Alberonero
70 toni, 2017
acrilico su tela, 150x200 cm
Rendere Noto una “Città d'Arte" è un progetto che la mia amministrazione comunale
porta avanti con passione e lungimiranza ormai da anni, consapevole di
quanto possa essere difficile e tortuoso il cammino da fare.
Ed è in questo lungo cammino che lo stile Barocco della Noto iscritta alla World
Heritage List incontra Abstracta, una mostra futurista dedicata all'astrattismo italiano
che bene si sposa nel grande contenitore artistico della nostra città. Siamo molto
contenti di ospitare una mostra dal respiro internazionale e di proseguire la collaborazione
con Giuseppe Stagnitta, già curatore a Noto di altre mostre, e accogliere
anche gli altri curatori Giancarlo Carpi e Raffaella Bozzini, mettendo a loro disposizione
quella Sala Gagliardi che non solo porta il nome di uno degli architetti che
contribuirono alla rinascita di Noto dopo il terremoto dell'11 gennaio 1693, ma che
rappresenta per noi un luogo di incontro e una terrazza sul nostro centro storico.
Dialogo è sinonimo di confronto e di crescita e le opere esposte nella nostra città
contribuiranno ad alzare ancor di più il livello artistico e culturale di Noto. E poi
c'è quella street art che in molti tendono a sminuire. Non è così e anche in questo
caso posso dire che Noto è stata una città precursore. In alcuni punti della nostra
città, infatti, opere di street art hanno colorato muri grigi e anonimi lanciando anche
messaggi sociali o più semplicemente ricordando persone importanti della nostra
comunità.
Siamo consapevoli di accogliere a Noto opere di grandi artisti come Sten Lex,
Etnik e Gué, accogliendo una mostra che immerge completamente nell'Astrattismo
italiano. Uno stile che ha già una sua identità. Proprio come Noto.
Corrado Bonfanti
Sindaco di Noto
Abstracta è un progetto ambizioso.
Un progetto che vuole far emozionare e far riflettere. Un progetto di avanguardia
che sa anche riscoprire la memoria.
Avanguardia e Memoria: è questo l'orizzonte del percorso di rinascita di Noto e
del Val di Noto. E Abstracta va proprio in questa direzione.
Lo straordinario lavoro di Giancarlo Carpi e Raffaella Bozzini, che sono stati i curatori,
e la competente passione, che ormai conosciamo per una assidua collaborazione,
di Giuseppe Stagnitta hanno prodotto un validissimo prodotto culturale capace
di mettere insieme grandi nomi e giovani talenti, di far dialogare l'arte moderna con
la street art, la memoria con l'avanguardia. Tutto questo è un fondamentale risultato
culturale che da solo vale la visita alla mostra.
Ma il progetto come dicevo ha anche altre ambizioni.
La scelta dello spazio espositivo è una scommessa notevole che darà, sono certo,
risultati interessanti, perché da un lato valorizza ed esalta ancora di più uno spazio
storico e dall'altro si pone come location strategica nella visione di unire la parte più
conosciuta di Noto allo straordinario scrigno, ancora poco conosciuto ai tanti visitatori,
che è il piano alto.
Infine, ma non meno importante, è la grande attività di sintesi e di stimolo che
Emergence sa offrire, ponendosi quale elemento capace di far incontrare, dialogare
e sollecitare verso ardite nuove “visioni" gli artisti locali insieme a maestri già affermati
e giovani emergenti.
Vi aspettiamo a Noto, nel segno dell'astrattismo e del tanto concreto che sa generare.
Buona mostra a tutti
Frankie Terranova
Ass. alla Cultura della Città di Noto
Un secolo di astrattismo italiano
ABSTRACTA
da Balla alla Street Art
La mostra descrive l'evoluzione dell'Astrattismo italiano, che nasce con i primi
esperimenti di Giacomo Balla con una serie di quadri denominati “compenetrazioni
iridescenti" del 1912 per passare all'astrattismo analogico dello stesso Balla,
di Fortunato Depero, Julius Evola e in parte di Enrico Prampolini e Gerardo Dottori,
nella seconda metà degli anni Dieci, fino alle sperimentazioni di Prampolini in chiave
di “idealismo cosmico", negli anni Trenta, con riflessi anche sulla produzione coeva
di Arturo Ciacelli.
L'esposizione presenterà poi gli artisti che negli anni Trenta descrissero l'elaborazione
astratta intorno alle teorie di Kn di Carlo Belli, tra Milano e Como, Carla Badiali,
Alberto Magnelli - questi secondo una personale inclinazione all'astrazione risalente
agli anni Dieci - Fausto Melotti, Mario Radice, Mauro Reggiani, Manlio Rho, Atanasio
Soldati, Luigi Veronesi.
Nel complesso clima dell'immediato dopoguerra, fino a tutti gli anni Cinquanta,
la mostra procede per decenni intersecando gli esponenti dei due principali gruppi
astrattisti dell'epoca, Forma e MAC, Carla Accardi, Pietro Consagra, Piero Dorazio,
Achille Perilli, Giulio Turcato, Antonio Sanfilippo, e, per il MAC, tra Milano, Torino e
Firenze, Gianni Bertini, Annibale Biglione, Oreste Bogliardi, Enrico Bordoni, Angelo
Bozzola, Nino Di Salvatore, Albino Galvano, Jean Leppien, Mario Nigro, Ideo Pantaleoni,
Adriano Parisot, Bruna Pecciarini, Regina, con la produzione coeva di alcuni
astrattisti fondatori dell'Art Club, Enrico Prampolini, Joseph Jarema, fino ad alcuni
esponenti dello Spazialismo, Lucio Fontana, Roberto Crippa, e alle espressioni di artisti
più anziani di ascendenza figurativa come Corrado Cagli e Quirino Ruggeri, fino
ancora al principale esponente di Origine, Giuseppe Capogrossi, con una apertura
verso l'informale di Afro Basaldella, nonché verso il percorso originale, tra informale
e astrazione lineare, di Bice Lazzari.
Nella parte dedicata agli anni Sessanta, vengono delineate le ulteriori proposizioni
astrattiste del Gruppo 1, Gastone Biggi e Achille Pace, fino alle esperienze, tra
Sessanta e Settanta, dell'arte cinetica e ottica, da Getulio Alviani ad Alberto Biasi a
Grazia Varisco. Tra Sessanta e Settanta, la mostra presenta anche le declinazioni di
pittura analitica o “radical painting" di Claudio Verna, Paolo Cotani e Marcia Hafif, e
l'astrazione fenomenica di Michele Cossyro.
Come ponte verso le espressioni di Street art astratta più recenti, situate entro
coordinate post-pop, la mostra presenta l'Astrattismo pop di Davide Nido, Roberto
Pan, Alberto Parres e Veronica Montanino. Fino agli ultimi esperimenti di astrattismo
nella Street Art con 108, GUÈ, CT, Etnik, Moneyless, 2501, Sten Lex, Alberonero,
Ligama, Tellas e Bros.
