Museo Gagliardi

ABSTRACTA

Da Balla alla Street Art


Museo Gagliardi – Palazzo Trigona, Noto

15 giugno - 30 settembre 2018


A cura di
Giuseppe Stagnitta, Giancarlo Carpi e Raffaella Bozzini







Ruta1
Alberonero
70 toni, 2017
acrilico su tela, 150x200 cm





Rendere Noto una “Città d'Arte" è un progetto che la mia amministrazione comunale porta avanti con passione e lungimiranza ormai da anni, consapevole di quanto possa essere difficile e tortuoso il cammino da fare.
Ed è in questo lungo cammino che lo stile Barocco della Noto iscritta alla World Heritage List incontra Abstracta, una mostra futurista dedicata all'astrattismo italiano che bene si sposa nel grande contenitore artistico della nostra città. Siamo molto contenti di ospitare una mostra dal respiro internazionale e di proseguire la collaborazione con Giuseppe Stagnitta, già curatore a Noto di altre mostre, e accogliere anche gli altri curatori Giancarlo Carpi e Raffaella Bozzini, mettendo a loro disposizione quella Sala Gagliardi che non solo porta il nome di uno degli architetti che contribuirono alla rinascita di Noto dopo il terremoto dell'11 gennaio 1693, ma che rappresenta per noi un luogo di incontro e una terrazza sul nostro centro storico.
Dialogo è sinonimo di confronto e di crescita e le opere esposte nella nostra città contribuiranno ad alzare ancor di più il livello artistico e culturale di Noto. E poi c'è quella street art che in molti tendono a sminuire. Non è così e anche in questo caso posso dire che Noto è stata una città precursore. In alcuni punti della nostra città, infatti, opere di street art hanno colorato muri grigi e anonimi lanciando anche messaggi sociali o più semplicemente ricordando persone importanti della nostra comunità.
Siamo consapevoli di accogliere a Noto opere di grandi artisti come Sten Lex, Etnik e Gué, accogliendo una mostra che immerge completamente nell'Astrattismo italiano. Uno stile che ha già una sua identità. Proprio come Noto.

Corrado Bonfanti
Sindaco di Noto








Abstracta è un progetto ambizioso.
Un progetto che vuole far emozionare e far riflettere. Un progetto di avanguardia che sa anche riscoprire la memoria.
Avanguardia e Memoria: è questo l'orizzonte del percorso di rinascita di Noto e del Val di Noto. E Abstracta va proprio in questa direzione.
Lo straordinario lavoro di Giancarlo Carpi e Raffaella Bozzini, che sono stati i curatori, e la competente passione, che ormai conosciamo per una assidua collaborazione, di Giuseppe Stagnitta hanno prodotto un validissimo prodotto culturale capace di mettere insieme grandi nomi e giovani talenti, di far dialogare l'arte moderna con la street art, la memoria con l'avanguardia. Tutto questo è un fondamentale risultato culturale che da solo vale la visita alla mostra.
Ma il progetto come dicevo ha anche altre ambizioni.
La scelta dello spazio espositivo è una scommessa notevole che darà, sono certo, risultati interessanti, perché da un lato valorizza ed esalta ancora di più uno spazio storico e dall'altro si pone come location strategica nella visione di unire la parte più conosciuta di Noto allo straordinario scrigno, ancora poco conosciuto ai tanti visitatori, che è il piano alto.
Infine, ma non meno importante, è la grande attività di sintesi e di stimolo che Emergence sa offrire, ponendosi quale elemento capace di far incontrare, dialogare e sollecitare verso ardite nuove “visioni" gli artisti locali insieme a maestri già affermati e giovani emergenti.
Vi aspettiamo a Noto, nel segno dell'astrattismo e del tanto concreto che sa generare.
Buona mostra a tutti

Frankie Terranova
Ass. alla Cultura della Città di Noto







Un secolo di astrattismo italiano
ABSTRACTA
da Balla alla Street Art

La mostra descrive l'evoluzione dell'Astrattismo italiano, che nasce con i primi esperimenti di Giacomo Balla con una serie di quadri denominati “compenetrazioni iridescenti" del 1912 per passare all'astrattismo analogico dello stesso Balla, di Fortunato Depero, Julius Evola e in parte di Enrico Prampolini e Gerardo Dottori, nella seconda metà degli anni Dieci, fino alle sperimentazioni di Prampolini in chiave di “idealismo cosmico", negli anni Trenta, con riflessi anche sulla produzione coeva di Arturo Ciacelli.
L'esposizione presenterà poi gli artisti che negli anni Trenta descrissero l'elaborazione astratta intorno alle teorie di Kn di Carlo Belli, tra Milano e Como, Carla Badiali, Alberto Magnelli - questi secondo una personale inclinazione all'astrazione risalente agli anni Dieci - Fausto Melotti, Mario Radice, Mauro Reggiani, Manlio Rho, Atanasio Soldati, Luigi Veronesi.
Nel complesso clima dell'immediato dopoguerra, fino a tutti gli anni Cinquanta, la mostra procede per decenni intersecando gli esponenti dei due principali gruppi astrattisti dell'epoca, Forma e MAC, Carla Accardi, Pietro Consagra, Piero Dorazio, Achille Perilli, Giulio Turcato, Antonio Sanfilippo, e, per il MAC, tra Milano, Torino e Firenze, Gianni Bertini, Annibale Biglione, Oreste Bogliardi, Enrico Bordoni, Angelo Bozzola, Nino Di Salvatore, Albino Galvano, Jean Leppien, Mario Nigro, Ideo Pantaleoni, Adriano Parisot, Bruna Pecciarini, Regina, con la produzione coeva di alcuni astrattisti fondatori dell'Art Club, Enrico Prampolini, Joseph Jarema, fino ad alcuni esponenti dello Spazialismo, Lucio Fontana, Roberto Crippa, e alle espressioni di artisti più anziani di ascendenza figurativa come Corrado Cagli e Quirino Ruggeri, fino ancora al principale esponente di Origine, Giuseppe Capogrossi, con una apertura verso l'informale di Afro Basaldella, nonché verso il percorso originale, tra informale e astrazione lineare, di Bice Lazzari.
Nella parte dedicata agli anni Sessanta, vengono delineate le ulteriori proposizioni astrattiste del Gruppo 1, Gastone Biggi e Achille Pace, fino alle esperienze, tra Sessanta e Settanta, dell'arte cinetica e ottica, da Getulio Alviani ad Alberto Biasi a Grazia Varisco. Tra Sessanta e Settanta, la mostra presenta anche le declinazioni di pittura analitica o “radical painting" di Claudio Verna, Paolo Cotani e Marcia Hafif, e l'astrazione fenomenica di Michele Cossyro.
Come ponte verso le espressioni di Street art astratta più recenti, situate entro coordinate post-pop, la mostra presenta l'Astrattismo pop di Davide Nido, Roberto Pan, Alberto Parres e Veronica Montanino. Fino agli ultimi esperimenti di astrattismo nella Street Art con 108, GUÈ, CT, Etnik, Moneyless, 2501, Sten Lex, Alberonero, Ligama, Tellas e Bros.







