Muybridge
Il movimento è vita, direbbero ancora oggi gli artisti del movimento futurista italiano, ma questa affermazione intuitivamente comprensibile assume per loro il significato di qualcosa formatosi in un corpo a corpo con la storia e con la tecnica. Il movimento è vita nel senso che una scaturigine vitale nasce dalla resistenza del movimento stesso quando si cerchi di rappresentato in un supporto statico, un quadro. La fotografia, già una ventina di anni prima delle loro teorie, aveva lambito questa possibilità contraddittoria del medium pittorico, e fotografico. Che nacque per il ritratto, quanto di più statico, in pittura, per fissare la memoria dei viventi. Edward Muybridge, il primo attore di questa mostra, realizzò le sue fotografie di movimento per scopi inizialmente scientifici, venendo peraltro a rivelare la realtà e la verità - l'estensione delle gambe del cavallo - fino ad allora pensata erroneamente. Le sue erano fotografie di un soggetto in movimento, in questo senso fotografie del movimento, lasciando con l'espressione un significato non esaurito. Sicché egli non scoperse o visse in prima persona la contraddizione che avrebbero vissuto i pittori e fotografi futuristi. E presto anzi risolse la fissità e suggestione di movimento delle sue composizioni statiche di 25 o più fotografie (frame), nella meravigliosa invenzione cinematica del zoopraxiscope, per la quale utilizzò alla fine anche dei disegni: la pittura e la fotografia si liberavano, ancor prima di averla toccata, del pericolo di una possibilità che gli era estranea: nasceva il cinema. Sta qui, un punto importante, perché non si realizzarono composizioni di ritratti di un corpo nelle diverse posizioni durante il movimento? Sarà questo l'azzardo futurista, la sua negazione vitale. In ogni caso il senso del futurismo di Giacomo Balla quando iniziò a dipingere, in un quadro, la moltiplicazione di un oggetto in movimento nello spazio. È vero, Balla, all'inizio, riteneva di poter trovare nella realtà oggettiva del movimento di un corpo - partendo dal movimento reale non immaginandolo - la sua nuova estetica. Mirava a uno scopo diverso da Muybridge, sulla strada di Muybridge, che sulla trascrizione oggettiva, fotografica, della realtà in movimento, aveva trovato una nuova tecnica, e poi una invenzione, e una nuova arte, il cinema. Ma non hanno nessun valore estetico queste fotografie di Edward Muybridge? Che abbia voluto esporle e divulgarle in collotipi (secondo un procedimento di fotolitografia) in composizioni a sé stanti, da fruire come quadri, ci lascia intendere quella mirabolante collusione tra tecnica, indu- stria e arte che alla fine dell'ottocento e all'inizio del novecento era così esemplare di un mondo. Se il suo soggetto più noto, il cavallo, rimanda all'esperimento che permise la scoperta della fotografia di movimento, è vero che i suoi soggetti poi si diversificano secondo scelte estranee all'indagine scientifica, e guidate invece dal gusto, come in Two models shaking hands and kissing, 1887. Altre fotografie in questa mostra, come "Animal Locomotion, Plate 522", presentano diverse sequenze del movimento del ginnasta, sicché alcune immagini del corpo bloccato restano come fluttuanti, senza direzione di lettura, cariche di una suggestione che non è più analisi. Troviamo cavalli e cavalieri al passo, al trotto e al galoppo, rappresentati da destra a sinistra (contro il senso naturale di lettura) o da sinistra a destra, cani, e poi saltatori con l'asta, saltatori in alto - in diversi stili - saltatori in lungo, saltatori a piedi uniti, il salto mortale in avanti, lanciatori di giavellotto, lanciatori di peso, lancio del sasso, lanciatori di martello. Il fotografo britannico compone le tavole seguendo diversi principi che portano a una diversa complessità di lettura: a volte due o tre fasce di fotografie sovrapposte