Focus sul rapporto tra astrazione e spazio, tra Balla, Fontana e Street Art Astratta
L'astrattismo in ambito italiano nasL'astrattismo in ambito italiano nasce con i primi esperimenti di Giacomo Balla
realizzati per studiare i rapporti tra i colori e la luce. Una serie di studi denominati
“compenetrazioni iridescenti". La mostra, partendo dalle sperimentazioni di Balla
degli anni Dieci, sviluppa un secondo momento centrale nella riscoperta in Italia
dell'astrattismo balliano alla fine degli anni Quaranta. Esso influenzò i principali gruppi
sperimentali dell'epoca portandoli verso quella direzione di ricerca, specialmente
Piero Dorazio che sviluppò la sua ricerca sulle texture ispirandosi alle compenetrazioni
di Balla. In dialogo con la linea principale tracciata dalla mostra, sarà inserito
il lavoro di Lucio Fontana, sia in direzione retrospettiva, legandolo alle ricerche sullo
spazio e il superamento del confine della cornice, inaugurate dai Balla e Depero con
il Manifesto Ricostruzione Futurista dell'Universo (1915), sia in direzione dell'attualità
nella ricerca sullo spazio e nello spazio degli street artist, anche attraverso il riferimento
storiografico all'esperienza sperimentale della plastica murale futurista degli
anni Trenta.
Il percorso storico che racconta l'evoluzione dell'astrattismo italiano arriva ad oggi
con l'arte che va in strada diventando di tutti nel tentativo di una democratizzazione
dell'arte: la Street Art. Risposta spray alla produzione capitalistica, una risposta selvaggia
che cancella, travolge, tutti i messaggi della rivoluzione di massa. Bypassare
i luoghi che vivono il gioco perverso dell'economia e della finanza, come i Musei e le
Gallerie, è la regola di questi artisti per creare un filo diretto tra “creazione artistica"
e “fruizione" senza compromessi. Si afferma una vera e propria controcultura, l'arte
diventa popolare, non più in mano all'ambiente colto, borghese e soprattutto al
“mercato dell'arte", ma per “tutti" nel tentativo di abolire la proprietà privata, rivendicando
le strade e le piazze per una democratizzazione dell'arte e della cultura. Nasce
così la Street Art, come definizione comunemente utilizzata, per inquadrare tutte le
manifestazioni artistiche compiute in spazi pubblici. A differenza del writer, lo street
artist non vuole imporre il suo nome, ma intende dare vita ad un processo creativo
che si contestualizzi nello spazio che lo circonda, creando un impatto e interagendo
con un pubblico diversificato, che diviene inconsapevole spettatore di un'opera d'arte.
Paradossalmente nasce e si evolve un numeroso gruppo di street artists, che apparentemente
contraddice la concezione pop dell'arte di strada (iconografia semplice
leggibile da tutti), che lavora utilizzando un linguaggio astratto che inizia a giocare
con l'architettura delle città coinvolgendola nell'opera: la Street Art Astratta. La
mostra affronta problematicamente questa nuova situazione storica, anche tramite
una campionatura degli stilemi astratti storicizzati per attuare un confronto stilistico
con opere che, di fatto, vogliono proporsi anche negli spazi museali e galleristici,
esprimendo così uno spostamento concettuale rispetto alla loro collocazione originaria,
riattivando una dialettica tra Museo e Strada ormai centenaria.
Giuseppe Stagnitta
Oltre il muro
I movimenti, sia nell'ambito artistico che in quello sociale, sonoI movimenti, sia nell'ambito artistico che in quello sociale, sono azioni di gruppo e
collettive che tendono a perseguire obiettivi di trasformazione della società in cui
nascono e che rappresentano pienamente, carichi di forze innovative e di cambiamento.
Il fenomeno del Graffittismo nasce proprio in questa linea, in scia con quell'atmosfera
di grande libertà e protesta della New York degli anni '70, e raggiunge un
successo immediato, in una città stanca di un'arte nata dalla cultura artistica, creata
e portata avanti dal mondo dei bianchi. Rappresenta, come già il jazz, una rivincita
culturale dei neri e degli emarginati, un soffio di nuova energia, di nuova creatività,
con quel tanto eversivo di proibito, di underground, che ne fa un fiore all'occhiello
della New York bene che inevitabilmente finisce per distruggere tutta la carica.
Risposta spray alla produzione capitalistica, una risposta selvaggia che cancella, travolge, tutti i messaggi della rivoluzione di massa.
Dal '73 il fenomeno dell'arte di frontiera entra prepotentemente nel sistema dell'arte, acquistando una popolarità così vasta che esplode in tutto il mondo, coinvolgendo non solo i graffittisti ma artisti di varia natura che scendono in strada per comunicare in modo libero, distaccandosi da un sistema esasperato dal consumo. Bypassare i luoghi che vivono il gioco perverso dell'economia e della finanza, come i Musei e le Gallerie, è la regola di questi artisti per creare un filo diretto tra “creazione artistica" e “fruizione" senza compromessi.
Si afferma una vera e propria controcultura.
L'arte diventa popolare, non più in mano all'ambiente colto, borghese e soprattutto al mercato dell'arte.
Arte per tutti.
Abolire la proprietà privata, rivendicando le strade e le piazze per una democratizzazione
dell'arte e della cultura, diventa la parola d'ordine.
Nasce così la Street Art, come definizione comunemente utilizzata, per inquadrare
tutte le manifestazioni artistiche compiute in spazi pubblici. A differenza del writer, lo
street artist non vuole imporre il suo nome, ma intende dare vita ad un processo creativo
che si contestualizzi nello spazio che lo circonda, creando un impatto e interagendo
con un pubblico diversificato, che diviene inconsapevole spettatore di un'opera d'arte.
Il fenomeno della street art è strettamente associato alla cultura Underground,
ricca a sua volta di numerosi elementi legati a forme espressive di carattere urbano,
che permette l'interazione in un fertile scambio di idee.
Street art fenomeno in continua evoluzione che dalla protesta passa alla riqualificazione
dei luoghi degradati, la street art infatti vive una nuova fase oggi, che definirei
più umanitaria e sociale, trasformandosi in arte necessaria ed utile alla collettività.
L'arte si avvicina alla gente non più per protesta, narcisismo o carriera, ma per riqualificare
spazi pubblici altrimenti degradati da una cattiva azione dell'uomo sul territorio.
In questa linea nasce e si evolve un numeroso gruppo di street artists, che apparentemente
contraddice la concezione pop dell'arte di strada (iconografia semplice
leggibile da tutti), e che lavora utilizzando un linguaggio astratto che inizia a giocare
con l'architettura della città coinvolgendola nell'opera: la Street Art Astratta.
L'arte va incontro alla gente per aiutarla a cambiare il volto dei territori e la vivibilità
degli stessi, accompagnandoli in quel cammino che li porta a riappropriarsi della
propria dignità culturale e sociale: questo è il potere dell'Arte!
Una rivoluzione copernicana che si trasforma in Arte Pubblica, lontana dalle
idee iniziali della street art, e che si avvicina sempre di più a quella Architettura che
nobilita la città dal basso e che si esprime nello spazio esterno attraverso la sua immagine
resa comunicazione. Architettura capace di interagire non solo visivamente,
ma anche fisicamente con il fruitore/abitante/viaggiatore, suggerendo delle nuove
modalità d'uso ed un ampliamento tematico della nozione stessa di spazio pubblico
con una nuova iconografia e dei nuovi termini epistemologici.
Potenza dell'arte, energia visionaria che prova ad assorbire, inghiottire, per pochi
minuti il passante, il viaggiatore che attraversa la città che si trasforma in opera e
per cui in vissuto creativo. E l'arte astratta ben si immerge in questo contesto, arte
che si espande nei muri dei palazzi entrando dalle finestre, andando oltre i muri, per
incontrare ed “interagire" con la gente che vive i palazzi, i territori. In un certo senso
gli artisti astratti utilizzano un approccio simile a quello scientifico: scompongono
l'esperienza percettiva nei suoi elementi essenziali, permettendo al chi ne fruisce di
comprenderla meglio, ricomponendola, dando al fruitore/cittadino la possibilità di
plasmare idee, associazioni e relazioni nuove come risposte emotive ad esse.