Focus sul rapporto tra astrazione e spazio, tra Balla, Fontana e Street Art Astratta

L'astrattismo in ambito italiano nasL'astrattismo in ambito italiano nasce con i primi esperimenti di Giacomo Balla realizzati per studiare i rapporti tra i colori e la luce. Una serie di studi denominati “compenetrazioni iridescenti". La mostra, partendo dalle sperimentazioni di Balla degli anni Dieci, sviluppa un secondo momento centrale nella riscoperta in Italia dell'astrattismo balliano alla fine degli anni Quaranta. Esso influenzò i principali gruppi sperimentali dell'epoca portandoli verso quella direzione di ricerca, specialmente Piero Dorazio che sviluppò la sua ricerca sulle texture ispirandosi alle compenetrazioni di Balla. In dialogo con la linea principale tracciata dalla mostra, sarà inserito il lavoro di Lucio Fontana, sia in direzione retrospettiva, legandolo alle ricerche sullo spazio e il superamento del confine della cornice, inaugurate dai Balla e Depero con il Manifesto Ricostruzione Futurista dell'Universo (1915), sia in direzione dell'attualità nella ricerca sullo spazio e nello spazio degli street artist, anche attraverso il riferimento storiografico all'esperienza sperimentale della plastica murale futurista degli anni Trenta.
Il percorso storico che racconta l'evoluzione dell'astrattismo italiano arriva ad oggi con l'arte che va in strada diventando di tutti nel tentativo di una democratizzazione dell'arte: la Street Art. Risposta spray alla produzione capitalistica, una risposta selvaggia che cancella, travolge, tutti i messaggi della rivoluzione di massa. Bypassare i luoghi che vivono il gioco perverso dell'economia e della finanza, come i Musei e le Gallerie, è la regola di questi artisti per creare un filo diretto tra “creazione artistica" e “fruizione" senza compromessi. Si afferma una vera e propria controcultura, l'arte diventa popolare, non più in mano all'ambiente colto, borghese e soprattutto al “mercato dell'arte", ma per “tutti" nel tentativo di abolire la proprietà privata, rivendicando le strade e le piazze per una democratizzazione dell'arte e della cultura. Nasce così la Street Art, come definizione comunemente utilizzata, per inquadrare tutte le manifestazioni artistiche compiute in spazi pubblici. A differenza del writer, lo street artist non vuole imporre il suo nome, ma intende dare vita ad un processo creativo che si contestualizzi nello spazio che lo circonda, creando un impatto e interagendo con un pubblico diversificato, che diviene inconsapevole spettatore di un'opera d'arte. Paradossalmente nasce e si evolve un numeroso gruppo di street artists, che apparentemente contraddice la concezione pop dell'arte di strada (iconografia semplice leggibile da tutti), che lavora utilizzando un linguaggio astratto che inizia a giocare con l'architettura delle città coinvolgendola nell'opera: la Street Art Astratta. La mostra affronta problematicamente questa nuova situazione storica, anche tramite una campionatura degli stilemi astratti storicizzati per attuare un confronto stilistico con opere che, di fatto, vogliono proporsi anche negli spazi museali e galleristici, esprimendo così uno spostamento concettuale rispetto alla loro collocazione originaria, riattivando una dialettica tra Museo e Strada ormai centenaria.







Giuseppe Stagnitta
Oltre il muro

I movimenti, sia nell'ambito artistico che in quello sociale, sonoI movimenti, sia nell'ambito artistico che in quello sociale, sono azioni di gruppo e collettive che tendono a perseguire obiettivi di trasformazione della società in cui nascono e che rappresentano pienamente, carichi di forze innovative e di cambiamento.
Il fenomeno del Graffittismo nasce proprio in questa linea, in scia con quell'atmosfera di grande libertà e protesta della New York degli anni '70, e raggiunge un successo immediato, in una città stanca di un'arte nata dalla cultura artistica, creata e portata avanti dal mondo dei bianchi. Rappresenta, come già il jazz, una rivincita culturale dei neri e degli emarginati, un soffio di nuova energia, di nuova creatività, con quel tanto eversivo di proibito, di underground, che ne fa un fiore all'occhiello della New York bene che inevitabilmente finisce per distruggere tutta la carica.

Risposta spray alla produzione capitalistica, una risposta selvaggia che cancella, travolge, tutti i messaggi della rivoluzione di massa.

Dal '73 il fenomeno dell'arte di frontiera entra prepotentemente nel sistema dell'arte, acquistando una popolarità così vasta che esplode in tutto il mondo, coinvolgendo non solo i graffittisti ma artisti di varia natura che scendono in strada per comunicare in modo libero, distaccandosi da un sistema esasperato dal consumo. Bypassare i luoghi che vivono il gioco perverso dell'economia e della finanza, come i Musei e le Gallerie, è la regola di questi artisti per creare un filo diretto tra “creazione artistica" e “fruizione" senza compromessi.

Si afferma una vera e propria controcultura.

L'arte diventa popolare, non più in mano all'ambiente colto, borghese e soprattutto al mercato dell'arte.

Arte per tutti.

Abolire la proprietà privata, rivendicando le strade e le piazze per una democratizzazione dell'arte e della cultura, diventa la parola d'ordine.
Nasce così la Street Art, come definizione comunemente utilizzata, per inquadrare tutte le manifestazioni artistiche compiute in spazi pubblici. A differenza del writer, lo street artist non vuole imporre il suo nome, ma intende dare vita ad un processo creativo che si contestualizzi nello spazio che lo circonda, creando un impatto e interagendo con un pubblico diversificato, che diviene inconsapevole spettatore di un'opera d'arte.
Il fenomeno della street art è strettamente associato alla cultura Underground, ricca a sua volta di numerosi elementi legati a forme espressive di carattere urbano, che permette l'interazione in un fertile scambio di idee.
Street art fenomeno in continua evoluzione che dalla protesta passa alla riqualificazione dei luoghi degradati, la street art infatti vive una nuova fase oggi, che definirei più umanitaria e sociale, trasformandosi in arte necessaria ed utile alla collettività.
L'arte si avvicina alla gente non più per protesta, narcisismo o carriera, ma per riqualificare spazi pubblici altrimenti degradati da una cattiva azione dell'uomo sul territorio.
In questa linea nasce e si evolve un numeroso gruppo di street artists, che apparentemente contraddice la concezione pop dell'arte di strada (iconografia semplice leggibile da tutti), e che lavora utilizzando un linguaggio astratto che inizia a giocare con l'architettura della città coinvolgendola nell'opera: la Street Art Astratta.
L'arte va incontro alla gente per aiutarla a cambiare il volto dei territori e la vivibilità degli stessi, accompagnandoli in quel cammino che li porta a riappropriarsi della propria dignità culturale e sociale: questo è il potere dell'Arte!
Una rivoluzione copernicana che si trasforma in Arte Pubblica, lontana dalle idee iniziali della street art, e che si avvicina sempre di più a quella Architettura che nobilita la città dal basso e che si esprime nello spazio esterno attraverso la sua immagine resa comunicazione. Architettura capace di interagire non solo visivamente, ma anche fisicamente con il fruitore/abitante/viaggiatore, suggerendo delle nuove modalità d'uso ed un ampliamento tematico della nozione stessa di spazio pubblico con una nuova iconografia e dei nuovi termini epistemologici.
Potenza dell'arte, energia visionaria che prova ad assorbire, inghiottire, per pochi minuti il passante, il viaggiatore che attraversa la città che si trasforma in opera e per cui in vissuto creativo. E l'arte astratta ben si immerge in questo contesto, arte che si espande nei muri dei palazzi entrando dalle finestre, andando oltre i muri, per incontrare ed “interagire" con la gente che vive i palazzi, i territori. In un certo senso gli artisti astratti utilizzano un approccio simile a quello scientifico: scompongono l'esperienza percettiva nei suoi elementi essenziali, permettendo al chi ne fruisce di comprenderla meglio, ricomponendola, dando al fruitore/cittadino la possibilità di plasmare idee, associazioni e relazioni nuove come risposte emotive ad esse.
Liberazione di linee, forme e colori, e non più su una rappresentazione reale di oggetti, figure e paesaggi, che implode in sé stessa per espandersi travolgendo le città intere ormai trasformate.

