Depero e la sua casa d’arte da Rovereto a New York


Casa d'Arte Futurista Depero, Rovereto

21 ott 2021 - 27 mar 2022


A cura di Maurizio Scudiero







VITTORIO SGARBI

Grande impegno per celebrare Fortunato Depero a Rovereto e in Val di Non. Depero new Depero è la mostra curata per il Mart da Nicoletta Boschiero, dedicata alla vasta ricerca dell’artista e alla sua attualità. Depero nella sua lunga esperienza ha perseguito una forma d’arte totale, che spazia dalla pittura al teatro, dalla scenografia alle arti applicate, dall’editoria alla pubblicità, affermandosi come uno dei più radicali protagonisti del movimento futurista. Alla Casa d’Arte Futurista Depero, un’altra esposizione: Depero e la sua Casa d’arte da Rovereto a New York, a cura di Maurizio Scudiero.
Contestualmente all’apertura di queste mostre, il Comune di Rovereto, attraverso i suoi Musei, celebra Depero esponendo opere del proprio patrimonio artistico e documentario a fianco di alcuni prestiti del Mart. Al Museo della Città di Palazzo Sichardt la mostra Depero a scuola, le origini. La Scuola Reale (Realschule) Elisabettina di Rovereto documenta le origini della passione del giovane artista e del fratello maggiore Emilio, entrambi allievi alla Scuola Reale di Rovereto, inaugurata nel 1855 e dedicata all’Imperatrice Elisabetta. Al Museo Storico Italiano della Guerra ecco Depero soldato. Opere e documenti dell’artista, un approfondimento sul tema Depero in guerra, con alcune lettere scritte dal fronte. I documenti sono presentati in una sala dedicata all’esperienza dei volontari in guerra, nella sezione riservata alla partecipazione bellica dei futuristi.
La Fondazione Campana dei Caduti ospiterà Generosità sconfinata, un grande olio su tela del 1957 che costituisce, con Pietre antiche e moderne e Vampa eroica, la trilogia con cui Depero ha inteso omaggiare la sua città adottiva. È una tela che raffigura la Campana fusa con il bronzo dei cannoni delle nazioni partecipanti alla Prima guerra mondiale, la campana più grande del mondo che suoni a distesa.


La mostra al Mart
Depero new Depero raccoglie circa 500 pezzi tra opere, disegni, mobili, oggetti, ricostruzioni, manifesti, fotografie, libri, riviste, fumetti, video e film. È l’occasione per ripercorrere la carriera dell’artista roveretano che parte dal Futurismo e attraverso tappe esemplari giunge fino alle espressioni a noi più contemporanee.
Negli anni ottanta, ad esempio, Enzo Cogno ricostruisce parti di lavori dell’artista dispersi: la scenografia di Le Chant du Rossignol e le marionette dei Balli Plastici, rispettivamente del 1916 e del 1918.
Entrambe le ricostruzioni hanno generato un grande numero di spettacoli teatrali e nel caso dei Balli Plastici anche un video di Franco Sciannameo e Don Marinelli, con una ricostruzione digitale dello spettacolo del 1918 grazie al lavoro di alcuni studenti dell’Università di Pittsburgh.
Nel campo del design, il Gruppo Memphis – collettivo fondato nel 1981 da Ettore Sottsass – progetta lavori geometrici e coloratissimi che si ispirano alla visione futurista, all’Art Déco e al kitsch anni cinquanta, ribaltando le limitazioni creative imposte dall’industria. La mostra presenta alcune oggetti di Ettore Sottsass e Alessandro Mendini, protagonisti di due mostre personali al Mart nel 2005 e nel 2010.
Teatro, progettazione digitale, video confluiscono nell’opera Esplosioni di un artista che Luciano Emmer, regista e sceneggiatore, realizza nel 2008 dopo aver visto le opere di Depero nelle sale e negli Archivi del Mart, lasciando- si coinvolgere dalla giocosa vitalità di pupazzi e marionette che diventano i protagonisti del suo film.
Io lo frequentavo in quei suoi tardi anni e ne avvertivo la freschezza grazie al contagioso Depero.
L’opera di Depero e in particolare i suoi progetti cinematografici ispirano anche il lavoro del gruppo N!03, che nel 2011 realizza l’installazione video in due atti Il sogno di Alberto.
L’esperienza newyorkese di Depero, tappa fondamentale del suo percorso, è stata e continua a essere al centro di studi, ricerche e rielaborazioni artistiche: nel 2015 Nello Correale gira Depero, Rovereto, New York e altre storie, mentre oggi l’Istituto Barlumen, avviando una collaborazione con il Mart, produce New York film vissuto o Autofilm, che attraverso alcune tappe salienti – il viaggio in nave, la dogana, la crisi del 1929, il party all’hotel Fifth Avenue – ricostruisce la vita di Depero a New York.
Nel progetto della mostra sono centrali l’Archivio del ’900, custode del Fondo Depero, e la biblioteca: attingendo da questo ricchissimo patrimonio verranno esposti – tra gli altri materiali – tutti i ritratti fotografici di Depero e i numerosi cataloghi e volumi pubblicati dal 1980 a oggi.
Sono esposti anche gli zinchi del Fondo Depero, incisioni in rilievo su lastra metallica di zinco, materiale più leggero, maneggevole e resistente della pietra litografica, che consentivano la riproduzione di scritte, disegni e fotografie. Il buxus Energia, un’opera commissionata a Depero dalla S.I.T. Società Industriale Trentina nel 1940, è stato restaurato dal Centro Conservazione e Restauro di Venaria Reale. Il pannello raffigura una centrale idroelettrica in intarsio in buxus, materiale autarchico prodotto dalle Cartiere Giacomo Bosso di Torino dal 1928 fino alla metà degli anni cinquanta.


La mostra alla Casa d’Arte Futurista
La mostra di Maurizio Scudiero presenta un gruppo di opere provenienti da importanti collezioni pubbliche e private, concepite nel decennio 1920-1930, uno dei periodi più creativi della carriera dell’artista, quando fonda la Casa d’Arte Futurista a Rovereto (1919) e la Depero’s Futurist House a New York (1928). All’interno di queste innovative officine artistiche ha un ruolo centrale la creazione dei cosiddetti arazzi (in realtà tarsie di stoffe colorate), ma vengono prodotti anche cartelli pubblicitari, mobili e suppellettili per realizzare il sogno futurista di “portare l’Arte nella vita”.
Nel 1921 Depero presenta i suoi lavori in una mostra a Palazzo Cova a Milano ed è subito evidente che la sua produzione è e rimarrà sempre di carattere artigianale.
Una scelta cosciente, forse suggerita dalla lettura del manifesto del Bauhaus che invitava architetti, scultori e pittori a tornare all’artigianato. Nel 1925 a Parigi l’Exposition internationale des arts décoratifs et industriels modernes consacra definitivamente lo stile Art Déco. Depero vi espone stoffe, costruzioni in legno, giocattoli e soprammobili, nonché vari esempi delle sue coloratissime pubblicità a collage di carte colorate.
L’attività di pubblicitario matura negli anni tra il 1924 e il 1928, quando Depero lavora per moltissime aziende italiane e in particolare avvia una lunga collaborazione con la Campari. Durante questo sodalizio l’artista si misura anche con il design di prodotto, disegnando la celebre bottiglietta troncoconica.
Nel settembre del 1928 Depero parte per New York con l’obiettivo di aprire una filiale della sua Casa d’Arte. Qui realizza ambientazioni per ristoranti, scenografie per il Roxy Theatre, pubblicità e illustrazioni per importanti riviste come “Vogue”, “Vanity Fair”, “Sparks”, “The New Yorker”. Ai suoi occhi la Grande Mela appare un immenso, luminoso e rutilante cartellone pubblicitario.
Oltre ai numerosi esempi di arte applicata, la mostra presenta alcuni importanti dipinti eseguiti negli anni venti, quando Depero abbraccia le nuove teorie dell’arte meccanica futurista.


