La mostra GIACOMO BALLA - dalla luce alla luce vuole ripercorrere
il percorso artistico di Giacomo Balla analizzando i suoi due
strumenti principali: luce e movimento. Partendo dal presupposto
scritto nel Manifesto tecnico della pittura futurista del 1910 - «noi proclamiamo
che il moto e la luce distruggono la materialità dei corpi» - si
individuano nella luce e nel movimento gli strumenti per dominare la
materia pittorica dell’arte di Balla. La luce già nei manifesti futuristi va
a braccetto con il movimento: i nostri occhi abituati alla penombra si
apriranno alle più radiose visioni di luci. Le ombre che dipingeranno
saranno più radiose delle luci dei nostri predecessori. […] Noi futuristi
ascendiamo verso le vette più eccelse e più radiose e ci proclamiamo
signori della luce… […] Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido.
Una figura non è mai stabile davanti a noi, ma appare e scompare
incessantemente… […] Il gesto, per noi, non sarà più un momento
fermato del dinamismo universale: sarà, decisamente, la sensazione
dinamica eternata come tale…». Alfredo Petrucci nel 1920 scriverà:
«Preoccupazione dei futuristi, fu invece la durata dell’apparenza. E
fermo in questo concetto, il Balla, prima che Boccioni, giungesse alle
audaci sue astrazioni plastiche, fissò in alcuni dipinti i suoi studi sulle
figure in movimento.
Già dalle opere di inizio secolo, troviamo in Giacomo Balla l’interesse
per la luce. Le vedute di Villa Borghese del 1905 con in fondo il
Cupolone e l’eucaliptus, l’ombra che la sua casa-convento fa sul prato
al di la della ringhiera, le torri del Museo Borghese illuminate dalla
luna, lo scrosciare dell’acqua dalla fontana, il volto della fidanzata
Elisa… tutto diventa arte - nuova - immutabile… La luce è il soggetto,
il tema, la fonte ispiratrice dell’arte di Giacomo Balla: da fuori entra e
si riflette nella realtà che rappresenta. Uno tra tutti è il corpo di Elisa
nel pastello del 1908 intitolato Nudo in controluce. Elisa è di spalle, in
piedi: la verticalità del corpo femminile illuminato da dietro è rotta solo
da braccio sinistro flesso con la mano appoggiata al fianco mentre
sorregge il velo che la copre nella parte inferiore. Il volto, leggermente
ripiegato verso sinistra, con lo sguardo verso il basso, chiude in alto
con una leggera curva illuminata dalla luce che entra dalla finestra la
linea di contorno del corpo in controluce.
E partiamo con la prima decade del Novecento dove attraverso
questi lavori possiamo già vedere la nuova rappresentazione che Balla
fa della luce e del movimento. A paradigma di questo momento, cito la
tavola dove Balla rappresenta la piccola Luce intenta a leggere appoggiata
sulle ginocchia della mamma Elisa, intitolata Affetti: attraverso il
Divisionismo, Balla crea una “vibrazione assoluta del personaggio in
sintonia con l’atmosfera che lo circonda”. Nella sala grande,
oltre al tavolo e al mantello da pittore buttato sulla sedia, una
mamma insegna a leggere alla sua piccola: la luce entra dalla
finestra e va ad illuminare il volto della piccola Lucia appoggiata
sulle ginocchia della mamma Elisa… ed eccoci anche noi nel
grande trittico conservato alla Galleria Nazionale di Roma.
Il Pittore Balla nato a Torino 1871, senza badare a scuole e
maestri, si diede subito alla ricerca del vero interpretandone i
suoi infiniti aspetti con una sua tecnica coloratisferica e luminosa…
Quando la sublime Natura ingenuamente scopre le più pure
e sempre vergini linee, nei suoi colori che come in un amplesso
d’amore passano dal pallido al rosso, dal caldo al freddo e tutto
canta dolcezza e bontà, tutto è vita armonia perfetta: potrebbe
essere la descrizione della grande tela dove Balla rappresenta
Orione come è visibile nella fotografia dello studio pubblicata
da Fagiolo nel 1967. Ugo Antonelli testimonia così, nel 1908,
di aver visto “non discosto da queste tele […] un altro quadro
che fu esposto nell’ultima mostra romana [Amatori e Cultori del
1908, n. 314 - nda]. Un quadro nuovo che, forse, per l’arditezza
della concezione sarà passato non compreso da molti. Quale
pittore ha tentato di riprodurre unicamente un brano di cielo
notturno?... Orione: la costellazione il Balla ha voluto ritrarre,
riuscendo felicemente. È una tela che, per l’ardito concepimento
e la rara maestria spiegata nella lavorazione, segna uno sforzo
intentato già, un passo nuovo sul cammino della pittura. […]
L’arte di Giacomo Balla, impeccabile e vivida, è materiata tutta
di luce; in pochi pittori questa raggia come in lui. … non potrei
che chiamarlo: il dipintore della luce”.
