Ragioni della mostra
Ada Masoero
A centodieci anni dalla sua fondazione, proclamata da F.T. Marinetti nel famoso manifesto del Futurismo uscito su "Le Figaro", a Parigi, il 20 febbraio 1909, e a dieci dalle grandiose celebrazioni che in Italia e all'estero rievocarono quell'anniversario con mostre ed eventi di risonanza mondiale, come rileggere, oggi, le arti visive di un movimento tanto centrale fra le avanguardie europee del secolo passato, con uno sguardo che sia al tempo stesso obiettivo, necessariamente sintetico ma esaustivo del suo intero, lungo percorso, e (non ultimo) non ancora "usurato"?
La risposta giunge, a parere di chi scrive, dai futuristi stessi, instancabili estensori di manifesti in cui esplicitavano le basi teoriche (spesso utopistiche, talora anche confuse o persino discutibili, ma sempre supportate da un ammirevole sforzo di sistematizzazione) del loro fare artistico. Per eludere le secche dell'arbitrarietà e fondarci su soli documenti autografi, abbiamo perciò pensato di affidarci ai più incisivi dei loro manifesti sulle arti visive, e di scandire il percorso in sezioni intitolate, ognuna, a uno di quei documenti. L'arbitrarietà, è vero, è rientrata in scena per effetto della (inevitabile, anche per ragioni di spazio) scelta di alcuni soltanto di essi, ma ci è parso che in tal modo si sarebbe rispettato al massimo grado il loro pensiero. Mettendo al tempo stesso in evidenza la specificità del Futurismo rispetto alle avanguardie europee coeve: nessuna di esse, infatti, produsse riflessioni critiche tanto regolari, martellanti e puntuali, dedicate puntigliosamente a ognuno dei propri ambiti d'in
tervento. E nessuna, soprattutto, si servì di un mezzo stentoreo e "popolare" come il manifesto. Questi documenti erano, infatti, pubblicati su volantini, oppure su organi d'informazione non specialistici o, ancora, declamati nelle chiassose e affollatissime "serate futuriste": destinati, dunque, a un pubblico vasto ed eterogeneo, e non di soli "addetti ai lavori".
Prima conseguenza della scelta di attenersi ai soli firmatari di tali manifesti, è stata l'inevitabile espunzione dal percorso di artisti d'indubbio valore che però, per ragioni diverse, non firmarono nessuno di questi testi programmatici. Un limite che spesso, di fronte a certe opere, avremmo voluto valicare ma cui abbiamo voluto attenerci con severità. Un altro steccato che ci siamo voluti imporre è stato quello di scegliere solo le opere che meglio e più puntualmente illustravano i princìpi teorici esposti in ogni manifesto. Tuttavia, a conti fatti, tali confini hanno fatto sì che in mostra figurino soltanto i veri maestri del Futurismo e che siano presenti numerose vette della loro produzione, quasi che per ognuno l'impegno teorico, e il conseguente approfondimento dei princìpi cui riferirsi, finisse per coincidere con la più alta qualità artistica del suo lavoro.
Due sole le eccezioni: una all'inizio del percorso, con lo spettacolare, pirotecnico ritratto di F.T. Marinetti (1921-1922), opera di Rougena Zátková (cat. II.1), e una in chiusura, con Prima che si apra il paracadute, 1939, di Tullio Crali (cat. X.18), forse il più giovane (nacque nel 1910, l'anno dei primi manifesti pittorici), certo il più longevo (è scomparso nel 2000) dei futuristi, che non firmò il Manifesto della aeropittura del 1931, ma che abbiamo voluto includere perché F.T. Marinetti nel 1940 non esitò a definirlo "il più grande pittore del momento", e anche perché quel dipinto è stato scelto (con una mossa audace, stante la ben minore fama di Crali rispetto ai maestri conclamati) come immagine di copertina del catalogo della mostra "Italian Futurism 1909-1944. Reconstructing the Universe", curata da Vivien Greene, che un'istituzione del peso del Guggenheim Museum di New York ha dedicato nel 2014 alla nostra avanguardia.
