci. Vorrei inoltre ringraziare Vittorio Sgarbi, “suggeritore” della mia cultura aeropittorica, grande esperto dell’antico e formidabile comunicatore. Infine, un ringraziamento va alle Soprintendenze, ai vari musei pubblici e fondazioni italiane, associazioni culturali che hanno risposto positivamente al nostro progetto, oltre che ai collezionisti privati, fra i quali se ne annoverano di importanti.
L’antefatto futurista e l’Aeropittura ricostruita nella sua genesi. L’evoluzione della poetica eroica.
Quale occasione migliore di questa mostra, dedicata specificatamente all’Aeropittura, dopo tante rassegne, più o meno importanti e più o meno documentate sul Futurismo in generale, per mettere un punto fermo nelle vicende che portarono alla ideazione e realizzazione del più importante sviluppo del movimento marinettiano, dominante, seppure non esclusivo, nella pittura dei futuristi dalla metà degli anni venti del Novecento fino alla sua conclusione storica che si fa coincidere con la morte di F.T. Marinetti. Per farlo, occorre partire dalla progenie: il Futurismo eroico, così comunemente definito, quello che nacque – essenzialmente poetico – col manifesto del 1909, che maturò come movimento artistico col manifesto del 19109 all’insegna del dinamismo e della velocità terrestre, del rifiuto del passato polveroso, animato da artisti geniali come Boccioni, Balla, Severini, Carrà, con la regia di Marinetti, che sancirono la rivoluzione del fare arte a livello internazionale con messaggi estetici forti. Tutto l’ardore creativo sembrò spegnersi con lo scoppio della guerra, continuando a dare segni di creatività con le parolibere10 scritte al fronte dai futuristi accorsi fra i primi a difendere la patria. Dissoluzione provocata anche dalla morte di Boccioni nel 1916 e dal cambio di rotta estetico di Carrà e Severini, che rivolsero la loro attenzione alla Metafisica il primo, e al Cubismo il secondo. In realtà, nel 1915, il manifesto Ricostruzione futurista dell’universo di Balla e Depero11 preludeva ai successivi sviluppi di poetica e di interessi diffusi del movimento. A cavallo fra la prima stagione e gli sviluppi del dopoguerra, si evidenziano almeno tre futuristi, considerati dunque “futuristi di transito”: Fortunato Depero, Enrico Prampolini e Gerardo Dottori. Quest’ultimo sarà il protagonista dell’Aeropittura, il primo della specificazione “arte meccanica” e il modenese Prampolini grande protagonista della declinazione cosmica, anticipatore e mentore dell’astrattismo in Italia. L’attuazione della “Ricostruzione” del 1915 fu dunque rinviata a dopo la Seconda Guerra Mondiale, quel maledetto conflitto che contribuì a inquinare viepiù le acque dei rapporti tra Futurismo e fascismo, merito delle non rare esaltazioni pittoscultoree del culto della personalità, dell’eroismo fascista, delle quali si avvalsero quanti – dopo la liberazione – condannarono all’oblio storico-critico il Futurismo e i futuristi, anche quelli che il fascismo non l’avevano conosciuto perché scomparsi prima, come Boccioni. Scioltosi, almeno in parte, il nodo dell’ostracismo verso la fine degli anni Sessanta, per il coraggio di giovani storici e critici d’arte italiani, peraltro orientati decisamente a sinistra, come Maurizio Calvesi, Enrico Crispolti e Guido Ballo, si rilesse prima la stagione eroica del Futurismo e, successivamente, i suoi sviluppi, seppure non subito adeguatamente approfonditi. Le prime mostre sull’Aeropittura negli anni Settanta si debbono alle ricerche di Franco Passoni. Fra i numerosi interventi successivi al riguardo, da segnalare Marzio Pinottini con L’estetica del Futurismo. Un discorso sulla terminologia riguardante la fase avanzata del Futurismo, soprattutto il cosiddetto “Secondo Futurismo”, termine in uso fra studiosi quando ancora gli sviluppi del movimento dopo la fine della Prima Guerra Mondiale non erano stati studiati, ma anzi sbrigativamente messi in un canto per motivi ideologici. La definizione di “secondo” era stata coniata da Crispolti e fu (ed è, talvolta, ancora) volutamente (spesso) travisata per indicare una sorta di Futurismo di serie B, epigonico. Del perché usò questa definizione e sulla indiscutibile unitarietà temporale del Futurismo 1909-1944, che cancella qualsiasi secondarietà, scrive lo stesso ideatore Crispolti già nel 1986: Perché Secondo Futurismo? La definizione è ormai corrente, e ne sono responsabile, avendola proposta a più riprese a partire dal 1958… Era tuttavia importante parlare di un Secondo Futurismo per indicare subito l’esistenza (allora disconosciuta) di una ricerca futurista ben al di là di quel fatidico 1916 che con la morte di Boccioni e di Sant’Elia, e con l’avvenuto allontanamento di Carrà, sembrava sancire veramente la fine del movimento. Uno studio ampio del 2012 è di Sayka Yakota, che ha analizzato buona parte dei passaggi, una sorta di riassunto sulla fortuna e sfortuna critica del “Secondo Futurismo”. A questo punto del discorso, si può argomentare sull’origine dell’Aeropittura. Ho ampiamente documentato come questa specificazione sia stata frutto non solo del genio comunicativo marinettiano, ma anche dell’immaginazione e della penna di alcuni suoi sodali. In occasione della grande mostra a Roma del 2001 Futurismo 1909-1944, detti conto in catalogo della mia scoperta di un inedito manifesto sull’Aeropittura di Mino Somenzi. Il giornalista, legionario fiumano, aveva redatto nel 1928 Aeropittura e aeroscultura (manifesto tecnico futurista), prima stesura