Il pittore completo che ama la verità eterna nell’espressione
della NATURA, quando viene pittoricamente suggestionato da
essa, le correnti trasmissive sono ingenuamente prive di qualunque
scuola, metodo, regola, maniera ecc. e sono verginalmente
sincere, NATE solo perché hanno trovato quei dati specialissimi
sensi o nervi scrupolosamente adatti alle creazioni artistiche
G.B.. “Villa Borghese, 1906 […] Questi quadri su villa Borghese
(molti altri inediti ne esistono) costituiscono il primo ciclo vero e
sua montaigne St. Victoire: il pittore, con intento sperimentale,
la osservava a tutte le ore del giorno, studiando l’incidenza delle
ombre e della luce. Proprio come, più tardi, studierà la compenetrazione
iridescente o la velocità di un’automobile o il volo
degli uccelli. Quasi un impegno manicheo: la luce e l’ombra, il
bene e il male, l’oscurantismo e l’illuminismo. Aggiungiamo che
è già presente la volontà di trovare un ritmo sintetico, con una
linea che non è più liberty ma già razionale. Linea di forza più
che linea di forma”. Appena fuori dalla sua abitazione, Balla
si trova immerso nell’allegria di Villa Borghese con i suoi alberi,
le sue stradine, le sue sculture, le sue fontane: tutte situazioni
che diventano le fonti per i suoi lavori. E proprio dentro questi
particolari e semplici momenti naturali, Balla cerca la verità e
la individua nella semplicità di una strada, di una fronda mossa
dal vento, di un orizzonte alto, di sottili alberi oltre il balcone:
La semplicità, parola che si usa moltissimo ma quasi mai messa
a posto è la base della bellezza, la quale è sempre prodotta
dalla perfetta verità degli elementi e tutte le opere grandi sono
manifestate con mezzi tecnici semplicissimi. Si tratta, di solito,
di vedute primaverili. C’è un albero posto a segnare un piano
intermedio, c’è la proiezione di un’ombra sulla sinistra, c’è un
fondale verso il cielo (un taglio quasi fotografico) che inquadra
il Cupolone. Giacomo Balla va a abitare nell’estate del 1904,
poco dopo essersi sposato con Elisa Marcucci, in un antico monastero
in via Parioli 6 (l’attuale via Paisiello), all’angolo di via
Nicolò Porpora. La nuova famiglia viene a trovarsi nello spazio
quasi sconfinato della Villa Borghese, che è stata acquistata dallo
Stato nel 1901 ed è stata concessa al Comune di Roma. Nelle
stanze-cella, Balla colloca la sua casa e il suo studio: è un angolo
felice di natura ritagliato ai margini periferici della città, ben
diverso dall’odierno quartiere chic Parioli. E dipinge quello che
vede dal balcone del suo studio, oppure uscendo appena fuori
la porta di casa. Nel pastello della Banca d’Italia intitolato Fontana
a Villa Borghese6 notiamo come lo scendere dell’acqua a
sinistra venga descritto da Balla attraverso la luce: con l’uso del
temperino, viene infatti inciso il pastello creando cosi la caduta
dell’acqua illuminata dalla luce che viene a rimbalzare nella
vasca È tutto un rimando di luce e di movimento come nel lavoro
di Marco Ricci sulla radiazione della luce artificiale, dove la luce
viene a scomporsi nelle sue basi catturando la luce del sole attraverso i pannelli fotovoltaici. L’energia viene cosi catturata
e restituita attraverso la luce dei tre colori primari del rosso,
blue e verde: il tutto in una leggerezza di macchina di
luce volta a traghettare il pulviscolo atmosferico proprio
come già fatto prima da Leonardo da Vinci nel ‘500 e
ora Giacomo Balla che non a caso ama definirsi nel 500
mi chiamavo Leonardo \ O’ già creato una nuova sensibilità
\ nell’arte espressione dei tempi futuri che saranno
colorradioiridesplendorideal \ luminosssssssssimiiiiii \ FuturBalla.
In pochi anni, fino al 1910 (l’anno del grande polittico
Villa Borghese), questo tema della natura ai confini
dell’abitazione diventa la sua Montagne Sainte-Victoire.
Un tema da indagare, da provare e riprovare, da
scarnire fino all’astrazione. Si tratta di uno dei primi temi
sperimentali affrontati dal pittore, proprio come saranno
all’epoca eroica del Futurismo i temi della rondine (vista
dallo stesso balcone), l’Automobile in corsa, la Velocità
astratta, le Linee forza di paesaggio, le Trasformazioni
forme spirito, il Mercurio che passa davanti al sole, e
così via. Una ricerca sperimentale in atto che, partendo
sempre dallo stesso luogo, arriva a semplificarlo e quasi
a svuotarlo con una idea mentale quasi “astratta” (sarà lo
stesso Balla a definirsi “astrattista futurista” nel manifesto
Ricostruzione futurista dell’universo, del marzo 1915). «Il
pittore, con intento sperimentale, la osservava a tutte le
ore del giorno, studiando l’incidenza delle ombre e della
luce. Proprio come, più tardi, studierà la compenetrazione
iridescente o la velocità di un’automobile o il volo degli
uccelli. Quasi un impegno manicheo: la luce e l’ombra, il
bene e il male, l’oscurantismo e l’illuminismo. Aggiungiamo
che è già presente la volontà di trovare un ritmo sintetico
del movimento, con una linea che non è più liberty
ma già razionale: linea di forza più che linea di forma»,
ne ha scritto per primo Maurizio Fagiolo. Altro esempio
di luce divinizzata lo troviamo nel ritratto che Balla fa alla
giovane allieva Ferrini, appoggiata alla balaustra della
villa: alle sue spalle, a farle da sfondo, una cornice di pini
vibranti ai raggi del sole dentro villa Borghese. Esposta
nella sala VI della Esposizione Nazionale di Belle Arti al
Palazzo della Permanente di Milano nel 1910 col titolo
Villa Medici, la grande tela (cm 130x100) è una immagine.