Poiché nessun'altra avanguardia europea fu longeva come il Futurismo, il percorso di questa mostra copre ben trent'anni di arte futurista, dal 1910, quando uscirono i due manifesti pittorici a firma dei giovani "padri fondatori" (Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla, Gino Severini), fino al Manifesto della aeropittura, 1931, firmato da Marinetti, Balla, Depero, Prampolini, Dottori, Benedetta, Fillia, Tato e Somenzi. Nel mezzo, scorrono in mostra le traduzioni visuali del Manifesto tecnico della scultura futurista (Umberto Boccioni, 1912) e quelle di: L'immaginazione senza fili e le parole in libertà (F.T. Marinetti, 1913); L'architettura futurista (Antonio Sant'Elia, 1914); Ricostruzione futurista dell'universo (Giacomo Balla e Fortunato Depero, 1915) e L'arte meccanica (Enrico Prampolini, Vinicio Paladini, Ivo Pannaggi, 1922).
E se il congedo è affidato alle mirabolanti visioni aeree ispirate dal citato Manifesto della aeropittura, che produsse frutti eccellenti fino alla fine del decennio, l'incipit è invece assegnato agli esordi divisionisti dei cinque fondatori del Futurismo pittorico, al fine di radicare il movimento nella cultura visiva in cui si erano formati. Perché, come si legge nel testo di La pittura futurista. Manifesto tecnico, datato 11 aprile 1910, a firma di tutti e cinque i "padri fondatori", "non può sussistere pittura senza divisionismo".
Desidero qui ringraziare, con sincera riconoscenza, la Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma, nella persona della direttrice, Cristiana Collu, e dei suoi collaboratori, per l'imprescindibile supporto fornito alla mostra grazie al prestito di un nucleo di opere, preziose e fondamentali, della propria collezione permanente; il Museo del Novecento di Milano che, grazie alla generosa disponibilità del suo direttore, Anna Maria Montaldo, della conservatrice Danka Giacon e
di tutti coloro che hanno lavorato a un così ingente prestito, ha assicurato a questa mostra tante opere che rappresentano vere pietre miliari del Futurismo, non meno del Mart di Rovereto, il cui presidente Vittorio Sgarbi e il cui direttore Gianfranco Maraniello, con il sostegno della conservatrice responsabile Nicoletta Boschiero, ci hanno generosamente concesso in prestito un nucleo ricco e prezioso di lavori tratti dal tesoro delle collezioni del museo. Fondamentale è stato l'apporto del Civico Gabinetto dei Disegni e della Civica Raccolta delle Stampe "Achille Bertarelli" di Milano, nelle persone del direttore dell'Area Soprintendenza Castello, Musei Archeologici e Musei Storici, Claudio M. Salsi, e delle conservatrici Alessia Alberti e Giovanna Mori. A tutti loro va il nostro grazie più sincero, consapevoli come siamo che senza il loro apporto nulla si sarebbe potuto realizzare.
Alle istituzioni citate si sono aggiunti il Museo del Territorio Biellese, il Museo dell'Aeronautica Gianni Caproni di Trento, i Civici Musei di Udine e l'Aeronautica Militare, il cui concorso è stato indispensabile per illustrare al meglio, e con opere di grande caratura, i temi della mostra.
Non meno determinanti sono stati i prestiti di gallerie e fondazioni private e dei collezionisti, che conservano, spesso da generazioni, splendide opere futuriste e che hanno accettato di privarsene per il periodo della mostra. Anche a loro, va il nostro grazie più sentito.
Desidero poi ringraziare MondoMostre, che mi ha chiesto di essere parte di quest'avventura appassionante e che, attraverso il suo responsabile scientifico Thomas C. Salomon e l'exhibition manager Sergio Tarquinio, mi ha supportata con grande efficacia e professionalità nel lavoro talvolta febbrile necessario a comporre un simile percorso d'arte. Non meno grato è il mio pensiero per Skira, che ha pubblicato il catalogo della mostra: per il suo presidente Massimo Vitta Zelman, per l'editore incaricato Stefano Piantini, per la responsabile del progetto Emma Cavazzini e per il graphic designer Luigi Fiore.