del Manifesto dell’aeropittura futurista, intuizione primigenia di un Futurismo che si elevava da terra per guardare dall’alto. Dopo quella mia scoperta, da nessuno contestata ad ogni livello, critico e accademico, gli storici dell’arte e i critici più documentati, ma anche qualche autore di testi scolastici, hanno correttamente datato quel manifesto 1928-1931, mentre altri, tutt’ora continuano a datarlo 1929. Questa occasione – dicevo – appare quella definitiva per ribadire, anche con nuove comparazioni, la genesi del nuovo linguaggio degli sviluppi futuristi e la poetica che ispirò decine e decine di futuristi della seconda e terza generazione. Marinetti scrive nella premessa del manifesto del 1931: La convivenza in carlinga col pittore Dottori, intento a prendere appunti dall’alto, ha suscitato in un altro artista, Mino Somenzi, la concezione precisa dell’Aeropittura, ma non cita il testo somenziano. Dunque, il capo del movimento ammette che non si deve a lui l’idea puntuale dell’Aeropittura e, allo stesso tempo, vuol far sapere che il futurista perugino prendeva appunti dall’alto mentre Somenzi guidava l’aeroplano. Il futurista umbro, in realtà, aveva già ampiamente sperimentato il valore innovatore della visione dall’alto (come del resto Prampolini con Forme forza di un’elica del 1914 o Balla con opere del 1913-1914 sul volo e sul paesaggio), privilegiando punti di osservazione elevati sul paesaggio umbro già dai primi anni Venti, se non – addirittura – dal 1917 quando ritrasse dai campi di battaglia della Prima Guerra Mondiale la Sintesi dinamica delle Dolomiti della quale esponiamo un bozzetto poco conosciuto. E però le visioni degli anni Venti erano statiche e la restituzione pittorica si poteva solo limitare alla lettura dilatata, a fish eye. Arriviamo così al 1923 quando Dottori dipinse Primavera umbra che fu ammessa, a concorso, alla Biennale di Venezia. Marinetti non era ancora riuscito a far partecipare ufficialmente i futuristi alla manifestazione, quindi il quadro di Dottori risulta il primo quadro futurista presente a Venezia. Dottori scrive nella sua autobiografia del 1969 che quel dipinto, un grande paesaggio dilatato che abbraccia una grande estensione territoriale, rappresentava una concezione che voleva dare la sintesi della visione totalitaria del paesaggio umbro veduto dall’alto di una montagna, per immettere nel quadro più spazio possibile e superare così il tradizionale orizzonte limitato da una linea orizzontale. Ammetteva, subito dopo, di aver avuto certo l’idea di un paesaggio sconfinato, ma pur sempre statico, e rivelava che proprio Somenzi, guardando quel quadro, da pilota di aeroplani, intuì di ritrarre il paesaggio dall’alto, in velocità, inventando un mondo da vedere dall’aereo in volo. È proprio questa la dichiarazione che attesta inequivocabilmente il ruolo di Somenzi, che trasmise l’idea a Marinetti il quale – scrive Dottori –, fu “entusiasta della cosa”, tant’è che la fece sostanzialmente propria nell’articolo sulla “Gazzetta del Popolo” del 1929 dove ne riporta quasi tutte le argomentazioni. Solo in seguito, più estesamente, il capo del movimento compilò il testo per il manifesto del 1931. Di fatto Marinetti si impadronì dell’idea e delle parole somenziane il che fece scatenare reazioni epistolari del giornalista che rivendicò la primogenitura dello scritto, avallata anche da Prampolini, Azari, Dottori e Tato. Non appare questa la sede per una comparazione semantica fra i tre testi, rinviando per tali confronti al mio citato saggio del 2001. Mi limito in questa sede a osservare che Marinetti rese la versione del 1931 più narrativa, più comunicativa, meno tecnica, espungendo alcune parti del testo somenziano, aggiungendone di “poetiche”, ma conservando l’intera sostanza originaria. Influenzò la nascita dell’Aeropittura anche il clima patriottico legato alle imprese aviatorie di Italo Balbo con la sua traversata atlantica. Come detto, questa declinazione futurista nasce per l’esigenza di esplorare nuovi dinamismi del cielo e del cosmo. Quanto all’evoluzione della poetica, se il Futurismo eroico fu pura esaltazione del dinamismo, della velocità, cicli, motocicli, ma anche treni, motoscafi e navi, tutti mezzi meccanici della modernità che sviluppano dinamismi di terra, con l’aeroplano non solo la velocità è enormemente più elevata, ma soprattutto si alza dalla terra e con il dinamismo nell’aria ottiene una visione differente del paesaggio, del mondo, con sensazioni e restituzioni pittoriche nuove ed avvincenti. Il dinamismo non è più solo un evento meccanico, ma mentale, cambiando le prospettive di visione. Su questo dato di nuova condizione psicologica della visione dall’alto, distorta, dilatata, ribaltata, insiste soprattutto Dottori in varie occasioni. Marinetti, nel testo del 1931, all’inizio ricorda Fedele Azari come autore della prima opera aeropittorica Prospettiva di volo del 1926 – dimenticando che Dottori aveva già dipinto Il lago del 1920, Aurora umbra del 1921 e, soprattutto la già citata Primavera umbra –, nomina poi ampiamente proprio il futurista perugino per le sue decorazioni aviatorie dell’Idroscalo di Ostia e il Trittico della velocità, sottolineando il dato visivo immediato. Scrive infatti di “prospettive mutevoli”, di disprezzo profondo per il dettaglio e necessità di sintetizzare [...] perché tutte le parti del paesaggio appaiono al pittore: schiacciate, artificiali provvisorie, [...] il tempo e lo spazio vengono polverizzati dalla