La mostra di Cles
“Ritornare nella mia terra, al paese dove sono nato, dove ho respirato i primi dieci anni della mia vita, fra pini e larici, dove ho respirato l’ampio orizzonte del vostro alto pianoro; ritornare a vedere prati, campi, boschi e strade (anche se trasformate) che furono i primi miei maestri naturali, saturi di succhi balsamici che mantengono il corpo duro come le rocce e lo spirito limpido e diamantino come le vette.
Ritornare in questo stupendo nido che mi ha insegnato il primo linguaggio del vivere e dell’apprendere, potete facilmente immaginare, voi tutti che della vita ne sapete qualche cosa, come sinceramente mi senta emozionato. Il mio giro per il mondo, i contatti, le lotte, le salite e le discese, le amarezze, le delusioni, le riprese e le vittorie.” Questa lettera inedita scritta da Fortunato Depero nel 1932 è il punto di partenza della mostra allestita nel Palazzo Assessorile di Cles e curata da Marcello Nebl e Maurizio Scudiero. L’esposizione racconta il legame dell’artista con la Val di Non attraverso due diversi livelli che corrono paralleli.
La sezione più ricca della mostra, nella quale le fonti documentarie dialogano con bozzetti, collage, disegni e arazzi, è relativa agli anni venti con una prorompente attività pubblicitaria: studi di manifesti per Campari, Cicli Legnano, Strega, Cioccolato Fago, copertine di “La Rivista Illustrata”, del “Popolo d’Italia” dal 1925 al 1928 e il celebre Depero futurista 1913-1927, meglio conosciuto come Libro imbullonato, ideato per autocelebrare quindici anni di attività artistica nel Futurismo, con un’originale legatura ideata dall’amico ed editore Fedele Azari.
Negli anni trenta si riscontra quello che Maurizio Scudiero chiama il “ritorno alla concretezza”: New York, con i grattacieli e le strade trafficate, ma anche con la sua miseria malcelata, mostrava un volto diverso rispetto alla modernità che i futuristi italiani avevano sempre immaginato. Depero, tornato a Rovereto, ritrova il contatto con la realtà delle origini, con i valori della terra e della famiglia: ritorna alla pittura mutando gradatamente le tematiche e passando dalle luci della metropoli ai villaggi montani, dalle tranvie sotterranee ai racconti di vita contadina. Alle ultime grafiche pubblicitarie si accostano grandi oli su tela a tema alpestre, come Animali da cortile del 1936 ed Elasticità di gatti del 1939.
La mostra si conclude con l’ultima maniera di Depero, dal Dopoguerra alla morte nel 1960; un percorso attraversato da difficoltà e amarezze, come nella seconda sfortunata avventura americana, e compensato da una volontà di riscatto, con gli sforzi per creare il proprio museo e con gli ultimi capolavori grafici e pittorici che testimoniano la resistente forza espressiva di un artista che ha inteso costantemente portare l’arte nel quotidiano, influenzando la pittura, il design e la grafica del nostro tempo.