Come la musica l'arte astratta oltrepassa i muri ed immerge la gente.
I movimenti del corpo/mente di un essere immerso nello spazio che lo circonda lo avvolge, creando un gioco di tratti e di linee orizzontali, verticali, che attraverso il movimento si volgono in direzioni diverse, macchie di colore che si ammassano e si disperdono.

L'arte che va in strada per aiutare le persone a trasformare e personalizzare i propri territori.







Giancarlo Carpi
Una manifestazione della fase post-storica dell'arte tra simulazione e globalismo

Nel montaggio di questa mostra abbiamo accolto i principali momenti storicamente riconosciuti della storia dell'arte astratta in Italia. Tuttavia la mostra dandosi come un processo critico e di illuminazione orientato verso l'ultima produzione astrattista di alcuni dei più bravi street artist italiani, va a cogliere alcune zone di risonanza in particolare, o cerca di realizzarle. Tra le molte che verranno a mostrarsi nell'allestimento stesso, ne voglio sottolineare alcune più analiticamente.

L’influenza e l’espansione temporale del futurismo

L'astrattismo futurista, nato con le compenetrazioni iridescenti di Balla (e nel contesto simbolista di un Arturo Martini e Romolo Romani), come nuova sintesi tra interazione divisionista tra colori e astrazione, ha poi rappresentato per Balla stesso la possibilità di fondare un ulteriore momento originale della ricerca futurista con il passaggio a forme astratto analogiche intorno al 1914, influenzando immediatamente Fortunato Depero e Enrico Prampolini. Questo carattere dell'astrazione futurista si legava inoltre alla volontà di oltrepassare il limite della finzione e considerare il quadro come un organismo vivo a contatto con la realtà senza il limite della cornice. L'astrattismo analogico futurista era sempre legato a un soggetto, come si vede anche negli asserti di Depero nella sua personale romana del 1916, un “astrattismo floreale", un “astrattismo animale". La permanenza di questo legame, fonda e distingue la ricerca futurista identificandola non nella ricerca di un assoluto spirituale, ma piuttosto nel legame con la sensazione e la “vita" dell'oggetto o della situazione reale rappresentate dall'astrazione (in senso quasi ossimorico). Mentre una corrispondenza in chiave spiritualistica e esoterica, nel senso di astrazione come accesso alla sfera del sovrasensibile, è in Evola e in altro Balla (Traformazione forme e spiriti etc). Scrivevano del resto Balla e Depero, nel 1915 in Ricostruzione futurista dell'Universo: “Vogliamo trovare gli equivalenti astratti di tutte le forme dell'universo". Negli anni Venti, valga da esempio circostanziale un episodio, la partecipazione del veneto Luigi Spazzapan alla capitale Mostra di Arti Decorative e Industriali Moderne di Parigi, nel 1925, dove il futurismo era rappresentato ufficialmente da Balla, Depero, Prampolini (introdotti in catalogo dalla Sarfatti). La mostra, suddivisa in classi di concorso, presentava gli ambiti di applicazione dell'arte al “metallo", al “vetro", alla “ceramica", ai “giocattoli e agli oggetti sportivi", al “teatro di strada e ai giardini", e, alla “strada" (classe 26 Art de la rue). Qui trionfavano le innovative proposte di arte pubblicitaria e affiches di Depero. Spazzapan vinse la medaglia d'argento presentando un “progetto di pittura murale" del quale rivendicava, con il critico Antonio Morassi1, la natura puramente astratta: “Nel 1925 feci il gran colpo a Parigi. Esposi alla grande esposizione internazionale dei pannelli astratti puri (mi dispiace per Soldati che ci tiene così tanto essere il primo astrattista)"2. È il primo esempio italiano di arte murale astratta, intenzionalmente sganciata da ogni riferimento figurativo “Abbandonate, visitando una esposizione d'arte, ogni pregiudizio circa ‘la imitazione dal vero'. Consideratela come rapporto di colori, come gioco di masse, come vibrazioni di linee, consideratela come pura decorazione se volete, e la relazione con la realtà la troverete più tardi"3. Negli anni Trenta in Prampolini specialmente la ricerca astrattista o semi astratta accoglie alcuni spunti del surrealismo francese, declinandosi in senso organicistico, è lui l'unico artista italiano a intavolare un dialogo internazionale con le partecipazioni alle mostre di “Abstraction e Creation" in Francia, 1932-1933-1934. Ma è anche in questi anni trenta che la ricerca astrattista futurista, o in relazione dialettica rispetto a essa, determina la stagione dell'astrattismo comasco, con la pubblicazione di Kn di Carlo Belli 1935, e la Mostra di Pittura Moderna Italiana a Como, Villa Olmo, nel 1936. Rho e Reggiani che vollero poi in più occasioni presentarsi come futuristi, come nella Biennale di Venezia del 1940. Episodio significativo di posizioni irrisolte di confronto tra astrattismo proto concretista e, al contrario, di permanenza della figura nascosta nell'astrazione, è il fatto che per questa mostra Marinetti ordinò un tema prettamente figurativo: “L'aeroritratto simultaneo". Del 1941 il Manifesto del gruppo Primordialisti Sant'Elia, che ufficializza teoricamente l'inclusione nell'aura del futurismo, Franco Ciliberti il teorico di questo nuovo appellarsi a una “unità originaria primordiale" in chiave di rigenerazione del futurismo stesso a un passo dalla sua fine.

La plastica murale e il mimetismo futuristi: la realtà aumentata

Appena altri due elementi, segnalati in chiave di confronto dall'anteguerra con la street art astratta: 1) la plastica murale futurista, come espansione plastica del muro e superamento della semplice finzione a parete, in senso dunque inverso alla attuale ricerca di complementarietà dell'intervento pittorico parzialmente orientato dall'architettura preesistente. E il mimetismo futurista, nato dalle riflessioni Tullio Crali come estetizzazione dell'uso militare, che proviene dalla fotografia di camuffamento di oggetti anni Trenta (a esempio Tato). Ideato da Tullio Crali e dal colonnello Rocco Silvestri nel 1942, fu pubblicato prima con il titolo “Manifesto futurista del perfezionamento del Globo terraqueo", in giugno, e poi in luglio, a firma di Marinetti e Crali, 3. Antonio Morassi, cit. con il titolo “Illusionismo plastico di guerra e perfezionamento della Terra". Vi si legge l'intento di “ingentilire e femminilizzare aggraziandole tutte le durezze le asperità e le brutalità guerresche di paesaggi e urbanismi, di rinvigorire virilizzare e militarizzare tutto ciò che i paesaggi contengono di molle languido voluttuoso carezzevole infantile, di femminilizzare fino alla più svaporata astrazione le sagome e le cubicità concrete e pesanti, di spiritualizzare dovunque la materialità e la volgarità di paesaggi e urbanismi".4 Il mimetismo futurista può allora essere visto in reale chiave anticipatrice della street art astratta, seguendo una interpretazione di Giovanni Lista di “retouching" del reale e di interscambio con la finzione.