ricostruiscono un singolo movimento di un solo soggetto da una sola inquadratura. Più spesso le inquadrature sono due, laterale e frontale, o tre, laterale frontale e obliqua; in altri casi ancora, le prime due fasce descrivono da due inquadrature diverse la prima parte del gesto atletico e la terza e la quarta la seconda parte, da quelle medesime inquadrature. In un caso soltanto, tra le fotografie in mostra, il citato "Animal Locomotion, Plate 522", troviamo soggetti diversi inquadrati mentre compiono movimenti diversi in diverse sequenza orizzontali di fotografie, inoltre, nel caso specifico, le singole fotografie dei ginnasti, sono a loro volta scattate da prospettive differenti. C'è dunque senz'altro il tentativo di trovare una corrispondenza estetica tra le diverse possibilità compositive elencate, la loro varia combinazione, e la tipologia del soggetto e del suo movimento. In effetti quanto più il movimento è naturale, come nel caso di quello dei cavalli e dei cani, tanto più la disposizione è semplice, ed evidentemente il fotografo ha sentito il fascino, in questi casi, dalla possibilità di rappresentare ed esprimere il moto in sé, consentendo all'occhio dell'osservatore una lettura intuitiva. La doppia inquadratura, molto ricorrente, ha piuttosto il carattere dell'osservazione scientifica del fenomeno naturale. Quando invece i movimenti divengono gesti o gesti atletici, come al massimo negli acrobati, la composizione è più complessa o intenzionale. In questo caso si può parlare davvero
di una declinazione del mezzo di una declinazione del mezzo tecnico in funzione evocativa ed estetica, con un apice nella fluttuazione sospesa del corpo del ginnasta sullo sfondo oscuro che sembra suggerire, oggi, l'emergere dell'immagine dall'inconscio. Ma ciò non vale in generale ed è piuttosto il soggetto a dettare la composizione: gli acrobati sono ripresi sospesi nell'aria, laddove invece nelle altre prove atletiche il gesto è descritto dall'inizio alla fine; le due ragazze che si baciano, riprese da tre prospettive, raccolgono probabilmente la suggestione della statuaria classica.1 A volte, è la forma dell'attrezzo utilizzato a guidare la composizione, e il formato delle fotografie, come nell'elegante semplificazione in due fasce sovrapposte del salto con l'asta. Qui opera, tra l'altro, uno ricerca della traiettoria del corpo nello spazio libero e buio, che pare omogeneo, non composito. Altre volte come nel caso del lanciatore del sasso le tre prospettive sovrapposte in altrettante fasce danno un effetto “a tutto tondo”, quasi di rotazione intorno al soggetto che ha compiuto un movimento minimo ma muscolare. Egli, peraltro, in una fotografia sembra guardare fuori dal quadro. L'uso di prospettive e inquadrature differenti nella rappresentazione di un corpo in movimento o di un oggetto fermo, anticipa parzialmente, di fatto, le problematiche analitiche del cubismo. Mentre il valore determinante, in senso analogico o evocativo, del soggetto o della sua forma - come si è visto nel salto con l'asta - sul formato, anticipa di fatto le problematiche di Balla - anche pre-futurista - e di altri futuristi sul rapporto tra il soggetto dipinto il formato e la cornice. Ma, poiché nel caso di Muyebridge i soggetti delle composizioni di fotografie hanno un carattere narrativo, molto più dei soggetti dei quadri, a maggior ragione di quelli futuristi, risalta qui lo status non esclusivamente fittizio del soggetto, o meglio, la sua influenza al di fuori della finzione. Un'ultima nota, forse anacronistica, ma che mi è stata suggerita dall'osservazione è poter guardare queste composizioni nella loro ossessività, nella ricorrenza di soggetti che, pur variando sono riconducibili a un modello e, in questo senso, ricordano esempi della produzione addirittura post-pop degli anni ottanta, da Sherry Levine a Allan McCollum.