fulminea costatazione che la terra corre velocissima sotto l’aeroplano immobile, alla fine anela che nasca anche l’aeroscultura sognata dal grande Boccioni. Molti di questi concetti sulle nuove prospettive verranno tradotti da numerosi aeropittori in un sostanziale vedutismo spettacolare, poco lirico, ma visivamente dinamico. Somenzi aveva scritto di orizzonti della logica e della fantasia che consentiranno di sentire pittoricamente e scultoricamente dal punto di vista nuovo: altezza+ spazio+movimento, elevandosi la sensibilità e moltiplicandosi le sensazioni. Colpisce così l’analiticità tecnicista delle diverse visioni aeree che è mutuata dalla prima versione di Somenzi. Non mancano infatti in ambedue le versioni gli elementi fisici delle nuove prospettive consentite dalla visione dall’alto: come la virata che produce sovrapposizioni di settori e di colori; la picchiata che offre la visione a X; il decollo con visioni a V. Ancora, il manifesto afferma: Tutte le parti del paesaggio appaiono al pittore: schiacciate, artificiali, provvisorie, appena cadute dal cielo… accentuano agli occhi del pittore in volo i caratteri di: folto sparso, elegante, grandioso. L’obiettivo è quello di acquisire una nuova sensibilità visiva. Per Somenzi, come per Dottori, l’Aeropittura doveva essere non solo una innovazione tecnica, ma trascendente rispetto alle stesse nuove percezioni della realtà, quindi non solo rappresentazione dell’aereo ma soprattutto dall’aereo, per un nuovo traguardo di sensibilità spirituale. Anche Prampolini, in varie occasioni, espone il suo punto di vista sull’Aeropittura sottolineandone i caratteri più “spirituali” che puramente visivi. Come già scritto, l’Aeropittura costituisce una rivoluzione nella concezione pittorica (e scultorea), ma è coerente con la filosofia originaria del Futurismo sul dinamismo e la velocità che, da terra, passa all’aria.
Le quattro declinazioni aeropittoriche di Marinetti
Diverse sensibilità aeropittoriche si manifestarono ben presto nelle esperienze pittoriche individuali, in ragione di diversi fattori ed esperienze. Fra questi fondamentali sono l’ambiente e la cultura, cioè i “Luoghi del Futurismo”, oggetto di un successivo capitolo. Il misticismo che aleggia in Umbria influenzò certo l’Aeropittura di Dottori, Bruschetti e Angelucci Cominazzini in senso lirico-spirituale e verso la trasfigurazione; Prampolini e Fillia guardarono presto al cosmo e allo spazio creando immagini sostanzialmente astratte; l’ambiente e il clima siciliano accesero i colori di D’Anna; la modernità del settentrione italiano condizionò scelte più realiste; l’ideologia, con l’esaltazione della guerra, come si vedrà più avanti, indirizzò verso l’Aeropittura documentaria e di guerra Tato e lo stesso Crali. Marinetti non poteva non accorgersi di questa pluralità di tendenze e nel 1939, nella presentazione del gruppo futurista alla Quadriennale di Roma “classifica” le tendenze degli aeropittori e aeroscultori in quattro modalità.32 Individua una tendenza all’Aeropittura stratosferico cosmica biochimica con Prampolini e Munari; una essenziale mistica ascensionale simbolico con Fillia e Oriani; una trasfiguratrice lirica spaziale con Dottori e Benedetta; una sintetica e documentaria con Tato e Ambrosi. Per l’aeroscultura individua una tendenza sintetica trasfiguratrice con Mino Rosso e una polimaterica astratta simbolico cosmica con Thayaht. Queste declinazioni Marinetti le ribadisce nella prefazione della presenza futurista nel catalogo della IV Quadriennale di Roma del 1942,33 ma in quella occasione non erano presenti né Balla, che era tornato al figurativo, né Depero ormai tutto rivolto al Futurismo meccanico e alle sue applicazioni artistico-artigianali. I più significativi aeropittori già nel 1931, in occasione della ben nota mostra alla Galleria Pesaro di Milano, avevano spontaneamente dichiarato le loro personali intenzioni aeropittoriche nel catalogo dell’esposizione. Prampolini scrive di “nuovo spirito extraterrestre trasfigurato” e di “superamento dei confini terrestri”, dunque di “nuovo dinamismo cosmico”. Per Dottori l’aereo non significa tanto immettere nella pittura elementi figurativi nuovi: eliche, aeroplani, … quanto dare ai piloti nuove e più vaste possibilità di ispirazione.34 Quanto alla critica, sulla classificazione degli aeropittori si pronunciò soprattutto Crispolti nel 2010 in Nuovi archivi del futurismo, nella introduzione al periodo 1930-1939, scrivendo che si colgono di questa (Aeropittura) due divergenti interpretazioni: una di proiezione spaziale, fra cosmogonie e analogie fisiologiche, come per Prampolini e Fillia, e di immensificazioni di visioni panoramiche, come per Dottori; e un’altra di rappresentazione, persino documentaria, di vedute aeree, come per Tato, Ambrosi e Crali. La mia interpretazione al riguardo la espressi nel 2001 in Aeropittura e aeroscultura futuriste dove scrivevo: probabilmente le declinazioni marinettiane dell’Aeropittura sono eccessive; aggiungo oggi che si rivelano, in certi casi, anche imprecise, come l’inserimento di Crali nella tendenza cosmica di Prampolini, mentre è ampiamente prevalente quella verista di Tato. Distinguevo tre diversificazioni: una tendenza cosmica di Prampolini, con Fillia, in chiave più simbolica, Oriani e in qualche modo Peruzzi; una precisa visione aeropittorica documentaristico-spettacolare di Tato, Crali e Ambrosi; infine, un entusiasmo lirico e con tendenze trasfiguratrici di Dottori e Benedetta.