Il dopoguerra e l'ufficializzazione della ricerca astratta in Italia, gli ambienti spaziali e l'arte ambientale

    L'indubbio interesse degli astrattisti italiani di Forma1 nell'immediato dopoguerra per l'astrattismo futurista e il futurismo più in generale in chiave di astrazione come rappresentazione dell'energia, sta a testimoniare una mai sciolta continuità con la nostra avanguardia. Al di là poi della continuità reale attraverso il lavoro di Enrico Prampolini fondamentale animatore dell'Art Club. Le istanze astrattiste ebbero la loro ufficializzazione nel 1948 con la mostra “Arte Astratta in Italia", alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, con un comitato d'onore composta da Argan, Palma Bucarelli, Corrado Maltese, Giuseppe Marchiori, Emilio Villa e Lionello Venturi, e una rappresentanza delle principali posizioni delineatesi tra Roma e Milano, tra Forma1, MAC, e gli artisti orbitanti attorno alla galleria del Milione. Ma episodio nuovo di influenza, negli anni cinquanta, dopo il viaggio di Dorazio a New York, è la sua reinterpretazione delle compenetrazioni iridescenti di Balla. Già alla fine degli anni Cinquanta lo portarono oltre le prospettive dell'epoca in chiave di anticipazione della pittura analitica e in dialogo con l'astrazione post-pittorica americana. Da qui una possibile linea tesa fino al lavoro di Sten Lex. Quanto alla coeva (1946) fondazione dello Spazialismo, esso trasborda una linea tutta italiana dell'immaginazione cosmica futurista anni Trenta (Prampolini)5 realizzandola a livello ambientale. Nella dichiarata vicinanza di ispirazione dello street artist astrattista Moneyles verso il movimento fondato da Lucio Fontana, l'illusione di spazi “altri" dentro la spazialità reale appare il legame più evidente (rifluito però dall'era delle simulazioni digitali). Per quanto a me pare che i mezzi cerchi spezzati e ricomposti come in una progressione interrotta - come nel lavoro in mostra - debbano il loro carattere più attuale a una sorta di apertura, verso lo spazio, ottenuta per sottrazione, mutilazione, presenza dell'assenza, come in un feticismo delle forme. In ultimo, sempre in prospettiva di 5. Come documentato e sostenuto da Crispolti. approfondimenti ulteriori della situazione attuale si ricordi il primo affacciarsi in Italia dell'arte ambientale, a Volterra nel 1973 nel progetto ideato dagli artisti e dal critico Enrico Crispolti appositamente per la città e per suscitarne la reazione.

La Neo Geometric Conceptualism americana e il simulazionismo e la Street Art astratta: una nuova manifestazione della fase post-storica dell'arte?

Negli anni Ottanta, in posizione post-pop di recupero dell'astrattismo in chiave non evolutivo lineare ma simulazionista, da Peter Halley e Meyer Vaisman a Sherrie Levine, prende avvio l'ulteriore dialettica con la optical italiana e con il presente di alcuni street artist astrattisti. Mentre una nuova conformazione pop delle texture occorrerà poi in lavori come quelli di Nido e della Montanino (quest'ultima in senso cute) che hanno predecessori nel pop di Kusama e Murakami. La matrice di queste composizioni di street art astratta non deriva tanto dalla storia dell'astrattismo secondo fondamentalmente un dibattito tra astrazione pura, astrazione legata a un soggetto, astrazione concreta, astrazione surrealistica, quanto invece dalle nuove immagini rese possibili dalla tecnologia, e dalla enorme ricerca della moda nel campo delle texture. E, anche là dove il riferimento è piuttosto a un segno archetipico o etnico (a sua volta rifluito dalla strada) come in Etnik, il richiamo effettivo è alla provenienza di questi segni dalla circolazione globale delle immagini piuttosto che da una ascesi formalistica. Similmente nelle proliferazioni a metà strada tra il digitale e la geminazione in Tellas. C'è a volte un connubio tra pattern di matrice tecnologica e digitale e la storia come un richiamo alla optical art in Alberonero, nonché all'astrazione energetica e sensoriale del futurismo in Guè, o anche a certe conformazioni di masse pittoriche tra espansione e macchia burriane di 108. O anche come nell'intervento di Bros che in evidente ripresa futurista di “negazione attiva" si può leggere però piuttosto in chiave di arte relazionale, con questa mostra, come una reversibilità tra il contesto delle altre opere a parete, acquisite e negate, e il muro urbano “negato" dall'intervento. Essendo il suo segno sopra un oggetto relazionale esso è radicalmente immateriale. Dunque questi stili appaiono, nuovamente e in modo diverso che nella Neo-Geo americana, simulanti, ma in modo differente perché l'applicazione architettonica o urbana produce un'apertura verso la globalità degli stili disponibili all'uso diversa dalla sperimentazione strettamente oggettuale della Neo-Geo. E la simulazione, anche se praticata, sembra come giustificata da un campionario di possibilità stilistiche vasto e anonimo. Se, insomma, la storia della pittura che vuole arrivare a mostrare se stessa finisce con l'espressionismo astratto e la coda dell'astrazione post pittorica proposta da Greenberg, e inizia l'era post-storica dove ogni stile è permesso teorizzata da Danto, questa deviazione dalla figurazione all'astrazione nell'arte di strada può essere concepita teoricamente come una messa in opera della fase post-storica ma, operata tramite un richiamo storico all'evoluzione lineare. È come se l'assoluta libertà stilistica introdotta dalla street art, che già di per se può essere considerata una manifestazione “di genere" della fase post storica, si desse ora più precisamente sotto quella chiave di lettura. Quanto alla loro caratteristica di ridefinizione ottica dell'architettura in relazione all'apertura di spazi simulati, essa si aggancia alla loro matrice tecnologica in chiave, a me pare, soprattutto di “realtà aumentata". Gli interessanti interventi di Ligama, su costruzioni diroccate e piccole strutture isolate o semi abbandonate, declinano questa prospettiva anche nel senso di una simbiosi funzionale tra il reale e il digitale, come se il reale dovesse essere non tanto ridipinto ma puntellato, messo in sicurezza da una finzione digitale. Si ha dunque il senso di un mondo in trasformazione, imperfetta. Dove è ormai il reale, non la finzione, l'elemento che ne impedisce la compiutezza, la resistenza, e perciò, adornianamente, dice ancora la verità. Da una dimensione di realtà aumentata si passa piuttosto a una sorta di “realtà sostenuta". Il punto è che in chiave di realtà aumentata interventi come quelli di 2501 sembrano appunto divorare la realtà. A confronto la soluzione di Ligama appare più problematica e critica. Infine guardando ad alcuni interventi a mosaico esterni, di grandi dimensioni di Dorazio, già della fine degli anni Ottanta, verrebbe da chiedersi quali siano le differenze rispetto a questi interventi del 2018. Per forza di cose un ruolo è giocato dal contesto profondamente mutato della nostra percezione umana, per la nostra esperienza quotidiana del digitale e della virtualità. Per giungere a oggi Dorazio, in quel momento avrebbe dovuto in un certo senso assorbire l'esperienza, già virtualizzante, di Christo. Ma per finire mi preme sottolineare ancora un aspetto che mi pare forse il più corretto considerando la street art astratta come una evoluzione della street art e prima del graffitismo, è cioè il molto semplice piegarsi della pittura alle esigenze del supporto, alle inclinazioni dei muri, alla profondità delle finestre. Questa letterale adesione a un supporto preesistente, questa rinunzia alla scelta del supporto in funzione dell'opera, questo considerare il supporto come un limite giusto, è qui il vero contatto con la società, e il suo rispetto. E se i futuristi avevano aperto una finzione nello spazio per poi muoversi, da essa, verso la realtà (il quadro/ cornice di Balla) gli street artist astratti hanno trovato una realtà per poi muoversi, da essa e secondo i suoi limiti, verso la finzione. Queste loro finzioni divoranti assecondano, a volte, particolarmente la struttura preesistente, piuttosto che fermarsi all'effetto di dematerializzazione, ed è in questi casi che i risultati appaiono come di espansione positiva del reale.