Boccioni con Muybridge: la ricostruzione del movimento e l'immagine mnestica
C'è qualcosa che rimanda sempre all'indagine scientifica, nella scelta del fotografo di rappresentare soggetti umani e, ciò facendo, si apre anche un altro tema della sua eredità al futurismo, che, si separò al suo interno in due fazioni su questo tema, da una parte la preferenza di Umberto Boccioni per i soggetti umani, dall'altra quella di Balla e poi, negli anni venti, di quasi tutti i futuristi, per i soggetti meccanici. Ed è proprio in questa consentaneità, tra, a esempio, i cavalli o i corpi boccioniani, e le Animal locomotion, qui esposti Acrobat, Dog, Sport Studies, che si inscrive la loro massima distanza, se, per Boccioni la trascrizione fotografica del movimento altro non era che un espediente meccanico, una semplificazione che doveva restare estranea alla possibilità del disegno e della pittura di cogliere l'essenza del movimento, del dinamismo. Su questo uno degli accostamenti della mostra insiste. I ginnasti di Muyebridge e Voglio fissare la forma umana in movimento di Boccioni. Un corpo, unico, dinamico, da una parte; lo stesso corpo, nelle posizioni descritte dal suo movimento, dall'altra. Eppure, non era l'attività muscolare, la tensione biologica, il suo riscontro plastico, l'avere a che fare con una entità biologica e per questo al massimo della raffinatezza evolutiva, ciò di cui anche Boccioni sentiva il bisogno, per ottenere la sintesi del movimento, il dinamismo plastico? Lista ha notato, quantomeno rispetto alle cronofotografie di Marey, una affinità del pittore con Muybridge, perché «a differenza delle rigide e astratte formalizzazioni dell'immagine create dalla cronofotografia di Marey, [le serie di Muybridge], apparivano molto più evocative della pulsione vitale, avevano cioè una loro dimensione proustiana che era sollecitabile proprio in una dimensione memonico-immaginativa. Il potere suggestivo della serie di Muyebridge potrebbe avere in esergo la frase futurista "Una figura non è mai stabile davanti a noi, ma appare e scompare incessantemente"». Mi trovo d'accordo con questa interpretazione di Lista, come evidenziato per gli acrobati. Se è vero che opere emblematiche di questa contiguità possono essere, Il lutto e La città che sale, è vero poi che nella fase di ricerca del dinamismo plastico il segno boccioniano condusse a una sintesi dinamica. Vale la pena sottolineare, in merito alle figure boccioniane intese come immagini mnestiche, le recenti indagini sulla riscoperta di un book di riproduzioni e ritagli composto tra il 1899 e il 1910, per la curatrice Francesca Rossi, vero e proprio "Atlante" della memoria alla maniera di Aby Warburg. Mi pare interessante notare che tra le immagini di maggiore accento dinamico contenute in questo album boccioniano troviamo il dipinto del tardo preraffaellita Frederic Leighton, Greek girls playing at ball. Ora, mi pare sia effettivamente indice del credo protofuturista boccioniano non solo il fatto che abbia selezionato proprio quella immagine dinamica tra le tante disponibili dell'artista inglese, ma in particolare che l'abbia preferita ad altre come Greek girls picking up pebbles by the sea, ove la profusione dei dettagli in movimento era paragonabile ma motivata naturalisticamente dal vento. La formalizzazione del dinamismo e del pathos che interessava a Boccioni era insomma molto più inerente al soggetto dinamico che a una narrazione ove fosse giustificata estrinsecamente al moto del corpo umano. Inoltre, dei tre dipinti inseriti in quella pagina dell'"Atlante" ben due rappresentano anche una sfera, in una caso una palla, in un caso una mela. Si può proporre un'ipotesi di lettura di questi due quadri come una sequenza, nel senso delle ricostruzioni del movimento degli atleti con i loro attrezzi di Muybridge. Del resto, già tra il 1905 e il 1907, Boccioni aveva sperimentato la moltiplicazione fotografica in "auto-multiritratto", realizzato, secondo Lista, da venditori ambulanti dell'epoca. Su un versante, diverso, quello illustrativo, troviamo inoltre già all'altezza del 1904 composizioni sequenziali narrative, come Bambina con pulcini.