MAURIZIO SCUDIERO

Depero e la sua Casa d’Arte da Rovereto a New York mostra un gruppo di opere storiche, provenienti da importanti collezioni, che unite ad altre delle Collezioni del Mart, hanno lo scopo di ricreare quel clima creativo che nel corso di dieci anni, dal 1920 al 1930, caratterizzò la Casa d’Arte Futurista Depero a Rovereto, e in seguito la Depero’s Futurist House a New York.
Centrale e fondativa ai fini dell’idea di una Casa d’Arte fu l’invenzione dei cosiddetti arazzi (termine improprio perché si trattava di tarsie di stoffe colorate) avvenuta nel 1917, durante il soggiorno di Depero a Capri, all’indomani del fallito progetto per i Balletti Russi, per i quali l’artista aveva acquistato un certo quantitativo di “panni spagnoli” con cui realizzare i costumi scenici. Dunque la disponibilità di questi panni colorati, rimasti inutilizzati, gli suggerì l’idea di sostituirli alle carte dei collage eseguiti in quel periodo. All’inizio, perciò, si trattò di “collage di stoffe colorate” su di un supporto di cartone. Poi, alla colla si sostituirono ago e filo e al cartone della tela grezza per lenzuola, e un po’ alla volta la tecnica fu perfezionata dalla moglie Rosetta.
Nella tarda primavera del 1919 Depero ritorna a Rovereto, che trova distrutta dagli eventi bellici e, in quel clima di ricostruzione, fonda la sua Casa d’Arte Futurista, con la quale intende produrre arazzi in gran quantità, unitamente a cartelli pubblicitari, mobili e suppellettili varie, per decorare la “nuova casa futurista”. Infatti, lo spirito di Ricostruzione futurista dell’universo (il manifesto teorico firmato con Giacomo Balla nel 1915), con il suo caleidoscopico ventaglio di proposte, non poteva certo rimanere ingabbiato nell’ambito di gallerie e musei, o esercitarsi in sterili sperimentazioni tanto eclatanti, quanto effimere. E, dato lo spiccato carattere operativo del manifesto, l’ideale banco di prova per verificare l’effettiva proliferazione dell’idea futurista fu quello delle arti applicate. Su queste basi, sin dal 1918 sorgono un po’ in tutta l’Italia varie case d’arte di impronta futurista: a Roma quelle di Prampolini e Recchi, di Bragaglia, di Giannattasio, e di Melli; a Palermo quella di Rizzo; a Bologna quella di Tato; e, a Rovereto, appunto quella di Depero.
L’avvio di questo progetto deperiano non poté però concretizzarsi prima del 1919, soprattutto a causa degli impegni teatrali a Roma dell’artista. Inoltre, prima di lanciarsi in avventure utopiche, Depero aveva voluto verificare l’effettiva applicabilità delle sue creazioni per evitare di cadere in una linea di decorativismo spesso applicato a oggetti di difficile uso effettivo (problema, questo, che ha interessato un po’ tutta la produzione delle case d’arte italiane del periodo). La Casa d’Arte di Depero, grazie alle continue, e azzeccate, ideazioni dell’artista, diverrà invece la più conosciuta e apprezzata, occupandosi appunto di pubblicità, arte del tessuto (arazzi, cuscini, panciotti, nei colori più sgargianti), arredo d’interni e architettura pubblicitaria. Tra alterne vicende (e temporanei trasferimenti a Parigi e New York) rimarrà in attività sino all’inizio degli anni Quaranta.
I primi importanti incarichi per la nuova Casa d’Arte sono del 1920, come i due grandi arazzi commissionati da Umberto Notari, scrittore e direttore de “L’Ambrosiano”, e cioè il Corteo della gran bambola e Cavalcata fantastica, per realizzare i quali Depero assunse un gruppo di giovani ricamatrici (che poi rimarranno con lui per tutto il decennio). Sempre del 1920, è una serie di cartelli pubblicitari realizzati per conto dell’agenzia delle “Tre i” (I.I.I.), illustranti i prodotti italiani promossi dalla Fiera Navigante nei porti del Mediterraneo. Poi, nel gennaio del 1921, tiene una grande personale a Palazzo Cova di Milano (oggi Gallerie d’Italia), che in seguito è trasferita da Bragaglia a Roma, dove presenta la sua Casa d’Arte. Si tratta di una mostra importante perché nel relativo catalogo Depero include un testo che presenta e motiva il suo nuovo lavoro “oltre la pittura”: “Scopo di questa mia industria d’arte, che si limita per ora alla produzione di arazzi e cuscini, è in primo luogo di sostituire con intenzioni ultramoderne ogni tipo di arazzo-gobelin, tappeto persiano, turco, arabo, indiano, che oggi invade qualsiasi distinto ambiente; in secondo luogo e di conseguenza al primo, è di iniziare una necessaria e urgente creazione di un ambiente interno, sia salotto, sia salone teatrale o d’hotel, sia palazzo aristocratico, ambiente corrispondente ad una moda contemporanea, atto a ricevere poi tutta l’arte d’avanguardia che oggi è nel suo pieno sviluppo”.
È evidente che la produzione di Depero è, e rimarrà sempre, di carattere artigianale, non giungendo mai a quei “grandi numeri” che avrebbe richiesto una produzione industriale atta a penetrare vasti mercati, come ad esempio quello americano. Ma ciò a scapito della qualità e senza la possibilità di un diretto controllo dell’artista sul singolo pezzo. Dunque scelta cosciente, voluta, e forse anche suggerita dalla lettura del manifesto della Bauhaus, del 1919, che incitava: “Architetti, scultori, pittori, noi tutti dobbiamo tornare all’artigianato! Non esiste infatti un’arte ‘professionale’. Non c’è alcuna differenza sostanziale tra l’artista e l’artigiano (...) Formiamo dunque una nuova corporazione di artigiani”.
Che Depero avesse avuto notizia del Manifesto di Gropius è un’ipotesi non del tutto remota proprio per i rapporti e le relazioni culturali e scolastiche che Depero mantenne con gli ex colleghi dell’Elisabettina in seguito studenti a Vienna o Monaco di Baviera.
Quando Depero scriveva questa presentazione, nel 1921, era in gestazione il Manifesto futurista dell’Arte Meccanica, che uscirà l’anno dopo e nei confronti del quale l’artista mostrerà notevoli convergenze nella sua pittura di allora, che assume toni metallici e levigati, “meccanici”. Depero aveva lavorato concettualmente su questo tema sin dal 1918, dai tempi dei Balli Plastici. E pur tuttavia, gli esiti furono meno meccanici di quello ci si sarebbe dovuto attendere, sempre riferiti a quell’istanza ludica che attraversa il manifesto Ricostruzione futurista dell’universo. Per questo motivo, per Depero, l’oggetto rimane sempre qualcosa di vivo, che deve andare oltre il puro dato funzionale per caricarsi di ulteriori valenze affabulatorie, se non provocatorie. È un po’ anche la linea del manifesto Il mobilio futurista, i mobili a sorpresa parlanti e paroliberi, firmato da Cangiullo nel 1920, nel quale il dato di fondo era lo stesso, e cioè il salvare la “simpatia delle cose minacciata dal funzionalismo intransigente”, o in altri termini impedire quello che fu definito come il “divorzio psicologico ed emotivo” tra l’uomo e gli oggetti del proprio vissuto quotidiano. Un problema che attraversa a più riprese l’arte e l’architettura degli anni Venti.
È dunque su questa “allegria di fondo” che si svolge il lavoro di Depero nel corso di tutti gli anni Venti con un’intensità e una violenza cromatica e compositiva che certo ha arricchito e dinamizzato il panorama delle arti applicate in Italia, non solo in termini stilistici ma anche sul versante della sperimentazione dei materiali, come “l’arazzo-mosaico in stoffe” che costituisce non solo una felice innovazione tecnica ma anche il più tipico esempio di quell’incontro tra “arte” e “mestiere”, proprio a livello artigianale. Con un’avvertenza: gli arazzi di Depero ebbero al tempo anche una funzione propositiva di forte rottura, che pochissimi critici colsero nella sua componente teorica e d’avanguardia. Infatti, Depero nel catalogo della mostra a Palazzo Cova definì i suoi arazzi: “quadri in stoffa”; vale a dire che per Depero fare un quadro con pennelli e colori, carte colorate o stoffe aveva la stessa valenza estetica. Posizione concettuale molto interessante anche perché anticipava di oltre sessant’anni l’Arte Povera. E scusate se è poco.
Con la sperimentazione su materiali non pittorici Depero voleva anche significare che l’epoca del quadro-dipinto si stava avviando alla sua conclusione. Idee che risulteranno ancora più palesi nelle proposte deperiane alla III Biennale di Monza, del 1927, dove oltre alla gran mole di stoffe, oggetti e soprattutto grafica pubblicitaria, Depero presentò anche il famoso Padiglione tipografico per la casa editrice Bestetti-Tumminelli e Treves, a confronto del quale gli altri stand sembravano baite alpine. Infatti, trasponendo nella terza dimensione un concetto a lungo praticato nelle sue pubblicità, e cioè quello dell’umanizzazione del prodotto per la realizzazione degli spazi di una casa editrice – che produce libri stampati con caratteri tipografici mobili –, Depero utilizzò un montaggio di grandi lettere cubitali, creando così un cortocircuito tra contenitore e contenuto, in quanto l’architettura stessa diventava sinonimo del prodotto.
Non sarà fuori luogo ricordare che a quella stessa esposizione si presenterà per la prima volta il “Gruppo 7”, anticipatore dell’architettura razionalista.