Liberazione di linee, forme e colori, e non più su una rappresentazione reale di
oggetti, figure e paesaggi, che implode in sé stessa per espandersi travolgendo le
città intere ormai trasformate.
Come la musica l'arte astratta oltrepassa i muri ed immerge la gente.
I movimenti del corpo/mente di un essere immerso nello spazio che lo circonda
lo avvolge, creando un gioco di tratti e di linee orizzontali, verticali, che attraverso il
movimento si volgono in direzioni diverse, macchie di colore che si ammassano e si
disperdono.
L'arte che va in strada per aiutare le persone a trasformare e personalizzare i propri territori.
Giancarlo Carpi
Una manifestazione della fase post-storica dell'arte tra simulazione e globalismo
Nel montaggio di questa mostra abbiamo accolto i principali momenti storicamente riconosciuti della storia dell'arte astratta in Italia. Tuttavia la mostra dandosi come un processo critico e di illuminazione orientato verso l'ultima produzione astrattista di alcuni dei più bravi street artist italiani, va a cogliere alcune zone di risonanza in particolare, o cerca di realizzarle. Tra le molte che verranno a mostrarsi nell'allestimento stesso, ne voglio sottolineare alcune più analiticamente.
L’influenza e l’espansione temporale del futurismo
L'astrattismo futurista, nato con le compenetrazioni iridescenti di Balla (e nel contesto simbolista di un Arturo Martini e Romolo Romani), come nuova sintesi tra interazione divisionista tra colori e astrazione, ha poi rappresentato per Balla stesso la possibilità di fondare un ulteriore momento originale della ricerca futurista con il passaggio a forme astratto analogiche intorno al 1914, influenzando immediatamente Fortunato Depero e Enrico Prampolini. Questo carattere dell'astrazione futurista si legava inoltre alla volontà di oltrepassare il limite della finzione e considerare il quadro come un organismo vivo a contatto con la realtà senza il limite della cornice. L'astrattismo analogico futurista era sempre legato a un soggetto, come si vede anche negli asserti di Depero nella sua personale romana del 1916, un “astrattismo floreale", un “astrattismo animale". La permanenza di questo legame, fonda e distingue la ricerca futurista identificandola non nella ricerca di un assoluto spirituale, ma piuttosto nel legame con la sensazione e la “vita" dell'oggetto o della situazione reale rappresentate dall'astrazione (in senso quasi ossimorico). Mentre una corrispondenza in chiave spiritualistica e esoterica, nel senso di astrazione come accesso alla sfera del sovrasensibile, è in Evola e in altro Balla (Traformazione forme e spiriti etc). Scrivevano del resto Balla e Depero, nel 1915 in Ricostruzione futurista dell'Universo: “Vogliamo trovare gli equivalenti astratti di tutte le forme dell'universo". Negli anni Venti, valga da esempio circostanziale un episodio, la partecipazione del veneto Luigi Spazzapan alla capitale Mostra di Arti Decorative e Industriali Moderne di Parigi, nel 1925, dove il futurismo era rappresentato ufficialmente da Balla, Depero, Prampolini (introdotti in catalogo dalla Sarfatti). La mostra, suddivisa in classi di concorso, presentava gli ambiti di applicazione dell'arte al “metallo", al “vetro", alla “ceramica", ai “giocattoli e agli oggetti sportivi", al “teatro di strada e ai giardini", e, alla “strada" (classe 26 Art de la rue). Qui trionfavano le innovative proposte di arte pubblicitaria e affiches di Depero. Spazzapan vinse la medaglia d'argento presentando un “progetto di pittura murale" del quale rivendicava, con il critico Antonio Morassi1, la natura puramente astratta: “Nel 1925 feci il gran colpo a Parigi. Esposi alla grande esposizione internazionale dei pannelli astratti puri (mi dispiace per Soldati che ci tiene così tanto essere il primo astrattista)"2. È il primo esempio italiano di arte murale astratta, intenzionalmente sganciata da ogni riferimento figurativo “Abbandonate, visitando una esposizione d'arte, ogni pregiudizio circa ‘la imitazione dal vero'. Consideratela come rapporto di colori, come gioco di masse, come vibrazioni di linee, consideratela come pura decorazione se volete, e la relazione con la realtà la troverete più tardi"3. Negli anni Trenta in Prampolini specialmente la ricerca astrattista o semi astratta accoglie alcuni spunti del surrealismo francese, declinandosi in senso organicistico, è lui l'unico artista italiano a intavolare un dialogo internazionale con le partecipazioni alle mostre di “Abstraction e Creation" in Francia, 1932-1933-1934. Ma è anche in questi anni trenta che la ricerca astrattista futurista, o in relazione dialettica rispetto a essa, determina la stagione dell'astrattismo comasco, con la pubblicazione di Kn di Carlo Belli 1935, e la Mostra di Pittura Moderna Italiana a Como, Villa Olmo, nel 1936. Rho e Reggiani che vollero poi in più occasioni presentarsi come futuristi, come nella Biennale di Venezia del 1940. Episodio significativo di posizioni irrisolte di confronto tra astrattismo proto concretista e, al contrario, di permanenza della figura nascosta nell'astrazione, è il fatto che per questa mostra Marinetti ordinò un tema prettamente figurativo: “L'aeroritratto simultaneo". Del 1941 il Manifesto del gruppo Primordialisti Sant'Elia, che ufficializza teoricamente l'inclusione nell'aura del futurismo, Franco Ciliberti il teorico di questo nuovo appellarsi a una “unità originaria primordiale" in chiave di rigenerazione del futurismo stesso a un passo dalla sua fine.
La plastica murale e il mimetismo futuristi: la realtà aumentata
Appena altri due elementi, segnalati in chiave di confronto dall'anteguerra con la street art astratta: 1) la plastica murale futurista, come espansione plastica del muro e superamento della semplice finzione a parete, in senso dunque inverso alla attuale ricerca di complementarietà dell'intervento pittorico parzialmente orientato dall'architettura preesistente. E il mimetismo futurista, nato dalle riflessioni Tullio Crali come estetizzazione dell'uso militare, che proviene dalla fotografia di camuffamento di oggetti anni Trenta (a esempio Tato). Ideato da Tullio Crali e dal colonnello Rocco Silvestri nel 1942, fu pubblicato prima con il titolo “Manifesto futurista del perfezionamento del Globo terraqueo", in giugno, e poi in luglio, a firma di Marinetti e Crali, 3. Antonio Morassi, cit. con il titolo “Illusionismo plastico di guerra e perfezionamento della Terra". Vi si legge l'intento di “ingentilire e femminilizzare aggraziandole tutte le durezze le asperità e le brutalità guerresche di paesaggi e urbanismi, di rinvigorire virilizzare e militarizzare tutto ciò che i paesaggi contengono di molle languido voluttuoso carezzevole infantile, di femminilizzare fino alla più svaporata astrazione le sagome e le cubicità concrete e pesanti, di spiritualizzare dovunque la materialità e la volgarità di paesaggi e urbanismi".4 Il mimetismo futurista può allora essere visto in reale chiave anticipatrice della street art astratta, seguendo una interpretazione di Giovanni Lista di “retouching" del reale e di interscambio con la finzione.
