Oggi più si osservano e si analizzano le opere di Giulio D'Anna (1908-1978), più esse appaiono ricche di significati, di riferimenti alla realtà contemporanea, di tecniche e icone pittoriche innovative. Il collage, per esempio, è insistente nei suoi dipinti con quegli inserti di ritagli di quotidiani, siciliani soprattutto, "Giornale di Sicilia", "L'Ora", che emergono dalla memoria delle sue dimore palermitane e che si insinuano nella sua pittura, sollecitando l'attenzione di chi guarda (L'Ora del Futurismo del 1931 ca., Stormo aerei Caproni sempre del 1932-'33, Aereo rosso+ paesaggio del 1934).
Si ricorda perfino dello strillone che a Palermo reclamizzava a gran voce l'uscita dei quotidiani e nel 1934 crea una singolare Natura morta fatta di libri e fogli di giornali e con inserti di pagine pubblicitarie, vivaci e divertenti, dà vita a Opera pubblicitaria. La sua mano di pittore crea anche tante immagini per alcune ditte che operano a Messina e dintorni -e anche oltre (Hopps) soprattutto nel settore agrumario. Da giovane libraio poi fa perfino una sorta di omaggio ai suoi "datori di lavoro" con un puzzle ingenuo quanto si voglia, ma significativo, con ritratti di editori (Bompard, Mondadori, il palermitano Tumminelli). La parola è un sistema di comuni- cazione più comprensibile e D'Anna nei primi anni Trenta era già forse consapevole di quello che oggi appare come uno dei fenomeni più inquietanti della contemporaneità: il bombarda- mento di informazioni operato dai mass media, sulla ragione, il folle assalto di figure e di pa- role che confondono e spesso impediscono la giusta valutazione della realtà. Un caleidoscopio di immagini e di notizie confonde la mente dell'uomo contemporaneo e D'Anna usa il collage anche per mettere in luce ciò che gli ruota intorno con una frenetica spirale, soprattutto negli anni Trenta: Mussolini, la colonizzazione, lo spettacolo, la pubblicità, ma la sua mano di pittore trasfigura il negativo della realtà con i colori della memoria, della fantasia, del pensiero.
La tecnica del collage era nota fin dall'esplosione del Cubismo, fin dal 1912, quando erano apparsi i papiers collés di Braque e Picasso. I futuristi poi con Boccioni, Carrà, Soffici e Balla lo avevano usato molto: tra loro, però, non figura D'Anna che li utilizza più tardi, è vero, ma spesso e con grande efficacia, sollecitato dal suo ricordato mestiere di libraio e dalla sua passione per la musica, sicché libri e spartiti musicali con i frammenti di giornali entrano a piene mani nella sua enciclopedia pittorica. Ed è ora di riconoscergli l'importanza che merita in questo settore.
Con i collages, il polimaterico (fili di rame, di ferro, legno) lo sollecita a creare nuove soluzioni linguistiche, uniche nel settore, ed è tra i pochissimi in quegli anni ad usarlo con una originalità che lo fa artista singolare, ben riconoscibile nella topografia dell'arte futurista. Lo usa nell'aeropittura, a cui dedica la maggiore e miglior parte della sua riflessione pittorica, anche se poi nel tempo il suo catalogo iconografico si rivela articolato e vario. Anche quando abbandonerà il movimento futurista per le influenze esercitate sul suo pensiero dagli amici Renato Guttuso e Beniamino Ioppolo, non cesserà mai di ricercare e sperimentare, con un cifrario pittorico flessibile, tutte le possibilità ideative e tecniche che la pittura contemporanea gli offrirà, soprattutto nel dopoguerra, negli anni Cinquanta e Sessanta, in cui si accosterà perfino alla Pop Art, all'Astrattismo, e ancora al polimaterico usandolo con diverse modalità rispetto al passato. Ma all'astrattismo si avvicina anche negli anni Trenta in ambito aereopittorico (Aereo+cielo+terra del 1931).
L'aeropittura è la sua pittura, in cui però la modernità degli assemblaggi e le componenti positive della natura fanno perdere agli elementi meccanici il quoziente negativo della civiltà industriale proprio attraverso la loro proiezione in un paesaggio solare, in panorami che si fondono aprendo direzioni nuove, che sono solo dell'immaginario, in un effervescente scoppiettio di curve, ondulazioni, rette: attraenti "scudisciate coloristiche", come vengono definite nel 1933. Dall'alto, alberi, case, colline assumono dimensioni miniaturistiche con una riuscita sintesi di forma, colore, materia e volume, che talora ha sottili richiami naif e guarda alla lezione figurale e cromatica di Balla e Depero, ma con una coniugazione tutta mediterranea. Arcobaleni ben auguranti incorniciano dall'alto case, strade, barche a riposo, alberi, perfino le rovine sottostanti lasciate dal terribile terremoto del 1908 a Messina: ma a D'Anna interessa di più la rinascita, senza disarticolazioni della realtà. È un paesaggio solare, il suo, una poesia lirica del paesaggio, in cui mare e terra si scontrano e si incontrano, in cui aerei coloratissimi, in genere con i colori pastello, fanno esplodere tutta la gioiosa fascinazione dell'infinito in una mutevole polidimensionalità di prospettive. E sorvolano con audacia il grande cono dell'Etna e perfino si sdoppiano tra realtà in cielo e autocitazione sul cavalletto (Virata su ponte faro, 1933-'34).