naturalistica con figura femminile dove - per i raggi del sole che vibrano
oltre i pini - non siamo distanti dalle ricerche sull’iride dei prossimi
studi definiti Compenetrazioni iridescenti. E ancora, ci troviamo nel
piazzale Scipione Borghese proprio dietro la Galleria Borghese: Balla
prende spunto per realizzare quella grande composizione di 15 pannelli
venduta poi nel 1962 dall’Ambasciatore Giuseppe Cosmelli alla
Galleria Nazionale di Roma e conosciuta come Parco dei Daini. Ne
parla in questi termini lo stesso Balla nella lettera che invia all’allora
direttore del MoMA, Alfred J. Barr, nel 1954: Rendere la luce è sempre
stato il mio studio preferito; oltre studi particolari ho dipinto un
grande paesaggio (1910) in cui ho ottenuto la vibrazione luminosa
del cielo mediante forme circolari azzurre, rosa e lilla attraversate da
linee rette di colore giallo chiarissimo8. Ugo Antonelli nota nel 1908
la capacità di fissare l’ora del giorno: «il sole di meridione, come nel
fresco quadro Maggio, la malinconia e dolce maestà del tramonto […]
come in un sogno definendolo il dipintore della luce».
Gli anni del Futurismo, poi, vedono proprio la sintesi di questo rapporto
luce - movimento: dopo la luce come energia del capolavoro
del MoMA - Lampada ad arco - il movimento diventa un tutt’uno con
la luce approdando in fondo alla ricerca della linea di velocità. Ma
andiamo per ordine: 1912 anno della luce e del movimento. Dipinge il
movimento nella tela di Buffalo (USA) Guinzaglio in moto e in quella
della Collezione Grassi (Milano) Bambina x balcone, mentre la luce
diventa il tema della ricerca che svolge a Düsseldorf ospite dei Lowenstein.
In una lettera alla famiglia del 18 novembre 1912 - dove alla
fine disegna la finestra sul fiume Reno - Giacomo Balla annota: …luce
elettrica accesa con ogni genere di effetti fosforescenti e fantastici» -
e conclude - «Intanto ò aperto un momento \ la finestra per cambiar
l’aria\ lontano si vede il Reno col ponte\ in ferro ogni cosa è velata \
e l’Italia com’è lontana! E Maurizio Fagiolo dell’Arco scrive: «Poco
dopo il felice ritrovamento [1968 nda], pubblicavo il quadro con questa
scheda: Aggiungiamo al periodo tedesco di Balla un nuovo quadro
(ricuperato nel 1968 da Luce e Elica Balla). Si tratta della finestra da
cui si intravedono il Reno con un ponte: di alcuni dipinti con il soggetto
del fiume, Balla parla in una lettera della fine del 1912; in primo piano,
appoggiato al davanzale, è il binocolo di cui Balla parla in una lettera
del 5 dicembre 1912. Il quadro si rivela come l’anello mancante
nella analisi del binomio luce-movimento. È organizzato con una
struttura rigorosamente geometrica; è impaginato con il solito taglio
fotografico; contiene, data la presenza del vetro della finestra,
l’artificio del rispecchiamento: è dipinto a lineette di colore;
il tono generale è mantenuto sul bianco-blu [...]. L’impostazione
coloristica generale si lega a Dinamismo di un cane al guinzaglio
(dipinto nel maggio); la scomposizione a tratti colorati si
riallaccia a Bambina che corre sul balcone (dipinto nell’agosto);
il ritmo e il taglio si collegano a La mano del violinista (Balla
dipinge il quadro a Düsseldorf nel novembre-dicembre); l’analisi
spettrografica della luce è naturalmente in sintonia con le Compenetrazioni
iridescenti (Balla ne invia il primo esemplare alla
famiglia il 5 dicembre 1912). Finestra di Düsseldorf, dipinto verosimilmente
nel novembre-dicembre 1912 è l’ultimo documento
per studiare il tormentato trapasso tra pittura oggettiva e astrattismo.
Da notare infine che l’artificio del rispecchiamento è già
presente nella Pazza, mentre la scomposizione della luce a trattini
orizzontali è presente in studi di Compenetrazioni iridescenti».
Finito il primo decennio del Novecento, Balla liberatosi «dal
fardello della esperienza, della celebrità, e di tutte le sue opere,
rinverginato con rinnovato ardore irradiante di Fede, molta intuizione,
ottimismo, fresco come una rosa fresca; felice nel sentirsi
nuovo di bucato, incominciò in mezzo ad un camerone vuoto
bianchissimo a tracciare sopra fogli di carta le linee di auto in
corsa, oggettive prima, sintetiche in seguito, basi fondamentali
e formidabili delle personalissime forme-pensiero: creazioni sue
inconfondibili», decide di voltare pagina, anzi tela. Contemporaneamente
Filippo Tommaso Marinetti afferma che «la magnificenza
del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la
bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano
adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un
automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più
bello della Vittoria di Samotracia». E Giacomo Balla nel sottoscrivere
i manifesti futuristi declama che la nostra brama di verità
non può non essere appagata dalla Forma né dal Colore tradizionali!
Il gesto, per noi, non sarà più un momento fermato del
dinamismo universale; sarà, decisamente, la sensazione dinamica
eternata come tale. Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido.
Nei quadri di velocità, le automobili procedono sempre da
destra verso sinistra e gli spessori dell’atmosfera si ingrandiscono
nella stessa direzione (in forme circolari o diagonali). Fedele a
una osservazione scientifica, Balla sa bene che lo sguardo dello
spettatore entra nel quadro (almeno nel mondo occidentale) da
sinistra verso destra. Nella tavola del Museo americano - Automobile
+ vetrine + luci, ci troviamo difronte alla rappresentazione
degli “effetti della riverberazione luminosa in una resa di
contrasti fusionali dell’energia che regolano la vita stessa della
materia”. L’automobile corre per via Nazionale o per via Veneto
e i fari dell’auto si scontrano contro una vetrina presumibilmente
illuminata da un addobbo natalizio: al centro della tavola,
infatti, una disgregazione luminosa dei colori primari si espande
fino a scomparire nella luce. Movimento = luce : velocità + luci.