Raffaella Bozzini
Da una rivoluzione all'altra

A un secolo dalla sua nascita, la mostra “Abstracta - da Balla alla Street Art" ci offre la possibilità di fare una ricognizione di quella che è stata una delle più incisivA un secolo dalla sua nascita, la mostra “Abstracta - da Balla alla Street Art" ci offre la possibilità di fare una ricognizione di quella che è stata una delle più incisive rivoluzioni della storia dell'Arte: l'Astrattismo.
Conseguenza di un lungo processo iniziato nel Romanticismo, in cui l'Artista passa dal descrivere la realtà esterna a esprimere il sentimento interiore, l'Astrattismo comincia a manifestarsi in un momento storico in cui la voglia di libertà e il coraggio di iniziare a prendersela, si sono sviluppati più che in ogni altro tempo. Figlio della seconda rivoluzione industriale, della nuova velocità che permeava tutto, della nascita della psicanalisi, è uno dei pochi canoni artistici, culturali e politici del ‘900 sopravvissuti nel nuovo millennio.
Era il 1910 quando, racconta Kandinsky: “Il sole tramontava, tornavo dopo avere disegnato ed ero ancora tutto immerso nel mio lavoro, quando aprendo la porta dello studio, vidi davanti a me un quadro indescrivibilmente bello. All'inizio rimasi sbalordito, ma poi mi avvicinai a quel quadro enigmatico, assolutamente incomprensibile nel suo contenuto, e fatto esclusivamente di macchie di colore. Finalmente capii: era un quadro che avevo dipinto io e che era stato appoggiato al cavalletto capovolto. […] Quel giorno, però, mi fu chiaro che l'oggetto non aveva posto, anzi era dannoso nei miei quadri". L'acquarello di Kandinskij - un foglio di carta alto poco più di cinquanta centimetri, che a prima vista sembra lo scarabocchio di un bambino - racchiude un'energia e un senso dello spazio che solo un artista può avere ed eserciterà un influsso inestimabile sull'intero secolo. L'idea era di trovare una ‘nuova armonia', Kandinskij fu uno dei primi artisti che riuscì a liberare l'Arte dalla descrizione della realtà e a sviluppare una poetica, una filosofia, quasi una fede.
La mostra propone un fondamentale percorso dell'arte italiana, quello della linea non-figurativa, dall'inizio degli Anni Dieci sino ai nostri giorni, partendo dal Futurismo, nel cui ambito già si formula una possibilità di arte astratta, per approdare alle successive formulazioni dell'Astrattismo.
I Futuristi italiani lasciarono un'eredità fertilissima fatta di ‘linee forza', di simultaneità, di analitica scomposizione e addizione, di vagheggiate intuizioni cosmiche, di divertimenti meccanici, d'ingranaggi e bulloni. Tutti spunti che sono rintracciabili nelle tante declinazioni del non-figurativo italiano, mutati e assorbiti in altri tentativi di stabilire un nuovo linguaggio.
Da questo momento, l'Astrattismo ha la forza di liberare la fantasia di molti artisti, che si sentono totalmente svincolati dalle norme e dalle convenzioni.
Le esperienze astrattiste trovano nuova vitalità nel secondo dopoguerra, con l'Action Painting, l'Informale e il Concettuale… Nuovi campi di sperimentazione vengono tentati, per rendere esperienza estetica la gestualità, la materia e così via, fino all'Arte Cinetica, che concretizza, per la prima volta, quelli che erano gli assunti teorici del Futurismo e riesce a introdurre la fisicità del movimento nell'opera artistica.
Attraverso l'evoluzione dell'arte astratta si può effettivamente analizzare la rivoluzione più precisa e autentica degli impulsi sociologici di tutto il secolo. Forse mai come nell'arte astratta possiamo leggere, attraverso un'analisi anche simbolica, quali tipi di libertà venivano richiesti o prodotti nel corso del secolo.
Con i tagli di Fontana si giunge a un'ulteriore rivoluzionaria astrazione: “Quando Fontana è tornato dall'Argentina, dopo aver formulato il famoso Manifesto Blanco, allora lì incomincia il grande Fontana astratto. Credo che si possa dire “grande" perché, effettivamente, la sua scoperta di una pittura spaziale, anche in senso materiale di rottura con lo spazio bidimensionale, rappresenta una delle tappe fondamentali dell'arte del secolo scorso, non solo italiana", così Gillo Dorfles sottolineava questo passaggio epocale.
Fu proprio Fontana uno dei fondatori della rivista “QUI arte contemporanea", da cui ebbe origine la Galleria Edieuropa - già Editalia - nel luglio del 1966, insieme a Capogrossi, Colla, Leoncillo e Sadun. Con la partecipazione nel comitato redazionale di Pasmore e Lipton, oltre che storici dell'arte quali Giovanni Carandente, Lorenza Trucchi, Mario Verdone e Marisa Volpi.
Come Edieuropa, nel 2002, organizzammo al Museo del Corso di Roma, la storica mostra “Dal Futurismo all'Astrattismo", in cui il percorso, essenzialmente d'avanguardia, che attraversa le vicende dell'arte italiana del primo Novecento, fu magistralmente declinato da Enrico Crispolti. In tutti questi anni, abbiamo continuato a essere portavoce degli artisti più importanti dell'Astrattismo italiano e internazionale, particolarmente con il gruppo di Forma Uno e con gli artisti della stessa generazione.
Oggi l'Arte è protagonista di un'altra rivoluzione sociologica e comportamentale, quella della Street Art, con gli artisti che escono dai luoghi preposti ed invadono le strade. In questa ricerca di libertà, la Street Art, dimostra ed esplicita la voglia di una libertà di posizione. Ora si esce non soltanto dal tratto, ma anche dal contesto, in cui l'espressione artistica era abituata ad esprimersi. L'arte, che era sempre stata nei musei e nelle gallerie, irrompe nella strada che rappresenta lo spazio più comune e selvaggio della vita urbana. È quindi l'ubicazione dell'arte che aggiunge un livello di astrattismo all'espressione stessa. Perciò è sempre e comunque, un'espressione che chiama, abbraccia e invita alla libertà.
Nata negli anni Ottanta negli Stati Uniti, come evoluzione dei primi episodi di graffitismo urbano, questa particolare corrente è maturata nel corso dei decenni in modo variegato, nutrendosi di un intenso rapporto con la strada, con la dimensione metropolitana e l'ambiente underground. I più recenti sviluppi vedono gli artisti, ormai pienamente consapevoli del proprio ruolo e riconosciuti per la potenza innovativa che il loro linguaggio virale e clandestino ha introdotto nella pratica artistica tradizionale.
Nel 2012 negli spazi della terrazza del MACRO - allora sotto la direzione di Bartolomeo Pietromarchi - insieme allo Studio Fabio Mauri, Associazione per l'Arte l'Esperimento del Mondo - abbiamo prodotto l'opera di Bros, sulla vetrata della terrazza e quella di Ozmo, sul palazzo che vi si affaccia e, insieme anche a Sten e Lex, abbiamo dato vita a Urban Arena, un progetto ideato in più tappe per dare visibilità alla Street Art, che si è poi rivelato uno dei movimenti più attivi e connotati degli ultimi tempi.
Sono molto grata a Giuseppe Stagnitta, Giancarlo Carpi e al Comune di Noto per questa preziosa occasione, che offre una tale panoramica sull'Astrattismo dell'ultimo secolo, e permette una visione ampia dell'evoluzione del gesto e della cultura del nostro tempo.