Declinazione dell’Arte sacra futurista nella stagione dell’Aeropittura
Coerenti con i dettami del citato manifesto Ricostruzione futurista dell’Universo di Balla e Depero del 1915 che postulava l’interesse del Futurismo per ogni forma di espressività, alcuni artisti marinettiani già dai primi anni Venti del Novecento pensarono bene che il rinnovamento artistico futurista dovesse toccare anche l’arte sacra. La quale viveva da tempo della pesante, grigia eredità tardo ottocentesca per cui l’iconografia sacra era ridotta a stereotipate immagini di puro uso devozionale senza alcuna espressività. Spontaneamente affrontarono inizialmente il tema religioso due artisti futuristi con personali esperienze divergenti: Fillia, decisamente laico e Dottori, credente, seppure non praticante, nato e vissuto nell’atmosfera spirituale dell’Umbria di san Francesco, Chiara e Benedetto, molto legato, soprattutto a san Francesco d’Assisi. Il torinese Fillia, poeta, scrittore, animatore culturale, scomparso giovanissimo, realizza una visione cosmico-meccanica del paesaggio aeropittorico, proiettandola anche nella declinazione religiosa con narrazioni al limite del surreale. Di Fillia e del Manifesto dell’arte sacra futurista scrive acutamente Marzio Pinottini nella presentazione della mostra alla Galleria Narciso del 2001 che rinviene in La Città di Dio o la Natività del futurista torinese:…una forte caratura profetica: sono infatti rappresentate le varie chiese costruite nel tempo dalle caverne delle catacombe alle architetture romane …a simboleggiare la vocazione ecumenica del cattolicesimo. Fu probabilmente Fillia a convincere il mangiapreti Marinetti, quello dello “svaticanamento”, a scrivere e firmare nel 1931 il Manifesto dall’arte sacra futurista,39 ingentilito al sacro dal recente concordato Stato-chiesa che sancì la definitiva pacificazione fra l’Italia fascista e il Vaticano. La religione futurista per la modernità e la macchina si espande dunque alla spiritualità, certamente anche dopo aver constatato che Dottori aveva già realizzato una vasta produzione su questa tematica col linguaggio futurista-aeropittorico. Lo stesso si può dire per Prampolini. Fu dunque un processo spontaneo quello della nascita e dello svilupparsi dell’arte sacra futurista. Già nei primi anni Venti, Dottori inserisce immagini sacre su sfondi aeropittorici e infatti Marinetti scrive nel manifesto che era stato lui per primo a svecchiare l’arte sacra e commentando uno dei suoi capolavori sacri, La crocefissione del 1927, la definisce affascinante fluidità dei corpi delle donne piangenti ai piedi della croce. Fillia dal 1928 rende la religione cattolica futurista, dopo una prima fase in cui la spiritualità è solo meccanica. Alla pubblicazione del manifesto del 1931 segue subito la prima mostra con sezione futurista all’Esposizione Internazionale d’Arte sacra Cristiana Moderna a Padova con 13 artisti futuristi.