Nell’aprile 1913, il Pascazio annota che Balla sta elaborando
un quadro “rappresentante via Nazionale nella esuberanza e
grandezza del tumulto veicolare”. Parallelamente invece la Velocità
di automobile + luce realizzata a tempera su carta rossa
permette di evidenziare l’uso della biacca come “diagramma
astratto della luce di un faro riflessa nella vetrina e la successione
dinamica, altrettanto astratta, dello spostamento dell’automobile
sintetizzata nelle linee verticali della cabina”. E ancora, la
luce viene come trasfigurata con l’uso della lamina d’oro nella
carta intitolata Forme rumore, come nel piccolo lavoro dal titolo
Penetrazione dinamica dell’automobile, dove il movimento
dell’automobile in corsa viene rappresentano proprio da una
serie di triangoli che ne indicano la penetrazione nell’atmosfera,
nello spazio: Tutto si astrae con equivalenti che dal loro punto di
partenza vanno all’infinito. Compenetrazioni astratte di volume,
armonia dinamica, leggiamo in un taccuino di Balla.
E arriviamo alla luce solare nel ciclo che Balla dedica al passaggio
di Mercurio davanti il sole: siamo al 1914. Circondato
dagli affetti familiari (il 30 ottobre 1914 nasce la secondogenita
Elica), in piena Guerra Mondiale, Giacomo Balla continua
a dipingere osservando gli eventi naturali. Il 7 novembre 1914
il pianeta Mercurio passa davanti al sole: l’evento20 diventa la
fonte di un ciclo sperimentale dal titolo Mercurio che passa davanti
il sole visto dal cannocchiale. «Il motivo di partenza è ispirato alla
realtà, al positivismo della scienza: l’eclisse solare parziale provocata
da Mercurio nel 1914. La luce quindi non è ricostruita a freddo ma
vista nel momento in cui è un fenomeno naturale: proprio come il crepuscolo
o il tramonto delle prime opere, proprio come l’arcobaleno
che è il tema-base delle Compenetrazioni. I motivi compositivi della
serie di Mercurio sono almeno due: il vorticare allude chiaramente a
un’elica (ricordiamo ricerche di questo periodo come Eliche in movimento
- moto girante), mentre l’interesse spaziale è già negli studi di
Spessori di atmosfera e di Orbite celesti. Balla studia il movimento
nella stratosfera gassosa, come prima studiava l’atmosfera; ritrova il
valore del cosmo con vortici e piani secanti, in cui la luce si unisce al
movimento».
Risale al 1912 il primo interesse di Balla per l’abito futurista: è a
Dusseldorf ospite dei Lowenstein, progetta una giacca senza risvolti
e senza collo con un unico bottone e ne parla in un a lettera alla
famiglia, i miei vestiti hanno fatto un vero furore…24. Visita la famosa
Esposizione della Moda a Colonia dove nella sezione dedicata
alle arti applicate (Kunstgewerbliche Arbeiten) sono esposti ricami,
gioielli, rilegature di libri, stoffe stampate, accessori…Tornato in Italia,
tra il 1912 e il 1913 Balla sviluppa motivi per stoffe riconducibili
alle tematiche della sua pittura (linea di velocità, forme-rumore, volumi
compenetrati): l’11 settembre 1914 esce il manifesto futurista Il vestito
antineutrale con gli 11 punti di come devono essere gli abiti futuristi e
i disegni dei modificanti guerreschi e festosi di Balla. «Nel manifesto
per il ‘Vestito anti-neutrale’ parla di stoffe fosforescenti che possono
correggere il grigiore del crepuscolo nelle vie e nei nervi. Ma nella
prima versione (inedita) del manifesto gli abiti erano addirittura ornati
di lampadine elettriche». Nel manifesto è sottolineata l’importanza
e la necessità che gli abiti futuristi siano: «6. Gioiosi. Stoffe di colori
e iridescenze entusiasmanti. Impiegare i colori muscolari, violentissimi,
rossissimi, turchinissimi, verdissimi, gialloni, aranciooooni, vermiglioni. 7. Illuminanti. Stoffe fosforescenti, che possono accendere la temerità
in un’assemblea di paurosi, spandere luce intorno quando piove,
e correggere il grigiore del crepuscolo nelle vie e nei nervi». E ancora,
proprio sulla scia della luce non si può tralasciare - anche se solo
un accenno - la messa in scena per Igor Strawinsky dello spettacolo
Feu d’artifice il 12 aprile 1917 al Teatro Costanzi di Roma: «Giacomo
Balla, il pittore futurista italiano, ha ideato e sta ora ponendo in esecuzione
una proiezione scenica interamente senza precedenti. Il sipario
si aprirà. Appariranno sul palcoscenico non scenari dipinti né persone,
ma niente altro che delle forme soltanto… organate secondo una bizzarra
architettura alogica e, nel senso proprio della parola, eccentrica,
proietteranno sulla scena ombre e luci asimmetriche, in corrispondenza
con gli accordi enarmonici dello Strawinsky. Continui e forti
giochi di luce e sbattimenti d’ombre variate, raggi colorati di riflettori
elettrici potentissimi, imprimeranno espressione di mutevole dinamica
alla statica dell’apparecchio acustico».
