VITTORIO SGARBI
Grande impegno per celebrare Fortunato Depero a Rovereto e in Val di Non.
Depero new Depero è la mostra curata per il Mart da Nicoletta Boschiero,
dedicata alla vasta ricerca dell’artista e alla sua attualità. Depero nella sua
lunga esperienza ha perseguito una forma d’arte totale, che spazia dalla pittura
al teatro, dalla scenografia alle arti applicate, dall’editoria alla pubblicità,
affermandosi come uno dei più radicali protagonisti del movimento futurista.
Alla Casa d’Arte Futurista Depero, un’altra esposizione: Depero e la sua Casa
d’arte da Rovereto a New York, a cura di Maurizio Scudiero.
Contestualmente all’apertura di queste mostre, il Comune di Rovereto, attraverso
i suoi Musei, celebra Depero esponendo opere del proprio patrimonio
artistico e documentario a fianco di alcuni prestiti del Mart. Al Museo della
Città di Palazzo Sichardt la mostra Depero a scuola, le origini. La Scuola Reale
(Realschule) Elisabettina di Rovereto documenta le origini della passione del
giovane artista e del fratello maggiore Emilio, entrambi allievi alla Scuola
Reale di Rovereto, inaugurata nel 1855 e dedicata all’Imperatrice Elisabetta.
Al Museo Storico Italiano della Guerra ecco Depero soldato. Opere e documenti
dell’artista, un approfondimento sul tema Depero in guerra, con alcune
lettere scritte dal fronte. I documenti sono presentati in una sala dedicata
all’esperienza dei volontari in guerra, nella sezione riservata alla partecipazione
bellica dei futuristi.
La Fondazione Campana dei Caduti ospiterà Generosità sconfinata, un
grande olio su tela del 1957 che costituisce, con Pietre antiche e moderne
e Vampa eroica, la trilogia con cui Depero ha inteso omaggiare la sua città
adottiva. È una tela che raffigura la Campana fusa con il bronzo dei cannoni
delle nazioni partecipanti alla Prima guerra mondiale, la campana più grande
del mondo che suoni a distesa.
La mostra al Mart
Depero new Depero raccoglie circa 500 pezzi tra opere, disegni, mobili, oggetti,
ricostruzioni, manifesti, fotografie, libri, riviste, fumetti, video e film. È
l’occasione per ripercorrere la carriera dell’artista roveretano che parte dal
Futurismo e attraverso tappe esemplari giunge fino alle espressioni a noi
più contemporanee.
Negli anni ottanta, ad esempio, Enzo Cogno ricostruisce parti di lavori dell’artista
dispersi: la scenografia di Le Chant du Rossignol e le marionette dei Balli
Plastici, rispettivamente del 1916 e del 1918.
Entrambe le ricostruzioni hanno generato un grande numero di spettacoli
teatrali e nel caso dei Balli Plastici anche un video di Franco Sciannameo e
Don Marinelli, con una ricostruzione digitale dello spettacolo del 1918 grazie
al lavoro di alcuni studenti dell’Università di Pittsburgh.
Nel campo del design, il Gruppo Memphis – collettivo fondato nel 1981 da
Ettore Sottsass – progetta lavori geometrici e coloratissimi che si ispirano
alla visione futurista, all’Art Déco e al kitsch anni cinquanta, ribaltando le limitazioni
creative imposte dall’industria. La mostra presenta alcune oggetti
di Ettore Sottsass e Alessandro Mendini, protagonisti di due mostre personali
al Mart nel 2005 e nel 2010.
Teatro, progettazione digitale, video confluiscono nell’opera Esplosioni di un
artista che Luciano Emmer, regista e sceneggiatore, realizza nel 2008 dopo
aver visto le opere di Depero nelle sale e negli Archivi del Mart, lasciando-
si coinvolgere dalla giocosa vitalità di pupazzi e marionette che diventano i
protagonisti del suo film.
Io lo frequentavo in quei suoi tardi anni e ne avvertivo la freschezza grazie
al contagioso Depero.
L’opera di Depero e in particolare i suoi progetti cinematografici ispirano
anche il lavoro del gruppo N!03, che nel 2011 realizza l’installazione video in
due atti Il sogno di Alberto.
L’esperienza newyorkese di Depero, tappa fondamentale del suo percorso, è
stata e continua a essere al centro di studi, ricerche e rielaborazioni artistiche:
nel 2015 Nello Correale gira Depero, Rovereto, New York e altre storie,
mentre oggi l’Istituto Barlumen, avviando una collaborazione con il Mart,
produce New York film vissuto o Autofilm, che attraverso alcune tappe salienti
– il viaggio in nave, la dogana, la crisi del 1929, il party all’hotel Fifth
Avenue – ricostruisce la vita di Depero a New York.
Nel progetto della mostra sono centrali l’Archivio del ’900, custode del Fondo
Depero, e la biblioteca: attingendo da questo ricchissimo patrimonio verranno
esposti – tra gli altri materiali – tutti i ritratti fotografici di Depero e i
numerosi cataloghi e volumi pubblicati dal 1980 a oggi.
Sono esposti anche gli zinchi del Fondo Depero, incisioni in rilievo su lastra
metallica di zinco, materiale più leggero, maneggevole e resistente della pietra
litografica, che consentivano la riproduzione di scritte, disegni e fotografie.
Il buxus Energia, un’opera commissionata a Depero dalla S.I.T. Società
Industriale Trentina nel 1940, è stato restaurato dal Centro Conservazione
e Restauro di Venaria Reale. Il pannello raffigura una centrale idroelettrica
in intarsio in buxus, materiale autarchico prodotto dalle Cartiere Giacomo
Bosso di Torino dal 1928 fino alla metà degli anni cinquanta.
La mostra alla Casa d’Arte Futurista
La mostra di Maurizio Scudiero presenta un gruppo di opere provenienti da
importanti collezioni pubbliche e private, concepite nel decennio 1920-1930,
uno dei periodi più creativi della carriera dell’artista, quando fonda la Casa
d’Arte Futurista a Rovereto (1919) e la Depero’s Futurist House a New York
(1928). All’interno di queste innovative officine artistiche ha un ruolo centrale
la creazione dei cosiddetti arazzi (in realtà tarsie di stoffe colorate), ma vengono
prodotti anche cartelli pubblicitari, mobili e suppellettili per realizzare
il sogno futurista di “portare l’Arte nella vita”.
Nel 1921 Depero presenta i suoi lavori in una mostra a Palazzo Cova a Milano
ed è subito evidente che la sua produzione è e rimarrà sempre di carattere
artigianale.
Una scelta cosciente, forse suggerita dalla lettura del manifesto del Bauhaus
che invitava architetti, scultori e pittori a tornare all’artigianato.
Nel 1925 a Parigi l’Exposition internationale des arts décoratifs et industriels
modernes consacra definitivamente lo stile Art Déco. Depero vi espone stoffe,
costruzioni in legno, giocattoli e soprammobili, nonché vari esempi delle
sue coloratissime pubblicità a collage di carte colorate.