L’arredo come gioco
Ma facciamo un passo indietro, ai suoi primi arredi. Nel settembre del 1921 Depero è a Roma dove su incarico di Gino Gori inizia i lavori di allestimento e arredo del Cabaret del Diavolo, una sorta di bolgia dantesca frequentata da futuristi, dadaisti, anarchici e artisti in genere. Il cabaret, denso di richiami folclorici, strutturato lungo un percorso discendente dal Paradiso attraverso il Purgatorio e infine all’Inferno, fu inaugurato nell’aprile del 1922 ma ebbe vita breve. Quella del tema folclorico è una linea decorativa che non deve stupire, anche alla luce dei contatti e delle esperienze teatrali a Roma con i Balletti Russi, sin dal 1916, e dunque in un’osmosi con la linea di recupero folclorico di un Larionov che, peraltro, Depero scopre essere congeniale alle sue origini nordiche e montanare. Allo stesso modo, nei primi mesi del 1923, in occasione delle due Veglie futuriste, decora con dei cavalieri tirolesi Casa Keppel in via Santa Maria a Rovereto, eletta a Casa d’Arte Futurista Depero, e poi ancora quell’iconografia “tirolese”, rivisitata da un colorismo a tinte piatte e dai toni elettrici, verrà utilizzata nelle vaste sale dell’Hotel Bristol, a Merano. Non deve stupire a questo punto che gli sia dedicata una sala personale alla I Biennale di Arti Decorative di Monza del 1923, dove presenta, unitamente a un gruppo di dipinti, anche una vasta scelta di oggetti e marionette e ulteriori proposte di mobili nei quali l’accento folclorico è più attenuato grazie alla mediazione di stilemi e asimmetrie futuristi.
Il riscontro di critica e di pubblico sul Depero “decorativo” è in questi primi anni Venti più che notevole. E quando Rossana Bossaglia affermava che “l’influenza esercitata dalle formule futuriste sulla generale situazione del gusto in Italia fu tutt’altro che insignificante”, aggiungendo pure che “esse introdussero come un brivido, una spigolosità, una concisione, che diede sapore originale al neo-rococò, al neo-attico ed al finto folclore di cui si nutrivano passivamente le idee degli artigiani negli anni Venti”, è chiaro che si riferiva soprattutto a Depero, mentre, per contro, all’epoca gli altri futuristi operavano ancora solo su un piano progettuale, su stilemi post-Liberty, pur nell’uso di tinte piatte e sintesi formale, giungendo raramente alla fase produttiva.
Quanto poi al cosiddetto uso, da parte di Depero, del repertorio folclorico locale, Bossaglia precisava che “in quanto singolarità etnica era stato teorizzato già dal Modernismo, cioè dalla serie di atteggiamenti di tipo Art Nouveau: si trattava della volontà di mantenere caratterizzata e differenziata una produzione che l’aspetto internazionale dell’ideologia a essa sottesa rischiava di rendere uniforme (…) appunto contro un’ipotesi di standardizzazione totale”.


