Come già nel 2015 con la mostra di Vivian Maier. Street Photography e nel 2017 con la mostra Berenice
Abbott. Topografie, anche quest'anno il MAN ha deciso di rivolgere il proprio sguardo allo specifico femminile
in arte. L'esposizione L'elica e la luce. Le futuriste, 1912-1944 individua il lavoro di artiste e intellettuali
– figure indipendenti di primo piano nella ricerca estetica d'inizio secolo – sviluppando contemporaneamente
il programma di riscoperta avviato da alcuni anni dal Museo sui movimenti delle avanguardie storiche.
L'idea della mostra nasce un anno fa grazie all'intuizione delle due curatrici della mostra, Chiara Gatti e Raffaella
Resch, professioniste affermate con cui il museo ha già in passato avuto il piacere di collaborare con
la realizzazione di due grandi mostre dedicate rispettivamente a Alberto Giacometti e Paul Klee.
Il progetto prosegue il filone di ricerca dedicato ai movimenti delle avanguardie artistiche del Novecento con
l'obbiettivo di indagare, da un punto di vista esclusivo, il movimento futurista e le sue protagoniste. Il taglio
inedito è proprio l'attenzione che il concept riserva alle personalità femminili all'interno di un movimento
storico artistico definito e proclamato, sin dalla sua nascita, come estremamente misogino.
Nonostante ciò le artiste futuriste furono parte importante nella ricerca, sperimentazione e espressione
del nuovo linguaggio artistico, tanto da risultare come figure fondamentali, anche se purtroppo, poco conosciute.
La mostra rende loro omaggio attraverso una raccolta delle opere principali oltre che a un vasto e
completo materiale documentario presente nel percorso espositivo anche come raccolta visiva, attraverso
un allestimento dinamico strutturato attraverso una serie di installazioni digitali – collocate nelle sale – che
accompagnano il visitatore arricchendo, in questo modo, il taglio storico-critico della mostra.
Il progetto che presentiamo conferma e rafforza l'idea del museo come luogo di ricerca, studio e riflessione,
in accordo con la mission stessa dell'Istituzione.
Un ringraziamento particolare va fatto al grande numero di archivi e collezioni che hanno collaborato alla
realizzazione della mostra, oltre che ai musei pubblici e alle Sovrintendenze dei territori di competenza. La
Regione Autonoma della Sardegna, la Fondazione di Sardegna e la Provincia di Nuoro, principali sostenitori
del MAN, credo possano essere orgogliosi di un'Istituzione che continua a dimostrarsi capace di leggere
la storia dell'arte in maniera originale e inedita, e che si configura ancora una volta come luogo di ricerca e
riflessione per la comunità.
Tonino Rocca
Presidente MAN
Giancarlo Carpi
Le scrittrici futuriste.
Reificazione, superamento del genere e feticismo
La letteratura critica sulle donne futuriste è aumentata considerevolmente nell'ultimo decennio, anche grazie alle pubblicazioni uscite in occasione del centenario del manifesto di fondazione del futurismo. Si può davvero parlare di un nuovo filone di studi, che ha attratto l'interesse di accademici e critici di formazione diversa, in Italia, Francia e soprattutto nel mondo anglosassone. Il numero dell'«International Yearbook of Futurism Studies» diretto da Günter Berghaus, nel 2015 è stato dedicato a questo tema. A fronte di una certa quantità di volumi e saggi consacrati alle scrittrici, si annovera anche un certo numero di monografie consacrate alle singole artiste. Anche per alcune pittrici del movimento futurista italiano si è assistito a una vera e propria rivalutazione, basti pensare ai grandi pannelli delle comunicazioni di Benedetta che chiudevano la mostra sul futurismo italiano al Guggenheim di New York nel 2014 occupando l'enorme parete della sala alla sommità della spirale. Tuttavia, le esposizioni delle opere delle artiste sono avvenute quasi sempre nell'ambito di collettive più ampie. Questa mostra ha senz'altro il merito di colmare tale lacuna, costituendo la più larga riunione di opere plastiche di artiste del futurismo italiano – e una collezione dei libri più importanti –. Ciò detto credo occorra approfondire un po' le ragioni e le prospettive che hanno mosso e che muovono questo interesse. In effetti, quali sono le ragioni che autorizzano lo studio della produzione femminile, considerandola peraltro come un sottoinsieme della produzione futurista? Per quanto riguarda lo specifico letterario, per alcuni l'obbiettivo storiografico è stato quello di consentirne una motivata rivalutazione all'interno della storia della letteratura italiana. Questo, di per sé, è un fatto non così ovvio, ma da leggersi, in controtendenza, nel contesto di un quasi secolare ostracismo della ricerca accademica letteraria verso la produzione del futurismo in generale, a partire ovviamente dalla quella di Filippo Tommaso Marinetti. La questione è assai diversa se si volesse invece partire dall'altro specifico, quello della storia dell'arte, per la quale l'importanza della produzione plastica del