L’attività di pubblicitario matura negli anni tra il 1924 e il 1928, quando Depero
lavora per moltissime aziende italiane e in particolare avvia una lunga collaborazione
con la Campari. Durante questo sodalizio l’artista si misura anche
con il design di prodotto, disegnando la celebre bottiglietta troncoconica.
Nel settembre del 1928 Depero parte per New York con l’obiettivo di aprire una
filiale della sua Casa d’Arte. Qui realizza ambientazioni per ristoranti, scenografie
per il Roxy Theatre, pubblicità e illustrazioni per importanti riviste come
“Vogue”, “Vanity Fair”, “Sparks”, “The New Yorker”. Ai suoi occhi la Grande
Mela appare un immenso, luminoso e rutilante cartellone pubblicitario.
Oltre ai numerosi esempi di arte applicata, la mostra presenta alcuni importanti
dipinti eseguiti negli anni venti, quando Depero abbraccia le nuove
teorie dell’arte meccanica futurista.
La mostra di Cles
“Ritornare nella mia terra, al paese dove sono nato, dove ho respirato i primi
dieci anni della mia vita, fra pini e larici, dove ho respirato l’ampio orizzonte
del vostro alto pianoro; ritornare a vedere prati, campi, boschi e strade (anche
se trasformate) che furono i primi miei maestri naturali, saturi di succhi
balsamici che mantengono il corpo duro come le rocce e lo spirito limpido e
diamantino come le vette.
Ritornare in questo stupendo nido che mi ha insegnato il primo linguaggio
del vivere e dell’apprendere, potete facilmente immaginare, voi tutti
che della vita ne sapete qualche cosa, come sinceramente mi senta emozionato.
Il mio giro per il mondo, i contatti, le lotte, le salite e le discese, le
amarezze, le delusioni, le riprese e le vittorie.” Questa lettera inedita scritta
da Fortunato Depero nel 1932 è il punto di partenza della mostra allestita nel
Palazzo Assessorile di Cles e curata da Marcello Nebl e Maurizio Scudiero.
L’esposizione racconta il legame dell’artista con la Val di Non attraverso due
diversi livelli che corrono paralleli.
La sezione più ricca della mostra, nella quale le fonti documentarie dialogano
con bozzetti, collage, disegni e arazzi, è relativa agli anni venti con una prorompente
attività pubblicitaria: studi di manifesti per Campari, Cicli Legnano,
Strega, Cioccolato Fago, copertine di “La Rivista Illustrata”, del “Popolo d’Italia”
dal 1925 al 1928 e il celebre Depero futurista 1913-1927, meglio conosciuto
come Libro imbullonato, ideato per autocelebrare quindici anni di attività artistica
nel Futurismo, con un’originale legatura ideata dall’amico ed editore
Fedele Azari.
Negli anni trenta si riscontra quello che Maurizio Scudiero chiama il “ritorno
alla concretezza”: New York, con i grattacieli e le strade trafficate, ma
anche con la sua miseria malcelata, mostrava un volto diverso rispetto alla
modernità che i futuristi italiani avevano sempre immaginato. Depero, tornato
a Rovereto, ritrova il contatto con la realtà delle origini, con i valori della
terra e della famiglia: ritorna alla pittura mutando gradatamente le tematiche
e passando dalle luci della metropoli ai villaggi montani, dalle tranvie
sotterranee ai racconti di vita contadina. Alle ultime grafiche pubblicitarie
si accostano grandi oli su tela a tema alpestre, come Animali da cortile del
1936 ed Elasticità di gatti del 1939.
La mostra si conclude con l’ultima maniera di Depero, dal Dopoguerra alla
morte nel 1960; un percorso attraversato da difficoltà e amarezze, come nella
seconda sfortunata avventura americana, e compensato da una volontà di
riscatto, con gli sforzi per creare il proprio museo e con gli ultimi capolavori
grafici e pittorici che testimoniano la resistente forza espressiva di un artista
che ha inteso costantemente portare l’arte nel quotidiano, influenzando
la pittura, il design e la grafica del nostro tempo.
MAURIZIO SCUDIERO
Depero e la sua Casa d’Arte da Rovereto a New York mostra un gruppo di
opere storiche, provenienti da importanti collezioni, che unite ad altre delle
Collezioni del Mart, hanno lo scopo di ricreare quel clima creativo che nel
corso di dieci anni, dal 1920 al 1930, caratterizzò la Casa d’Arte Futurista
Depero a Rovereto, e in seguito la Depero’s Futurist House a New York.
Centrale e fondativa ai fini dell’idea di una Casa d’Arte fu l’invenzione
dei cosiddetti arazzi (termine improprio perché si trattava di tarsie
di stoffe colorate) avvenuta nel 1917, durante il soggiorno di Depero a Capri,
all’indomani del fallito progetto per i Balletti Russi, per i quali l’artista aveva
acquistato un certo quantitativo di “panni spagnoli” con cui realizzare i costumi
scenici. Dunque la disponibilità di questi panni colorati, rimasti inutilizzati,
gli suggerì l’idea di sostituirli alle carte dei collage eseguiti in quel periodo.
All’inizio, perciò, si trattò di “collage di stoffe colorate” su di un supporto di
cartone. Poi, alla colla si sostituirono ago e filo e al cartone della tela grezza
per lenzuola, e un po’ alla volta la tecnica fu perfezionata dalla moglie Rosetta.
Nella tarda primavera del 1919 Depero ritorna a Rovereto, che
trova distrutta dagli eventi bellici e, in quel clima di ricostruzione, fonda la
sua Casa d’Arte Futurista, con la quale intende produrre arazzi in gran quantità,
unitamente a cartelli pubblicitari, mobili e suppellettili varie, per decorare
la “nuova casa futurista”. Infatti, lo spirito di Ricostruzione futurista dell’universo
(il manifesto teorico firmato con Giacomo Balla nel 1915), con il suo
caleidoscopico ventaglio di proposte, non poteva certo rimanere ingabbiato
nell’ambito di gallerie e musei, o esercitarsi in sterili sperimentazioni tanto
eclatanti, quanto effimere. E, dato lo spiccato carattere operativo del manifesto,
l’ideale banco di prova per verificare l’effettiva proliferazione dell’idea
futurista fu quello delle arti applicate. Su queste basi, sin dal 1918 sorgono un
po’ in tutta l’Italia varie case d’arte di impronta futurista: a Roma quelle di
Prampolini e Recchi, di Bragaglia, di Giannattasio, e di Melli; a Palermo quella
di Rizzo; a Bologna quella di Tato; e, a Rovereto, appunto quella di Depero.