E ovviamente (ma non certamente da ultimo!) il grazie più sentito va alla Fondazione Palazzo Blu e al suo presidente Cosimo Bracci Torsi, che hanno sostenuto con intelligente e attenta partecipazione la realizzazione di un progetto che appariva all'inizio fin troppo ambizioso, consentendoci di rendere al Futurismo un omaggio che ci sembra degno della sua importanza nella storia dell'arte del XX secolo.
Prima del Futurismo
Boccioni, Carrà, Russolo, Balla, Severini
Allo scoccare del Novecento, la novità più dirompente dell'arte italiana era rappresentata dal Divisionismo, che debuttò ufficialmente nel 1891 a Milano, nella mostra Triennale di Brera, suscitando grande scandalo nella critica e nel pubblico più tradizionalisti, per l'aspetto "non finito" di quei dipinti. I pittori divisionisti, infatti, non impastavano i colori sulla tavolozza, come sempre si era fatto, per poi stenderli mischiati sulla tela ma, ispirandosi alle più recenti teorie scientifiche dell'ottica, accostavano minuscoli tocchi o sottili filamenti di colori puri, appaiandoli secondo le leggi da poco individuate, al fine di ottenere il massimo della luminosità.
I princìpi erano gli stessi dei pointillistes francesi ma, al contrario di quelli, che erano interessati al solo aspetto tecnico, i divisionisti italiani (primi fra tutti Giovanni Segantini, Giuseppe Pellizza da Volpedo e Gaetano Previati) arricchivano le loro opere di contenuti culturali aggiornati, come il pensiero socialista, molto diffuso nell'area lombardo-piemontese in conseguenza della prima industrializzazione, e le suggestioni del Simbolismo, allora la corrente di pensiero europea più innovativa.
Tutti i futuri firmatari dei manifesti pittorici futuristi del 1910, che erano nati tra gli anni settanta e ottanta dell'Ottocento, si formarono in questa cultura, tanto che nel Manifesto dei pittori futuristi (11 febbraio 1910) i cinque, Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla e Gino Severini, indicano come maestri Segantini e Previati, oltre allo scultore Medardo Rosso, mentre in Pittura futurista. Manifesto tecnico, di poco successivo (11 aprile 1910), scrivono che "non può esistere pittura senza divisionismo".
Secondo la testimonianza di Gino Severini, "fu Giacomo Balla, divenuto nostro maestro, che ci iniziò alla nuova tecnica moderna del ‘divisionismo'": Balla (cat. I.1) era stato a Parigi per l'Esposizione universale del 1900 (in Luna Park – Parigi si vede, sul fondo, il Palais de l'Electricité dell'Expo, coronato da una grande stella luminosa) e aveva conosciuto da vicino il Pointillisme, da lui modificato però sia nella tecnica, più fluida e libera, che nei contenuti, talora sociali, talora intimisti, come in Affetti (Studio) (cat. I.7). Nei primissimi anni del Novecento, a Roma, Balla trasmise le sue conoscenze ai più giovani Boccioni, qui presente con due preziosi pastelli, di tema altrettanto privato (catt. I.3, I.4), e Severini, rappresentato da una delle sue figure divisioniste più riuscite (cat. I.6), mentre Carrà (catt. I.2, I.5) aveva appreso quella tecnica di prima mano poiché, come Balla, era stato di persona a Parigi a lavorare per l'Expo. E fu proprio al ritorno da quel soggiorno, nel 1900, che eseguì La strada di casa, in cui, grazie al divisionismo, trasformò una modesta via di paese in un'"apparizione" abbagliante. Russolo (cat. I.8), presto entrato in contatto, a Milano, con Boccioni e Carrà, adottò la tecnica divisionista, mentre sul piano dei contenuti si orientò verso un cupo simbolismo di segno nordeuropeo.
Gli anni Dieci
Boccioni, Carrà, Russolo, Balla, Severini
Nel Manifesto dei pittori futuristi, datato 11 febbraio 1910, i cinque
giovani "padri fondatori" del Futurismo in pittura si scagliavano contro
le convenzioni antiquate cui si atteneva la maggior parte degli artisti,
tuonando contro "il culto del passato": se è vero, come scrivono, che "è vitale
soltanto quell'arte che trova i propri elementi nell'ambiente che la circonda",
compito dei pittori futuristi sarà "rendere e magnificare la vita odierna,
incessantemente e tumultuosamente trasformata dalla scienza vittoriosa".