I “Luoghi del Futurismo”
La definizione di “Luoghi del Futurismo” nasce in occasione del Convegno Nazionale di studio svoltosi a Macerata il 30 ottobre 1982, che vide la presenza di tutti i maggiori esperti di Futurismo a livello nazionale e locale. Intervennero Rossana Bossaglia per la Lombardia; Mario Verdone si occupò di Ivo Pannaggi; Bruno Passamani di Depero, soprattutto scenografo; Ugo Piscopo del Futurismo a Napoli; Massimo Bignardi dell’inedita figura di Mario Hyerace, futurista salernitano; Marzio Pinottini del Futurismo torinese; Anna Caterina Toni del Futurismo nelle Marche; Elverio Maurizi della poesia futurista nelle Marche; lo scrivente delle ricerche appena avviate sul Futurismo in Umbria; Annamaria Ruta sul Futurismo in Sicilia; Claudia Salaris delle donne futuriste dal 1920 al 1944; infine Joan Salvat Papasseit del poeta Joan Abellò Juanpere. Il convegno fu pensato da Enrico Crispolti, ma realizzato da Elverio Maurizi e Anna Caterina Toni, il primo cultore appassionato di Futurismo, ma nella vita quotidiana compassato vice Prefetto, la seconda, sua moglie, brillante ricercatrice universitaria di storia dell’arte. Per la prima volta i critici e storici dell’arte che coltivavano ricerche su vari aspetti degli sviluppi del Futurismo ebbero modo di conoscere e confrontare gli esiti delle loro ricerche spesso in corso d’opera, soprattutto non ancora diffuse adeguatamente sia in saggi che in mostre. Il convegno innescò iniziative di studio e mostre, progressivamente in tutt’Italia. Una felice sintesi di quell’importante giornata di studi si legge nell’introduzione al volume degli atti di Enrico Crispolti, il quale precisa che la definizione “Luoghi” non è da intendere (esclusivamente ed anzi marginalmente) topograficamente ma metaforicamente nel senso della molteplicità non solo territoriale, ma di arricchimenti delle storie e temperie delle regioni e delle esperienze maturate dai gruppi futuristi operativi.41 Dal Boccionicentrismo e dal Milanocentrismo del Futurismo eroico 1909-1915, con la scomparsa di Boccioni e Sant’Elia e la fuga di Severini e Carrà verso altri lidi artistici, nonostante lo sbandamento post-conflitto, Marinetti si trasferirà presto a Roma e darà vita a una nuova, brillante stagione del suo movimento con ampie proiezioni internazionali, ma anche con l’impulso alla disseminazione su tutto il territorio nazionale di gruppi futuristi, appunto, i “Luoghi del Futurismo”. Fra questi si evidenziarono quello vivacissimo Torinese; molto ampio e variegato il Lombardo; quello Trentino; il Veneto; l’Emiliano; il Toscano; l’Umbro; il vivace Marchigiano; il Laziale; il Campano; il Calabrese; il Siciliano. Mi diceva Crispolti che la storia dell’arte si costruisce e si studia partendo dal basso. La riscoperta degli sviluppi aeropittorici del Futurismo attraverso la storia dei “Luoghi del Futurismo”, svelata nel convegno maceratese, è la riprova della bontà di quell’assunto.
La diffusione dell’Aeropittura in Italia e nel mondo
Dopo la pubblicazione del manifesto nel 1931, si registra una intensa attività espositiva degli aeropittori, legata all’attività vigorosa dei gruppi futuristi locali citata nel precedente capitolo con le mostre sindacali regionali, alle quali, spesso, venivano ospitati anche futuristi di altre regioni. A livello nazionale gli aeropittori futuristi ebbero da allora sezioni dedicate alla Biennale di Venezia, alla Quadriennale di Roma, alla Triennale di Milano e ad altre rassegne pubbliche e premi. Notevole anche la diffusione all’estero con mostre in tutta Europa ed oltre: Tripoli 1931, Parigi 1932 (Prampolini e les aeropeintres futuristes, Galerie de la Renaissance), Bruxelles 1932, Atene 1933, Nizza 1934, Amburgo e Berlino 1934, Vienna 1935, Lipsia, Istanbul, raccogliendo ovunque unanimi consensi dei visitatori e della critica. L’Aeropittura diventa popolare, letta facilmente da un pubblico eterogeneo. Marinetti e i suoi sodali sfornano poi nuovi manifesti legati all’Aeropittura: Aeropoesia e arte pubblicitaria nel 1931, nel 1934 Architettura aerea, Aeromusica ad esempio. Tutto ciò legato anche alla già accennata eccitazione aviatoria collettiva e alle numerose imprese aviatorie eroiche.