L’avvio di questo progetto deperiano non poté però concretizzarsi prima del
1919, soprattutto a causa degli impegni teatrali a Roma dell’artista. Inoltre,
prima di lanciarsi in avventure utopiche, Depero aveva voluto verificare l’effettiva
applicabilità delle sue creazioni per evitare di cadere in una linea di
decorativismo spesso applicato a oggetti di difficile uso effettivo (problema,
questo, che ha interessato un po’ tutta la produzione delle case d’arte italiane
del periodo). La Casa d’Arte di Depero, grazie alle continue, e azzeccate,
ideazioni dell’artista, diverrà invece la più conosciuta e apprezzata, occupandosi
appunto di pubblicità, arte del tessuto (arazzi, cuscini, panciotti, nei
colori più sgargianti), arredo d’interni e architettura pubblicitaria. Tra alterne
vicende (e temporanei trasferimenti a Parigi e New York) rimarrà in attività
sino all’inizio degli anni Quaranta.
I primi importanti incarichi per la nuova Casa d’Arte sono del
1920, come i due grandi arazzi commissionati da Umberto Notari, scrittore
e direttore de “L’Ambrosiano”, e cioè il Corteo della gran bambola e Cavalcata
fantastica, per realizzare i quali Depero assunse un gruppo di giovani ricamatrici
(che poi rimarranno con lui per tutto il decennio). Sempre del 1920, è
una serie di cartelli pubblicitari realizzati per conto dell’agenzia delle “Tre i”
(I.I.I.), illustranti i prodotti italiani promossi dalla Fiera Navigante nei porti del
Mediterraneo. Poi, nel gennaio del 1921, tiene una grande personale a Palazzo
Cova di Milano (oggi Gallerie d’Italia), che in seguito è trasferita da Bragaglia
a Roma, dove presenta la sua Casa d’Arte. Si tratta di una mostra importante
perché nel relativo catalogo Depero include un testo che presenta e motiva
il suo nuovo lavoro “oltre la pittura”: “Scopo di questa mia industria d’arte,
che si limita per ora alla produzione di arazzi e cuscini, è in primo luogo di
sostituire con intenzioni ultramoderne ogni tipo di arazzo-gobelin, tappeto
persiano, turco, arabo, indiano, che oggi invade qualsiasi distinto ambiente;
in secondo luogo e di conseguenza al primo, è di iniziare una necessaria e
urgente creazione di un ambiente interno, sia salotto, sia salone teatrale o
d’hotel, sia palazzo aristocratico, ambiente corrispondente ad una moda
contemporanea, atto a ricevere poi tutta l’arte d’avanguardia che oggi è nel
suo pieno sviluppo”.
È evidente che la produzione di Depero è, e rimarrà sempre, di
carattere artigianale, non giungendo mai a quei “grandi numeri” che avrebbe
richiesto una produzione industriale atta a penetrare vasti mercati, come ad
esempio quello americano. Ma ciò a scapito della qualità e senza la possibilità
di un diretto controllo dell’artista sul singolo pezzo. Dunque scelta
cosciente, voluta, e forse anche suggerita dalla lettura del manifesto della
Bauhaus, del 1919, che incitava: “Architetti, scultori, pittori, noi tutti dobbiamo
tornare all’artigianato! Non esiste infatti un’arte ‘professionale’. Non c’è
alcuna differenza sostanziale tra l’artista e l’artigiano (...) Formiamo dunque
una nuova corporazione di artigiani”.
Che Depero avesse avuto notizia del
Manifesto di Gropius è un’ipotesi non del tutto remota proprio per i rapporti
e le relazioni culturali e scolastiche che Depero mantenne con gli ex colleghi
dell’Elisabettina in seguito studenti a Vienna o Monaco di Baviera.
Quando Depero scriveva questa presentazione, nel 1921, era in
gestazione il Manifesto futurista dell’Arte Meccanica, che uscirà l’anno dopo
e nei confronti del quale l’artista mostrerà notevoli convergenze nella sua
pittura di allora, che assume toni metallici e levigati, “meccanici”. Depero
aveva lavorato concettualmente su questo tema sin dal 1918, dai tempi dei
Balli Plastici. E pur tuttavia, gli esiti furono meno meccanici di quello ci si
sarebbe dovuto attendere, sempre riferiti a quell’istanza ludica che attraversa
il manifesto Ricostruzione futurista dell’universo. Per questo motivo, per
Depero, l’oggetto rimane sempre qualcosa di vivo, che deve andare oltre il
puro dato funzionale per caricarsi di ulteriori valenze affabulatorie, se non
provocatorie. È un po’ anche la linea del manifesto Il mobilio futurista, i mobili
a sorpresa parlanti e paroliberi, firmato da Cangiullo nel 1920, nel quale il
dato di fondo era lo stesso, e cioè il salvare la “simpatia delle cose minacciata
dal funzionalismo intransigente”, o in altri termini impedire quello che fu
definito come il “divorzio psicologico ed emotivo” tra l’uomo e gli oggetti del
proprio vissuto quotidiano. Un problema che attraversa a più riprese l’arte e
l’architettura degli anni Venti.
È dunque su questa “allegria di fondo” che si svolge il lavoro
di Depero nel corso di tutti gli anni Venti con un’intensità e una violenza
cromatica e compositiva che certo ha arricchito e dinamizzato il panorama
delle arti applicate in Italia, non solo in termini stilistici ma anche sul versante
della sperimentazione dei materiali, come “l’arazzo-mosaico in stoffe” che
costituisce non solo una felice innovazione tecnica ma anche il più tipico
esempio di quell’incontro tra “arte” e “mestiere”, proprio a livello artigianale.
Con un’avvertenza: gli arazzi di Depero ebbero al tempo anche una funzione
propositiva di forte rottura, che pochissimi critici colsero nella sua componente
teorica e d’avanguardia. Infatti, Depero nel catalogo della mostra a
Palazzo Cova definì i suoi arazzi: “quadri in stoffa”; vale a dire che per Depero
fare un quadro con pennelli e colori, carte colorate o stoffe aveva la stessa
valenza estetica. Posizione concettuale molto interessante anche perché anticipava
di oltre sessant’anni l’Arte Povera. E scusate se è poco.
Con la sperimentazione su materiali non pittorici Depero voleva
anche significare che l’epoca del quadro-dipinto si stava avviando alla
sua conclusione. Idee che risulteranno ancora più palesi nelle proposte deperiane
alla III Biennale di Monza, del 1927, dove oltre alla gran mole di stoffe,
oggetti e soprattutto grafica pubblicitaria, Depero presentò anche il famoso
Padiglione tipografico per la casa editrice Bestetti-Tumminelli e Treves,
a confronto del quale gli altri stand sembravano baite alpine. Infatti, trasponendo
nella terza dimensione un concetto a lungo praticato nelle sue
pubblicità, e cioè quello dell’umanizzazione del prodotto per la realizzazione
degli spazi di una casa editrice – che produce libri stampati con caratteri
tipografici mobili –, Depero utilizzò un montaggio di grandi lettere cubitali,
creando così un cortocircuito tra contenitore e contenuto, in quanto l’architettura
stessa diventava sinonimo del prodotto.
Non sarà fuori luogo ricordare che a quella stessa esposizione
si presenterà per la prima volta il “Gruppo 7”, anticipatore dell’architettura
razionalista.