In quale modo, lo spiegheranno nel successivo La pittura futurista. Manifesto
tecnico (11 aprile 1910).
Attraversata e modificata dalla velocità e dal dinamismo che sono propri
di un mondo trasfigurato dalle scoperte scientifiche e dalla tecnologia, la realtà
appare in perenne movimento: "Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido.
Una figura non è mai stabile davanti a noi, ma appare e scompare
incessantemente. [...]
Così, un cavallo in corsa non ha quattro gambe: ne ha venti e i loro movimenti sono
triangolari". È ciò che Boccioni mette in pratica nella sua Carica di lancieri.
Ma non solo: i corpi solidi sembrano intersecarsi tra loro e fondersi con l'atmosfera
circostante, secondo il principio della "compenetrazione dei piani". Come si legge
in queste righe, "le sedici persone che avete intorno a voi in un tram che corre sono
una, dieci, quattro, tre: stanno ferme e si muovono; vanno e vengono e rimbalzano
sulla strada, divorate da una zona di sole, indi tornano a sedersi, simboli persistenti
della vibrazione universale". È ciò che si ritrova in un dipinto brulicante di energia
come Ciò che mi ha detto il tram di Carrà; in Automobile + velocità + luce
di Balla, dove i blocchi dei casamenti s'inclinano e quasi si fondono
con l'automobile in moto che sfreccia nella via, non meno che nelle sue quasi astratte
Linee di velocità , che mostrano gli effetti della penetrazione
di un'auto in velocità in un quieto paesaggio di campagna; come pure in Dinamismo
plastico – cavallo + caseggiato di Boccioni, o L'autobus
e Impressioni simultanee di Severini, lavori tutti accomunati dalla
presenza di un corpo, umano, animale o meccanico, che si compenetra con lo spazio.
Severini poi, eccellente ballerino, celebra anche il dinamismo del corpo danzante
in opere come Danseuse articulée e Le tango argentin .
Russolo, da parte sua, nel dipinto I lampi, 1910 , traduce in immagine
un altro passo dello stesso manifesto: "Lo spazio non esiste più; una strada bagnata
dalla pioggia e illuminata da globi elettrici s'inabissa fino al centro della terra",
mentre opere come Studio di testa femminile di Boccioni e Profumo di
Russolo si rifanno al passo: "Come si può ancora veder roseo un volto
umano, mentre la nostra vita si è innegabilmente sdoppiata nel nottambulismo?
Il volto umano è giallo, è rosso, è verde, è azzurro, è violetto", grazie agli effetti
stupefacenti della nuovissima illuminazione elettrica.
Gli anni Dieci
Umberto Boccioni
L'incontro dei futuristi con il Cubismo, favorito da Severini che da alcuni anni
risiedeva a Parigi, avviene dapprima nell'autunno del 1911, quando
Boccioni e Carrà, con F.T. Marinetti, conoscono Braque e Picasso e visitano
lo studio di quest'ultimo; e, in seguito, in modo più approfondito, nel febbraio 1912,
quando vi tornano con Russolo per l'inaugurazione della mostra di pittura
futurista nella famosa galleria Bernheim-Jeune, organizzata nel corso della loro
precedente visita.
Nei mesi che intercorrono tra i due viaggi parigini, Boccioni e Carrà (Balla rimane
a Roma in entrambe le circostanze) modificano la loro pittura, solidificandone e
strutturandone le forme in chiave cubista (si vedano i concitati disegni di Boccioni
sul tema del Dinamismo di un corpo umano, che l'artista era solito
esporre con le sue sculture, il magnifico dipinto omonimo), e, al ritorno
dal secondo soggiorno francese, nel 1912, Boccioni redige il Manifesto tecnico della
scultura futurista, dove formula i princìpi rivoluzionari di una scultura composta
di materie diverse e "aperta" allo spazio circostante: "La nuova plastica sarà [...]
la traduzione nel gesso, nel bronzo, nel vetro, nel legno e in qualsiasi altra materia, dei piani atmosferici che legano e intersecano le cose". E ancora: "La scultura deve
[...] far vivere gli oggetti rendendo sensibile, sistematico e plastico il loro
prolungamento nello spazio, poiché nessuno può più dubitare che un oggetto
finisca dove un altro comincia e non v'è cosa che circondi il nostro corpo: bottiglia,
automobile, casa, albero, strada, che non lo tagli e lo sezioni con un arabesco
di curve o di rette".