Marianna Imperatori
A spasso nel tempo: ricordi e aneddoti

Avevo meno di vent'anni quando mi sono affacciata nel mondo dell'arte e della cultura, con gli occhi ancora disincantati di una giovane studentessa. Andavo allora sottobraccio al poeta Diego Valeri a prendere un bicchiere di “Porto" dAvevo meno di vent'anni quando mi sono affacciata nel mondo dell'arte e della cultura, con gli occhi ancora disincantati di una giovane studentessa.
Andavo allora sottobraccio al poeta Diego Valeri a prendere un bicchiere di “Porto" da Aldo Palazzeschi, nello scenario magico ed incantato di Piazza Navona.
Al crepuscolo, il sole scendeva dietro la cupola di Sant'Andrea della Valle e si assaporava quella luce che solo Roma regala ad ogni tramonto.
Il mio primo incontro “illuminante" è stato con Luigi Veronesi. Un uomo piccolo di statura, con la barba. Devo a lui la prima opera della mia piccola collezione, una litografia bianca e blu che ancora oggi conservo gelosamente.
Da milanese, amava Roma. Mi diceva sempre: “Mary ricordati che a Milano si vive per lavorare, a Roma si vive per vivere!".
Questa è una frase che ho fatto mia, e quante volte poi l'ho ripetuta... Ma il primo e vero ingresso nel mondo dell'arte è avvenuto per me negli anni Settanta, quando è iniziata la collaborazione con la galleria Editalia, oggi Edieuropa, fondata e diretta dall'Avvocato Lidio Bozzini.
Uomo d'altri tempi, di raffinata cultura, grande mecenate, ancora oggi lo ricordo con tantissimo affetto e profonda stima…ha creduto in me, allora giovanissima e alle prime esperienze. In quegli anni con lui sono cresciuta professionalmente affiancandolo ad ogni passaggio (la rivista QUI arte contemporanea, le mostre, le fiere). E poi, la mia vita privata andava di pari passo. Tutto è partito da li, tutto è iniziato grazie a lui.
Tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80 nella sede storica della galleria in via del Corso 525 sono passati tanti artisti. La porta era sempre aperta: c'era chi si fermava per un saluto e poi proseguiva in studio o chi entrava e “scrutava" la mostra in corso, il tempo di un caffè e di uno scambio di battute. C'era un fermento di idee, di incontri e scontri, una voglia d'arte che rispecchiava a pieno la rivoluzione artistica degli anni Settanta, forse il decennio più complesso dell'arte italiana del ‘900.
Tra i numerosi artisti che ho avuto il privilegio ed il piacere di conoscere il mio affetto più grande è per Fausto Melotti. Un ricordo indelebile il suo.
L'ho incontrato nel 1976, in occasione della sua personale in galleria ed “Il Viaggio della luna", una delle sculture esposte, in ferro di circa un metro, mi rapì completamente per poesia e liricità.
Era letteralmente innamorato dei giovani, della loro freschezza e curiosità. Quando parlava gli occhi gli sorridevano. Con la sua delicatezza d'animo riusciva a far scomparire quella soggezione che si ha dinanzi ad un grande Maestro. Per lo meno ci è riuscito con me che avevo oltre cinquant'anni di meno, mezzo secolo!
È con lui che ho imparato che gli uomini più sono “grandi"- forse perché forti della propria forza - più sono umili.
E poi gli artisti del Gruppo Forma 1… “Marxisti e Formalisti".
Li ho conosciuti nel 1977, in occasione della mostra in galleria: “Forma 1. Trent'anni dopo". È stato bello vederli lavorare assieme, allestire la mostra, artisti già all'epoca importanti e consacrati nel mondo dell'arte, che “litigavano" per una o l'altra parete del salone della galleria.
I tre siciliani Carla Accardi, Antonio Sanfilippo e Pietro Consagra, il mantovano ma veneziano di adozione Giulio Turcato, ed i due romani, i più giovani del gruppo: Piero Dorazio ed Achille Perilli. Nel 1947 firmarono il manifesto che uscì nel primo numero della rivista “Forma"; allora c'erano anche Ugo Attardi e Mino Guerrini, poi lasciarono.
Carla Accardi, unica donna del gruppo, minuta e dagli occhi profondi. Non appena parlava si percepiva in lei un'energia dirompente. Bei momenti, e che risate insieme quando a volte ci si incontrava per l'aperitivo di mezzogiorno all' enoteca Buccone, in via di Ripetta, dietro la galleria.
Ricordo che in fase di allestimento della mostra, durante gli scherzosi “scontri" dei protagonisti, da donna lungimirante quale era, per stemperare gli animi, si mise da parte dicendo: “Io vado nella sala più piccola". Ed alla fine, comunque, la sua opera - da lei chiamata - “Primavera" in sicofoil trasparente, con il telaio dipinto e composto da quattro quadrati incrociati a rombo, fu quella messa più in risalto dell'intera mostra!
Ho per Antonio Sanfilippo un'ammirazione sconfinata. È stato un grandissimo artista, che per troppo tempo è rimasto “adombrato" dal “segno" di Carla Accardi (sua moglie), ma oggi è balzato nuovamente - e finalmente - all'attenzione della critica internazionale.