L’arredo come gioco
Ma facciamo un passo indietro, ai suoi primi arredi. Nel settembre del 1921
Depero è a Roma dove su incarico di Gino Gori inizia i lavori di allestimento
e arredo del Cabaret del Diavolo, una sorta di bolgia dantesca frequentata
da futuristi, dadaisti, anarchici e artisti in genere. Il cabaret, denso di richiami
folclorici, strutturato lungo un percorso discendente dal Paradiso attraverso
il Purgatorio e infine all’Inferno, fu inaugurato nell’aprile del 1922 ma ebbe
vita breve. Quella del tema folclorico è una linea decorativa che non deve
stupire, anche alla luce dei contatti e delle esperienze teatrali a Roma con
i Balletti Russi, sin dal 1916, e dunque in un’osmosi con la linea di recupero
folclorico di un Larionov che, peraltro, Depero scopre essere congeniale alle
sue origini nordiche e montanare. Allo stesso modo, nei primi mesi del 1923,
in occasione delle due Veglie futuriste, decora con dei cavalieri tirolesi Casa
Keppel in via Santa Maria a Rovereto, eletta a Casa d’Arte Futurista Depero, e
poi ancora quell’iconografia “tirolese”, rivisitata da un colorismo a tinte piatte
e dai toni elettrici, verrà utilizzata nelle vaste sale dell’Hotel Bristol, a Merano.
Non deve stupire a questo punto che gli sia dedicata una sala personale alla
I Biennale di Arti Decorative di Monza del 1923, dove presenta, unitamente
a un gruppo di dipinti, anche una vasta scelta di oggetti e marionette e ulteriori
proposte di mobili nei quali l’accento folclorico è più attenuato grazie
alla mediazione di stilemi e asimmetrie futuristi.
Il riscontro di critica e di pubblico sul Depero “decorativo” è in
questi primi anni Venti più che notevole. E quando Rossana Bossaglia affermava
che “l’influenza esercitata dalle formule futuriste sulla generale
situazione del gusto in Italia fu tutt’altro che insignificante”, aggiungendo
pure che “esse introdussero come un brivido, una spigolosità, una concisione,
che diede sapore originale al neo-rococò, al neo-attico ed al finto folclore
di cui si nutrivano passivamente le idee degli artigiani negli anni Venti”,
è chiaro che si riferiva soprattutto a Depero, mentre, per contro, all’epoca gli
altri futuristi operavano ancora solo su un piano progettuale, su stilemi
post-Liberty, pur nell’uso di tinte piatte e sintesi formale, giungendo raramente
alla fase produttiva.
Quanto poi al cosiddetto uso, da parte di Depero, del repertorio
folclorico locale, Bossaglia precisava che “in quanto singolarità etnica era
stato teorizzato già dal Modernismo, cioè dalla serie di atteggiamenti di tipo
Art Nouveau: si trattava della volontà di mantenere caratterizzata e differenziata
una produzione che l’aspetto internazionale dell’ideologia a essa
sottesa rischiava di rendere uniforme (…) appunto contro un’ipotesi di standardizzazione
totale”.
La pubblicità
Con l’apertura della sua Casa d’Arte Futurista prende l’avvio anche l’avventura
pubblicitaria di Depero che debutta alla succitata mostra personale al
Cova nel 1921, dove espone due gruppi di collage pubblicitari.
L’avvio della Casa d’Arte Depero ridefinisce le coordinate operative
del suo “fare arte”, ne condiziona pesantemente la produzione pittorica,
che via via diviene subalterna a quella applicativa, non tanto in termini di
valore estetico, quanto piuttosto sul piano strettamente numerico. In altre
parole, con il crescere delle commesse della Casa d’Arte, e degli impegni
espositivi a essa collegati (come nel caso delle Biennali di Arte Decorativa
di Monza) diminuiva il tempo dedicabile (e dedicato) alla pittura, che veniva
piuttosto scandito dalle importanti mostre collettive del movimento futurista,
cui era chiamato da Marinetti, e per le quali vi era necessità di presentare
sempre nuove opere. Inoltre un impegno sempre maggiore era richiesto
dall’altra importante componente dell’attività della Casa d’Arte deperiana:
la pubblicità. Fatta eccezione per le notizie storiche e i contributi teorici dello
stesso Depero, che vedremo e commenteremo, in questo caso l’approccio
alla materia sarà di natura tipologica, un’analisi che non scorre linearmente
nella successione cronologica, ma che cerca di capire le metodologie del
lavoro di ideazione grafica usate da Depero nelle sue creazioni pubblicitarie
ed editoriali. Credo, infatti, che questo sia il criterio più pertinente alla
comprensione della pratica pubblicitaria deperiana, proprio perché l’impostazione
tipologica determina anche, per converso, la filosofia di fondo di
tutto il suo lavoro.
Depero, tra i futuristi, è il più vicino alla concezione manageriale
dell’arte di F.T. Marinetti: l’artista deve prodursi in una nuova e continua azione
comportamentale che non può prescindere dalla consapevolezza di una
non manifesta, ma di fatto operante, “arte pubblicitaria”. Non manifesta in
quanto essa, per la gran parte, è gestita e prodotta da creativi distanti dall’avanguardia,
ma che, per questo, possono giocare con i suoi stilemi con
assoluta facilità e intercambiabilità. Depero è dunque potentemente e naturalmente
pubblicitario, o forse è un pubblicitario naturale. Infatti, prima
ancora dei primi bozzetti pubblicitari realizzati per Notari (1920), vanno ricordati
alcuni antecedenti come un “cartello réclame, indefinito nell’impasto
dei colori” che era segnalato fra le opere esposte nella sua personale del novembre
1913 a Rovereto. L’anno dopo, appena giunto a Roma, Giuseppe
Sprovieri gli commissiona il cartellone pubblicitario da porre all’ingresso della
sua galleria futurista in via del Tritone, e alla sua vista ne rimane colpito
per “l’estemporaneità, cioè il breve tempo che gli era occorso per la creazione
e l’assimilazione del modo di esprimersi propri del nostro gruppo”. Si
tratta di due episodi della preistoria di Depero che possono essere interpretati
come il segno di una precoce vocazione pubblicitaria dell’artista roveretano.
In seguito, per la sua grande mostra personale tenuta a Roma in Corso Umberto,
nel 1916, e poi nel 1918, per pubblicizzare i suoi Balli Plastici, realizza dei
poster autopromozionali, dipinti a olio su tela, in poche copie, dove l’impostazione
pittorica si coniuga con la composizione grafica delle scritte pubblicitarie.
Specie quello dei Balli Plastici, anche grazie alla sua mini-serialità, va considerato
un vero e proprio “quadro pubblicitario” ante-litteram. Infine, nel corso
del soggiorno a Viareggio, verso la fine del 1918, progetta il manifesto della
mostra La pittura d’avanguardia, realizzandone un dipinto a olio (La Bagnante)
senza le scritte che invece sono presenti nel disegno esecutivo.