Nel 1924 la famiglia Balla - che abita dal 1904 nella casa-convento
ai Parioli tra via Nicolò Porpora e via Paisiello - riceve dal figlio del
‘Proprietario’, l’ingegnere Adolfo Sebastiani lo sfratto. In seguito alla
morte improvvisa del Sebastiani, passa tutto in mano agli avvocati i
quali nel mese di maggio del 1926 fanno giungere a Balla «istanza
di sfratto dell’appartamento al secondo piano della casa in Roma,
Via Paisiello 37 […] che gli istanti debbano procedere alla sistemazione
definitiva del quartiere e che a tal scopo occorre demolire il
fabbricato in parola. Roma 26 maggio 1926, il Cancelliere…». È di
questo momento un altro ritratto dove l’atmosfera viene creata proprio
dalla compresenza del fumo con la luce elettrica: stiamo parlando
della Bionbruna30 dove la consistenza delle perle al centro della tela
che vengono a fondersi con il fumo che discende dalla sigaretta accesa
tenuta in alto dalla signora Alatri, è una vera sinfonia di luce e
movimento. Scrive Elica Balla: «…la signora [Alatri] era bella e mio
padre la ritrasse vestita di nero un po’ scollata con un magnifico effetto
di chiaroscuro: ritratto vasto di pennellata e modernissimo. Ricordo
che la signora cambiava spesso il colore dei capelli e da questo fatto
nacque il quadro futurista La Biombruna [sic]; un dipinto originale tutto
diverso dalle tinte piatte e dai colori forti della maggior parte dei
quadri futuristi. Nella Biombruna [sic] definitiva era rappresentata la
inconsistenza della vita mondana, la signora si scorge di faccia e di
schiena ma diluita quasi dai riflessi di oro pallido degli specchi e dai
grigi argentei dell’ambiente mentre la tecnica pittorica è costituita da
velature trasparenze e sfumature quasi che Balla volesse valersi di tutti
gli studi precedentemente fatti in quegli ultimi anni sulle trasparenze
dei veli in cui posava mia sorella e con questo lavoro volesse iniziare
un raffinamento della pittura futurista che lui riteneva essere ancora
troppo dura e primitiva».
Nel giugno del 1929, Giacomo Balla con la sua famiglia tutta al
femminile (la mamma Lucia, la moglie Elisa e le due figliole Luce ed Elica)
si trasferisce nell’abitazione romana di via Oslavia 39b, una casa
popolare che gli viene assegnata grazie all’interessamento dell’amicocritico
Michele Biancale: «la casa fu arredata alla meglio, lo studio
in principio ospitò prevalentemente i quadri futuristi, alcuni attaccati
e altri appoggiati alle pareti». Sempre col pennello in mano e lo
sperimentalismo nel cuore, Balla vi resterà fino alla morte, avvenuta
il 1 marzo 1958. L’attività artistica è sempre più frenetica e va di pari
passo con le esposizioni: presenta 20 opere figurative alla Mostra del
Centenario della Società Amatori e Cultori mentre ben 52 sono i
quadri della mostra antologica organizzata dalla Galleria del Dipinto
(Roma 1930). «Considero il pittore Giacomo Balla come il tipico genio
torinese. Infatti, coll’ampio ordine geometrico e l’operosità tenace che
caratterizzano la capitale del Piemonte, Balla organizzo e militarizzò
la sua tumultuosa potenza creatrice. A 25 anni, stabilitosi a Roma, non
subisce l’atmosfera languida e le nostalgiche ceneri gloriose. Sua madre,
intelligente e ferrea popolana, seduta vicino al cavalletto, vigila
perché la fragranza dei giardini non rallenti il suo scattante pennello:
con tenacia piemontese suo figlio deve fissare sulla tela tutte le magie
della luce romana. […] Balla, massimo pittore d’oggi, rassomiglia forse
ad una nuvola temporalesca irta di folgori o meglio ad un ciclone che
da l’assalto ai ruderi. A volte m’apparve come uno stregone negro di
Rio de Janeiro educatore di pappagalli policromi». Sul quotidiano
“L’Osservatore Romano”, il Guida scrive: «I ritratti sono ammirevoli
esempi di studio. […] Profonda è l’indagine che si palesa a chi sappia
discernere la verità realistica da quella dell’essenza. È dell’Ottocento
ed è di domani; continua il filone d’oro della miniera che nasce dalla
verità naturale animata dal mistero della creazione, perpetua l’ansia
che è nell’uomo designato. Il pittore lo ripete spesso: la visione è chiara,
la verità è presente. Egli è giunto dopo lunghi anni di nobile tirocinio
alla conoscenza della forma e della luce, a esprimere questa in
armonia con dignità plastica preziosa. I maestri di Balla sono: la verità
la tenacia l’amore. […] Balla pittore, quando si accorse che la strada
che percorreva non offriva più risoluzioni, mutò il suo andare, e fu più
solo, ma fu meglio per lui, principalmente fu più giovane nei tempi, e
non meno sapiente negli animi».
È il 1929 quando la luce torna ad essere la protagonista del suo ‘ritorno alla realtà’: attraverso l’analisi
della luce artificiale e dei veli dentro il suo soggiorno, Balla crea delle vere e proprie poesie di luce
movimento, arrivando anche a sfruttare il… fumo. Ricordo, per esempio, Sigarette che ardono36 del 1933
dove Mignolina con l’avvocato vengono ritratti insieme: «Si siedono nello studio, guardano i quadri, fumano,
parlano, hanno lo stesso fondo futurista del secondo ritratto della contessa Frontoni, basta che l’avvocato si
giri un poco perché tutto entri bene nel quadro che papà traccia sulla tavola già preparata». Nel 1938 un
altro quadro con la Sigaretta che arde dove la signora ritratta, Maria Fiocco, fuma la sigaretta tenuta con la
mano destra: al suo lato il Mobiletto del fumo, realizzato da Balla nel 1915, dove viene appoggiata la cenere.