Appunti sulla serialità e la sequenza come matrice
Un corpo, unico, dinamico; lo stesso corpo, nelle posizioni descritte dal suo movimento: un corpo moltiplicato. "L'uomo moltiplicato e il regno della macchina", scrive Filippo Tommaso Marinetti. Sulla strada della moltiplicazione, di un uno che è anche molti, il Futurismo giungerà addirittura ad anticipare, tramite Fortunato Depero, la rappresentazione della serialità. E già poteva accadere agli albori della fotografia futurista, come è stato notato da Giovanni Lista a proposito di Autoritratto Doppio 24 marzo 1915, di Fortunato Depero, dove, «la ripetizione, che è seriale e non differenziata, esclude la registrazione del tempo, e punta su una insistenza impositiva dell'immagine nei modi praticati in pittura da opere come La danseuse obsedante di Severini o Two Elvis di Andy Warhol». Successive e ancor più evidenti risoluzioni di Depero in questo senso, sono nella produzione di tarsie dalla metà degli anni venti, fino ad una quadro come Big Sale, 1929: quasi un manifesto del trapasso dalla moltiplicazione balliana alla serialità pop. Con gli occhi della serialità, oggi, e non allora, quando furono inventate, per forza guardiamo anche le fotografie di Muybridge, che sono appunto fotografie, risultato di procedimento tecnico e perciò, portavano quella potenzialità inscritte. Ma, di nuovo nella apparente prossimità si ha la massima differenza, perché guardando le sue tavole, vediamo lo snocciolarsi di una nuova arte, il cinema, nel susseguirsi stesso di quelle figurine, la parte scoperta di un mondo ad alto grado di elaborazione digitale. Tutto l'opposto della moltiplicazione dello stesso, della costrizione al già noto. Queste opere sono, in un certo senso, la matrice visibile del nostro mondo. Vorrei dire allora che, anche nella contraddittorietà del futurismo, che ha saputo intuire i due poli opposti, della tecnica come riproduzione delle stesso, e della tecnica come scaturigine vitale - seguendo una bella intuizione del mio amico Andrea Baffoni, che ci sia futurismo ogniqualvolta una novità tecnologica abbia una ricaduta estetica - le opere di Muybridge, come "mostrarsi" stesso della tecnica, se guardate come sequenza che possono risolversi in animazione, sono esempi di "scaturigine vitale" della tecnica.
Tre esempi del dibattito futurista sulla necrosi fotografica e il movimento in pittura: da Balla a Duchamp
Il secondo anello, in prospettiva storica, della storia della fotografia di movimento, sono, dopo le sequenza di Muyebridge, le cronofotografie di Étienne-Jules Marey, che fissano le fasi del movimento di un corpo nella stessa immagine, non più ricostruendolo con una serie di singole fotografie. Si presenta allora per la futura teoresi fotografica futurista una prima possibilità estetica in linea con la teoresi generale, la possibilità di rappresentare tramite il mezzo fotografico il movimento in sé, non le sue diverse fasi bloccate, e così allinearsi a una dimensione immateriale, e vitale del divenire. L'influenza di Marey su Balla si concretizzò nel celebre quadro del Dinamismo di un cane al guinzaglio, ma operava già da tempo nella mente del pittore se «Balla aveva visto le immagini di Marey nel 1900, a Parigi, forse ancora nel 1902 a Torino, e certamente nell'aprile 1911 a Roma, in occasione di una mostra di fotografia scientifica». La soluzione balliana al tema del movimento, in questa fase - rappresentata in mostra dal prezioso studio per l'opera maggiore - indica esattamente il limite di una sensazione del dinamismo che Boccioni voleva altrimenti collegata alla dinamizzazione dell'oggetto in un tutt'uno con l'ambiente piuttosto che alla sua rappresentazione moltiplicata ma, per questo, di volta in volta statica. Nella fede per una rappresentazione del movimento desunta da una analisi scientifica, però, si vede il profondo legame di Balla con una tradizione leonardesca delle potenzialità di analisi della realtà del disegno e della pittura che lo porterà a impadronirsi di alcuni segni-dinamici indipendenti dal dato sensibile. E poi, nei cicli man mano più astratti delle "Velocità di automobile" fino alla resa unitaria, né figurativa né astratta, e non più sequenziale, della sensazione dinamica. È presente in mostra un esempio eccezionale di quella fase della ricerca di Balla, il Bozzetto di costume per il balletto "Piedigrotta" di Cangiullo, datato 1913-15. Appartenuto alla collezione di Léonide Massine,