L’attività pubblicitaria di Depero è la più continuativa tra le proposte
della Casa d’Arte, e, in sostanza, quella che gli ha permesso di vivere
sino agli anni Cinquanta. Ma, analogamente alla produzione di tarsie, essa
vive il suo periodo aureo nel corso degli anni Venti. Manifesti, locandine, volantini,
cartoline, copertine di riviste, calendarietti, inserzioni su quotidiani,
etichette, cofanetti, ecc. Depero s’impone al pubblico per le sue proposte
pubblicitarie, proprio perché realizzate con una grafica asciutta, sintetica,
dai colori sgargianti. E, nel panorama grafico dell’epoca, che vede ancora
l’onda lunga del Liberty con la sua pesantezza floreale, i bozzetti di Depero
spiccano invece per le loro sintetiche composizioni. L’agenzia pubblicitaria
di Notari crede in Depero e lo supporta nel proprio giornale aziendale, distribuito
a centinaia di clienti in tutta l’Italia: “L’arte del cartellone – scrivevamo
nell’annunciare i sensazionali cartelloni di Depero – ha bisogno di essere rinnovata.
L’occhio del pubblico è distratto. La scialba monotonia degli avvisi
murali, lo squallore della loro colorazione, la povertà della loro concezione,
hanno ingenerato nel pubblico la più olimpica indifferenza per quello stupendo
mezzo di richiamo che è il cartellone. Esso è divenuto, giorno per
giorno, per colpa di artisti sempre più scadenti, per colpa di produttori sempre
meno avveduti, perdendo una gran parte della sua efficacia. Il cartellone
muore. Bisogna vivificarlo (…) Noi dobbiamo risuscitare l’arte del cartellone.
Noi dobbiamo violentemente costringere il pubblico a fermarsi agli angoli
delle strade in contemplazione di un avviso murale irresistibile. Ottenere
questo risultato non è facile. Dobbiamo prima trovare l’artista capace di operare
il miracolo di dominare e imprigionare l’attenzione delle folle. Le ‘I.I.I.’ che
hanno già avuto l’onore di presentare Sinopico (…) sono oggi in grado di presentare
un secondo arditissimo artista: Depero (…) Davanti ad un cartellone
del giovane artista trentino il passante deve soffermarsi con un grido di sorpresa.
La sua tavolozza ci arresta di colpo come se ci ficcassero le dita negli
occhi. Il suo disegno invita alla meditazione di un minuto; quanto è necessario
per catturare momentaneamente l’attenzione del pubblico. Le sue
concezioni sono accessibili e assurde ad un tempo. Un cartellone di Depero
non ammette sguardi distratti e non può essere dimenticato da chi lo ha visto
una sola volta”.
E se questa poteva sembrare una sviolinata in casa propria,
certo più obbiettivo, ma non meno positivo, fu il giudizio apparso sull’autorevole
rivista di settore “L’Impresa Moderna”, che, parlando del concorso per
il manifesto della Fiera Navigante affermava che “il migliore manifesto, il più
originale, il più ardito, è quello concepito e disegnato dal pittore Depero”.
In quelle prime proposte per le I.I.I., Depero è impegnato nella
promozione di una serie di articoli di largo consumo che vanno dallo spumante,
alle scarpe, alla cioccolata solubile, agli ombrelli, ai materiali da
costruzione, per proporre i quali mette in campo i suoi personaggi del teatro
plastico e di quello magico: marionette di legno, ballerini o folletti di caucciù.
Li colloca nei tipici atteggiamenti dei manifesti più celebrati di Leonetto
Cappiello, cartellonista italiano molto affermato anche in Francia, proprio
perché Depero guarda più a lui che all’altro grande cartellonista nazionale
Marcello Dudovich, in quanto lo accomuna a Cappiello l’accento ludico, cioè
l’idea del folletto, dello spiritello birichino, che fluttua su di un fondale vuoto,
mentre Dudovich ricerca ambientazioni realistiche e identificabili. Depero
usa un fondo neutro e in questi primi collage non inserisce il lettering, cioè
le scritte pubblicitarie, che dovranno essere poi aggiunte dalla tipografia
(operazione che a volte andava a snaturare la freschezza dei bozzetti iniziali).
L’unica eccezione è il progetto di manifesto per la Galleria Bragaglia,
tra i collage, e i due dipinti-pubblicitari per la Fiera Navigante, in cui anche
il lettering è appunto realizzato da Depero. In seguito l’artista rivedrà drasticamente
questa impostazione grafica, introducendo un lettering integrato,
di sua creazione, che di volta in volta sarà modellato sulla specifica composizione
del bozzetto. In molti casi il lettering diverrà il dato centrale delle
realizzazioni pubblicitarie o editoriali, mutando la scrittura in dato formale,
cioè parola-forma quale unica rappresentazione del prodotto stesso.
Ma torniamo ai fatti, cioè alla grande mostra per cui ha lavorato
nel primo anno e mezzo di vita della Casa d’Arte, e che non titola semplicemente
Depero, ma Depero e la sua Casa d’Arte, in quanto ormai ritiene
indissolubile il suo lavoro e la sua nuova impresa. La mostra si tiene dal 29
gennaio al 20 febbraio 1921 (e quindi dal 15 marzo al 15 aprile a Roma alla
Galleria d’Arte Bragaglia) significativamente ancora in quel Palazzo Cova
che ospitò l’Esposizione Nazionale Futurista del 1919. È accompagnata da
un notevole catalogo (per l’epoca), che documenta la sua poliedrica attività
ed elenca 169 opere tra arazzi, cuscini, dipinti, disegni, collage e costruzioni
colorate, forse non ritenute bastanti per illustrare compiutamente il suo lavoro.
Altre 33 opere, infatti, sono documentate da un foglietto volante, inserito
nel catalogo e titolato Lavori aggiunti. Ora, in questo lungo elenco di opere
si possono vedere quelli che Depero definisce i “disegni colorati”, che, fatti
salvi tre acquerelli del 1917, sono tutti collage. Vi sono due gruppi, il primo di
otto e il secondo di quattro (ma ambedue in catalogo contano per uno nella
numerazione) e sono tutti relativi a progetti di manifesti per le I.I.I., l’agenzia
pubblicitaria di Umberto Notari.
Il primo gruppo è relativo a “otto cartelloni per: a) Costruzioni in
cemento; b) Spumanti; c) Calzature; d) Caffè; e) Candele; f) Sigarette; g)
Formaggi; h) Chianti”. Il secondo, invece, a “quattro cartelloni per: a) The; b)
Liquori; c) Football; d) Matite”. 10 E qui si comprende meglio anche l’assenza
delle scritte, poiché questi manifesti dovevano promuovere i prodotti generici,
senza riferirsi a marche specifiche. Ma quello che più conta è che le sue prime
creazioni pubblicitarie sono esposte a una mostra in quanto “opere d’arte”.
Seguono, tra il 1921 ed il 1922, due manifesti realizzati per la
Galleria Bragaglia. Il primo, rimasto al solo livello di progetto in carte colorate,
mostra un manichino di nuova concezione, cioè un’iconografia non
ripresa da Le Chant du Rossignol e nemmeno dai Balli Plastici (ripresa invece
a metà degli anni Venti per pubblicizzare la Casa d’Arte), mentre il secondo,
giunto alla fase di stampa, è una simbolizzazione architettonica dell’idea
della Casa d’Arte Bragaglia e del Teatro degli Indipendenti, cioè di un’entità
fisicamente connotabile con le attività di Bragaglia.