Nel suo slancio sperimentale e lirico Giulio giunge perfino a particolari montaggi di compenetrazione tra figura umana, femminile soprattutto, e aereo con esiti veramente singolari nella pittura futurista. Così, i suoi aerei appaiono emblemi del dinamismo cosmico, pur se sono squadrati, semplificati, infantili anche, apparentemente privi di dettagli meccanici e plastici, che, ben osservando invece, presto si mostreranno, rivelando le profonde conoscenze da parte di D'Anna delle caratteristiche tecniche delle singole macchine. Studiandolo con diversa attenzione, si scopre oggi la sua profonda conoscenza di tutte le tipologie delle macchine-aereo degli anni Trenta, di cui fissa col pennello i dettagli con una precisione tutta nuova nelle sue icone pittoriche, una precisione scientifica e meccanica. Degli aerei in uso nell'aeronautica italiana D'Anna segue le evoluzioni e le imprese con partecipazione documentale e psicologica, stupendoci ancora. E forse sono da ricordare gli anni vissuti da D'Anna a Palermo, in cui a contatto soprattutto con Vittorio Corona, che lavorava nell'Ufficio tecnico della ditta Ducrot, di cui era anche comproprietario.Caproni, e in cui si producevano eliche in legno e si-montavano idrovolanti, i suoi cari idrovolanti, poté vedere e conoscere varie e recentissime tipologie di aerei. Lo attraevano anche i Savoia Marchetti, gli aerei con cui negli anni Trenta si facevano le famose trasvolate dell'Atlantico e che nel suo dipinto dedicato a quella di Italo Balbo divengono minuscole forme via via ingrandentisi in un ampio arco di cielo, fino a mostrare chiaramente i particolari che li caratterizzano. E si cimenta perfino nell'aeropittura di guerra, non vissuta questa, ma raccontatagli dal fratello, caricando di cromie livide e scure e di significati luttuosi la macchina e il paesaggio. Una parte della cultura italiana, aveva condannato la guerra sottolineandone gli orrori, le morti, i sacrifici le perdite e aveva visto in questa macchina uno strumento di distruzione: D'Anna rimane fedele al suo immaginario. Altra macchina da lui amata è il treno (Simultaneità di paesaggio + treno, delizioso per quell'uscita dalla galleria e quella miniatura di paesaggio in alto sulla sinistra, Finestra sullo Stretto, Velocità simultanea di treno+aereo del 1934, Paesaggio simultaneo+aereo Caproni+treno straordinario per l'ampiezza e complessità degli elementi raffigurati), legata, credo, inizialmente a sue esperienze autobiografiche, forse il ricordo del suo viaggio di trasferimento da Palermo a Messina. E ci sono anche i treni che in gran numero attraversano lo Stretto e gli ampi paesaggi di un'isola amata e mai abbandonata.
È un piacere scrivere di un pittore futurista proprio per la mostra inaugurale della nuova sede di Artecentro Lattuada Studio. La nuova sede e la nuova avventura di una galleria che tanto è stata devota all'arte inventata da Marinetti. E si può tornare indietro nel tempo almeno ricordando la grande monografia prampoliniana degli anni Novanta. Ma è motivo di energia e positività anche l'occasione di poter parlare, in questa occasione, di un artista che fino a poco tempo fa era quasi nascosto o comunque era rimasto neLdimenticatoio. Chi se lo sarebbe aspettato che nel 2019, a dieci anni dal centenario, a venti dalla stagione delle grandi mostre degli anni Novanta e a trenta e più dai futurismi veneziani o, a quaranta da Ricostruzione Futurista dell'Universo, alla Mole Antonelliana, si potesse ancora parlare e presentare un pittore "del futuro" con la ragionevole freschezza che gli compete. Ebbene così è per Sibò, Pierluigi Bossi, artista futurista tutto concentrato sulla trasfigurazione e mosso dall 'ispirazione di uno spazio reale, da un fatto che stava accadendo, come la grande bonifica dell'Agro Pontino.