La pubblicità
Con l’apertura della sua Casa d’Arte Futurista prende l’avvio anche l’avventura pubblicitaria di Depero che debutta alla succitata mostra personale al Cova nel 1921, dove espone due gruppi di collage pubblicitari.
L’avvio della Casa d’Arte Depero ridefinisce le coordinate operative del suo “fare arte”, ne condiziona pesantemente la produzione pittorica, che via via diviene subalterna a quella applicativa, non tanto in termini di valore estetico, quanto piuttosto sul piano strettamente numerico. In altre parole, con il crescere delle commesse della Casa d’Arte, e degli impegni espositivi a essa collegati (come nel caso delle Biennali di Arte Decorativa di Monza) diminuiva il tempo dedicabile (e dedicato) alla pittura, che veniva piuttosto scandito dalle importanti mostre collettive del movimento futurista, cui era chiamato da Marinetti, e per le quali vi era necessità di presentare sempre nuove opere. Inoltre un impegno sempre maggiore era richiesto dall’altra importante componente dell’attività della Casa d’Arte deperiana: la pubblicità. Fatta eccezione per le notizie storiche e i contributi teorici dello stesso Depero, che vedremo e commenteremo, in questo caso l’approccio alla materia sarà di natura tipologica, un’analisi che non scorre linearmente nella successione cronologica, ma che cerca di capire le metodologie del lavoro di ideazione grafica usate da Depero nelle sue creazioni pubblicitarie ed editoriali. Credo, infatti, che questo sia il criterio più pertinente alla comprensione della pratica pubblicitaria deperiana, proprio perché l’impostazione tipologica determina anche, per converso, la filosofia di fondo di tutto il suo lavoro.
Depero, tra i futuristi, è il più vicino alla concezione manageriale dell’arte di F.T. Marinetti: l’artista deve prodursi in una nuova e continua azione comportamentale che non può prescindere dalla consapevolezza di una non manifesta, ma di fatto operante, “arte pubblicitaria”. Non manifesta in quanto essa, per la gran parte, è gestita e prodotta da creativi distanti dall’avanguardia, ma che, per questo, possono giocare con i suoi stilemi con assoluta facilità e intercambiabilità. Depero è dunque potentemente e naturalmente pubblicitario, o forse è un pubblicitario naturale. Infatti, prima ancora dei primi bozzetti pubblicitari realizzati per Notari (1920), vanno ricordati alcuni antecedenti come un “cartello réclame, indefinito nell’impasto dei colori” che era segnalato fra le opere esposte nella sua personale del novembre 1913 a Rovereto. L’anno dopo, appena giunto a Roma, Giuseppe Sprovieri gli commissiona il cartellone pubblicitario da porre all’ingresso della sua galleria futurista in via del Tritone, e alla sua vista ne rimane colpito per “l’estemporaneità, cioè il breve tempo che gli era occorso per la creazione e l’assimilazione del modo di esprimersi propri del nostro gruppo”. Si tratta di due episodi della preistoria di Depero che possono essere interpretati come il segno di una precoce vocazione pubblicitaria dell’artista roveretano. In seguito, per la sua grande mostra personale tenuta a Roma in Corso Umberto, nel 1916, e poi nel 1918, per pubblicizzare i suoi Balli Plastici, realizza dei poster autopromozionali, dipinti a olio su tela, in poche copie, dove l’impostazione pittorica si coniuga con la composizione grafica delle scritte pubblicitarie. Specie quello dei Balli Plastici, anche grazie alla sua mini-serialità, va considerato un vero e proprio “quadro pubblicitario” ante-litteram. Infine, nel corso del soggiorno a Viareggio, verso la fine del 1918, progetta il manifesto della mostra La pittura d’avanguardia, realizzandone un dipinto a olio (La Bagnante) senza le scritte che invece sono presenti nel disegno esecutivo.
L’attività pubblicitaria di Depero è la più continuativa tra le proposte della Casa d’Arte, e, in sostanza, quella che gli ha permesso di vivere sino agli anni Cinquanta. Ma, analogamente alla produzione di tarsie, essa vive il suo periodo aureo nel corso degli anni Venti. Manifesti, locandine, volantini, cartoline, copertine di riviste, calendarietti, inserzioni su quotidiani, etichette, cofanetti, ecc. Depero s’impone al pubblico per le sue proposte pubblicitarie, proprio perché realizzate con una grafica asciutta, sintetica, dai colori sgargianti. E, nel panorama grafico dell’epoca, che vede ancora l’onda lunga del Liberty con la sua pesantezza floreale, i bozzetti di Depero spiccano invece per le loro sintetiche composizioni. L’agenzia pubblicitaria di Notari crede in Depero e lo supporta nel proprio giornale aziendale, distribuito a centinaia di clienti in tutta l’Italia: “L’arte del cartellone – scrivevamo nell’annunciare i sensazionali cartelloni di Depero – ha bisogno di essere rinnovata. L’occhio del pubblico è distratto. La scialba monotonia degli avvisi murali, lo squallore della loro colorazione, la povertà della loro concezione, hanno ingenerato nel pubblico la più olimpica indifferenza per quello stupendo mezzo di richiamo che è il cartellone. Esso è divenuto, giorno per giorno, per colpa di artisti sempre più scadenti, per colpa di produttori sempre meno avveduti, perdendo una gran parte della sua efficacia. Il cartellone muore. Bisogna vivificarlo (…) Noi dobbiamo risuscitare l’arte del cartellone. Noi dobbiamo violentemente costringere il pubblico a fermarsi agli angoli delle strade in contemplazione di un avviso murale irresistibile. Ottenere questo risultato non è facile. Dobbiamo prima trovare l’artista capace di operare il miracolo di dominare e imprigionare l’attenzione delle folle. Le ‘I.I.I.’ che hanno già avuto l’onore di presentare Sinopico (…) sono oggi in grado di presentare un secondo arditissimo artista: Depero (…) Davanti ad un cartellone del giovane artista trentino il passante deve soffermarsi con un grido di sorpresa. La sua tavolozza ci arresta di colpo come se ci ficcassero le dita negli occhi. Il suo disegno invita alla meditazione di un minuto; quanto è necessario per catturare momentaneamente l’attenzione del pubblico. Le sue concezioni sono accessibili e assurde ad un tempo. Un cartellone di Depero non ammette sguardi distratti e non può essere dimenticato da chi lo ha visto una sola volta”.
E se questa poteva sembrare una sviolinata in casa propria, certo più obbiettivo, ma non meno positivo, fu il giudizio apparso sull’autorevole rivista di settore “L’Impresa Moderna”, che, parlando del concorso per il manifesto della Fiera Navigante affermava che “il migliore manifesto, il più originale, il più ardito, è quello concepito e disegnato dal pittore Depero”.
In quelle prime proposte per le I.I.I., Depero è impegnato nella promozione di una serie di articoli di largo consumo che vanno dallo spumante, alle scarpe, alla cioccolata solubile, agli ombrelli, ai materiali da costruzione, per proporre i quali mette in campo i suoi personaggi del teatro plastico e di quello magico: marionette di legno, ballerini o folletti di caucciù. Li colloca nei tipici atteggiamenti dei manifesti più celebrati di Leonetto Cappiello, cartellonista italiano molto affermato anche in Francia, proprio perché Depero guarda più a lui che all’altro grande cartellonista nazionale Marcello Dudovich, in quanto lo accomuna a Cappiello l’accento ludico, cioè l’idea del folletto, dello spiritello birichino, che fluttua su di un fondale vuoto, mentre Dudovich ricerca ambientazioni realistiche e identificabili. Depero usa un fondo neutro e in questi primi collage non inserisce il lettering, cioè le scritte pubblicitarie, che dovranno essere poi aggiunte dalla tipografia (operazione che a volte andava a snaturare la freschezza dei bozzetti iniziali). L’unica eccezione è il progetto di manifesto per la Galleria Bragaglia, tra i collage, e i due dipinti-pubblicitari per la Fiera Navigante, in cui anche il lettering è appunto realizzato da Depero. In seguito l’artista rivedrà drasticamente questa impostazione grafica, introducendo un lettering integrato, di sua creazione, che di volta in volta sarà modellato sulla specifica composizione del bozzetto. In molti casi il lettering diverrà il dato centrale delle realizzazioni pubblicitarie o editoriali, mutando la scrittura in dato formale, cioè parola-forma quale unica rappresentazione del prodotto stesso.
Ma torniamo ai fatti, cioè alla grande mostra per cui ha lavorato nel primo anno e mezzo di vita della Casa d’Arte, e che non titola semplicemente Depero, ma Depero e la sua Casa d’Arte, in quanto ormai ritiene indissolubile il suo lavoro e la sua nuova impresa. La mostra si tiene dal 29 gennaio al 20 febbraio 1921 (e quindi dal 15 marzo al 15 aprile a Roma alla Galleria d’Arte Bragaglia) significativamente ancora in quel Palazzo Cova che ospitò l’Esposizione Nazionale Futurista del 1919. È accompagnata da un notevole catalogo (per l’epoca), che documenta la sua poliedrica attività ed elenca 169 opere tra arazzi, cuscini, dipinti, disegni, collage e costruzioni colorate, forse non ritenute bastanti per illustrare compiutamente il suo lavoro. Altre 33 opere, infatti, sono documentate da un foglietto volante, inserito nel catalogo e titolato Lavori aggiunti. Ora, in questo lungo elenco di opere si possono vedere quelli che Depero definisce i “disegni colorati”, che, fatti salvi tre acquerelli del 1917, sono tutti collage. Vi sono due gruppi, il primo di otto e il secondo di quattro (ma ambedue in catalogo contano per uno nella numerazione) e sono tutti relativi a progetti di manifesti per le I.I.I., l’agenzia pubblicitaria di Umberto Notari.