Negli anni a seguire Depero affina un suo stile personalissimo
e immediatamente riconoscibile, aggressivo, cromaticamente esplosivo
grazie alle commissioni di Campari, Verzocchi, Unica, Rimmel. Come per gli
arazzi e i cuscini, la tecnica delle tinte piatte, degli accostamenti coloristici
audaci, proto-déco, e il recupero dell’iconografia delle precedenti esperienze
teatrali, ottiene grandi consensi e immediato seguito. È una vena inventiva
che lo sosterrà sin dentro gli anni Trenta, optando poi per un maggior rigorismo
e una attenuazione cromatica che caratterizzerà anche la sua pittura
di quegli stessi anni. I figurini deperiani degli anni Venti dialogano e rivaleggiano
con quelli di Cappiello e diventano referenti privilegiati (seppur filtrati
dalle informazioni provenienti dalle altre avanguardie) di gran parte dei cartellonisti
del tempo: si vedano, ad esempio, Sepo, Nizzoli, Seneca, Venna, e
lo stesso Sironi, che ancora nei primi anni Trenta, già transitato in Novecento,
realizzava manifesti esemplarmente tardo-futuristi (per le testate “La Borsa”,
“L’Ambrosiano”, ecc.).
Altro settore della grafica applicata che lo vede impegnato è
quello delle copertine di riviste come “La Rivista Illustrata del Popolo d’Italia”
(1924-1935), “In Penombra”, “Il Mondo”, “Emporium”, “Citrus”, “1919”, “Secolo
XX”, “Scena Illustrata” e le americane “Vogue”, “Sparks”, “Vanity Fair”, “Movie
Makers”, “The News”, “The New Yorker”, e altre ancora.
Ma se la mole delle cose pubblicate è grande, quella dei progetti
rimasti sulla carta, anzi spesso sulle carte colorate, è enorme. La
proposta pubblicitaria di Depero era necessariamente molteplice, come si
addice a un temperamento vulcanico. Spesso, per ogni copertina, manifesto
o locandina pubblicata, il committente ha potuto scegliere fra due, tre o
quattro bozzetti differenti. Un’idea che gli fu suggerita dal futurista e amico
Fedele Azari, che oltre a essere l’editore del suo famoso Libro imbullonato,
fu anche il suo agente pubblicitario, che proponeva a Milano e Torino i bozzetti
di Depero ai potenziali acquirenti, fornendo inoltre consigli su come
impostare i lavori. Gli suggerì di evitare di inserire il nome della ditta in anticipo:
Depero credeva che presentando un bozzetto già finito, con il nome
della ditta in bella evidenza, l’affare fosse fatto a metà. Invece Azari suggerì
di fare in un primo tempo dei bozzetti generici con solo la dicitura riferita al
tipo di prodotto, e dopo, solo a contratto firmato, realizzare quelli con le scritte
definitive. Era infatti accaduto che per reclamizzare i grammofoni della
ditta La Voce del Padrone, a causa delle continue bocciature, Depero dovette
rifare i bozzetti varie volte, trasformando le iniziali proposte d’avanguardia,
in improbabili idee tradizionali. Un altro esempio, calzante a questo proposito,
è la proposta, poi bocciata, fatta alla Bianchi, per le biciclette. Azari
sgridò Depero dicendogli: “Conserva sempre i disegni di base per rifare i
manifesti [cosa che all’inizio Depero non faceva] Cicli Bianchi andrà quasi
sicuramente rifatto”.
Depero perciò si risolse di rifare il ciclista, ma questa
volta senza il nome della ditta. Azari gli scrisse inoltre: “Tieni presente per
avvenire che conviene fare contemporaneamente 3 bozzetti per ogni articolo”,
uno passatista, uno di gusto corrente e infine l’ultimo d’avanguardia.
In questo modo almeno uno avrebbe incontrato i gusti del committente.
Grazie alla corrispondenza con Azari, che riferisce a Depero i
commenti degli industriali a cui sottopone i bozzetti, possiamo avere una
chiara idea delle difficoltà che incontravano le proposte pubblicitarie deperiane
in un ambiente ancora legato ai moduli e fronzoli del Liberty. “Il giorno
9 (sabato) ho portato i disegni alla Linoleum e ‘senza i miei commenti’ sono
piaciuti. Lesti disse: ‘artisticamente sono discutibili, ma come réclame mi
piacciono molto’. Ai posteri la sentenza su tale sentenza! Dato l’individuo e
lo scopo, guai se gli piacessero artisticamente e non come réclame!”.
È notevolmente interessante vedere, a posteriori, la bontà
di tali scelte, oppure, e non è raro, la mancanza di coraggio nello scarto di
proposte che per allora erano ritenute troppo azzardate. Si vedano ad esempio
i vari Grammofoni del 1923 (a suo tempo bocciati), Pathé dischi e Cicli
Bianchi, del 1924, ancor oggi di grande impatto, per non dimenticare i famosi
Uomo-matita, Cavallo-matita e Fabbrica di matite, inizialmente ideati per
la Presbitero, nel 1926, anch’essi bocciati, e riciclati tre anni più tardi a New
York per la campagna pubblicitaria dell’American Lead Pencil Company, con
uno scarto di tempo che in campo pubblicitario non è da poco.
“Ricevetti nel 1926 una lettera da una Casa di Milano con la quale
mi si ordinava di eseguire alcuni bozzetti per cartelli di matite.
Fulmineamente ne creai quattro: Fabbrica di matite, L’animale-matita,
L’uomo-matita e Fascio di matite colorate. Avevo impellente bisogno di denaro,
e per la prima volta rifiutai un assegno che ritenni di umiliante compenso
ai miei meriti. Dopo qualche tempo offersi tali bozzetti a un’altra Casa milanese.
Combinai un ordine di 100.000 cartoline e si eseguirono le bozze
colorate. La ditta mostrò tali bozze a chissà quali loro clienti di provincia e
probabilmente non piacquero. L’ordine fu sospeso. Le spese furono rimborsate
e il lavoro andò in fumo. Per vari mesi giacquero sotto vetro a Milano.