Derive ideologiche dell’Aeropittura
Come accennato, nessuno può nascondere legami tra il Futurismo e il regime, ma occorre non trattare il tema in maniera scontata e semplicistica perché, anche in questo caso, la risposta è articolata. Non v’è dubbio che Marinetti volesse che il suo Futurismo fosse l’arte del regime, ma non ci riuscì: troppo distanti i postulati di modernità del Futurismo dal ricorso spiccato alla storia antica di Mussolini. Senza dimenticare che l’amante del duce, per un periodo, era quella Margherita Sarfatti che creò Novecento, il gruppo artistico che si rifaceva proprio alla storia artistica gloriosa del passato. Mussolini, abilmente, non scelse uno stile preciso, come dichiarò nel 1926 a Perugia, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Accademia di Belle Arti. Del resto Marinetti, prima entusiasta del regime, poi distaccatosene, presto rientrò nei ranghi con la sua nomina a Accademico d’Italia. Ma è bene ricordare che, ancora nel 1924, dato che il suo gruppo futurista non era ammesso alla Biennale di Venezia, protestò all’inaugurazione e fu incarcerato per alcune ore. In realtà Mussolini era affascinato da Marinetti che da più parti è indicato come uno dei pochi personaggi che si poteva permettere di contraddire il duce. Proprio Marinetti sventò con una manifestazione pubblica il tentativo di alcuni influenti gerarchi fascisti di introdurre in Italia l’operazione arte degenerata che Hitler impose in Germania. Sul piano dell’adulazione e del culto della personalità, non pochi futuristi furono prodighi di ritratti del duce e di esaltazione delle imprese del regime, anche perché il fascismo, molto abilmente, sosteneva in vario modo gli artisti, con premi acquisto e commissioni, senza dimenticare che la Quadriennale di Roma43 fu creata proprio per sostenere l’arte, a partire dalle esperienze regionali dove nacquero e progredirono le mostre sindacali.44 Quanto le adulazioni pittoriche e scultoree fossero di convenienza o di convinzione ideologica, è tutto da verificare. La maggior parte dei futuristi continuò a dipingere paesaggi lirici e pacifici, altri si esaltarono convintamente con le battaglie aeree e i bombardamenti. La svolta in tal senso avvenne nel 1935 con la guerra d’Africa e l’esaltazione del virtuosismo guerresco che condusse all’allestimento alla Quadriennale di Roma del 1943 delle Sale dei futuristi. Aeropittori di guerra – aeropittori cosmici e astrattisti futuristi. Una semplice ma efficace definizione dei rapporti Futurismo-fascismo si legge in un articolo di Mino Somenzi del 1933: Il Futurismo è una forma d’arte e vita: il fascismo è forma sociale e politica: cose diametralmente opposte.45 In conclusione, la tangenza fascista non oscurò la creatività degli sviluppi aeropittorici del Futurismo che si manifestò e diffuse in Italia e in Europa con la sua attitudine a coinvolgere nel rinnovamento artistico ogni forma di espressività.
La mostra fra pittura, scultura, opere su carta, corredi documentari
La mostra presenta un’ampia panoramica di personalità e declinazioni di linguaggi, mostrando capolavori noti ed altri meno noti di più di trenta artisti per quasi un centinaio di opere. Da una parte opere di grandi dimensioni che raramente, se non mai, sono state esposte tutte assieme, dall’altra una serie di dipinti, idromatite, acqueforti e disegni di contenute dimensioni per costruire vere e proprie quadrerie, come negli allestimenti delle collezioni private d’arte più famose del Novecento. Se si considera però che la non infrequente megalomania di Marinetti arrivò a contare “mille aeropittori”, questa esposizione potrebbe apparire ben poca cosa. In effetti, ci fu una proliferazione pletorica di aspiranti aeropittori sullo stivale, come descritto nel capitolo dei “Luoghi del Futurismo”, per l’entusiasmo che Marinetti e i suoi più stretti collaboratori suscitavano nei giovani artisti ansiosi di scoprire nuove dimensioni dell’arte. Nonostante la completezza della mostra, gli studiosi troveranno qualche lacuna nelle opere ed anche nella scelta degli artisti. Alcuni dipinti sono risultati irreperibili, altri già impegnati per mostre. Certi aeropittori sono assenti perché si sono rese disponibili solo opere non adeguatamente rappresentative. Siamo però certi che questo evento sia fra i più significativi sul Futurismo e, forse, il più importante dedicato specificatamente all’Aeropittura. In una rigida elencazione alfabetica degli aeropittori presenti in mostra, con note di alcune delle rispettive opere, l’incipit tocca a Alfredo Ambrosi, con lo spettacolare Volo su Vienna del 1933 che rende labirintica la città da una altissima prospettiva. Di Cesare Andreoni è presente La Madonna di Loreto del 1937-38 dove si sintetizzano in un vortice aeroplanico architetture e sentimenti religiosi. Leandra Angelucci Cominazzini è l’aeropittrice onirica, anche visionaria, le cui vedute dall’alto, con o senza aeroplani sempre festosi astraggono dalla realtà come in Eliche in festa del 1935 fino a far diventare la sua pittura surreale come in Risveglio del 1940. Fedele Azari, pilota e autore di testi sull’aviazione, realizzò anche una casa d’arte a Milano. È uno dei primi aeropittori citati da Marinetti per il suo Prospettive in volo del 1926, una veduta urbana di grattacieli dall’alto, molto