Il primo gruppo è relativo a “otto cartelloni per: a) Costruzioni in cemento; b) Spumanti; c) Calzature; d) Caffè; e) Candele; f) Sigarette; g) Formaggi; h) Chianti”. Il secondo, invece, a “quattro cartelloni per: a) The; b) Liquori; c) Football; d) Matite”. 10 E qui si comprende meglio anche l’assenza delle scritte, poiché questi manifesti dovevano promuovere i prodotti generici, senza riferirsi a marche specifiche. Ma quello che più conta è che le sue prime creazioni pubblicitarie sono esposte a una mostra in quanto “opere d’arte”.
Seguono, tra il 1921 ed il 1922, due manifesti realizzati per la Galleria Bragaglia. Il primo, rimasto al solo livello di progetto in carte colorate, mostra un manichino di nuova concezione, cioè un’iconografia non ripresa da Le Chant du Rossignol e nemmeno dai Balli Plastici (ripresa invece a metà degli anni Venti per pubblicizzare la Casa d’Arte), mentre il secondo, giunto alla fase di stampa, è una simbolizzazione architettonica dell’idea della Casa d’Arte Bragaglia e del Teatro degli Indipendenti, cioè di un’entità fisicamente connotabile con le attività di Bragaglia.
Negli anni a seguire Depero affina un suo stile personalissimo e immediatamente riconoscibile, aggressivo, cromaticamente esplosivo grazie alle commissioni di Campari, Verzocchi, Unica, Rimmel. Come per gli arazzi e i cuscini, la tecnica delle tinte piatte, degli accostamenti coloristici audaci, proto-déco, e il recupero dell’iconografia delle precedenti esperienze teatrali, ottiene grandi consensi e immediato seguito. È una vena inventiva che lo sosterrà sin dentro gli anni Trenta, optando poi per un maggior rigorismo e una attenuazione cromatica che caratterizzerà anche la sua pittura di quegli stessi anni. I figurini deperiani degli anni Venti dialogano e rivaleggiano con quelli di Cappiello e diventano referenti privilegiati (seppur filtrati dalle informazioni provenienti dalle altre avanguardie) di gran parte dei cartellonisti del tempo: si vedano, ad esempio, Sepo, Nizzoli, Seneca, Venna, e lo stesso Sironi, che ancora nei primi anni Trenta, già transitato in Novecento, realizzava manifesti esemplarmente tardo-futuristi (per le testate “La Borsa”, “L’Ambrosiano”, ecc.).
Altro settore della grafica applicata che lo vede impegnato è quello delle copertine di riviste come “La Rivista Illustrata del Popolo d’Italia” (1924-1935), “In Penombra”, “Il Mondo”, “Emporium”, “Citrus”, “1919”, “Secolo XX”, “Scena Illustrata” e le americane “Vogue”, “Sparks”, “Vanity Fair”, “Movie Makers”, “The News”, “The New Yorker”, e altre ancora.
Ma se la mole delle cose pubblicate è grande, quella dei progetti rimasti sulla carta, anzi spesso sulle carte colorate, è enorme. La proposta pubblicitaria di Depero era necessariamente molteplice, come si addice a un temperamento vulcanico. Spesso, per ogni copertina, manifesto o locandina pubblicata, il committente ha potuto scegliere fra due, tre o quattro bozzetti differenti. Un’idea che gli fu suggerita dal futurista e amico Fedele Azari, che oltre a essere l’editore del suo famoso Libro imbullonato, fu anche il suo agente pubblicitario, che proponeva a Milano e Torino i bozzetti di Depero ai potenziali acquirenti, fornendo inoltre consigli su come impostare i lavori. Gli suggerì di evitare di inserire il nome della ditta in anticipo: Depero credeva che presentando un bozzetto già finito, con il nome della ditta in bella evidenza, l’affare fosse fatto a metà. Invece Azari suggerì di fare in un primo tempo dei bozzetti generici con solo la dicitura riferita al tipo di prodotto, e dopo, solo a contratto firmato, realizzare quelli con le scritte definitive. Era infatti accaduto che per reclamizzare i grammofoni della ditta La Voce del Padrone, a causa delle continue bocciature, Depero dovette rifare i bozzetti varie volte, trasformando le iniziali proposte d’avanguardia, in improbabili idee tradizionali. Un altro esempio, calzante a questo proposito, è la proposta, poi bocciata, fatta alla Bianchi, per le biciclette. Azari sgridò Depero dicendogli: “Conserva sempre i disegni di base per rifare i manifesti [cosa che all’inizio Depero non faceva] Cicli Bianchi andrà quasi sicuramente rifatto”. Depero perciò si risolse di rifare il ciclista, ma questa volta senza il nome della ditta. Azari gli scrisse inoltre: “Tieni presente per avvenire che conviene fare contemporaneamente 3 bozzetti per ogni articolo”, uno passatista, uno di gusto corrente e infine l’ultimo d’avanguardia. In questo modo almeno uno avrebbe incontrato i gusti del committente.
Grazie alla corrispondenza con Azari, che riferisce a Depero i commenti degli industriali a cui sottopone i bozzetti, possiamo avere una chiara idea delle difficoltà che incontravano le proposte pubblicitarie deperiane in un ambiente ancora legato ai moduli e fronzoli del Liberty. “Il giorno 9 (sabato) ho portato i disegni alla Linoleum e ‘senza i miei commenti’ sono piaciuti. Lesti disse: ‘artisticamente sono discutibili, ma come réclame mi piacciono molto’. Ai posteri la sentenza su tale sentenza! Dato l’individuo e lo scopo, guai se gli piacessero artisticamente e non come réclame!”.
È notevolmente interessante vedere, a posteriori, la bontà di tali scelte, oppure, e non è raro, la mancanza di coraggio nello scarto di proposte che per allora erano ritenute troppo azzardate. Si vedano ad esempio i vari Grammofoni del 1923 (a suo tempo bocciati), Pathé dischi e Cicli Bianchi, del 1924, ancor oggi di grande impatto, per non dimenticare i famosi Uomo-matita, Cavallo-matita e Fabbrica di matite, inizialmente ideati per la Presbitero, nel 1926, anch’essi bocciati, e riciclati tre anni più tardi a New York per la campagna pubblicitaria dell’American Lead Pencil Company, con uno scarto di tempo che in campo pubblicitario non è da poco.
“Ricevetti nel 1926 una lettera da una Casa di Milano con la quale mi si ordinava di eseguire alcuni bozzetti per cartelli di matite. Fulmineamente ne creai quattro: Fabbrica di matite, L’animale-matita, L’uomo-matita e Fascio di matite colorate. Avevo impellente bisogno di denaro, e per la prima volta rifiutai un assegno che ritenni di umiliante compenso ai miei meriti. Dopo qualche tempo offersi tali bozzetti a un’altra Casa milanese. Combinai un ordine di 100.000 cartoline e si eseguirono le bozze colorate. La ditta mostrò tali bozze a chissà quali loro clienti di provincia e probabilmente non piacquero. L’ordine fu sospeso. Le spese furono rimborsate e il lavoro andò in fumo. Per vari mesi giacquero sotto vetro a Milano. Parteciparono a varie esposizioni e quindi li passai ad un editore. Per mezzo del suo agente di pubblicità viaggiarono per varie città italiane senza alcun risultato. (...) Nel settembre del 1928 salparono con me sull’Augustus. Giunti a New York conobbero le vetrine della Fifth Avenue; le Gallerie di Madison Avenue e Park Avenue. Conobbero le officine dell’American Lead Pencil Co. in Hobocken. Nel momento che scrivo splendono la loro originalità nella mia sesta mostra a New York, all’Advertising Club in Park Avenue. Tali creazioni furono ammirate e lodate, ma non illustravano certe caratteristiche delle matite americane: la venatura verde della ‘Venus pencil’, l’anello azzurro della ‘Velvet pencil’ e l’aquila della ‘Eagle Pencil’. Perciò dovetti creare nuovi bozzetti da presentare a tali ditte. Finalmente il sospiratissimo momento è giunto. Venni telefonicamente invitato dal direttore generale dell’American Lead Pencil Co. a sottoporre i bozzetti alla grande agenzia di pubblicità: ‘Batten-Balton-Durstine-Osborn’ alle 3.30 pomeridiane del giorno 11 ottobre 1929. Mi presento puntuale. Cinque direttori tecnici erano in conferenza per decidere una nuova campagna pubblicitaria. Ad unanimità furono accettati bianco-neri, cartelli colorati e plastici per vetrine. Quasi tutti fumavano grossi sigari o la pipa. Conversammo in tedesco”.
A riprova dell’amicizia che trascendeva lo stretto legame d’affari, Azari partecipa ai successi di Depero che tramite la sua mediazione si andavano via via concretizzando: “Avrai visto anche la pubblicazione ‘Rivista Illustrata del Popolo d’Italia’ con tua copertina. Successissimo (…) i venditori di giornali mettono in mostra in modo speciale la ‘Rivista’, di cui sono contentissimo – come l’avessi fatta io!”.
È dunque grazie all’accesa partecipazione di Azari se Depero riesce a penetrare nel difficile mondo della pubblicità, concretizzando una notevole mole di progetti e realizzazioni, che soprattutto tra il 1924 e il 1928 lo terranno in stretto contatto con le più prestigiosi ditte, prima fra tutte la Campari.