Parteciparono a varie esposizioni e quindi li passai ad un editore. Per mezzo
del suo agente di pubblicità viaggiarono per varie città italiane senza alcun
risultato. (...) Nel settembre del 1928 salparono con me sull’Augustus. Giunti
a New York conobbero le vetrine della Fifth Avenue; le Gallerie di Madison
Avenue e Park Avenue. Conobbero le officine dell’American Lead Pencil Co.
in Hobocken. Nel momento che scrivo splendono la loro originalità nella mia
sesta mostra a New York, all’Advertising Club in Park Avenue. Tali creazioni
furono ammirate e lodate, ma non illustravano certe caratteristiche delle matite
americane: la venatura verde della ‘Venus pencil’, l’anello azzurro della
‘Velvet pencil’ e l’aquila della ‘Eagle Pencil’. Perciò dovetti creare nuovi bozzetti
da presentare a tali ditte. Finalmente il sospiratissimo momento è
giunto. Venni telefonicamente invitato dal direttore generale dell’American
Lead Pencil Co. a sottoporre i bozzetti alla grande agenzia di pubblicità:
‘Batten-Balton-Durstine-Osborn’ alle 3.30 pomeridiane del giorno 11 ottobre
1929. Mi presento puntuale. Cinque direttori tecnici erano in conferenza per
decidere una nuova campagna pubblicitaria. Ad unanimità furono accettati
bianco-neri, cartelli colorati e plastici per vetrine. Quasi tutti fumavano grossi
sigari o la pipa. Conversammo in tedesco”.
A riprova dell’amicizia che trascendeva lo stretto legame d’affari,
Azari partecipa ai successi di Depero che tramite la sua mediazione si
andavano via via concretizzando: “Avrai visto anche la pubblicazione ‘Rivista
Illustrata del Popolo d’Italia’ con tua copertina. Successissimo (…) i venditori
di giornali mettono in mostra in modo speciale la ‘Rivista’, di cui sono contentissimo
– come l’avessi fatta io!”.
È dunque grazie all’accesa partecipazione di Azari se Depero
riesce a penetrare nel difficile mondo della pubblicità, concretizzando una
notevole mole di progetti e realizzazioni, che soprattutto tra il 1924 e il 1928
lo terranno in stretto contatto con le più prestigiosi ditte, prima fra tutte
la Campari.
La Casa d’Arte a Parigi e New York
Nel 1925 si tiene a Parigi l’Exposition Internationale des Arts Décoratifs et
Industriels Modernes, che consacrò definitivamente il cosiddetto stile Art
Déco. Depero espose una gran quantità di stoffe, e portò anche molte costruzioni
in legno, giocattoli e soprammobili, così come vari esempi delle sue
coloratissime pubblicità realizzate a collage.
Sul versante della pubblicità gli anni dal 1924 al 1928 sono i più
intensi. Depero lavora moltissimo per le ditte Verzocchi (mattoni refrattari),
Richard Ginori (ceramiche), Alberti (Liquore Strega), Bianchi (biciclette),
Linoleum (pavimenti), Pathé (Cinema)‚ Schering (farmaceutica), Presbitero
(matite colorate), Rim (digestivo), Rimmel (cosmetici) e molte altre ancora.
Ma è soprattutto con la ditta milanese, produttrice dei famosi Bitter e Cordial
Campari, che Depero intrattiene uno stretto sodalizio che copre la seconda
metà degli anni Venti e l’inizio dei Trenta. Per Campari, inoltre, Depero realizza
Squisito al Selz, che definì “quadro pubblicitario, non cartello”. Ma al di
là delle creazioni grafiche l’impegno è anche per il design di prodotto, come
nel caso della famosa bottiglietta del Bitter.
Un futurista a New York
Nel settembre del 1928 Depero parte per New York e sarà l’unico futurista a
vivere non episodicamente l’esperienza con la metropoli nordamericana. 16
Già a dicembre tiene una personale alla Guarino Gallery, dove espone dipinti
e arazzi, seguita da molte altre nel 1929 e nel 1930. Realizza poi le ambientazioni
del Ristorante Zucca (tutto l’arredo e i dipinti murali) e della sala da
pranzo del Ristorante Enrico and Paglieri (purtroppo ambedue distrutte neanche
un anno dopo a causa della costruzione del Rockefeller Center); studia
soluzioni sceniche e costumi per il Roxy Theatre, costumi per il balletto
American Sketches oltre che per coreografie di sua ideazione come Cifre e
Motolampade. Inoltre, grazie alle sofisticate attrezzature di scena dei teatri
newyorkesi, egli abbandona le corazze e le sovrastrutture imposte fino ad
allora ai suoi personaggi (che potevano eseguire solo lenti movimenti robotici),
accorgimenti usati per supplire alle carenze sceniche italiane del 1918,
e lascia invece i ballerini liberi di piroettare sulla scena, vestiti solo di aderenti
calzamaglie decorate con i suoi motivi futuristi a disegni dinamizzanti.
Lavora anche nel settore della pubblicità e dell’illustrazione realizzando copertine
di riviste quali “Vogue”, “Vanity Fair”, “Sparks”, “The New Yorker”,
“New Auto Atlas”, “Atlantica”, e altre ancora.
Per Depero New York è la pubblicità, ai suoi occhi la metropoli
nordamericana appare come un immenso, luminoso e rutilante cartello pubblicitario:
“Anche le vetrine delle più rinomate vie delle metropoli, come ad
esempio la Quinta Avenue di New York sono di una modernità azzardata: co-
struzionismo dinamico e cromatico, decorativismo espresso con i materiali
più contrastanti”. Qui Depero sforna centinaia e centinaia di bozzetti, collabora
con le maggiori agenzie pubblicitarie e con le più diffuse riviste di
moda, grafica e letteratura. Quasi sempre riesce a imporre il suo stile, le sue
creazioni, come nel caso della rivista “Vanity Fair”, oppure di “Movie Makers”,
o ancora per “News Auto Atlas” del “The News”. In altri casi, invece, come nei
bozzetti per “Vogue”, l’artista è costretto a scendere a compromessi con la
linea editoriale, in stile Art Déco. Così i suoi figurini sembrano quasi quelli di
un Lepape.
Tuttavia New York con il suo vasto panorama delle arti, lo avvicina
anche a certa grafica costruttivista, che vive nel contrappunto di bianco,
rosso e nero, o nel fotocollage, e che sperimenta in un gruppo di lavori sulla
memoria di visione della città, realizzati al suo rientro in Italia.
La pittura
Nel corso degli anni Venti Depero continua a dedicarsi anche alla pittura, la
quale mostra un superamento dell’estetica della marionetta, che aveva caratterizzato
la sua pittura degli anni Dieci e che lo aveva rinchiuso in un’aura
di decorativismo, in favore delle nuove teorie dell’arte meccanica futurista,
che sono forse quelle che oggi lo rappresentano meglio. Il vero Depero sta
proprio lì e vi sono una serie di “sintomi” che ce lo fanno capire.
Primo. Nell’aprile del 1918, al Teatro dei Piccoli di Roma, assieme
al poeta svizzero Gilbert Clavel, Depero mette in scena i Balli Plastici, spettacolo
d’avanguardia con marionette in legno. Quelle costruzioni meccaniche
dipinte a Capri divengono qui reali. Nasce così la sua iconografia robotica.
Secondo. Queste marionette e questi robot trasmigrano sulle
sue tele che divengono un recettore di memoria di visione. La sua pittura è
robotica e a tinte piatte.