La sua prima scultura, in piena sintonia con il manifesto, è Sviluppo di una
bottiglia nello spazio, dello stesso 1912, in cui Boccioni imprime a
un tema tipicamente cubista, come la natura morta, un dinamismo totalmente
futurista: in essa traduce senz'alcuna forzatura in forme plastiche il principio
dell'"assoluta e completa abolizione della linea finita e della statua chiusa", che
dunque si spalanca "chiudendo [in sé] l'ambiente".
La scultura più famosa di Boccioni – tanto famosa da essersi guadagnata l'onore
di figurare sulle monete italiane da 20 centesimi di euro – resta però Forme
uniche della continuità nello spazio, dell'anno successivo, di cui in mostra figura
l'anticipazione bidimensionale nella grande, impetuosa tempera Linea unica
della continuità nello spazio, con la figura umana che, avanzando,
si compenetra con le forme di un casamento urbano.
Gli anni Dieci
F.T. Marinetti
Acceso ammiratore del "verso libero" (libero, cioè, da vincoli sintattici e
compositivi) praticato nell'ultimo Ottocento dai poeti simbolisti francesi,
F.T. Marinetti ne diffuse la conoscenza in Italia sin dal 1905, quando fondò
a Milano la raffinata rivista letteraria "Poesia", ma ben presto superò quel modello
per inoltrarsi nel territorio del tutto inesplorato, frutto della sua sola creatività di
poeta, delle parole in libertà. Con esse, diede vita a una delle novità più dirompenti
del Futurismo, da lui formalizzata in più manifesti successivi, il primo dei quali,
scrive lui stesso, prese forma durante un volo aereo da lui compiuto su Milano:
fu allora, scrive, che avvertì "l'inanità ridicola della vecchia sintassi ereditata da
Omero" e aggiunge che fu l'"elica turbinante" a dettargli le norme cui attenersi nel comporre la nuova poesia. Ai primi posti figuravano la distruzione della sintassi
("disponendo i sostantivi a caso, come nascono"), l'uso del verbo all'infinito,
l'abolizione di aggettivi e avverbi, nonché della punteggiatura, sostituita dai segni
matematici + - x : = > < e dai segni musicali, e altro ancora. Liberate dai lacci della
tradizione, le parole saranno in grado di esprimere l'accelerazione della vita
moderna, creando un universo di suoni dettati dalla metropoli, dalle macchine,
dalle industrie: in una parola, dalla cultura della modernità .
Dotate di un'evidente valenza "pittorica" (fu il giovane Gramsci a suggerirlo per
primo, nel 1913, individuandone il modello pittorico nelle composizioni sincopate
dei dipinti cubisti di Pablo Picasso e di Ardengo Soffici), le parole in libertà
stimolarono la creatività di tanti pittori futuristi, di cui diamo alcuni esempi
(Carrà; Balla).
E, con Marinetti, fu proprio Soffici, dalle pagine di "Lacerba", la celebre rivista
d'avanguardia da lui diretta, a decretare il largo successo delle parole in libertà,
pubblicando sin dal 1913 le prime composizioni parolibere dei futuristi.
Nel manifesto L'immaginazione senza fili e le parole in libertà, datato 11 maggio
1913, Marinetti teorizzerà poi quella "rivoluzione tipografica" da cui scaturiranno
tanti libri di una novità dirompente: con il celebre Zang Tumb Tuuum, 1914, presentiamo i suoi volumi 8 anime in un bomba. Romanzo esplosivo,
1919, e Les mots en liberté futuristes, 1919, insieme a due altri
capisaldi della grafica futurista come Guerrapittura, 1915, di Carrà,
e Depero futurista, 1927, di Fortunato Depero, quest'ultimo rilegato con
due veri, massicci bulloni industriali, in sintonia con il culto della Macchina tipico
del Futurismo degli anni venti.