ardita prospetticamente, della quale è in mostra una prima versione intitolata Architettura futurista. Roberto Iras Baldessari negli anni Trenta è vicino per temperie a Fillia e soprattutto a Prampolini con astrazioni plastiche che guardano allo spazio come in Organicità spaziale del 1934. Di Giacomo Balla, il maestro di tutti i futuristi, che, pur avendo firmato il Manifesto dell’Aeropittura, aeropittore non è stato, come già precisato, seppure abbia dipinto Celeste metallico aeroplano rappresentato in mostra con Plasticità spaziale del 1918, una precocissima allusione futurista alla dimensione siderale che, nell’ambito dell’Aeropittura, svilupparono Prampolini e Fillia. Enzo Benedetto in Aerei presenta una visione fantastica di aeroplani stilizzati che sorvolano un cielo coperto di astri coloratissimi. Barbara (Olga Biglieri Scurto), audace aeropittrice aviatore (la prima donna a conseguire il brevetto) ci restituisce città distorte nelle prospettive come in Aeropittura di città e sensazioni fisiche come la nausea provocata dalle sconsiderate virate in Vomito dall’aereo del 1938. Uberto Bonetti ha disegnato tutte le città italiane fra geometrismo e trionfo cromatico come in Reggio nell’Emilia e Da Parma a Reggio ambedue del 1934. Di Alessandro Bruschetti si espone Acrobazie tra le nubi del 1934, una visione trasfigurata dall’alto del Lago Trasimeno visto dagli aerei in eleganti volute acrobatiche. Benedetta (Cappa Marinetti), pittrice e scrittrice, moglie di Marinetti, del quale conservò fino alla scomparsa la memoria, in Ritmi di rocce e mare del 1929 presenta una lirica e sintetica espressione aeropittorica cromaticamente intensa. Vittorio Corona aeropittore siciliano vicino a Pippo Rizzo, è noto per le composizioni astratto-sintetiche di dinamismo anche aereo, che lo condurranno in seguito verso altri linguaggi e tecniche, anche di tessitura artigianale: è presente con Dinamismo aereo del 1926 una felice sintesi aereo + paesaggio. Tullio Crali è stato maestro di vedute dall’alto realisticamente mozzafiato, coinvolgenti, quasi un preludio del 3D, come il ben noto Incuneandosi nell’abitato del 1939, mentre quasi lirica è la rara scultura filiforme Aerodanzatrice II del 1930 Giulio D’Anna, siciliano, in Ebbrezza visiva del 1928 esprime il trionfo cromatico delle sensazioni. Mino Delle Site, romano d’adozione, muralista e aeropittore squillante, narra lo slancio aeronautico in cielo sul paesaggio in basso che si dissolve in Fuga in altezza del 1934. Terse visioni dall’alto troviamo anche in sue opere su carta fitte di aeroplani. Nicolaj Diulgheroff, futurista del gruppo torinese, nello stile sintetico dei suoi sodali torinesi, dipinge Aeropittura con una bella sintesi cromatica dell’aeroplano sullo sfondo del paesaggio astratto. Di Gerardo Dottori la scelta è caduta su Incendio città, il labirinto della città trasfigurata: un labirinto fatto di tortuosità di vie e case medievali, con le fiamme che conducono in alto, vista a volo d’uccello. L’Aeropittura di paesaggio del futurista perugino, che si rivela la figura centrale dell’Aeropittura, è comunque presente con il rarissimo bozzetto a idromatita del Progetto per la decorazione per l’Idroscalo di Ostia che ci restituisce il trionfo di aeroplani decantato da Marinetti nel Manifesto dell’Aeropittura con un’espressione audace che solo lui poteva permettersi, riferendosi indirettamente a certa iconografia di regime scrive che Le tradizionali aquile dipinte, ben lungi dal glorificare l’aviazione, appaiono oggi come miserabili polli accanto al torrido splendore meccanico di un motore volante, che certo sdegna di arrostirli. Fillia (Luigi Colombo), animatore del gruppo torinese, maestro di rappresentazioni simboliche, anche sacre, si rivolge soprattutto al cosmo e allo spazio come in Paesaggio cosmico del 1930 e Mistero aereo del 1931. Ivanhoe Gambini, affascinato da Munari, che lo indirizza verso il Futurismo, sarà soprattutto un ottimo grafico, oltre che aeropittore. Qui si espone La moglie del pilota sognante il marito in volo del 1931 (p. 80, fig. 58), un racconto aeropittorico appassionato. Giovanni Korompay, folgorato da Marinetti nel 1922 a una mostra veneziana di Prampolini, ha fatto esperienze artistiche di varia natura, anche incisoria. Ha realizzato aeropitture con particolari veristi di aeroplani su sfondo paesaggistico rarefatto come in Aeropittura del 1936. Marisa Mori, fiorentina, una delle poche donne futuriste, vicino a Fillia e al gruppo torinese, realizzò sintetiche aeropitture gioiose di paesaggio come in Aeropittura I del 1934 ma anche astratte visioni sintetiche di guerra come in Battaglia aerea nella notte del 1932. Osvaldo Peruzzi, toscano formatosi a Milano e vicino a Munari, rappresenta il trionfo dello splendore geometrico e cromatico col quale spinge in alto aerei come in Aeropittura o Conquista dello spazio del 1934 o nella splendida Battaglia aeronavale del 1939. Enrico Prampolini è il protagonista degli sviluppi del Futurismo post mortem di Marinetti con la sua ricerca sullo spazio, sul cosmo in chiave astratta, precorrendo l’astrattismo. Del 1934 è Marinaio nello spazio (Marinetti poeta nel Golfo della Spezia) e Isole nello spazio del 1932. Bruno Tano, aeropittore marchigiano, maestro di Tulli, molto attivo nella militanza