Il dopoguerra e l'ufficializzazione della ricerca astratta in Italia, gli ambienti spaziali e l'arte ambientale
L'indubbio interesse degli astrattisti italiani di Forma1 nell'immediato dopoguerra per l'astrattismo futurista e il futurismo più in generale in chiave di astrazione come rappresentazione dell'energia, sta a testimoniare una mai sciolta continuità con la nostra avanguardia. Al di là poi della continuità reale attraverso il lavoro di Enrico Prampolini fondamentale animatore dell'Art Club. Le istanze astrattiste ebbero la loro ufficializzazione nel 1948 con la mostra “Arte Astratta in Italia", alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, con un comitato d'onore composta da Argan, Palma Bucarelli, Corrado Maltese, Giuseppe Marchiori, Emilio Villa e Lionello Venturi, e una rappresentanza delle principali posizioni delineatesi tra Roma e Milano, tra Forma1, MAC, e gli artisti orbitanti attorno alla galleria del Milione. Ma episodio nuovo di influenza, negli anni cinquanta, dopo il viaggio di Dorazio a New York, è la sua reinterpretazione delle compenetrazioni iridescenti di Balla. Già alla fine degli anni Cinquanta lo portarono oltre le prospettive dell'epoca in chiave di anticipazione della pittura analitica e in dialogo con l'astrazione post-pittorica americana. Da qui una possibile linea tesa fino al lavoro di Sten Lex. Quanto alla coeva (1946) fondazione dello Spazialismo, esso trasborda una linea tutta italiana dell'immaginazione cosmica futurista anni Trenta (Prampolini)5 realizzandola a livello ambientale. Nella dichiarata vicinanza di ispirazione dello street artist astrattista Moneyles verso il movimento fondato da Lucio Fontana, l'illusione di spazi “altri" dentro la spazialità reale appare il legame più evidente (rifluito però dall'era delle simulazioni digitali). Per quanto a me pare che i mezzi cerchi spezzati e ricomposti come in una progressione interrotta - come nel lavoro in mostra - debbano il loro carattere più attuale a una sorta di apertura, verso lo spazio, ottenuta per sottrazione, mutilazione, presenza dell'assenza, come in un feticismo delle forme. In ultimo, sempre in prospettiva di 5. Come documentato e sostenuto da Crispolti. approfondimenti ulteriori della situazione attuale si ricordi il primo affacciarsi in Italia dell'arte ambientale, a Volterra nel 1973 nel progetto ideato dagli artisti e dal critico Enrico Crispolti appositamente per la città e per suscitarne la reazione.
La Neo Geometric Conceptualism americana e il simulazionismo e la Street Art astratta: una nuova manifestazione della fase post-storica dell'arte?
Negli anni Ottanta, in posizione post-pop di recupero dell'astrattismo in chiave non evolutivo lineare ma simulazionista, da Peter Halley e Meyer Vaisman a Sherrie Levine, prende avvio l'ulteriore dialettica con la optical italiana e con il presente di alcuni street artist astrattisti. Mentre una nuova conformazione pop delle texture occorrerà poi in lavori come quelli di Nido e della Montanino (quest'ultima in senso cute) che hanno predecessori nel pop di Kusama e Murakami. La matrice di queste composizioni di street art astratta non deriva tanto dalla storia dell'astrattismo secondo fondamentalmente un dibattito tra astrazione pura, astrazione legata a un soggetto, astrazione concreta, astrazione surrealistica, quanto invece dalle nuove immagini rese possibili dalla tecnologia, e dalla enorme ricerca della moda nel campo delle texture. E, anche là dove il riferimento è piuttosto a un segno archetipico o etnico (a sua volta rifluito dalla strada) come in Etnik, il richiamo effettivo è alla provenienza di questi segni dalla circolazione globale delle immagini piuttosto che da una ascesi formalistica. Similmente nelle proliferazioni a metà strada tra il digitale e la geminazione in Tellas. C'è a volte un connubio tra pattern di matrice tecnologica e digitale e la storia come un richiamo alla optical art in Alberonero, nonché all'astrazione energetica e sensoriale del futurismo in Guè, o anche a certe conformazioni di masse pittoriche tra espansione e macchia burriane di 108. O anche come nell'intervento di Bros che in evidente ripresa futurista di “negazione attiva" si può leggere però piuttosto in chiave di arte relazionale, con questa mostra, come una reversibilità tra il contesto delle altre opere a parete, acquisite e negate, e il muro urbano “negato" dall'intervento. Essendo il suo segno sopra un oggetto relazionale esso è radicalmente immateriale. Dunque questi stili appaiono, nuovamente e in modo diverso che nella Neo-Geo americana, simulanti, ma in modo differente perché l'applicazione architettonica o urbana produce un'apertura verso la globalità degli stili disponibili all'uso diversa dalla sperimentazione strettamente oggettuale della Neo-Geo. E la simulazione, anche se praticata, sembra come giustificata da un campionario di possibilità stilistiche vasto e anonimo. Se, insomma, la storia della pittura che vuole arrivare a mostrare se stessa finisce con l'espressionismo astratto e la coda dell'astrazione post pittorica proposta da Greenberg, e inizia l'era post-storica dove ogni stile è permesso teorizzata da Danto, questa deviazione dalla figurazione all'astrazione nell'arte di strada può essere concepita teoricamente come una messa in opera della fase post-storica ma, operata tramite un richiamo storico all'evoluzione lineare. È come se l'assoluta libertà stilistica introdotta dalla street art, che già di per se può essere considerata una manifestazione “di genere" della fase post storica, si desse ora più precisamente sotto quella chiave di lettura. Quanto alla loro caratteristica di ridefinizione ottica dell'architettura in relazione all'apertura di spazi simulati, essa si aggancia alla loro matrice tecnologica in chiave, a me pare, soprattutto di “realtà aumentata". Gli interessanti interventi di Ligama, su costruzioni diroccate e piccole strutture isolate o semi abbandonate, declinano questa prospettiva anche nel senso di una simbiosi funzionale tra il reale e il digitale, come se il reale dovesse essere non tanto ridipinto ma puntellato, messo in sicurezza da una finzione digitale. Si ha dunque il senso di un mondo in trasformazione, imperfetta. Dove è ormai il reale, non la finzione, l'elemento che ne impedisce la compiutezza, la resistenza, e perciò, adornianamente, dice ancora la verità. Da una dimensione di realtà aumentata si passa piuttosto a una sorta di “realtà sostenuta". Il punto è che in chiave di realtà aumentata interventi come quelli di 2501 sembrano appunto divorare la realtà. A confronto la soluzione di Ligama appare più problematica e critica. Infine guardando ad alcuni interventi a mosaico esterni, di grandi dimensioni di Dorazio, già della fine degli anni Ottanta, verrebbe da chiedersi quali siano le differenze rispetto a questi interventi del 2018. Per forza di cose un ruolo è giocato dal contesto profondamente mutato della nostra percezione umana, per la nostra esperienza quotidiana del digitale e della virtualità. Per giungere a oggi Dorazio, in quel momento avrebbe dovuto in un certo senso assorbire l'esperienza, già virtualizzante, di Christo. Ma per finire mi preme sottolineare ancora un aspetto che mi pare forse il più corretto considerando la street art astratta come una evoluzione della street art e prima del graffitismo, è cioè il molto semplice piegarsi della pittura alle esigenze del supporto, alle inclinazioni dei muri, alla profondità delle finestre. Questa letterale adesione a un supporto preesistente, questa rinunzia alla scelta del supporto in funzione dell'opera, questo considerare il supporto come un limite giusto, è qui il vero contatto con la società, e il suo rispetto. E se i futuristi avevano aperto una finzione nello spazio per poi muoversi, da essa, verso la realtà (il quadro/ cornice di Balla) gli street artist astratti hanno trovato una realtà per poi muoversi, da essa e secondo i suoi limiti, verso la finzione. Queste loro finzioni divoranti assecondano, a volte, particolarmente la struttura preesistente, piuttosto che fermarsi all'effetto di dematerializzazione, ed è in questi casi che i risultati appaiono come di espansione positiva del reale.