Gli anni Dieci
Antonio Sant'Elia
La metropoli, frutto dell'urbanesimo che stava concentrando nelle città del Norditalia folle di lavoratori strappati alle campagne, per convogliarli nelle nuovissime fabbriche, incarna uno dei miti fondativi del Futurismo. Già nel manifesto di fondazione Marinetti inneggiava alle "grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa", alle "maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne", al "vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche", ma fu Antonio Sant'Elia, giovane comasco laureato in architettura, a imprimere una svolta decisiva alla riflessione sulla necessità di un'architettura nuova, costruita con materiali moderni come il vetro e l'acciaio, e libera dall'eredità del passato. Morto in guerra nel 1916, Sant'Elia non poté vedere realizzato nessuno dei suoi futuribili progetti, ma ha lasciato il manifesto L'architettura futurista, 1914, illustrato da sei magnifici progetti della sua Città nuova (di cui sono esposti due originali), in cui teorizzava una città verticale, fatta di grandi edifici a gradinate del tutto privi di ornamenti, costruita con cemento, vetro e ferro, servita da ascensori a vista che s'inerpicavano lungo le facciate e – straordinaria novità – attraversata da strade a più livelli destinate ai diversi tipi di traffico: pedonale, ciclistico, tramviario, automobilistico, "congiunti [...] da passerelle metalliche e da velocissimi tapis roulants". Intanto, mentre elaborava le sue profetiche teorie urbanistiche, Antonio Sant'Elia rifletteva anche su altre forme architettoniche proprie della modernità, come le officine e le centrali elettriche, le "cattedrali" di un mondo nuovo che divorava energia per produrre sempre di più, sempre più in fretta, alle quali dedicò non progetti ma vere opere pittoriche, d'impressionante potenza visionaria.
Gli anni Dieci
Marinetti, Boccioni, Carrà, Russolo, Piatti
Sintesi futurista della guerra, 20 settembre 1914
"Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo –
il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari,
le belle idee per cui si muore" scriveva Marinetti, nel 1909,
nel manifesto di fondazione, con un'affermazione oggi intollerabile.
Sarebbe però un errore giudicarla con il metro attuale: alle soglie del 1900,
con le tumultuose innovazioni portate dall'industrializzazione, che stavano
stravolgendo il volto della società, si era diffuso ovunque nel mondo il bisogno
di una palingenesi, di un "nuovo inizio". E paradossalmente la guerra, con
le sue promesse di distruzione (del passato), sembrava essere l'unica possibile
premessa alla vita nuova della modernità.
La guerra sarebbe scoppiata davvero, il 28 giugno 1914, con l'assassinio a Sarajevo
dell'arciduca d'Austria Francesco Ferdinando, ma l'Italia non vi sarebbe entrata
che undici mesi dopo. I futuristi, molti dei quali (Marinetti, Boccioni, Russolo,
Sironi, Sant'Elia e altri) si sarebbero addirittura arruolati da volontari,
scatenarono una clamorosa campagna bellicista, condotta con ogni mezzo, dalle
manifestazioni interventiste, che ad alcuni di loro costarono il carcere (fu proprio
nel carcere milanese di San Vittore che nel 1914 vide la luce il manifesto Sintesi
futurista della guerra), alla rumorosa eloquenza delle parolibere (anche in
forma pittorica, come Cannoni in azione – Parole in libertà di Gino Severini, a dipinti che inneggiavano all'intervento bellico, come quelli in cui Giacomo
Balla trasferiva in immagini di grande forza visionaria l'ondeggiare della folla
e lo sventolare dei tricolori; lo stesso Balla che evocava nel 1916,
in pieno svolgimento del conflitto, anche il lutto di chi in guerra aveva perso
un congiunto. E se Depero nello sgargiante Paesaggio guerresco, 1916, ancora esaltava la guerra, il saturnino Mario Sironi, ormai membro
del Direttorio del movimento, con quell'aereo abbattuto, a due
anni dall'intervento dell'Italia, dimostrava che il conflitto non poteva più essere
inteso come una festa di rigenerazione collettiva, ma solo come una tragedia
portatrice di morte.