futurismo italiano è chiara da almeno tre decenni. Allora è accaduto che le artiste del movimento futurista sono state considerate alla pari degli altri artisti, e che, nello specifico, la rivalutazione della produzione ad esempio di Benedetta è occorsa all'interno della generale rivalutazione del «futurismo romano », che fa capo a Balla, e quella ad esempio di Marisa Mori all'interno della generale rivalutazione dell'aeropittura. Ma tonando alle prospettive di ricerca, la linea guida, che ne ha supportato l'interesse e la riscoperta, è stata senz'altro una prospettiva che ne considerasse la produzione in senso interdisciplinare e perciò anche disponendo un confronto interno con la filosofia, e con l'elaborazione culturale del futurismo nel suo complesso. Da qui alcuni interrogativi: le donne sono state determinanti o hanno contribuito ad alcune delle principali novità estetiche del futurismo? Le donne rappresentano uno specifico all'interno della teoresi generale del futurismo? Alla prima domanda risponderei di no, nel senso che in effetti le parole in libertà, il dinamismo plastico, il superamento del Giancarlo Carpi confine della finzione tramite la cornice, e altre cruciali svolte, si debbono a uomini. Similmente, parlando di qualità tecnica e poetica al di là della scoperta linguistica, il magistero spetta a Boccioni, Balla, Marinetti. C'è, tuttavia, un ambito specifico che le donne hanno interpretato, nel loro insieme, in modo più profondo e completo rispetto agli uomini, l'ambito della interdisciplinarietà. Constatando i semplici dati di fatto, molte delle donne che aderirono al futurismo furono sia scrittrici che pittrici, o illustratrici, o performer o paroliberiste. Da Benedetta a Valentine de Saint-Point, da Barbara a Adele Gloria. In secondo luogo a me sembra che alcune di loro abbiano vissuto questa doppia o molteplice vocazione in modo più sereno rispetto agli uomini. Boccioni fu scrittore di testi notevoli, ma il suo obbiettivo, e la sua vita, le consacrò al superamento del cubismo. Guardando poi alla qualità della produzione da questa prospettiva, credo che l'unità voluta e strutturale di componenti disparate (verbali e visive), de Le forze umane di Benedetta, sia tra le massime prove di una disposizione a muoversi tra i linguaggi e i media espressivi senza timore. È però alla seconda domanda che si può rispondere felicemente, e alla fin fine si tratta, a mio parere, della vera ragione di interesse. Lo specifico femminile si mostra allorché, approcciando il futurismo come un oggetto storiografico e critico unitario, vi si riconosca la centralità di due categorie, quella del post-umano e quella del feticismo. Rispetto alla prima categoria, l'esistenza delle donne causa, di per sé, una potente revisione del quadro di insieme. Si tratta di pensare le donne, rispetto agli uomini, come soggetti facilitati nel superamento della loro condizione umana, proprio in quanto sono donne. Il fatto è che esse appaiono come vere e proprie incarnazioni del quadro teorico complessivo del futurismo. Attraverso di esse, piuttosto che attraverso gli uomini, è più facile pensare il superamento della condizione umana voluto dalla teoresi futurista, perché in molte di esse albergava un'istanza di superamento della loro identità di genere. È questa una prospettiva che propongo in accordo con la ricerca abbastanza recente di Paola Sica. Si possono cioè considerare le donne, in carne e ossa, che aderirono al futurismo, come strumenti e chiavi di volta della realizzazione della proposta ontologica, ancorché estetica (secondo il nesso arte-vita), del futurismo. Una proposta che, come è noto, è stata tematizzata nell'arco tutto della produzione e riflessione del futurismo, principalmente nel confronto tra l'essere umano e la macchina. Il secondo tema è quello del feticismo ed è articolato al precedente se ne consideriamo il momento negativo, provocato, appunto, dalla sostituzione feticistica, come funzione del rapporto tra umano e non umano. Nella produzione letteraria e pittorica, il tema è stato elaborato soprattutto come dialettica tra umanizzazione e reificazione nel confronto dell'uomo con la macchina e con la materia. Orbene, all'interno di queste coordinate, alle scrittrici futuriste si deve una produzione che non solo coglie appieno il senso dell'intuizione marinettiana, ma la attua secondo prerogative autonome ed esclusive. Infatti, la reificazione di sé che Marinetti ha realizzato nei suoi testi tramite l'uso della figura retorica della prosopopea, la sua trasformazione in macchina e/o in materia, per alcune scrittrici, come Maria Ginanni o come Rosa Rosà, rappresentò una modalità creativa per rinnegare la loro identità femminile, per raggiungere una condizione de-sessualizzata, quella della macchina o della materia. La Sica nel suo libro insiste sul nesso antagonistico tra materia e spirito, e sulla volontà del gruppo dell'Italia Futurista di raggiungere una condizione immateriale, come duplice