Raffaella Bozzini
Da una rivoluzione all'altra
A un secolo dalla sua nascita, la mostra “Abstracta - da Balla alla Street Art" ci
offre la possibilità di fare una ricognizione di quella che è stata una delle più
incisivA un secolo dalla sua nascita, la mostra “Abstracta - da Balla alla Street Art" ci
offre la possibilità di fare una ricognizione di quella che è stata una delle più
incisive rivoluzioni della storia dell'Arte: l'Astrattismo.
Conseguenza di un lungo processo iniziato nel Romanticismo, in cui l'Artista passa
dal descrivere la realtà esterna a esprimere il sentimento interiore, l'Astrattismo
comincia a manifestarsi in un momento storico in cui la voglia di libertà e il coraggio
di iniziare a prendersela, si sono sviluppati più che in ogni altro tempo.
Figlio della seconda rivoluzione industriale, della nuova velocità che permeava
tutto, della nascita della psicanalisi, è uno dei pochi canoni artistici, culturali e politici
del ‘900 sopravvissuti nel nuovo millennio.
Era il 1910 quando, racconta Kandinsky: “Il sole tramontava, tornavo dopo avere
disegnato ed ero ancora tutto immerso nel mio lavoro, quando aprendo la porta
dello studio, vidi davanti a me un quadro indescrivibilmente bello. All'inizio rimasi
sbalordito, ma poi mi avvicinai a quel quadro enigmatico, assolutamente incomprensibile
nel suo contenuto, e fatto esclusivamente di macchie di colore. Finalmente
capii: era un quadro che avevo dipinto io e che era stato appoggiato al cavalletto
capovolto. […] Quel giorno, però, mi
fu chiaro che l'oggetto non aveva posto,
anzi era dannoso nei miei quadri".
L'acquarello di Kandinskij - un foglio di
carta alto poco più di cinquanta centimetri,
che a prima vista sembra lo scarabocchio
di un bambino - racchiude un'energia
e un senso dello spazio che solo
un artista può avere ed eserciterà un
influsso inestimabile sull'intero secolo.
L'idea era di trovare una ‘nuova armonia',
Kandinskij fu uno dei primi artisti che riuscì
a liberare l'Arte dalla descrizione della
realtà e a sviluppare una poetica, una filosofia,
quasi una fede.
La mostra propone un fondamentale
percorso dell'arte italiana, quello della linea
non-figurativa, dall'inizio degli Anni
Dieci sino ai nostri giorni, partendo dal
Futurismo, nel cui ambito già si formula
una possibilità di arte astratta, per
approdare alle successive formulazioni
dell'Astrattismo.
I Futuristi italiani lasciarono un'eredità
fertilissima fatta di ‘linee forza', di
simultaneità, di analitica scomposizione
e addizione, di vagheggiate intuizioni cosmiche,
di divertimenti meccanici, d'ingranaggi
e bulloni. Tutti spunti che sono
rintracciabili nelle tante declinazioni del
non-figurativo italiano, mutati e assorbiti
in altri tentativi di stabilire un nuovo linguaggio.
Da questo momento, l'Astrattismo ha
la forza di liberare la fantasia di molti artisti,
che si sentono totalmente svincolati
dalle norme e dalle convenzioni.
Le esperienze astrattiste trovano nuova vitalità nel secondo dopoguerra, con
l'Action Painting, l'Informale e il Concettuale… Nuovi campi di sperimentazione vengono
tentati, per rendere esperienza estetica la gestualità, la materia e così via, fino
all'Arte Cinetica, che concretizza, per la prima volta, quelli che erano gli assunti teorici
del Futurismo e riesce a introdurre la fisicità del movimento nell'opera artistica.
Attraverso l'evoluzione dell'arte astratta si può effettivamente analizzare la rivoluzione
più precisa e autentica degli impulsi sociologici di tutto il secolo. Forse mai
come nell'arte astratta possiamo leggere, attraverso un'analisi anche simbolica, quali
tipi di libertà venivano richiesti o prodotti nel corso del secolo.
Con i tagli di Fontana si giunge a un'ulteriore rivoluzionaria astrazione: “Quando
Fontana è tornato dall'Argentina, dopo aver formulato il famoso Manifesto Blanco,
allora lì incomincia il grande Fontana astratto. Credo che si possa dire “grande" perché,
effettivamente, la sua scoperta di una pittura spaziale, anche in senso materiale
di rottura con lo spazio bidimensionale, rappresenta una delle tappe fondamentali
dell'arte del secolo scorso, non solo italiana", così Gillo Dorfles sottolineava questo
passaggio epocale.
Fu proprio Fontana uno dei fondatori della rivista “QUI arte contemporanea", da
cui ebbe origine la Galleria Edieuropa - già Editalia - nel luglio del 1966, insieme a
Capogrossi, Colla, Leoncillo e Sadun. Con la partecipazione nel comitato redazionale
di Pasmore e Lipton, oltre che storici dell'arte quali Giovanni Carandente, Lorenza
Trucchi, Mario Verdone e Marisa Volpi.
Come Edieuropa, nel 2002, organizzammo al Museo del Corso di Roma, la storica
mostra “Dal Futurismo all'Astrattismo", in cui il percorso, essenzialmente d'avanguardia,
che attraversa le vicende dell'arte italiana del primo Novecento, fu magistralmente
declinato da Enrico Crispolti. In tutti questi anni, abbiamo continuato a
essere portavoce degli artisti più importanti dell'Astrattismo italiano e internazionale,
particolarmente con il gruppo di Forma Uno e con gli artisti della stessa generazione.
Oggi l'Arte è protagonista di un'altra rivoluzione sociologica e comportamentale,
quella della Street Art, con gli artisti che escono dai luoghi preposti ed invadono le
strade. In questa ricerca di libertà, la Street Art, dimostra ed esplicita la voglia di una
libertà di posizione. Ora si esce non soltanto dal tratto, ma anche dal contesto, in
cui l'espressione artistica era abituata ad esprimersi. L'arte, che era sempre stata nei
musei e nelle gallerie, irrompe nella strada che rappresenta lo spazio più comune e
selvaggio della vita urbana. È quindi l'ubicazione dell'arte che aggiunge un livello di
astrattismo all'espressione stessa. Perciò è sempre e comunque, un'espressione che
chiama, abbraccia e invita alla libertà.
Nata negli anni Ottanta negli Stati Uniti, come evoluzione dei primi episodi di
graffitismo urbano, questa particolare corrente è maturata nel corso dei decenni in
modo variegato, nutrendosi di un intenso rapporto con la strada, con la dimensione
metropolitana e l'ambiente underground. I più recenti sviluppi vedono gli artisti,
ormai pienamente consapevoli del proprio ruolo e riconosciuti per la potenza innovativa
che il loro linguaggio virale e clandestino ha introdotto nella pratica artistica
tradizionale.