Terzo.Nella prefazione al catalogo della grande mostra futurista
di Milano a Palazzo Cova, nella primavera del 1919, che Marinetti organizzò
per rilanciare il Futurismo del dopoguerra, il capo del Futurismo scrive:
“Questa grande esposizione nazionale futurista presenta al pubblico quattro
tendenze o correnti di sensibilità pittorica. 1. Pittura pura; 2. Dinamismo plastico;
3. Decorativismo dinamico a tinte piatte; 4. Stato d’animo colorato
senza preoccupazioni plastiche”. 18 Depero, riconoscendosi ben incasellato
al terzo punto, intuì subito il pericolo di un inquadramento troppo schematico
che poteva esaltare solo un lato della sua personalità artistica, e cioè
quello decorativo, fin troppo riconoscibile nei suoi nuovi esperimenti in stoffe
colorate, e questo avrebbe messo in secondo piano le sue altre qualità. E
andò su tutte le furie. Così dopo qualche mese, quando questi quattro ambiti
operativi stavano per divenire un vero e proprio manifesto, Depero, piccato,
scrive a Marinetti: “Nei quattro punti della vostra lettera-programma, ch’io
non credo giusti, secondo voi non mi ritrovo che nel 3°, ‘Decorativismo dinamico
a tinte piatte’ – come se la decorazione non si potesse fare sfumata,
intagliata, sbalzata, ecc. notando che la mia è esclusivamente plastica.
Anche tu, caro Marinetti, come l’amico critico d’arte della ‘Sera’, Franchi, il
quale con un fantastico occhialino, mi pare attaccato ad un filo d’oro, scrive
che il mio quadro plastico eminentemente prospettico dipinto ad olio…scrive
che è cucito in stoffe! Ma che, hai messo anche tu l’occhialino?”. 19
Quarto. Nel 1922, Ivo Pannaggi e Vinicio Paladini concepiscono
e lanciano il Manifesto dell’Arte Meccanica. Vi si aggiungerà in seguito
anche Prampolini.
Quinto. Nel 1927 Depero pubblica il suo famoso Libro imbullonato,
titolato Depero futurista. 1913-1927, che è una summa della sua arte nel
corso di quattordici anni. Il libro rende conto dei vari ambiti di ricerca, pittura,
scenografia, arredo, stoffe, pubblicità e paroliberismo, e Depero vi
riproduce undici dipinti tra i quali nessuno, dico nessuno, degli anni Dieci. E
io credo che il motivo vada ricercato nel fatto che già nei primi anni Venti
Depero avvia una profonda rimeditazione su quella prefazione di Marinetti
alla mostra del 1919. Depero si rese probabilmente conto che con quei dipinti
con le marionette in legno e le tinte piatte aveva sviluppato un’attitudine talmente
statica da essere quasi l’antitesi del Futurismo stesso. Per fortuna,
però, il Manifesto dell’Arte Meccanica gli aprì gli occhi e lo ricondusse ai dettami
del dinamismo plastico boccioniano. Infatti, nel 1922 realizza il Ciclista
veloce, dipinto in modalità aerodinamica, tridimensionale, e con le sinossi
sia del ciclista che delle ruote della bicicletta che documentano il suo muoversi
in uno spazio che sembra quello della galleria del vento. Sono dello
stesso anno il Ritratto psicologico dell’aviatore Azari con l’aviatore che indossa
una tuta quasi spaziale, ma soprattutto La ricamatrice nella quale si
aggiunge un’altra importante componente teorica, appena accennata nel
famoso dipinto La Casa del Mago del 1920, appartenente a una brevissima
stagione pseudo-metafisica. Sto parlando di quella che Depero definirà in
un suo manifesto teorico come “l’architettura della luce”. L’artista scrive che
era giunto a “creare intere costruzioni suggeritemi dalle direzioni varie e intrecciatissime
della luce (…) [e poi] dai laghi scoppiano piramidi d’oro
capovolte. I personaggi e gli oggetti lucidi si corazzano di aculei cristallini
quali nuovi istrici di vetro. IL SOLE DÀ LA VITA. IL SOLE DÀ I COLORI, ed ora
il sole dona all’arte una nuova architettura”.
E su queste basi, la ricamatrice meccanica sta cucendo sotto
a una lampada che emana un cono di luce rosa, calda, mentre fuori dal cono
tutto è blu notte, freddo.
La stessa modalità si ritroverà in seguito, nel 1926, ne La Rissa
del 3000 dove un gruppo di automi, ubriachi, sta litigando sotto a dei coni di
luce. Ma in questo caso, fuori dai coni di luce vi è il nulla, cioè l’assenza di tutto.
Nel 1923 realizza Il motociclista, riprendendo, in un clima grigio-
rosa, l’idea della galleria del vento entro la quale sta viaggiando un
motociclista meccanico fuso con la sua moto. E l’anno seguente, il 1924, è la
volta di Gara ippica tra le nubi, dipinta per il Grand Hotel Bristol, vicinissimo
all’Ippodromo di Maia, a Merano. Anche qui le sinossi dei movimenti di questi
cavalli meccanici ci rendono conto del movimento e della velocità. Ma il
1924 è anche l’anno del Ritratto psicologico di Marinetti, inquadrato in una
cornice meccanica ideata da Azari.
Vi è poi la prima di varie versioni de Il gondoliere dipinta nel
1927, e in quell’anno esposta alla Galleria Pesaro di Milano. È l’anno del Libro
imbullonato e anche di un altro manifesto teorico di Depero pubblicato in
quel libro: W la macchina e lo stile d’acciaio nel quale scrive: “Esaltiamo con
la nostra arte moderna lo stile d’acciaio che ci offre la macchina con la sua
struttura e la sua vita che riassume tutte le linee e tutti i ritmi dell’arte”. 21 E
in ossequio a questo, il gondoliere è d’acciaio, fuso al suo remo d’acciaio, e
ambedue fusi alla gondola, pure d’acciaio. Un’enfasi metallica interrotta però
da un “bagno” verde della luce lagunare. E questo è la conseguenza del riavvicinamento
di Depero ai “flussi naturali” che avviene sin dal 1924 con il
famoso Treno partorito dal sole, nel quale si assiste al connubio del sole che
dà la vita (e la luce) con la sbuffante macchina ferroviaria, musa meccanica.
Ma quando mai un treno può nascere dal sole? Ancora al 1927 va ascritto
Alto paesaggio d’acciaio, un’aratura di montagna dove tutto è d’acciaio, cioè
dove l’unico colore è quello del metallo. Un’opera di un rigore assoluto. Altro
che “decorativismo a tinte piatte”.
Tutto ciò per dire che se nel 1927 lo stesso Depero si ricrede e
ridefinisce la valutazione in merito al suo lavoro, ravvisando che le opere realizzate
negli anni Dieci sono, in effetti, statiche e decorative (come aveva
ben visto Marinetti) mentre invece quelle degli anni Venti rappresentano più
compiutamente il suo spirito plastico-dinamico e meccanico, forse sarebbe
ora di prenderne atto e di rivedere le valutazioni critiche sull’artista anche
alla luce dei sintomi più sopra esposti, riconoscendo che il vero Depero è
quello degli anni Venti.
Info Mostra
Depero e la sua casa d’arte da Rovereto a New York
Casa d'Arte Futurista Depero
Rovereto