La Casa d’Arte a Parigi e New York
Nel 1925 si tiene a Parigi l’Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes, che consacrò definitivamente il cosiddetto stile Art Déco. Depero espose una gran quantità di stoffe, e portò anche molte costruzioni in legno, giocattoli e soprammobili, così come vari esempi delle sue coloratissime pubblicità realizzate a collage.
Sul versante della pubblicità gli anni dal 1924 al 1928 sono i più intensi. Depero lavora moltissimo per le ditte Verzocchi (mattoni refrattari), Richard Ginori (ceramiche), Alberti (Liquore Strega), Bianchi (biciclette), Linoleum (pavimenti), Pathé (Cinema)‚ Schering (farmaceutica), Presbitero (matite colorate), Rim (digestivo), Rimmel (cosmetici) e molte altre ancora. Ma è soprattutto con la ditta milanese, produttrice dei famosi Bitter e Cordial Campari, che Depero intrattiene uno stretto sodalizio che copre la seconda metà degli anni Venti e l’inizio dei Trenta. Per Campari, inoltre, Depero realizza Squisito al Selz, che definì “quadro pubblicitario, non cartello”. Ma al di là delle creazioni grafiche l’impegno è anche per il design di prodotto, come nel caso della famosa bottiglietta del Bitter.


Un futurista a New York
Nel settembre del 1928 Depero parte per New York e sarà l’unico futurista a vivere non episodicamente l’esperienza con la metropoli nordamericana. 16 Già a dicembre tiene una personale alla Guarino Gallery, dove espone dipinti e arazzi, seguita da molte altre nel 1929 e nel 1930. Realizza poi le ambientazioni del Ristorante Zucca (tutto l’arredo e i dipinti murali) e della sala da pranzo del Ristorante Enrico and Paglieri (purtroppo ambedue distrutte neanche un anno dopo a causa della costruzione del Rockefeller Center); studia soluzioni sceniche e costumi per il Roxy Theatre, costumi per il balletto American Sketches oltre che per coreografie di sua ideazione come Cifre e Motolampade. Inoltre, grazie alle sofisticate attrezzature di scena dei teatri newyorkesi, egli abbandona le corazze e le sovrastrutture imposte fino ad allora ai suoi personaggi (che potevano eseguire solo lenti movimenti robotici), accorgimenti usati per supplire alle carenze sceniche italiane del 1918, e lascia invece i ballerini liberi di piroettare sulla scena, vestiti solo di aderenti calzamaglie decorate con i suoi motivi futuristi a disegni dinamizzanti. Lavora anche nel settore della pubblicità e dell’illustrazione realizzando copertine di riviste quali “Vogue”, “Vanity Fair”, “Sparks”, “The New Yorker”, “New Auto Atlas”, “Atlantica”, e altre ancora.
Per Depero New York è la pubblicità, ai suoi occhi la metropoli nordamericana appare come un immenso, luminoso e rutilante cartello pubblicitario: “Anche le vetrine delle più rinomate vie delle metropoli, come ad esempio la Quinta Avenue di New York sono di una modernità azzardata: co- struzionismo dinamico e cromatico, decorativismo espresso con i materiali più contrastanti”. Qui Depero sforna centinaia e centinaia di bozzetti, collabora con le maggiori agenzie pubblicitarie e con le più diffuse riviste di moda, grafica e letteratura. Quasi sempre riesce a imporre il suo stile, le sue creazioni, come nel caso della rivista “Vanity Fair”, oppure di “Movie Makers”, o ancora per “News Auto Atlas” del “The News”. In altri casi, invece, come nei bozzetti per “Vogue”, l’artista è costretto a scendere a compromessi con la linea editoriale, in stile Art Déco. Così i suoi figurini sembrano quasi quelli di un Lepape.
Tuttavia New York con il suo vasto panorama delle arti, lo avvicina anche a certa grafica costruttivista, che vive nel contrappunto di bianco, rosso e nero, o nel fotocollage, e che sperimenta in un gruppo di lavori sulla memoria di visione della città, realizzati al suo rientro in Italia.