Nel 2012 negli spazi della terrazza del MACRO - allora sotto la direzione di Bartolomeo
Pietromarchi - insieme allo Studio Fabio Mauri, Associazione per l'Arte l'Esperimento
del Mondo - abbiamo prodotto l'opera di Bros, sulla vetrata della terrazza e
quella di Ozmo, sul palazzo che vi si affaccia e, insieme anche a Sten e Lex, abbiamo
dato vita a Urban Arena, un progetto ideato in più tappe per dare visibilità alla Street
Art, che si è poi rivelato uno dei movimenti più attivi e connotati degli ultimi tempi.
Sono molto grata a Giuseppe Stagnitta, Giancarlo Carpi e al Comune di Noto per
questa preziosa occasione, che offre una tale panoramica sull'Astrattismo dell'ultimo
secolo, e permette una visione ampia dell'evoluzione del gesto e della cultura del
nostro tempo.
Marianna Imperatori
A spasso nel tempo: ricordi e aneddoti
Avevo meno di vent'anni quando mi
sono affacciata nel mondo dell'arte
e della cultura, con gli occhi ancora disincantati
di una giovane studentessa.
Andavo allora sottobraccio al poeta
Diego Valeri a prendere un bicchiere di
“Porto" dAvevo meno di vent'anni quando mi
sono affacciata nel mondo dell'arte
e della cultura, con gli occhi ancora disincantati
di una giovane studentessa.
Andavo allora sottobraccio al poeta
Diego Valeri a prendere un bicchiere di
“Porto" da Aldo Palazzeschi, nello scenario
magico ed incantato di Piazza Navona.
Al crepuscolo, il sole scendeva dietro
la cupola di Sant'Andrea della Valle e si
assaporava quella luce che solo Roma
regala ad ogni tramonto.
Il mio primo incontro “illuminante" è stato con Luigi Veronesi. Un uomo piccolo
di statura, con la barba. Devo a lui la prima opera della mia piccola collezione, una
litografia bianca e blu che ancora oggi conservo gelosamente.
Da milanese, amava Roma. Mi diceva sempre: “Mary ricordati che a Milano si vive
per lavorare, a Roma si vive per vivere!".
Questa è una frase che ho fatto mia, e quante volte poi l'ho ripetuta...
Ma il primo e vero ingresso nel mondo dell'arte è avvenuto per me negli anni
Settanta, quando è iniziata la collaborazione con la galleria Editalia, oggi Edieuropa,
fondata e diretta dall'Avvocato Lidio Bozzini.
Uomo d'altri tempi, di raffinata cultura, grande mecenate, ancora oggi lo ricordo
con tantissimo affetto e profonda stima…ha creduto in me, allora giovanissima e alle
prime esperienze. In quegli anni con lui sono cresciuta professionalmente affiancandolo
ad ogni passaggio (la rivista QUI arte contemporanea, le mostre, le fiere).
E poi, la mia vita privata andava di pari passo. Tutto è partito da li, tutto è iniziato
grazie a lui.
Tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80 nella sede storica della galleria in via del Corso
525 sono passati tanti artisti. La porta era sempre aperta: c'era chi si fermava per
un saluto e poi proseguiva in studio o chi entrava e “scrutava" la mostra in corso, il
tempo di un caffè e di uno scambio di battute. C'era un fermento di idee, di incontri
e scontri, una voglia d'arte che rispecchiava a pieno la rivoluzione artistica degli anni
Settanta, forse il decennio più complesso dell'arte italiana del ‘900.
Tra i numerosi artisti che ho avuto il privilegio ed il piacere di conoscere il mio
affetto più grande è per Fausto Melotti. Un ricordo indelebile il suo.
L'ho incontrato nel 1976, in occasione della sua personale in galleria ed “Il Viaggio
della luna", una delle sculture esposte, in ferro di circa un metro, mi rapì completamente
per poesia e liricità.
Era letteralmente innamorato dei giovani, della loro freschezza e curiosità. Quando
parlava gli occhi gli sorridevano. Con la sua delicatezza d'animo riusciva a far
scomparire quella soggezione che si ha dinanzi ad un grande Maestro. Per lo meno
ci è riuscito con me che avevo oltre cinquant'anni di meno, mezzo secolo!
È con lui che ho imparato che gli uomini più sono “grandi"- forse perché forti della
propria forza - più sono umili.
E poi gli artisti del Gruppo Forma 1… “Marxisti e Formalisti".
Li ho conosciuti nel 1977, in occasione della mostra in galleria: “Forma 1. Trent'anni
dopo". È stato bello vederli lavorare assieme, allestire la mostra, artisti già all'epoca
importanti e consacrati nel mondo dell'arte, che “litigavano" per una o l'altra parete del
salone della galleria.
I tre siciliani Carla Accardi, Antonio Sanfilippo e Pietro Consagra, il mantovano
ma veneziano di adozione Giulio Turcato, ed i due romani, i più giovani del gruppo:
Piero Dorazio ed Achille Perilli. Nel 1947
firmarono il manifesto che uscì nel primo
numero della rivista “Forma"; allora c'erano
anche Ugo Attardi e Mino Guerrini,
poi lasciarono.
Carla Accardi, unica donna del gruppo,
minuta e dagli occhi profondi. Non
appena parlava si percepiva in lei un'energia
dirompente. Bei momenti, e che
risate insieme quando a volte ci si incontrava
per l'aperitivo di mezzogiorno all'
enoteca Buccone, in via di Ripetta, dietro
la galleria.
Ricordo che in fase di allestimento
della mostra, durante gli scherzosi
“scontri" dei protagonisti, da donna lungimirante
quale era, per stemperare gli
animi, si mise da parte dicendo: “Io vado
nella sala più piccola". Ed alla fine, comunque,
la sua opera - da lei chiamata
- “Primavera" in sicofoil trasparente, con
il telaio dipinto e composto da quattro quadrati incrociati a rombo, fu quella messa
più in risalto dell'intera mostra!
Ho per Antonio Sanfilippo un'ammirazione sconfinata. È stato un grandissimo artista,
che per troppo tempo è rimasto “adombrato" dal “segno" di Carla Accardi (sua
moglie), ma oggi è balzato nuovamente - e finalmente - all'attenzione della critica
internazionale.
Tutti i giorni, per un mese, durante l'organizzazione della mostra, passava in
galleria ed il tempo con lui volava in tante chiacchiere. Era un uomo schivo, forse
proprio perché provato dalla vita, ma, giorno dopo giorno, si apriva sempre più, fin
quando mi permise di visitare il suo studio per ritirare delle opere per la mostra. Mi
emozionai! Tornai in galleria con cinque tele, non di grandi dimensioni, un paio con
il telaio e le altre tre piegate in quattro come un tovagliolo.
Ed alla fine, con somma e stupefatta gioia da parte di tutti noi, si presentò il giorno
dell'inaugurazione a festeggiare con gli storici “compagni di avventura".
Ho conosciuto Giulio Turcato nel 1976, in occasione della mostra organizzata per
festeggiare i “Dieci Anni" della galleria. Nel 1979, eravamo insieme all' “Expo Arte
Fiera del Levante" di Bari: l'Editalia gli dedicò l'intero stand, davvero una bellissima
personale.