Gli anni Dieci
Balla, Depero
Il manifesto Ricostruzione futurista dell'universo, stilato da Giacomo Balla
e dal più giovane Fortunato Depero, imprime al Futurismo una forte virata,
da un lato puntando sull'astrazione ("troveremo degli equivalenti astratti
di tutte le forme e di tutti gli elementi dell'universo"), dall'altro proponendosi di
impollinare l'intera realtà con i princìpi del movimento. Tanto che Boccioni stesso,
in preda in quei mesi a una dura crisi creativa, dopo una visita allo studio romano
di Balla nel tardo 1915, è folgorato dalle sue forme astratte, e gli riconosce, di
fatto, il ruolo di nuovo leader.
Il manifesto contiene numerosi spunti, in diversi ambiti della creatività: dalle
formulazioni di Balla relative ai Complessi plastici, oggetti-scultura tridimensionali
e polimaterici, di cui esponiamo il solo, preziosissimo, giunto sino a noi (pubblicato sul manifesto stesso), al Paesaggio astratto o artificiale (dipinti
e scenografie in cui l'apparenza del paesaggio reale è resa con "coni, piramidi,
poliedri, spirali di monti, fiumi, luci, ombre", fino
all'asserzione, tratta dal pensiero teosofico, di cui Balla era seguace: "daremo
scheletro e carne all'invisibile, all'impalpabile, all'imponderabile, all'impercettibile",
che trova una perfetta trascrizione visiva in dipinti come Espansione di primavera, in cui l'artista evoca il fluire della linfa negli alberi, Scienza contro
Oscurantismo, dove celebra la vittoria della luce della scienza sulle
tenebre dell'ignoranza, Trasformazione forme-spiriti, in cui allude
all'ascensione degli spiriti verso il cielo e al loro ritorno sulla terra, purificati,
per reincarnarsi.
Alla sbrigliata e giocosa creatività di Depero si devono invece numerosi esempi
di giocattolo futurista, tema solo in apparenza secondario, cui
invece è dedicato un intero paragrafo del manifesto, poiché destinato a forgiare
futuristicamente le nuove generazioni, oltre a dipinti dal tono favolistico, le cui figure paiono, esse stesse, giocattoli di gomma. Non meno
fiabesco è il clima del suo celebre "balletto meccanico" Balli plastici,
i cui personaggi non erano ballerini ma piccoli plotoni di marionette.
Quanto all'orizzonte domestico, anch'esso fu investito dal vento futurista, grazie
alle "Case d'Arte", laboratori in cui si realizzavano arredi, abiti e oggetti:
di Balla sono in mostra gli astratti Fiori futuristi; di Depero,
oltre al bozzetto del manifesto pubblicitario della sua Casa d'Arte,
una delle coloratissime tarsìe di panno. Numerose, poi, e via via
sempre più professionali, le incursioni di Depero nell'ambito della pubblicità
di cui, grazie anche al precoce sodalizio con la Campari, l'artista diventerà un antesignano in Italia.
Gli anni Venti
Prampolini, Pannaggi, Paladini
Sebbene sul piano dei contenuti il Futurismo abbia praticato il culto della
Macchina sin dal suo apparire, fu solo nel 1922 che, in sintonia con la
cultura di un'Europa impegnata nella ricostruzione e nella riconversione
industriale postbellica, i suoi artisti formalizzarono tale venerazione con il manifesto
Arte meccanica, firmato da Ivo Pannaggi, Vinicio Paladini ed Enrico Prampolini,
terzo grande teorico del Futurismo dopo Boccioni e Balla, e di tutti il più aperto ai
contatti con le altre avanguardie europee.
Come si legge nelle sue righe: "L'età in cui viviamo – tipicamente futurista – si
distinguerà fra tutte nella storia per la divinità che v'impera: la Macchina.
Pulegge, volani, bulloni, ciminiere, acciaio lucido, grasso odorante, profumo di
ozono delle centrali elettriche, ansare delle locomotive, urlare delle sirene, ruote
dentate, pignoni! SENSO MECCANICO, NETTO, DECISO, che ci attrae
irresistibilmente!". La macchina, dunque, detta ora anche i modelli formali,
"netti e decisi", delle opere futuriste.
Erano stati Balla e Depero, a teorizzare nel
manifesto Ricostruzione futurista dell'universo, 1915, un mondo artificiale, fatto di forme astratto-geometriche, che avrebbe aperto la strada a questa nuova
stagione del Futurismo. E i loro dipinti degli anni venti dimostrano come, per tutto
il decennio, essi sarebbero rimasti fedeli (con esiti altissimi) a tali princìpi.