l'impresario dei balletti russi, ed esposto nel 1917 al Ridotto del Teatro Costanzi nella mostra della sua collezione, accanto ad altri lavori a collage afferenti al periodo interventistico, come La Guerra, il lavoro (e la mostra) accompagnavano la presentazione dei Feu d'artifice di Stravinskij, per i quali Balla aveva realizzato la sua celebre scenografia con forme a girandola. Il bozzetto è di estremo interesse anche per la resa del dinamismo. Si tratta innanzi tutto di un soggetto umano, sebbene di un costume, fatto rarissimo nella produzione futurista di Balla; l'immagine si legge forzatamente da destra a sinistra, contro il senso comune; e, la resa apparentemente sequenziale dei movimenti di questo "uomo orchestra" appare però come uno sventagliamento unitario, con un carattere di arrotolamento e srotolamento simultaneo che mira a un effetto sinestetico. I vettori e le forme bianche, identificate da Lista come gli strumenti del musicante, sono le parti più astratte di questa composizione nella quale sono innestate con estrema originalità a paragone del loro valore più strutturale nelle altre opere del periodo. All'altezza delle ginocchia paiono avere un carattere come di fascina leggerissima. In alto, all'altezza del capo sono straordinariamente incrociate, come due mezzaluna, cinetiche: un effetto di eleganza orientaleggiante nella quale si sono declinati pezzi di pittura coeva come le sfere di "spessori di atmosfera". Si tratta di un lavoro che evidenzia in modo particolare la capacità specifica di Balla di rimanere sospeso tra figura e astrazione. Al 1911 risale la prima fotodinamica di Anton Giulio Bragaglia, avvicinatosi al futurismo dopo aver assistito a una conferenza di Boccioni. Bragaglia, ponendosi subito in una posizione dialettica rispetto a Marey, ricercava «una fotografia del movimento che fosse basata sulla traiettoria dello spostamento di un corpo nello spazio e non sull'analisi delle sue diverse fasi cinetiche». Siamo, a questo punto, al massimo momento di distacco dalle fotografie di Muybridge e, nello stesso tempo, al massimo sforzo della fotografia futurista di conciliare lo spirito vitale con la natura meccanica del mezzo fotografico. Come scrisse lo stesso Bragaglia «la ricerca tecnica del movimentismo rendeva ormai inutili esercitazioni pittoriche che in quel senso, allora, Giacomo Balla perseguiva con quadri, del resto interessantissimi». Ma questa forzatura estrema del mezzo fotografico contro la sua stessa natura tecnologica e documentaria della realtà sensibile, sebbene in sé innovativa e capace di assumere le variegate poetiche del sovrasensibile, che, tra spiritualismo e esoterismo, avevano riflessi anche nelle altre arti, non era forse anche un modo di rinnegare la specificità tecnologica e il suo potenziale intrecciarsi con la sperimentazione d'avanguardia? Non era, peraltro, un modo di rinunciare proprio a quella radicalità negativa che definiva il futurismo come avanguardia? Il problema del movimento nelle arti visive, per come lo abbiamo affrontato in questo saggio è parso sempre doversi confrontate con i limiti del medium, nell'arco di quaranta anni, e riaprire di volta in volta il dibattito proprio su questo versante. E fu in effetti proprio questa problematica irrisolta, che covava evidentemente in seno a tutte le avanguardie artistiche dell'epoca, almeno sull'asse cubismo - futurismo, la causa di un'altra