superamento della mortalità e del genere. Ora va riconosciuto anzitutto che questa interpretazione è convincente e che, se la si considera, si può affermare che le scrittrici del gruppo fiorentino hanno anticipato (di una quindicina di anni) le istanze dell'aeropittura, la ricerca di una nuova sensibilità extraterreste, e, direi, extracorporea. Come si sa, l'anelito all'immaterialità appartiene al futurismo dagli inizi (esempio più evidente ne è proprio la produzione plastica, anche solo a un'analisi stilistica), ma solo negli anni Trenta assunse una consistenza tematica e programmatica quasi assoluta. Tuttavia, rispetto a quanto sostenuto dalla Sica, vorrei problematizzare la collisione tra reificazione e immateriale, o meglio, la continuità tra oggettificazione (riduzione a oggetto) e oggettivazione (rinuncia alla soggettività). Di fatto, la principale tecnica compositiva della Ginanni è l'antropomorfismo, l'ipostasi o sostanzializzazione, e in alcuni momenti topici della sua scrittura queste entità astratte sostanzializzate, o entità materiche personificate, hanno un carattere di assenza, mutilazione, parzialità: «acuminata limitazione». Una dimensione che, per portare un'altra immagine, ricorda il nesso tra assenza/ potenza dell'invito di Marinetti alle donne, «Donne dovete preferire i gloriosi mutilati». In questo passo della Ginanni, i temi sono allo scoperto anche nella loro relazione di ambivalenza: Il nostro organismo dovrebbe poter scomporsi nei suoi pezzi con tre o quattro movimenti decisivi e veloci. Essere il nostro piccolo bagaglio. Tante volte mi sono divertita ad immaginare la mia persona agile e vibrante ridotta in un fascetto ordinato di ossa presso a poco di uguale lunghezza legate con un nastrino di seta rosa… Così… il mio spirito intatto potrebbe continuare le sue concezioni di esaltante purezza seguendo da lontano il suo piccolo vestito smontato. Sono immagini che recuperano il «corpo motore dai diversi pezzi intercambiabili» di Marinetti (e che ricordano i fiori futuristi di Balla, smontabili, mobili), tuttavia c'è, a me pare, un elemento sadico – il corpo ridotto a un «fascetto ordinato di ossa» – connesso a un elemento estetizzante – il nastrino rosa. In altre, parole, la reificazione si realizza come mutilazione dell'io. Non è infatti possibile distinguere totalmente «la mia persona» dall'io parlante. Mi trovo d'accordo quando la Sica vede in queste continue trasformazioni una sostanziale irresolutezza rispetto alla possibilità di un superamento definitivo della propria identità: «In general, Ginanni's characters encapsulate both the hope for change and ambivalence toward that change. Their incessant methamorphosis is a means to express all that». Il punto è che, proprio tale inconclusa metamorfosi, viene a essere, come già in Marinetti, una dialettica tra uomo e materia, uomo e macchina, basata sul feticismo, sulla mancanza. Anche il tema della macchina nella Ginanni oscilla tra una dimensione euforica e una disforica della oggettivazione dell'uomo: «She declares that all humans are like “meccaniche lucide ruote di metallo che la vita costringe a girare sui suoi binari simmetrici”». Quest'immagine può essere interpretata, nel contesto della teoresi futurista, fuor di metafora. Si ha una meccanizzazione disforica dell'umano e, viceversa, una umanizzazione disforica della macchina. Questo sistema retorico e concettuale della Ginanni rinvia, a mio parere, come quello di Marinetti, al contesto più ampio del confronto tra il futurismo e il capitalismo, secondo il concetto di feticismo delle merci. Similmente alcuni personaggi femminili di Fanni Diny sono costruiti tramite una dialettica tra personificazione e reificazione che esprime una «co-dipendenza» tra l'umano e la materia. Ed è significativo che il tema economico era vissuto dalle donne in modo strettamente collegato con l'oggettificazione di sé e lo scambio (la prostituzione, il matrimonio). A riprova di come fosse avvertito proprio in senso ontologico, o quantomeno esistenziale, si veda Magamal che afferma un nesso tra «stato elettrico», «ebrezza futurista» e ricchezza economica: Credo che l'uomo anche qui sulla terra può raggiungere uno stato molto più gioioso – perché elettrico, intenso, forte, artistico. Ebrezza futurista continua e non a baleni. Più sano, più geniale e perciò più ricco economicamente – Tutti potrebbero essere ricchi e gioiosi. Si delineano così le categorie di fondo che mossero le scrittrici futuriste, specie le aderenti al gruppo de L'Italia Futurista. Il loro lavoro, fu dunque filosoficamente centrale e al tempo stesso originale – per le sue radicali motivazioni di genere – nella storia dell'avanguardia italiana.
A CORPO LIBERO
ANIMA E PAROLE
PAESAGGI COSMICI
ARTI POLIMATERICHE
Info Mostra
L'ELICA E LA LUCE
MAN_Museo d’Arte della Provincia di Nuoro
Via Sebastiano Satta, 27 | 08100 Nuoro
Tel.0784/252110
Fax.0784/36243
Mail: info@museoman.it | www.museoman.it
Date della mostra
9 marzo – 10 giugno 2018