Scrive Elica Balla: “…lo dipinse con un riflesso di luce elettrica, la signora non era molto fine ma le luci della
stoffa di seta che si era drappeggiata sul corpo, come fosse un vestito, appassionavano mio padre che rese
quella seta con grande maestria”. Il fumo come strumento pittorico è presentato da Elica Balla quando parla
del quadro Inverno del ciclo delle Quattro stagioni in rosso: la ritratta è la giovane Giuliana, dipinta in rosso
con gli attributi delle stagioni. Scrive Elica: «Per il quadro dell’inverno, papà vuole che si fumi per rendere
più azzurre le ombre; ora si appassiona per rendere lo splendore dei rossi valorizzato dalle profonde e forti
ombre. La mamma si raccomanda di non far stancare la ragazza, ma Giuliana sorride, è forte e resiste bene
alle due ore di posa». Non passano che pochi mesi, che troviamo Balla intento a ritrarre il vecchio postino di
via Paisiello41, il roseo e rubicondo Chiappelli. Si legge dietro la tavola, Dipinto durante la guerra il giorno 10
giugno 1940 e il titolo Fumo Caffè di Balla: infatti, alle spalle del Chiapelli intento a fumare, Balla si auto-ritrae
con l’Autocaffè. E per finire, la firma Balla posta in alto nel fumo che parte dai pennelli sottostanti.
La luce è sempre stata - quindi - la costante nell’arte di Giacomo Balla. Anche quando si trasferisce al IV
piano del condominio di via Oslavia riesce a catturare la luce e con i pennelli trasferirla nelle sue opere. Lo
troviamo nel 1946 sulla terrazza del condominio con il pennello in mano e i gigli rossi alle sue spalle: proprio
dietro la sua testa partono le linee del palazzo dove si riflette la luce solare andando ad illuminare tutta la tavola42.
Elica Balla molto bene esprime questa ricerca del padre nel trovare la nuova luce per dipingere anche
da via Oslavia: «queste due stanze adibite a studio non erano proprio adatte per la luce che vi penetrava,
troppo forte al mattino e nel pomeriggio v’era una luce falsa rimandata dalle cose di fronte in pieno sole; non
era certo la dolce luce che filtrava dagli alberi di Valle Giulia o quella della aperta campagna di via Paisiello:
qui era una luce dura che non abbelliva i volti per cui, anche per questa ragione, in alcuni ritratti eseguiti nella
casa di via Oslavia le figure sono poste dall’artista controluce. Questo fatto della luce dura che non dava morbidezza
negli effetti pittorici è molto importante, nel giudicare l’opera di un pittore un critico si può facilmente
ingannare attribuendo la durezza dell’effetto pittorico a ragioni sue cervellotiche e lontanissime da questa
realtà che per un pittore verista ha grande importanza. Comunque lui sempre trovava un effetto da studiare,
una ricerca appassionante da approfondire, il lato interessante nella cangiante visione del vero».
E per concludere questo mio excursus sulla luce nell’arte di Giacomo Balla, vorrei riprendere una nota di
Maurizio Fagiolo: “Prima di tutto Balla comincia a rappresentare la luce con evidenti simboli ottici: la piramide,
l’obelisco, il raggio. […] poi si interessa alla luce negli arredamenti che in qualche caso si amalgamano
secondo linee forme e colori in funzione d’una luce segreta e sorprendente che diviene anch’essa linee-forma-
colore. Luce funzionale ma anche luce che ha per fine la meraviglia. Poi vuole suggerire la luce attraverso
tramiti esterni. Per esempio, in Velocità d’automobile e in Plasticità di luci dipinge direttamente su carta dorata.
In Velocità d’automobile + luce dipinge a olio su carta rossa. […] Arriverà più tardi a comporre quadri sul
semplice tema della parola LUCE. Saranno forse omaggi alla figlia, ma anche quel nome non sarà nato per
caso…”44. E Balla non si ferma agli anni Venti ma superando proprio la chiusura dell’appartamento di via
Oslavia, va oltre, e trova sempre un effetto luminoso nuovo da dipingere e se non esiste lo costruisce essendo
proprio uno sperimentalista che nel 500 amava chiamarsi Leonardo….
“Dalla luce alla luce” vuole essere un omaggio in chiave contemporanea al lavoro di Giacomo Balla
ed ai suoi affascinanti studi divisionisti sulla natura della radiazione luminosa artificiale. A più di un
secolo dal concepimento della famosissima opera “Lampada ad arco”, in un segmento di tempo
dove si vorrebbe recuperare e riciclare ogni materia, mantenendo i livelli di inquinamento prossimi ad un impossibile
ed irraggiungibile zero, nasce, da un’equipe di artigiani “Helios”, un prototipo ideato da Marco Ricci
per la mostra “Balla, dalla luce alla luce”, organizzata della Galleria Futurism & Co. di Roma.
Assemblato lontano dalla serialità tecnologica, ma più vicino all’etimologia ancestrale di una parola, che
scomposta a sua volta nella lingua dei padri significa, per l’appunto, qualcosa di strettamente riferito alla
creazione estetica/estatica (dal greco tékhne-loghìa, cioè letteralmente “discorso sull’arte”), in HELIOS convivono
materiali di ricercata origine organica, (come policarbonati, silici e litio, tutti reperiti sul mercato web) e
tecniche meccaniche di assemblaggio; secondo un’idea tridimensionata di “luce”: una macchina che produce
e restituisce a chi guarda, un gioco di variazione di luce e colori; secondo l’idea futurista di una luce che si
scompone nelle sue componenti basiche.