rivoluzione in seno alle arti visive. È ben noto che, del resto, quando il Nudo che scende le scale di Marcel Duchamp venne presentato all'Armory Show nel 1913, fu considerato da un cronista dell'epoca, cubo-futurista: in generale, l'influenza del dinamismo futurista sulla pittura cubista e l'influenza della scomposizione cubista sul tentativo di rendere la sensazione dinamica nel futurismo erano temi presenti e inevitabili in tutta la principale avanguardia dell'epoca. Duchamp, che ammirava Balla, tanto da farsi promotore dell'acquisto di Dinamismo di un cane al guinzaglio presso Katherine Dreier,13 trovò proprio nel problema insito alla rappresentazione del movimento la resistenza per andare oltre. Oltre la pittura e la fotografia: «E quel conflitto tra figurazione del moto e resistenza di una superficie bidimensionale, ferma, così caro ai futuristi, Duchamp lo risolverà solo dopo essersi svincolato dalla fissità del supporto. Discostandosi dalla tela - dal Nudo che scende le scale del 1912 - con un gesto apparentemente dadaista, riuscirà a trasformare la rappresentazione dinamica in un oggetto tangibile. Nella visione di "riposo istantaneo" della Ruota di bicicletta del 1913 è contenuta infatti l'idea di demoltiplicazione di una forma costituita da molteplici raggi. […] Nel susseguirsi del moto, i raggi in velocità non sono più percettibili
e la superficie circolare diventa un'area compatta dove la linea del raggio stesso simultaneamente sembra trovarsi su tutti i punti della circonferenza. Nella scia delle ricerche intorno alla rappresentazione di un moto dinamico, l'artificio della pittura è ormai definitivamente vinto. Duchamp lo sconfigge con un oggetto che simula il suo stesso artificio, vanificando dal suo canto la possibilità di presentare sulla tela una forma in movimento».14 Quanto tempo era trascorso da quando a Edward Muybridge involontariamente si era presentato il problema della rappresentazione del movimento tramite un mezzo il cui codice era in contrasto con esso? Decenni nei quali questo problema era venuto a innestarsi nel più importante dei generi artistici, la pittura. Ma se Muybridge, come detto, lo lambì solamente, risolvendo poi le sue composizioni fotografiche (e il dilemma della fotografia) nel cinema e nella finzione del movimento. Duchamp lo risolveva senza poter scoprire una nuova arte. Si trattava della stessa possibilità naturale della percezione umana, nello zoopraxiscope e nella Ruota di bicicletta, ma una ricadeva nuovamente nell'ambito della finzione, l'altro invece nella percezione della realtà. Ma questa realtà così scoperta da Duchamp, come è noto, sarebbe diventata essa stessa finzione, nel senso però diverso di artefatto, parte del mondo dell'arte. Nella analogia e distanza dalla vicenda di Muybridge, che scopre una nuova arte, e risolve un problema in un non problema, si vede come Duchamp abbia invece risolto un problema in un altro problema. Portando la realtà nel campo della finzione (il ready made), per risolvere un problema che era della finzione pittorica, lascia che quella realtà possa attestarsi come un nuovo genere di finzione. C'è ovviamente qualcosa di contraddittorio in questo. Visto come soluzione a un problema irresolubile, alla contraddizione stessa del rapporto tra pittura e movimento, il balzo nella realtà che Duchamp fa fare al movimento ha qualcosa di liberatorio, torna a mostrare la cosa per ciò che è. Ma la soluzione trovata paradossalmente esorbita dall'ambito in cui il problema era stato posto. Si può ancora vedere nel movimento percepito, generato dai raggi di una ruota di bicicletta, una forma di finzione ottica che, però, se rapportata all'oggetto nel suo complesso, ha senso solo come un diverso status, concettuale, dell'oggetto, rispetto a altri oggetti comuni. Poco dopo anche la visibilità della finzione sparirà dai ready made, divenendo una componente dell'oggetto totalmente invisibile.