futurista, è da annoverare fra i marinettiani del linguaggio sintetico geometrizzante (pagina a fianco). Tato (Guglielmo Sansoni) è il maestro dell’Aeropittura di guerra, come in Paesaggio aereo del 1930, ma ha anche realizzato importanti dipinti aeropittorici “in tempo di pace” come il labirintico Sensazione di volo, 3 del 1929 o Canta motore va del 1934. Wladimiro Tulli era un ragazzo quando fu folgorato dall’Aeropittura che interpretò con i suoi collage gioiosi cromaticamente e sintetici nelle rappresentazioni di aerei e paesaggi come in In 4 sul sole del 1938 e Aereo sul lago del 1941. La scultura futurista è rappresentata da una rara opera di Osvaldo Barbieri (Bot), soprattutto pittore, in questo caso autore di un gesso patinato Scultura dinamica del 1933 che allude a una figura umana. Di Renato Di Bosso (Renato Righetti) è in mostra il suo famoso Paracadutista in caduta del 1935 dove sintetizza l’azione, rendendola astratta, alla maniera di Boccioni. In mostra anche un suo inedito dipinto aeropittorico. Umberto Peschi, marchigiano, è ben noto per le sue aerosculture in legno che inneggiano spesso agli aviatori; scolpisce Aeroscultura (Oasi di pace) nel 1941-42, dove verticalizza aeropittoricamente ambiti di serenità sorvolati da aeroplani. Regina (Prassede Bracchi Cassolo), l’unica donna futurista che costruì figure di metallo, qui con un raro cartamodello dell’Amante dell’aviatore del 1935. Mino Rosso nelle volute dinamiche bronzee di Elementi in volo del 1927 e di Il paese degli aviatori del 1939 sogna un luogo calviniano arrampicato nelle volute che avvolgono un fuso. Depero è da considerare a parte perché, pur firmatario del manifesto aeropittorico, in realtà, all’epoca, era proiettato decisamente nel suo meccanicismo e nella decorazione raffinata fra il ludico e, appunto, il meccanico. Realizzò comunque alcune narrazioni aeropittoriche dall’alto o in alto, come in Aeroplani su Vienna del 1936 o Scontro aereo del 1936-37 entrambe in bianco e nero. Ancor più “a parte” è Anselmo Bucci: la sua opera è un esempio del fatto che la pittura dall’alto è stata sempre praticata nella storia dell’arte, ma senza l’ottica dinamica (del quale si espone In volo, del 1920), artista che non ebbe nulla a che vedere con Marinetti, il Futurismo e l’Aeropittura, avendo sposato l’antitetico “Novecento” della vestale Sarfatti. Decisamente e robustamente figurativo, nel 1920 diventa aeropittore per caso e per una volta dipingendo quel dipinto, visione inclinata del mare visto da un aeroplano, enfatizzata dalle scie concentriche rotondeggianti di un’elica, il tutto tessuto da un fitto divisionismo di azzurri intensi e degradanti. Altro artista che testimonia il fascino della visione dall’alto, in questo caso dall’aereo in volo, ma che con l’Aeropittura non ha avuto nulla a che fare, anzi si è formato a Vienna nel clima della Secessione di Klimt e di Schiele, è Rheo Martin Pedrazza di Luserna, l’isola linguistica Cimbra fra le province di Trento e Vicenza. Nel suo repertorio ha un fantastico Volo su Dresda, del 1958, olio e collage di ritagli di giornale, trovato da Sgarbi nella Pinacoteca che conserva la donazione dell’artista di opere alla sua città di origine. Questo volo illustra Dresda, che fu rasa al suolo dai bombardamenti, come un labirinto, opera unica di questo genere di Pedrazza, ben noto per il suo espressionismo alla Kokoschka. Chi nell’Aeropittura ci si è gettato, giovanissimo, d’impeto, incoraggiato da Marinetti in persona, dal quale si recò con una cartella di disegni sottobraccio, come mi ricorda di recente, è Guido Strazza – centenario lucidissimo – dopo l’incontro diventa futurista. Viene invitato a una mostra di futuristi a Palazzo Braschi e poi alla Biennale di Venezia del 1942.47 Mi ricorda che Marinetti lo portò nello studio di Balla e ne rimase affascinato. Strazza avrà visto le Compenetrazioni iridescenti di Balla tessute di segni, che costituiscono una precisa analogia con quelli degli otto disegni aeropittorici in mostra, gentilmente concessi dall’Accademia di San Luca, ma anche assonanti con la sua inconfondibile produzione astratta, ma il termine è riduttivo, con la quale si è reso famoso a livello internazionale. A utile corredo della mostra, i visitatori potranno vedere due rari filmdocumentario: I Pittori con le ali, dall’Aeropittura futurista allo spazialismo, (durata 10’ 45”), regia di Paolo Saietto, Corona film (fine anni Sessanta), con un compendio della vita e delle opere di alcuni aeropittori con belle immagini e fluente narrazione, e Dottori aeropittore futurista, regia di Luigi Di Gianni, Istituto Luce (primi anni Settanta), con un’ampia panoramica di opere dell’artista e una sua intervista. In definitiva, questa è un’ampia rilettura dell’Aeropittura, come svolgimento più significativo del Futurismo dalla metà degli anni Venti del Novecento fino al 1944 quando, con la morte di Marinetti, si conclude storicamente il movimento da lui fondato.
Info Mostra
DALL’ALTO Aeropittura futurista
Parma, dal 9 aprile al 3 luglio 2022
INFORMAZIONI UTILI
La mostra è aperta tutti i giorni, tranne il martedì, dalle 10.30 alle 19.
L’accesso è incluso nel biglietto d’ingresso del Labirinto della Masone, che comprende anche l’accesso al labirinto di bambù e alla collezione permanente di Franco Maria Ricci.