Di Sibò, prima della recente monografia torinese, e quella romana dello scorso anno, e poi ancora della retrospettiva istituzionale a Latina, nel GAM che egli stesso contribuì a formare, ricordo che per spirito di interesse e curiosità collocai un quadro nella mostra finlandese all'EMMA, già nel 2012. Era quella una aeropittura di guerra, ma ben altre cartucce e riserve, a me allora ignote, erano nelle possibilità del pittore. Allora, prendiamo un po' le mosse da ciò che fu l' aeropittura: per prima cosa si direbbe, la mobilitazione ottica del paesaggio motivata dal moto dell'aereo, dal suo volo. E qui subito Dottori, e poi in certo modo anche Tato, e Ambrosie Crali, tra i più importanti. Che cosa fui poi: rappresentazione dell'aeroplano come nuovo soggetto dominate più di quanto lo fossero stati tutti gli altri mezzi di locomozione. Una tale insistenza e anche letteralmente frequenza o ossessività nel rappresentarlo che, qualsiasi cosa vi fosse sottoposta, non ne sarebbe uscita immutata - da qui quella lenta strutturale fusione tra esso e l'uomo. E poi, in una prospettiva di trasferimento e arbitrio verso l'arte meccanica negli anni Trenta, mischiata alle campiture piatte deperiane della pubblicità, D'Anna. Che cosa fu poi? Il proseguire il concetto della simultaneità, di notte e di giorno, di tempo e di spazio, di avanti e retro, negli anni trenta, agganciandosi dunque il "ricordo" all'aria che trascorre, al passarsi alle spalle, lo staccarsi dalla pesantezza di un ruolo nel mondo. La simultaneità di ricordoe presente, ma anche di passato storico e futuro della specie. E così, im ' icazione tematica di nuovi mondi e prospettive di ideale fantastico futuro dell'umanità. Sibò si è mosso dentro tutto questo ma partendo in qualche modo dal basso, dalla terra e dal territorio. Ci sono sue aeropitture dove la visione dall'alto di campi e di coste asseconda il plastico dinamismo di una rapida visione di sintesi, ma ce ne sono altre molto più frontali, costruttive, dove domina la città. Nel passaggio dalla città al paesaggio si dette uno,.tra i tanti, svolgimenti futuristi.dagli anni dieci ai trenta.
Ma qui di nuovo, i soggetti sono spesso città in costruzione, città sempre imbevute e come dire bagnate dalla nuova terra verde, dell'agro rigenerato, smeraldo. In questa aeropittura costruttiva di città che spuntano nuove dalla natura artificiale, incontriamo creature a metà tra gli animali e gli aeroplani, gli uomini appunto. Finanche, commisti violentemente smembrati nel frazionamento prospettico di spazi che si edificano. In Sibò la trasfigurazione della città territorio va proprio di pari passo con quella dei suoi abitanti e costruttori. Mi sono già trovato a sostenerlo: si tratti di futuro inverato, commisto con la realtà a un grado di consistenza sufficiente, che scarta sia dalla fantasticheria che dal realismo descrittivo o documentario. Tanti dei suoi quadri hanno delle aureole circolari che se da una parte rappresentano formazioni atmosferiche dall'altro sono anche portali, zone di passaggio o testimoni di una superficie terrestre· aperta sul cosmo. A esso familiare per una comune fertilità di mondi. Dimensioni di neo-terra, di pianeti terraformati, fino pure alla fecondazione di uno spazio lontano, di tuberi e astri, che possiede tutta la concretezza dei terreni bonificati e arati dove viveva. Il tema non è nuovo o originale, si vedano le metafore prampoliane della Terra Madre, della pittura cosmica e biochimica, di un plasticismo artificiale e, di fatto, futurista, cioè mai visto prima, che a quell'altezza storica rappresentava le terre e materie extraterrestri. Ma quale connubio originale tra il reale che accadeva e l'immaginazione nella presa di posizione narrativa di Bossi. E poi, non mi dimenticherò mai una sua affermazione sul territorio in smottamento, che per lui aeropittura poteva voler dire osservare un tale smottamento terrestre (e non aereo) dall'altezza di una gru. Perciò, è ciò che si muove autonomamente, il territorio, che fa corpo con ciò che si muove per il moto proprio della visione in aeroplano, dall'alto e in volo. Da ciò deriva, una sensazione molto potente della vita autonoma della materia. La sensazione di una massa che sopraffà. Una vita non umana, che non è visione interiore. E da ciò deriva pure credo la sua predilezione e riscoperta del dinamismo plastico di Boccioni, che poi mette in opera anche includendo, al contrario, un chiaro dinamismo sequenziale - vedi le torri delle città - che non può scollegarsi dal tutto plastico e ne risulta annullato. E in questo tutto plastico può a volte trovarsi anche una parte dell'uomo, ossia un pezzo di aeroplano, il cui ambire una forma pienamente vivente è affidata al necessario divenire.