Per illustrare i passaggi utilizzati per la realizzazione di questa macchina creatrice e portatrice di luce,
partiamo dalla fonte dell’energia che risiede nel posizionamento di piccoli pannelli fotovoltaici, capaci di
catturare la luce del sole; ma anche e soprattutto, pur se in quantità minore, quella di tipo artificiale presente
nell’ambiente circostante, e proveniente da altre fonti luminose.
Gli stessi pannelli fotovoltaici servono da guscio contenitore per le parti elettroniche, e da struttura portante
per gli elementi radianti della luce.
Una centralina per la gestione dei Led RGB, pilotabile con un telecomando ad infrarossi, ed eventualmente
anche tramite APP da smartphone, serve come interfaccia di utilizzo.
Le batterie, con tecnologia al litio, provvedono ad immagazzinare l’energia catturata, per poi restituirla
sotto forma di luce.
La fonte della luce è realizzata mediante singoli LED RGB, elementi capaci di generare e miscelare i tre
colori primari: il Rosso, il Verde ed il Blu.
Le barre di plexiglass trasparente, opportunamente dimensionate e lucidate, hanno il compito di trasmettere
la luce verso l’alto, regalando piacevoli giochi luminosi con miscellanza di colori; nell’ idea, che già fu di
Giacomo Balla, che dimostrò con le sue opere che vi era della bellezza anche nell’emissione luminosa di una
lampada industriale.
Anche il supporto da tavolo, formato da quattro cubotti in plexiglass attraversati da una barra di acciaio
Inox, recuperato da un ammortizzatore di derivazione automobilistica, conferisce ad HELIOS la leggerezza
e l’importanza di una macchina di luce; come il cocchio che l’antico auriga degli dei spingeva a folle velocità
mentre traghettava da un luogo del mondo all’altro, la luce rigeneratrice del sole.
Fedeli all’idea che contempla l’effettivo ed esclusivo utilizzo ed il riciclo di materiali di risulta, quale
occasione migliore che concepire la costruzione del tavolo dove posizionare HELIOS con elementi trovati
rovistando nel mucchio del ferro vecchio ed arrugginito? Nasce così il supporto da pavimento in ferro
riciclato e rivitalizzato mediante spazzolatura con utensili abrasivi. Lo stesso supporto, trattato con un
materiale decapante per bloccare la formazione della ruggine, è stato poi verniciato con un prodotto
trasparente.
Come funziona HELIOS: La luce del sole e quella artificiale (anche se in minima parte) contribuiscono
tramite i pannelli fotovoltaici a generare energia elettrica. L’energia generata serve a caricare la batteria al
litio, munita di sistema elettronico di controllo “carica e scarica”.
Il circuito in questione regola la produzione del flusso elettrico in modo direttamente proporzionale alla
HELIOS luce presente nell’ambiente.
Si evita così che durante la carica si oltrepassino soprattutto i limiti superiori di tensione (ma anche quelli
inferiori), e che si attivi un processo chimico che andrebbe a distruggere o ridurre l’autonomia e la vita della
batteria stessa.
La batteria, che ha una capacità di 4 ampere a 12 volt, è sufficiente per poter utilizzare HELIOS in qualsiasi
momento; anche al buio!
L’utilizzo della batteria è fondamentale per il funzionamento della macchina: allo stesso modo delle apparecchiature
presenti nella stazione orbitante internazionale ISS, sarebbe impossibile per HELIOS ottenere
energia sufficiente ad alimentare in maniera continuativa i suoi circuiti con la sola energia prodotta dai pannelli
e senza l’utilizzo di un accumulatore.
L’energia immagazzinata verrà successivamente distribuita alla centralina di gestione LED RGB con una tensione
nominale di 12 volt, il funzionamento è garantito fino a 10 volt circa, che equivale ad un tempo operativo
di circa 24 ore in totale assenza di luce.
La centralina purtroppo ha comunque un minimo assorbimento fisso, dovuto al fatto che il dispositivo Wi-Fi
è sempre in ascolto e pronto a ricevere istruzioni dall’apposita App per dispositivi mobili, sia Android che Ios.
Il software è molto semplice da utilizzare e consente una miriade di combinazioni di giochi di luce e varie
temporizzazioni selezionabili a piacimento.
È possibile effettuare una connessione diretta locale per la gestione, ma volendo, il dispositivo accetta una
qualsiasi rete Wi-Fi alla quale associarlo; il che, permetterà di comandarlo anche da remoto.
L’uscita RGB della centralina comanda i rispettivi LED RGB connessi in parallelo tra di loro ma calibrati con
delle resistenze di valore differente: ogni colore ha una sua percentuale di “drogaggio” e quindi una risposta
di efficienza luminosa diversa tra i tre colori.
In HELIOS gli otto LED RGB sono montati su un supporto plastico mediante porta-led lenticolari, in modo da
essere allineati con precisione sotto ogni profilo di plexiglass interessato a proiettare la luce generata, verso l’alto.
Le barre di plexiglass, solitamente lunghe un metro, sono state tagliate a misura di progetto e lucidate sui
due lati. La procedura ha richiesto molta pazienza; sono serviti diversi passaggi con carte abrasive di differente
grana per poi concludere con la lucidatura a completa trasparenza, utilizzando una mola con un panno
emulsionato di pasta lucidante molto fine.
L’accoppiamento delle due superfici solari è garantito da dadi in acciaio inox, mentre in basso sono state
utilizzate delle barre tonde da 10 mm che servono da supporto per il basamento di plexiglass; anch’esso tagliato
e lucidato a mano.
Il serraggio nella parte
bassa è stato realizzato
con dei cilindri in acciaio
inox inseriti sulla barra tonda
che fa da supporto e
dei grani laterali che provvedono
al bloccaggio.