Quanto a Ivo Pannaggi, solo poche opere schiettamente "meccaniche" sono giunte
sino a noi perché, conosciuto il Costruttivismo russo alla Biennale veneziana
del 1924, impresse alla sua pittura una forte virata in quella direzione.
Pochissimo, poi, è rimasto di Vinicio Paladini che, entrato in contatto con la
sinistra radicale, si allontanò presto dal Futurismo, simpatizzante del fascismo.
Qui presentiamo un dipinto del 1922 (l'anno del manifesto) in cui Pannaggi
ritrae l'amico Paladini trasformando il suo volto in quello di un automa,
e una fotografia d'epoca di Vinicio Paladini, i cui grattacieli sono
trasformati in una sorta di gigantesco ingranaggio meccanico. Con loro c'è
Prampolini, con un'opera esemplare del 1921 e con l'eloquente (anche
nel titolo) Automa quotidiano, del 1930.
Gli anni Trenta
Balla, Benedetta, Depero, Dottori, Fillia, Marinetti, Prampolini, Somenzi, Tato
La visione aerea, frutto della diffusione (anche bellica) della più moderna
delle macchine – l'aeroplano – non poteva non esercitare un fascino potente
sull'immaginario dei futuristi; primo fra tutti, F.T. Marinetti, che già nel
1912 affermò che la nuova sintassi delle parole in libertà gli era stata suggerita
"dall'elica di un aeroplano", durante un suo volo su Milano.
Fu però solo tra la fine degli anni venti e l'inizio del decennio successivo che
Marinetti volle redigere un manifesto dedicato alla nuovissima, entusiasmante
avventura del volo aereo.
Pubblicato in occasione della "Prima mostra di aeropittura", tenuta a Roma
nel febbraio 1931, il manifesto L'aeropittura, redatto dapprima dal solo Marinetti,
fu poi aggiornato e firmato, per suo volere, da sette pittori (Balla, Benedetta, Depero,
Dottori, Fillia, Prampolini, Tato) e uno scrittore, Mino Somenzi, compagno di
Gerardo Dottori nelle scorribande aeree sull'Umbria, cui già si doveva il precedente
manifesto Aeropittura e aeroscultura, rimasto inedito fino a pochi anni fa.
Il testo programmatico dettava, in otto punti, le norme per dipingere il mondo
visto dall'alto ("le prospettive mutevoli del volo non [hanno] nulla di comune con la realtà tradizionalmente costituita da prospettive terrestri; dipingere
dall'alto questa nuova realtà impone un disprezzo profondo per il dettaglio e una
necessità di sintetizzare e trasfigurare tutto" e così via) ma nel nono ("Si giungerà
presto a una nuova spiritualità plastica extra-terrestre") suggeriva un'altra via
possibile dell'aeropittura, di segno più spirituale, che Prampolini battezzerà
"idealismo cosmico", in cui lo sguardo va da terra verso l'alto.
Al primo gruppo fanno capo le opere di Gerardo Dottori e di Tato, che restituiscono l'inedita visione zenitale donata all'uomo
dall'aeroplano; al secondo quelle di Prampolini, Fillia
e Benedetta, che si lasciano sedurre dal fascino del cosmo
e affondano lo sguardo nelle profondità siderali e nei loro misteri.
A Prampolini si deve anche l'introduzione nei dipinti di materiali diversi (da lui
teorizzata nel manifesto Al di là della pittura, verso i polimaterici, 1934) che tocca
uno dei suoi vertici nel Grande sughero (Metamorfosi cosmica), mentre
a Balla si deve lo spettacolare omaggio alla prima trasvolata atlantica,
compiuta nel 1930 da Italo Balbo: l'ultima opera futurista, quando già l'anziano
pittore era tornato alla figurazione più tradizionale.
Quanto alla presenza, forse sorprendente, dell'"aeroritratto" di Dottori del Duce, è resa opportuna dal dovere di non nascondere le complicità e
connivenze che, dai primi anni venti in poi, legarono fascismo e Futurismo.