Era l' artista più importante della fiera e così, la sera dell'inaugurazione ci sedemmo
per cena nel tavolo principale della manifestazione, noi e le autorità che
presenziavano l'evento. Io ero emozionatissima, lui niente affatto. Anzi forse anche
un po' “scocciato". Ricordo i suoi occhi sgranati. Però ancora sorrido se penso a come
si sciolse in auto quando, per tornare in albergo, ci perdemmo in strada, di notte,
nelle campagne baresi.
Del resto Turcato era un personaggio davvero singolare. La parlata veneta lo rendeva
divertente ed accattivante anche quando si irritava. La sua era una simpatia ragionevole
ed irragionevole. Dotato di una fantasia trasgressiva, estrosa, divertente, lo si
vedeva in giro per Roma sempre con il basco in testa ed il suo lungo cappotto marrone.
Turcato era Turcato!
Rimpiango di non essere mai andata a trovare Piero Dorazio nel suo studio
nell'antico convento di Sant'Angelo a Todi, eppure mi aveva invitata più volte, anche
per assaggiare il vino che produceva e di cui andava fiero, ne parlava sempre. Lo
“Scacciadiavoli".
Fra tutte le sue mostre tenute in galleria, quella che più mi colpì fu senza dubbio
la personale del 1978. Bellissima! Opere molto grandi, di tela grezza, per lo più dipinte
di blu, uniformi, dalla stesura orizzontale composta di piccole “taches", di misure
e colori diversi. Un discorso pittorico incentrato sul colore.
E poi Pietro Consagra nel suo studio in via Cassia a Roma, per la preparazione
della mostra “Bianco e Nero", organizzata in galleria nel 1993. La materia del marmo,
da lui sapientemente lavorata, portò il colore in una mostra che, per sua stessa
natura, ne era priva. Ciò che più spiccava agli occhi era senza dubbio la potenza e la
forza espressiva del suo gesto.
Achille Perilli, l'unico ancora in vita del gruppo, burbero all'apparenza, ma con la
sua simpatica “bonomia" romana, schietta e diretta. Lo ricordo con il sorriso, che mi
prendeva in giro, e mi chiamava “Lady Italia"…dal nome della galleria Editalia.
Nell'ambito della manifestazione “Percorsi" del 1995, organizzata dall'associazione
delle gallerie romane A.R.G.A.M., espose con Laura Barbarini, Ignazio Gadaleta
ed Enzo Scolamiero: aveva una attenzione particolare per i giovani artisti ed amava
dialogare con loro. Ciò che mi ha sempre colpito nelle sue opere è l'importanza data
al valore di superficie e all'autonomia sintattica dei segni, mettendo però in discussione
la pura bidimensionalità della pittura
attraverso la distorsione della forma
geometrica.
Gastone Biggi, i suoi “Cieli" dalla stesura
armonica del colore, i suoi ritmi e
le vibrazioni musicali da cui scaturiscono
giochi di movimenti e luci riflesse sulla
superficie.
Ricordo una cena, in una bella sera
d'estate, nella cucina di casa sua. L'odore
fresco della vernice da lui utilizzata per
dipingere tutti i mobili di blu.
Mario Nigro, Claudio Verna, Paolo Cotani,
Ermanno Leinardi, e potrei continuare
davvero con molti altri ma lascio per
ultimo, ma non da ultimo, Guido Strazza,
che ho conosciuto circa quarant'anni fa,
ma che ancora oggi è una presenza costante,
importante ed affettuosa per tutte
noi “ragazze" - come continua a chiamarci
- della Galleria Ediuropa!
Gian Paolo Seghezza
Il MAC e l’astrattismo del primo dopoguerra
L’astrattismo italiano nasce sulla fine
degli anni trenta come diretta evoluzione
del futurismo dal quale eredita:
una parte del senso del dinamismo, la costruzione spaziale dell'immagine e l'uso
del colore con campiture uniformi.
Tuttavia in quell'avanguardia, astratta
italiana, già dalla metà degli anni 30
è ben presente la lezione del De Stijle
(Radice, Reggiani, Soldati,Veronesi, Munari) e del Surrealismo informale (MazzL'astrattismo italiano nasce sulla fine
degli anni trenta come diretta evoluzione
del futurismo dal quale eredita:
una parte del senso del dinamismo, la
costruzione spaziale dell'immagine e l'uso
del colore con campiture uniformi.
Tuttavia in quell'avanguardia, astratta
italiana, già dalla metà degli anni 30
è ben presente la lezione del De Stijle (Radice, Reggiani, Soldati,Veronesi, Munari) e del Surrealismo informale (Mazzon,
Gillo Dorfles, Monnet ed in parte Prampolini).
Il loro vate era Carlo Belli che nel suo “Kn" (vero e proprio manifesto dell' Astrattismo);
nel quale, pur riconoscendo la matrice nordica nell'astrazione in genere,
inquadra le tendenze italiane come punto estremo della ricerca futurista.
Nella sua disamina vede in questa modalità espressiva una continuazione anche
ideologica ed applicata del futurismo, anche come esaltazione della presunta capacità
rivoluzionaria del Fascismo. In tale ottica si può inquadrare la concezione utilitaristico-
pratica delle arti proprie di “Regime", penso a: Regina, Carla Badiali, Bice
Lazzari ed alla frequente applicazione del loro lavoro in manufatti di uso comune.
Forse per questo Carlo Argan, ancora negli anni sessanta, tendeva a negare
all'astrattismo una valenza artistica assoluta, riconoscendogli più finalità decorative
“per la prima volta s'è posto il problema di un'arte che non adorna o consola, ma
positivamente concorre ad elevare il tenore di vita degli uomini; che li soccorre nel
loro lavoro quotidiano, che non chiede di essere interpretata, rivissuta, capita, ma
di essere soltanto utilizzata; che in fine si propone di concorrere a determinare negli
uomini un'attitudine attiva, e non più contemplativa o ammirativa, nei confronti della
realtà" (forse pensando a Le Corbusier ed ancor prima a Walter Gropius), tuttavia
ritengo si riferisse più che altro al periodo storico ed alla stagione politica in cui si era
trovava allora ad operare negli anni antecedenti l'ultimo conflitto.
Nel primo dopo guerra il panorama artistico italiano vede una forma di dicotomia
ideologica nelle arti figurative, e non solo, che rispecchia i soggetti principali della
nuova fase politica: le tendenze post cubiste di Guttuso, a sostegno degli ideali della
sinistra, in contrapposizione ideologica al figurativo post-romantico di Sciltian; trascuro
l'apporto della metafisica nel contesto artistico culturale italiano poiché ritengo
che il solo De Chirico abbia saputo dargli un senso compiuto.
In questa realtà a Milano nel Dicembre del 1948 un gruppo di artisti astrattisti dà
vita al “MAC" Movimento di Arte Concreta,
definizione concettualmente allineata ad
un pensiero del De Michelis: “verso gli anni
trenta hanno pensato di sostituire il termine
astrattismo col termine concretismo, essendosi
accorti che parlare di arte astratta era
perlomeno improprio; infatti un'immagine annunciata sulla tela o realizzata in materiale
plastico, per quanto astratta, è già di per sé concreta; in più l'astrattismo puro, non ispirandosi
in alcun modo alla realtà naturale e quindi non ricavando da essa alcun elemento,
cioè non essendo il risultato di un'astrazione ma la proposta di una nuova realtà, si pone
logicamente fuori da tale denominazione".