Questa è, nella pratica,
la componentistica e l’utilizzo
dei materiali necessari
a realizzare HELIOS.
Negli anni a cavallo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, una serie di pubblicazioni permisero di
rivoluzionare il pensiero scientifico, affermando che la luce è un’onda costituita da un insieme di particelle
in movimento in grado di interagire con la materia e di modulare la nostra percezione della realtà.
La teoria elettromagnetica, proposta da J.C. Maxwell alla fine del XIX secolo, definì una serie di equazioni
che permisero di unificare i fenomeni elettrici, magnetici ed ottici, sino ad allora considerati indipendenti, consentendo,
tra le altre cose, di comprendere che la luce è una propagazione contestuale di un campo elettrico
e uno magnetico, cioè è un’onda elettromagnetica.
Successivamente, nel 1900, M. Planck sviluppò la teoria quantistica, dimostrando che ad ogni singola onda
elettromagnetica è associato un determinato e caratteristico valore di energia, trasmessa da pacchetti discreti
detti quanti o fotoni. La luce quindi non è altro che una piccola porzione dell’intero spettro delle onde elettromagnetiche,
che spaziano dalle onde radio ai raggi X, ed è costituita da fotoni di diversa energia che noi
percepiamo come i singoli colori dell’iride.
Infine, l’interpretazione dell’effetto fotoelettrico, cioè l’emissione di elettroni da superfici metalliche colpite
da una specifica radiazione elettromagnetica dello spettro luminoso, sviluppata da A. Einstein nel 1905,
dimostrò come i fotoni, muovendosi ad elevatissima velocità, possono interagire con la materia trasferendole
l’energia che trasportano e modificandone eventualmente la struttura.
Questo scenario della “nuova fisica” della radiazione luminosa, lungi da essere una semplice evoluzione
della tradizione, rappresentò una crisi profonda e drammatica, riunendo in un unicum indissociabile i concetti
classicamente distinti di materia ed energia.
La rivoluzione del modo di interpretare e comprendere la luce, unitamente alla nuova concettualizzazione
dello spazio-tempo con il relativo superamento della meccanica newtoniana e della geometria euclidea, si
estesero trasversalmente in tutta l’Europa, con un enorme impatto non solo sulle scienze positiviste ma piuttosto
in ogni genere di espressione culturale, dalla letteratura alla pittura, dalla scultura alla musica.
L’avanguardia artistica futurista incarnò in modo appassionato i nuovi “valori” scientifici statuendo fin dalla
pubblicazione del suo primo manifesto che «Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto,
poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente».
In questo clima, la pittura futurista prese ad investigare con
estremo interesse la costituzione della luce, materializzandone
la natura ondulatoria e corpuscolare ed esaltandone l’interazione
con la materia, responsabile della nostra percezione della
realtà.
L’ossessiva centralità della luce per Giacomo Balla è riflessa
dal fatto che egli arriva a ribattezzare Luce la figlia Lucia.
Egli, nelle sperimentazioni artistiche sui fotoni, esplicita e
visualizza il “pensiero nuovo”. Nella serie delle compenetrazioni
iridescenti (1912), l’utilizzazione prevalente di colori puri
echeggia chiaramente i livelli energetici definiti attribuiti da
Plank alle differenti radiazioni dello spettro luminoso; in Lampada
ad arco (1909-1911), come descritto dallo stesso Balla in
una lettera ad Alfred Barr «… il bagliore della luce è ottenuto
mediante l’accostamento dei colori puri. Quadro, oltre che originale
come opera d’arte, anche scientifico perché ho cercato
di rappresentare la luce separando i colori che la compongono...
». Colori ed energia.
In alcune altre opere del 1913, come Linee di velocita + luce rumore, Velocità di automobile + luci e Velocità
+ luci, la vorticosa intersezione di linee ondulatorie partecipa all’osservatore la piena percezione di
quanto Balla avesse interiorizzato la concettualizzazione elettromagnetica del fascio luminoso come onda
rapidamente espandentesi nello spazio, così come proposto da Maxwell.
L’interazione della luce con la materia, magistralmente dimostrata negli esperimenti sull’effetto fotoelettrico,
è responsabile della percezione soggettiva della realtà e suscita reazioni primordiali che Balla rappresentò
con intensa emotività. In Compenetrazione iridescente radiale (1913-1914) ogni soggetto definito è sacrificato
a ricreare l’atmosfera che si genera nell’osservatore a seguito dell’interazione della luce con un prisma; in tal
modo, Balla preconizza con un secolo di anticipo le attuali conoscenze che legano le qualità spettrali della
luce alla modulazione del cervello emozionale, attraverso meccanismi sconosciuti e reti neurali non ancora
caratterizzate.
In questa e altre opere, la modernità “scientifica” di Balla emerge anche dalla rappresentazione della
tracimante energia della luce mediante forme parcellizzate di colori puri che si espandono esplosivamente.
Un simile “handling” dei colori e delle forme attesta come Balla avesse intuitivamente superato la dottrina dei
canali nervosi retinici separati di Cajal (1893) anticipando, con lungimirante emozionalità artistica, quella
diffusione laterale dei segnali all’interno della retina che sarebbe stata dimostrata sperimentalmente solo nella
seconda metà del novecento.
Onde e particelle… materia ed energia… energia e neurofisiologia dell’emozione. Balla è permeato capillarmente
dai nuovi concetti della scienza e trasferisce nella sua arte l’energia luminosa da poco scoperta
a sottolineare la distanza tra “vecchio” e “nuovo” che avrebbe animato le drammatiche serate futuriste alla
vigilia della grande guerra.