La pittura
Nel corso degli anni Venti Depero continua a dedicarsi anche alla pittura, la quale mostra un superamento dell’estetica della marionetta, che aveva caratterizzato la sua pittura degli anni Dieci e che lo aveva rinchiuso in un’aura di decorativismo, in favore delle nuove teorie dell’arte meccanica futurista, che sono forse quelle che oggi lo rappresentano meglio. Il vero Depero sta proprio lì e vi sono una serie di “sintomi” che ce lo fanno capire.
Primo. Nell’aprile del 1918, al Teatro dei Piccoli di Roma, assieme al poeta svizzero Gilbert Clavel, Depero mette in scena i Balli Plastici, spettacolo d’avanguardia con marionette in legno. Quelle costruzioni meccaniche dipinte a Capri divengono qui reali. Nasce così la sua iconografia robotica.
Secondo. Queste marionette e questi robot trasmigrano sulle sue tele che divengono un recettore di memoria di visione. La sua pittura è robotica e a tinte piatte.
Terzo.Nella prefazione al catalogo della grande mostra futurista di Milano a Palazzo Cova, nella primavera del 1919, che Marinetti organizzò per rilanciare il Futurismo del dopoguerra, il capo del Futurismo scrive: “Questa grande esposizione nazionale futurista presenta al pubblico quattro tendenze o correnti di sensibilità pittorica. 1. Pittura pura; 2. Dinamismo plastico; 3. Decorativismo dinamico a tinte piatte; 4. Stato d’animo colorato senza preoccupazioni plastiche”. 18 Depero, riconoscendosi ben incasellato al terzo punto, intuì subito il pericolo di un inquadramento troppo schematico che poteva esaltare solo un lato della sua personalità artistica, e cioè quello decorativo, fin troppo riconoscibile nei suoi nuovi esperimenti in stoffe colorate, e questo avrebbe messo in secondo piano le sue altre qualità. E andò su tutte le furie. Così dopo qualche mese, quando questi quattro ambiti operativi stavano per divenire un vero e proprio manifesto, Depero, piccato, scrive a Marinetti: “Nei quattro punti della vostra lettera-programma, ch’io non credo giusti, secondo voi non mi ritrovo che nel 3°, ‘Decorativismo dinamico a tinte piatte’ – come se la decorazione non si potesse fare sfumata, intagliata, sbalzata, ecc. notando che la mia è esclusivamente plastica. Anche tu, caro Marinetti, come l’amico critico d’arte della ‘Sera’, Franchi, il quale con un fantastico occhialino, mi pare attaccato ad un filo d’oro, scrive che il mio quadro plastico eminentemente prospettico dipinto ad olio…scrive che è cucito in stoffe! Ma che, hai messo anche tu l’occhialino?”. 19
Quarto. Nel 1922, Ivo Pannaggi e Vinicio Paladini concepiscono e lanciano il Manifesto dell’Arte Meccanica. Vi si aggiungerà in seguito anche Prampolini.
Quinto. Nel 1927 Depero pubblica il suo famoso Libro imbullonato, titolato Depero futurista. 1913-1927, che è una summa della sua arte nel corso di quattordici anni. Il libro rende conto dei vari ambiti di ricerca, pittura, scenografia, arredo, stoffe, pubblicità e paroliberismo, e Depero vi riproduce undici dipinti tra i quali nessuno, dico nessuno, degli anni Dieci. E io credo che il motivo vada ricercato nel fatto che già nei primi anni Venti Depero avvia una profonda rimeditazione su quella prefazione di Marinetti alla mostra del 1919. Depero si rese probabilmente conto che con quei dipinti con le marionette in legno e le tinte piatte aveva sviluppato un’attitudine talmente statica da essere quasi l’antitesi del Futurismo stesso. Per fortuna, però, il Manifesto dell’Arte Meccanica gli aprì gli occhi e lo ricondusse ai dettami del dinamismo plastico boccioniano. Infatti, nel 1922 realizza il Ciclista veloce, dipinto in modalità aerodinamica, tridimensionale, e con le sinossi sia del ciclista che delle ruote della bicicletta che documentano il suo muoversi in uno spazio che sembra quello della galleria del vento. Sono dello stesso anno il Ritratto psicologico dell’aviatore Azari con l’aviatore che indossa una tuta quasi spaziale, ma soprattutto La ricamatrice nella quale si aggiunge un’altra importante componente teorica, appena accennata nel famoso dipinto La Casa del Mago del 1920, appartenente a una brevissima stagione pseudo-metafisica. Sto parlando di quella che Depero definirà in un suo manifesto teorico come “l’architettura della luce”. L’artista scrive che era giunto a “creare intere costruzioni suggeritemi dalle direzioni varie e intrecciatissime della luce (…) [e poi] dai laghi scoppiano piramidi d’oro capovolte. I personaggi e gli oggetti lucidi si corazzano di aculei cristallini quali nuovi istrici di vetro. IL SOLE DÀ LA VITA. IL SOLE DÀ I COLORI, ed ora il sole dona all’arte una nuova architettura”.
E su queste basi, la ricamatrice meccanica sta cucendo sotto a una lampada che emana un cono di luce rosa, calda, mentre fuori dal cono tutto è blu notte, freddo.
La stessa modalità si ritroverà in seguito, nel 1926, ne La Rissa del 3000 dove un gruppo di automi, ubriachi, sta litigando sotto a dei coni di luce. Ma in questo caso, fuori dai coni di luce vi è il nulla, cioè l’assenza di tutto.
Nel 1923 realizza Il motociclista, riprendendo, in un clima grigio- rosa, l’idea della galleria del vento entro la quale sta viaggiando un motociclista meccanico fuso con la sua moto. E l’anno seguente, il 1924, è la volta di Gara ippica tra le nubi, dipinta per il Grand Hotel Bristol, vicinissimo all’Ippodromo di Maia, a Merano. Anche qui le sinossi dei movimenti di questi cavalli meccanici ci rendono conto del movimento e della velocità. Ma il 1924 è anche l’anno del Ritratto psicologico di Marinetti, inquadrato in una cornice meccanica ideata da Azari.
Vi è poi la prima di varie versioni de Il gondoliere dipinta nel 1927, e in quell’anno esposta alla Galleria Pesaro di Milano. È l’anno del Libro imbullonato e anche di un altro manifesto teorico di Depero pubblicato in quel libro: W la macchina e lo stile d’acciaio nel quale scrive: “Esaltiamo con la nostra arte moderna lo stile d’acciaio che ci offre la macchina con la sua struttura e la sua vita che riassume tutte le linee e tutti i ritmi dell’arte”. 21 E in ossequio a questo, il gondoliere è d’acciaio, fuso al suo remo d’acciaio, e ambedue fusi alla gondola, pure d’acciaio. Un’enfasi metallica interrotta però da un “bagno” verde della luce lagunare. E questo è la conseguenza del riavvicinamento di Depero ai “flussi naturali” che avviene sin dal 1924 con il famoso Treno partorito dal sole, nel quale si assiste al connubio del sole che dà la vita (e la luce) con la sbuffante macchina ferroviaria, musa meccanica. Ma quando mai un treno può nascere dal sole? Ancora al 1927 va ascritto Alto paesaggio d’acciaio, un’aratura di montagna dove tutto è d’acciaio, cioè dove l’unico colore è quello del metallo. Un’opera di un rigore assoluto. Altro che “decorativismo a tinte piatte”.
Tutto ciò per dire che se nel 1927 lo stesso Depero si ricrede e ridefinisce la valutazione in merito al suo lavoro, ravvisando che le opere realizzate negli anni Dieci sono, in effetti, statiche e decorative (come aveva ben visto Marinetti) mentre invece quelle degli anni Venti rappresentano più compiutamente il suo spirito plastico-dinamico e meccanico, forse sarebbe ora di prenderne atto e di rivedere le valutazioni critiche sull’artista anche alla luce dei sintomi più sopra esposti, riconoscendo che il vero Depero è quello degli anni Venti.








La ciociara, 1919







La Casa del Mago, 1920







Ritratto psicologico dell’aviatore Azari, 1922







Marinetti temporale patriottico (Ritratto psicologico), 1924







Gara ippica tra le nubi, 1924







Solidità di cavalieri erranti, 1927







Guerrieri, 1923







Panciotto di Marinetti (prima versione), 1923 c.







Panciotto di Marinetti, 1923-1924







Quattro serpenti, 1925







Cuscino con composizione di cifre 55-90, 1925







Modernità, 1925







Pupo scarabocchio, 1926







Cavaliere errante, 1925-1927







Progetto per manifesto Casa d’Arte Bragaglia, 1921 c.







Fonografo (Grammofono), 1923







Manifesto pubblicitario Mandorlato Vido, 1924







Manifesto per Bitter Campari, 1928







Fulmini e matite (progetto pubblicitario per Venus Pencils), 1929







Subway (Folla ai treni sotterranei), 1930






Info Mostra
Depero e la sua casa d’arte da Rovereto a New York

Casa d'Arte Futurista Depero
Rovereto