    Tutti i giorni, per un mese, durante l'organizzazione della mostra, passava in galleria ed il tempo con lui volava in tante chiacchiere. Era un uomo schivo, forse proprio perché provato dalla vita, ma, giorno dopo giorno, si apriva sempre più, fin quando mi permise di visitare il suo studio per ritirare delle opere per la mostra. Mi emozionai! Tornai in galleria con cinque tele, non di grandi dimensioni, un paio con il telaio e le altre tre piegate in quattro come un tovagliolo.
Ed alla fine, con somma e stupefatta gioia da parte di tutti noi, si presentò il giorno dell'inaugurazione a festeggiare con gli storici “compagni di avventura".
Ho conosciuto Giulio Turcato nel 1976, in occasione della mostra organizzata per festeggiare i “Dieci Anni" della galleria. Nel 1979, eravamo insieme all' “Expo Arte Fiera del Levante" di Bari: l'Editalia gli dedicò l'intero stand, davvero una bellissima personale.
Era l' artista più importante della fiera e così, la sera dell'inaugurazione ci sedemmo per cena nel tavolo principale della manifestazione, noi e le autorità che presenziavano l'evento. Io ero emozionatissima, lui niente affatto. Anzi forse anche un po' “scocciato". Ricordo i suoi occhi sgranati. Però ancora sorrido se penso a come si sciolse in auto quando, per tornare in albergo, ci perdemmo in strada, di notte, nelle campagne baresi.
Del resto Turcato era un personaggio davvero singolare. La parlata veneta lo rendeva divertente ed accattivante anche quando si irritava. La sua era una simpatia ragionevole ed irragionevole. Dotato di una fantasia trasgressiva, estrosa, divertente, lo si vedeva in giro per Roma sempre con il basco in testa ed il suo lungo cappotto marrone.
Turcato era Turcato!
Rimpiango di non essere mai andata a trovare Piero Dorazio nel suo studio nell'antico convento di Sant'Angelo a Todi, eppure mi aveva invitata più volte, anche per assaggiare il vino che produceva e di cui andava fiero, ne parlava sempre. Lo “Scacciadiavoli".
Fra tutte le sue mostre tenute in galleria, quella che più mi colpì fu senza dubbio la personale del 1978. Bellissima! Opere molto grandi, di tela grezza, per lo più dipinte di blu, uniformi, dalla stesura orizzontale composta di piccole “taches", di misure e colori diversi. Un discorso pittorico incentrato sul colore.
E poi Pietro Consagra nel suo studio in via Cassia a Roma, per la preparazione della mostra “Bianco e Nero", organizzata in galleria nel 1993. La materia del marmo, da lui sapientemente lavorata, portò il colore in una mostra che, per sua stessa natura, ne era priva. Ciò che più spiccava agli occhi era senza dubbio la potenza e la forza espressiva del suo gesto.
Achille Perilli, l'unico ancora in vita del gruppo, burbero all'apparenza, ma con la sua simpatica “bonomia" romana, schietta e diretta. Lo ricordo con il sorriso, che mi prendeva in giro, e mi chiamava “Lady Italia"…dal nome della galleria Editalia.
Nell'ambito della manifestazione “Percorsi" del 1995, organizzata dall'associazione delle gallerie romane A.R.G.A.M., espose con Laura Barbarini, Ignazio Gadaleta ed Enzo Scolamiero: aveva una attenzione particolare per i giovani artisti ed amava dialogare con loro. Ciò che mi ha sempre colpito nelle sue opere è l'importanza data al valore di superficie e all'autonomia sintattica dei segni, mettendo però in discussione la pura bidimensionalità della pittura attraverso la distorsione della forma geometrica.
Gastone Biggi, i suoi “Cieli" dalla stesura armonica del colore, i suoi ritmi e le vibrazioni musicali da cui scaturiscono giochi di movimenti e luci riflesse sulla superficie.
Ricordo una cena, in una bella sera d'estate, nella cucina di casa sua. L'odore fresco della vernice da lui utilizzata per dipingere tutti i mobili di blu.
Mario Nigro, Claudio Verna, Paolo Cotani, Ermanno Leinardi, e potrei continuare davvero con molti altri ma lascio per ultimo, ma non da ultimo, Guido Strazza, che ho conosciuto circa quarant'anni fa, ma che ancora oggi è una presenza costante, importante ed affettuosa per tutte noi “ragazze" - come continua a chiamarci - della Galleria Ediuropa!







Gian Paolo Seghezza
Il MAC e l’astrattismo del primo dopoguerra

L’astrattismo italiano nasce sulla fine degli anni trenta come diretta evoluzione del futurismo dal quale eredita: una parte del senso del dinamismo, la costruzione spaziale dell'immagine e l'uso del colore con campiture uniformi. Tuttavia in quell'avanguardia, astratta italiana, già dalla metà degli anni 30 è ben presente la lezione del De Stijle (Radice, Reggiani, Soldati,Veronesi, Munari) e del Surrealismo informale (MazzL'astrattismo italiano nasce sulla fine degli anni trenta come diretta evoluzione del futurismo dal quale eredita: una parte del senso del dinamismo, la costruzione spaziale dell'immagine e l'uso del colore con campiture uniformi.
Tuttavia in quell'avanguardia, astratta italiana, già dalla metà degli anni 30 è ben presente la lezione del De Stijle (Radice, Reggiani, Soldati,Veronesi, Munari) e del Surrealismo informale (Mazzon, Gillo Dorfles, Monnet ed in parte Prampolini).
Il loro vate era Carlo Belli che nel suo “Kn" (vero e proprio manifesto dell' Astrattismo); nel quale, pur riconoscendo la matrice nordica nell'astrazione in genere, inquadra le tendenze italiane come punto estremo della ricerca futurista.
Nella sua disamina vede in questa modalità espressiva una continuazione anche ideologica ed applicata del futurismo, anche come esaltazione della presunta capacità rivoluzionaria del Fascismo. In tale ottica si può inquadrare la concezione utilitaristico- pratica delle arti proprie di “Regime", penso a: Regina, Carla Badiali, Bice Lazzari ed alla frequente applicazione del loro lavoro in manufatti di uso comune.
Forse per questo Carlo Argan, ancora negli anni sessanta, tendeva a negare all'astrattismo una valenza artistica assoluta, riconoscendogli più finalità decorative “per la prima volta s'è posto il problema di un'arte che non adorna o consola, ma positivamente concorre ad elevare il tenore di vita degli uomini; che li soccorre nel loro lavoro quotidiano, che non chiede di essere interpretata, rivissuta, capita, ma di essere soltanto utilizzata; che in fine si propone di concorrere a determinare negli uomini un'attitudine attiva, e non più contemplativa o ammirativa, nei confronti della realtà" (forse pensando a Le Corbusier ed ancor prima a Walter Gropius), tuttavia ritengo si riferisse più che altro al periodo storico ed alla stagione politica in cui si era trovava allora ad operare negli anni antecedenti l'ultimo conflitto.
Nel primo dopo guerra il panorama artistico italiano vede una forma di dicotomia ideologica nelle arti figurative, e non solo, che rispecchia i soggetti principali della nuova fase politica: le tendenze post cubiste di Guttuso, a sostegno degli ideali della sinistra, in contrapposizione ideologica al figurativo post-romantico di Sciltian; trascuro l'apporto della metafisica nel contesto artistico culturale italiano poiché ritengo che il solo De Chirico abbia saputo dargli un senso compiuto.
In questa realtà a Milano nel Dicembre del 1948 un gruppo di artisti astrattisti dà vita al “MAC" Movimento di Arte Concreta, definizione concettualmente allineata ad un pensiero del De Michelis: “verso gli anni trenta hanno pensato di sostituire il termine astrattismo col termine concretismo, essendosi accorti che parlare di arte astratta era perlomeno improprio; infatti un'immagine annunciata sulla tela o realizzata in materiale plastico, per quanto astratta, è già di per sé concreta; in più l'astrattismo puro, non ispirandosi in alcun modo alla realtà naturale e quindi non ricavando da essa alcun elemento, cioè non essendo il risultato di un'astrazione ma la proposta di una nuova realtà, si pone logicamente fuori da tale denominazione".
Gli artisti che vi aderirono, sostanzialmente apolitici, trovavano proprio in questa posizione ideale la differenza dagli artisti in qualche modo allineati.
Per questo si ritenevano più in debito verso le correnti dell'astrazione nordica degli anni venti e trenta che verso il Futurismo nostrano, pur non negando un suo influsso esclusivamente estetico.
Il movimento, nei suoi dieci anni di vita, ha visto transitare nelle proprie file un numero ragguardevole di artisti che si raccolsero in gruppi locali territoriali: Milano, Torino, Roma, Genova per citare i principali.
Tuttavia in seguito molti di loro hanno intrapreso altre strade espressive, penso a Gianni Bertini che, dopo un periodo di alcuni anni (un paio) di astrazione concreta, trovò nella Mac-Art un transito verso l'arte concettuale.
Al movimento aderirono pittori, scultori ed architetti; ciascun artista a sua volta praticò discipline diverse, dando all'astrattismo un'intensa funzione interdisciplinare.
Tuttavia, sulla fine degli anni cinquanta, le nuove ricerche informali di provenienza anglosassone, intrise di una materica gestualità istintiva ed espressionistica, attrassero molti artisti del MAC, che forse aveva finito la sua funzione di transizione tra l'arte italiana precedente e successiva alla seconda guerra mondiale. Così sulla fine degli anni cinquanta il movimento si esaurì.
C'è da ricordare che grandissima è stata la sua influenza sul design, molti dei nostri oggetti di uso quotidiano hanno nel proprio DNA l'astrattismo di quegli anni.
L'attuale ritorno alla pittura come tentativo di rivincita dell'estetica sulla concettualità ossia di un'estetica al servizio della concettualità e non viceversa, in cui ben s'inquadrano le nuove tendenze della Street Art Astratta, penso rientri nel desiderio dell'uomo d'oggi di evasione dai mille turbamenti di una società che stenta a trovare una coerente linea di sviluppo sociale e culturale.