Gli artisti che vi aderirono, sostanzialmente apolitici, trovavano proprio in questa
posizione ideale la differenza dagli artisti in qualche modo allineati.
Per questo si ritenevano più in debito verso le correnti dell'astrazione nordica
degli anni venti e trenta che verso il Futurismo nostrano, pur non negando un suo
influsso esclusivamente estetico.
Il movimento, nei suoi dieci anni di vita, ha visto transitare nelle proprie file un
numero ragguardevole di artisti che si raccolsero in gruppi locali territoriali: Milano,
Torino, Roma, Genova per citare i principali.
Tuttavia in seguito molti di loro hanno intrapreso altre strade espressive, penso a
Gianni Bertini che, dopo un periodo di alcuni anni (un paio) di astrazione concreta,
trovò nella Mac-Art un transito verso l'arte concettuale.
Al movimento aderirono pittori, scultori ed architetti; ciascun artista a sua volta
praticò discipline diverse, dando all'astrattismo un'intensa funzione interdisciplinare.
Tuttavia, sulla fine degli anni cinquanta, le nuove ricerche informali di provenienza
anglosassone, intrise di una materica gestualità istintiva ed espressionistica,
attrassero molti artisti del MAC, che forse aveva finito la sua funzione di transizione
tra l'arte italiana precedente e successiva alla seconda guerra mondiale. Così sulla
fine degli anni cinquanta il movimento si esaurì.
C'è da ricordare che grandissima è stata la sua influenza sul design, molti dei
nostri oggetti di uso quotidiano hanno nel proprio DNA l'astrattismo di quegli anni.
L'attuale ritorno alla pittura come tentativo di rivincita dell'estetica sulla concettualità
ossia di un'estetica al servizio della concettualità e non viceversa, in cui ben
s'inquadrano le nuove tendenze della Street Art Astratta, penso rientri nel desiderio
dell'uomo d'oggi di evasione dai mille turbamenti di una società che stenta a trovare
una coerente linea di sviluppo sociale e culturale.
Gian Paolo Seghezza
Luigi Veronesi 10 fotogrammi e fotografie
dal 1936 al 1947
Ho sempre pensato a quale turbamento
portò l’invenzione della fotografia
tra gli artisti del XVIII secolo;
tutte le forme di riproduzione della realtà,
sia ai fini ritrattistici che documentaristici,
venivano ormai demandate a
quello strumento così preciso e… così
economico.
La possibilità di trasferire la realtà
esterna su di un piano, delle dimensioni
volute, era nota ed utilizzata da secoli
(Canaletto ne faceva largo uso); tuttavia
allora si usava quello strumento solo
come base per aumentare il realismo
delle figurazioni pittoriche. Come ebbe
a scrivere Veronesi “…il fotogramma
ebbe origine quando un raggio di luce,
per la prima volta, incontrò sul suo percorso una cosa e creò un'ombra".
Tuttavia verso la fine del 1800 alcuni artisti come il francese Étienne Jules Marey,
il britannico Eadweard Muybridge e successivamente l'italiano Anton Giulio
Bragaglia incominciarono a studiarne applicazionTuttavia verso la fine del 1800 alcuni artisti come il francese Étienne Jules Marey,
il britannico Eadweard Muybridge e successivamente l'italiano Anton Giulio
Bragaglia incominciarono a studiarne applicazioni diverse cercandole in una nuova
dimensione quella del dinamismo, da cui molto attinse il Futurismo.
Ma la vera ricerca su di un uso artistico dell'immagina fotografica si deve alla
scuola del Bauhaus fondata nel 1919 che vide all'opera grandi maestri come: Làszló
Moholy-Nagy, Florence Henri e Cesar Domela, solo per citarne alcuni.
Riferendosi a questi Veronesi ebbe a scrivere “è notevole e significativo che i primi,
pochissimi sperimentatori di questa disciplina, negli anni fra le due guerre, siano
in maggioranza dei pittori…" con questo spirito e sentendosi profondamente pittore
portò avanti la sua personale ricerca.
amente legata al surrealismo e quella estetica all'astrazione .
Anche Veronesi si atterrà rigidamente a questi due assiomi: nel nostro caso rinunciando
all'uso della macchina fotografica, intesa come strumento di riproduzione
di qualche cosa che esiste di perse (quindi copia), ed inserendo un suo intervento
diretto nella costruzione di un sogno che così si realizza.
La tecnica usata, come ebbe più volte a dire, è semplicissima: l'oggetto posato
su una superfice fotosensibile e quindi illuminato, permette a questa superficie di
registrare trasparenze, spessori, ombre, luci e riflessi in una gamma ricchissima di
affascinanti variazioni, e possibilità espressive.
Con questo sistema, unito ad una grande capacità tecnica ed a una allegra curiosità,
l'artista diede vita alle immagini che si possono ammirare in questa esposizione;
frutto della collaborazione tra Veronesi e la Galleria “Martini & Ronchetti" di Genova.
Nelle opere esposte si possono riconoscere vari oggetti scelti con cura (garze,
reticoli, molle, spirali e quant'altro gli dettava la fantasia) posti in una scansione
armonica quasi ritmica, in alcuni casi utilizzando anche il movimento; qui perdono la
loro realtà oggettuale per assumere solo una valenza grafica.
Ebbi modo di incontrarlo due volte :una durante la realizzazione di queste opere
ed una seconda volta presso la Galleria Valente di Finale Ligure (SV) per una sua
personale di lavori astratti tra il 1950 ed 1970. Pur essendo avanti negli anni ricordo
ancora quegli occhi luminosi e curioni sempre alla ricerca di nuova conoscenza, la
conversazione spaziava con disinvoltura tra arte figurativa, musica e cultura generale
in un'eterna ricerca di sintesi “costruttiva". Mi tornano alla mente quelle sue trasposizioni
cromatiche di partiture musicali, tradotte in rapporti tonali di colore, frutto di
una ricerca sui rapporti matematici delle note musicali.
Per concludere ritengo untile ed esplicativa, per comprendere l'uso della tecnica
fotografica da parte di Veronesi, la definizione sul “fotogramma" data da Moholy-Nagy
nel 1936 nella rivista “Telehor" e volutamente da lui riportata nel volume “ Fotogrammi
e Fotografie" (editore Einaudi) ed in cui le opere in mostra sono pubblicate:
“Il fotogramma, cioè l'immagine luminosa ottenuta senza la macchina fotografica, è
il segreto della fotografia. In esso si rivela la caratteristica unica del procedimento
fotografico che permette di fissare immagini di luce ed ombra su di una superficie
sensibile senza l'aiuto di alcun apparecchio. Il fotogramma apre nuove prospettive
sul linguaggio visivo finora completamente sconosciuto e governato da leggi proprie.
Nella lotta per giungere ad un nuovo modo per vedere le cose, il fotogramma è
un'arma del tutto smaterializzata".
LUIGI VERONESI - 10 Fotogrammi e fotografie dal 1936 al 1947
LUIGI VERONESI - 10 Fotogrammi e fotografie dal 1936 al 1947
LUIGI VERONESI - 10 Fotogrammi e fotografie dal 1936 al 1947
LUIGI VERONESI - 10 Fotogrammi e fotografie dal 1936 al 1947
LUIGI VERONESI - 10 Fotogrammi e fotografie dal 1936 al 1947
Info Mostra
ABSTRACTA
Museo Gagliardi – Palazzo Trigona
Noto
Date della mostra
15 giugno – 30 settembre 2018