Gian Paolo Seghezza
Luigi Veronesi 10 fotogrammi e fotografie
dal 1936 al 1947

Ho sempre pensato a quale turbamento portò l’invenzione della fotografia tra gli artisti del XVIII secolo; tutte le forme di riproduzione della realtà, sia ai fini ritrattistici che documentaristici, venivano ormai demandate a quello strumento così preciso e… così economico.
La possibilità di trasferire la realtà esterna su di un piano, delle dimensioni volute, era nota ed utilizzata da secoli (Canaletto ne faceva largo uso); tuttavia allora si usava quello strumento solo come base per aumentare il realismo delle figurazioni pittoriche. Come ebbe a scrivere Veronesi “…il fotogramma ebbe origine quando un raggio di luce, per la prima volta, incontrò sul suo percorso una cosa e creò un'ombra".
Tuttavia verso la fine del 1800 alcuni artisti come il francese Étienne Jules Marey, il britannico Eadweard Muybridge e successivamente l'italiano Anton Giulio Bragaglia incominciarono a studiarne applicazionTuttavia verso la fine del 1800 alcuni artisti come il francese Étienne Jules Marey, il britannico Eadweard Muybridge e successivamente l'italiano Anton Giulio Bragaglia incominciarono a studiarne applicazioni diverse cercandole in una nuova dimensione quella del dinamismo, da cui molto attinse il Futurismo.
Ma la vera ricerca su di un uso artistico dell'immagina fotografica si deve alla scuola del Bauhaus fondata nel 1919 che vide all'opera grandi maestri come: Làszló Moholy-Nagy, Florence Henri e Cesar Domela, solo per citarne alcuni.
Riferendosi a questi Veronesi ebbe a scrivere “è notevole e significativo che i primi, pochissimi sperimentatori di questa disciplina, negli anni fra le due guerre, siano in maggioranza dei pittori…" con questo spirito e sentendosi profondamente pittore portò avanti la sua personale ricerca. amente legata al surrealismo e quella estetica all'astrazione .
Anche Veronesi si atterrà rigidamente a questi due assiomi: nel nostro caso rinunciando all'uso della macchina fotografica, intesa come strumento di riproduzione di qualche cosa che esiste di perse (quindi copia), ed inserendo un suo intervento diretto nella costruzione di un sogno che così si realizza.
La tecnica usata, come ebbe più volte a dire, è semplicissima: l'oggetto posato su una superfice fotosensibile e quindi illuminato, permette a questa superficie di registrare trasparenze, spessori, ombre, luci e riflessi in una gamma ricchissima di affascinanti variazioni, e possibilità espressive.
Con questo sistema, unito ad una grande capacità tecnica ed a una allegra curiosità, l'artista diede vita alle immagini che si possono ammirare in questa esposizione; frutto della collaborazione tra Veronesi e la Galleria “Martini & Ronchetti" di Genova.
Nelle opere esposte si possono riconoscere vari oggetti scelti con cura (garze, reticoli, molle, spirali e quant'altro gli dettava la fantasia) posti in una scansione armonica quasi ritmica, in alcuni casi utilizzando anche il movimento; qui perdono la loro realtà oggettuale per assumere solo una valenza grafica.
Ebbi modo di incontrarlo due volte :una durante la realizzazione di queste opere ed una seconda volta presso la Galleria Valente di Finale Ligure (SV) per una sua personale di lavori astratti tra il 1950 ed 1970. Pur essendo avanti negli anni ricordo ancora quegli occhi luminosi e curioni sempre alla ricerca di nuova conoscenza, la conversazione spaziava con disinvoltura tra arte figurativa, musica e cultura generale in un'eterna ricerca di sintesi “costruttiva". Mi tornano alla mente quelle sue trasposizioni cromatiche di partiture musicali, tradotte in rapporti tonali di colore, frutto di una ricerca sui rapporti matematici delle note musicali.
Per concludere ritengo untile ed esplicativa, per comprendere l'uso della tecnica fotografica da parte di Veronesi, la definizione sul “fotogramma" data da Moholy-Nagy nel 1936 nella rivista “Telehor" e volutamente da lui riportata nel volume “ Fotogrammi e Fotografie" (editore Einaudi) ed in cui le opere in mostra sono pubblicate: “Il fotogramma, cioè l'immagine luminosa ottenuta senza la macchina fotografica, è il segreto della fotografia. In esso si rivela la caratteristica unica del procedimento fotografico che permette di fissare immagini di luce ed ombra su di una superficie sensibile senza l'aiuto di alcun apparecchio. Il fotogramma apre nuove prospettive sul linguaggio visivo finora completamente sconosciuto e governato da leggi proprie. Nella lotta per giungere ad un nuovo modo per vedere le cose, il fotogramma è un'arma del tutto smaterializzata".







Compenetrazione iridescente

GIACOMO BALLA - Compenetrazione iridescente, 1912






Linea di velocita

GIACOMO BALLA - Linea di velocità+cielo+rumore, 1913






Motivo geometrico

GERARDO DOTTORI - Motivo geometrico, 1921 ca.






Depero astrattista guerra guerra

FORTUNATO DEPERO - Depero astrattista guerra guerra, 1915






La parola oscura

JULIUS EVOLA - La parola oscura, 1920 ca.






Ali ed eliche nello spazio

ARTURO CIACELLI - Ali ed eliche nello spazio, 1929






Drammaticità di esplosione

ENRICO PRAMPOLINI - Drammaticità di esplosione, 1940






Isole nello spazio

ENRICO PRAMPOLINI - Isole nello spazio, 1932 ca.






Senza titolo

MAURO REGGIANI - Senza titolo, 1935






Senza titolo

MANLIO RHO - Senza titolo, 1935






Veronesi1                                 Veronesi2
LUIGI VERONESI - 10 Fotogrammi e fotografie dal 1936 al 1947





Veronesi3                                Veronesi4
LUIGI VERONESI - 10 Fotogrammi e fotografie dal 1936 al 1947





Veronesi5                                Veronesi6
LUIGI VERONESI - 10 Fotogrammi e fotografie dal 1936 al 1947





Veronesi7                                Veronesi8
LUIGI VERONESI - 10 Fotogrammi e fotografie dal 1936 al 1947





Veronesi9                               Veronesi10
LUIGI VERONESI - 10 Fotogrammi e fotografie dal 1936 al 1947











Senza titolo

ATANASIO SOLDATI - Senza titolo, 1940 ca.






Composizione

MARIO RADICE - Composizione, 1945






Senza titolo

ANTONIO SANFILIPPO - Senza titolo, 1948






Senza titolo

ALBERTO MAGNELLI - Senza titolo, 1943






Motivi

CORRADO CAGLI - Motivi, 1949






Senza titolo

QUIRINO RUGGERI - Senza titolo, 1954






Senza titolo

JOSEPH JAREMA - Senza titolo, 1950






Superficie 736

GIUSEPPE CAPOGROSSI - Superficie 736, 1950






Info Mostra
ABSTRACTA

Museo Gagliardi – Palazzo Trigona
Noto

Date della mostra
15 giugno – 30 settembre 2018