Dirk Baummans tra foto-performance, narrazione e ricostruzione del movimento traccia
La composizione di fotografie e disegni presentate da Dirk Baumanns e realizzate in collaborazione con Gio Montez, fanno subito pensare alla foto-performance futurista, un genere della fotografia futurista che ebbe una importanza, nei primi dieci anni, pari a quella della fotodinamica. Ma prima di parlarne più estesamente val bene la pena di considerare l'opera ideata dall'artista tedesco e da Montez proprio per questa esposizione, un nuovo zoopraxiscope, basato su quello di Muyebridge. Come consideralo? Può ben essere qualcosa di affine all'omaggio, a quella specifica forma di produzione artistica d'occasione la cui forza ed eleganza sta nel fare un passo indietro, nel carattere depotenziato, nel vivere nella forma del paratesto, pur presentando in effetti un'opera nuova. Altro espetto è la dimensione relazionale, cioè di consapevole investimento sul valore personale della creazione come segno di una dialettica interpersonale. Mi pare però che la risonanza di questo lavoro, dalla prospettiva della storia e del contesto espositivo che l'ha ispirata, sia quella di spostare la soluzione che Muybridge aveva dato al conflitto tra fotografia e movimento dentro il mondo dell'arte. In questo senso, il lavoro raccoglie dialetticamente nella sua eredità la successiva "Ruota di bicicletta" di Duchamp. Si presenta come una sorta di simulazione del non artistico nell'artistico, e allo stesso tempo come pensiero su uno snodo fondamentale, si è visto, dell'assunzione del non artistico nell'artistico. L'animazione generata da questo oggetto perciò non ha né la freschezza di allora, esemplarmente cinematografica, né simula quel marchingegno come opera, giacché non è propriamente l'opera di un artista, come furono ad esempio i "Mondrian" di Levine, negli anni 80. Né solamente assume un oggetto non artistico nel mondo dell'arte. O meglio, potremmo comunque sentirci un effetto di simulazione, che, in più, ricolloca il non artistico nel mondo dell'arte. Il carattere specifico è questo recupero della freschezza dell'invenzione risolta, in una dimensione concettuale. Essa in tal modo, cita e al tempo stesso mette in causa la non-soluzione duchampiana al problema della rappresentazione del movimento. Quest'opera vuole forse dirci che sarebbe stato meglio non considerare il movimento della ruota duchampiana come una rappresentazione del movimento? Tuttavia per porre questa questione Baumanns, come Duchamp, ricolloca (contamina?) un lavoro del tutto risolto come l'animazione dello zoopraxiscope di Muybridge - e come lo era la rotazione di una semplice ruota bicicletta - dentro un contesto concettuale. La composizione di disegni e fotografie di Baumanns è il risultato di una performance eseguita nel 2017 presso l'Atelier Montez di Roma, della quale sono state tratte alcune fotografie utilizzate poi da Gio Montez, insieme a nuovi disegni di Baumanns per formare una composizione a parete. Assistetti alla performance di Baumanns e mi ricordo che l'uso dei copertoni di automobile, in un rapporto carnale in chiave di body art, mi fece pensare al futurismo, proprio a partire dal tema. Le sue precedenti performance hanno incrociano i temi del feticcio hyperpop, del travestimento sovversivo in chiave mediale fino a elementi di post-umano, che possono ricordare Matthew Barney, ma con un attraversamento del trash. La performance Black Priest in questo senso appare meno barocca di altre e declina il tema del post-human in chiave di metamorfosi futurista, insieme insistendo, come Organorga, sul valore del segno pittorico e dell'impronta. Partendo da uno spunto narrativo dissacratorio il lavoro a parte si articola in contrasto alla narrazione, in modo non sequenziale. L'impronta/articolazione del corpo del performer è su più disegni che, variamente disposti, ne seguono sommariamente l'estensione, quasi il depositarsi dell'impronta sulle tele alludesse anche a una azione direttamente compiuta sulla parete, e al disporsi e articolarsi dei supporti su di essa. Si può vedere questa antropometria artistica in rapporto alla scomposizione/ricostruzione sequenziale ma singolarmente bloccata di Muybridge, ponendo in analogia l'impronta della realtà sulla pellicola con l'impronta corporea su ogni singola tela, in modo da avere una documentazione temporale del moto del soggetto (sia essa traccia fisica o impronta della luce). È vero tuttavia che su un altro piano, visibile allo stesso tempo, la composizione assume un carattere figurativo fantastico di sintesi delle tracce. Si ha l'impronta di un corpo trasfigurato in macchina nell'impronta dei copertoni sulle tele, giacché quegli stessi copertoni avevano dipinto il corpo del performer - copertoni altrove presenti nelle fotografie come elementi libidinosi - sicché l'impronta di essi divine, come traccia, il segno di un corpo fantasmatico, e questo, metafora della luce. Per me questa composizione opera di due autori declinata in senso analitico come ricomposizione da parte di Montez di elementi documentali di Baummans, della sua performance e del suo corpo concerne soprattutto le modalità conflittuali dell'appropriazionismo. Qui la ricomposizione creativa di opere altrui è autorizzata dalla necessità di ricomporre le fasi di un movimento oggettivo. C'è un po' di cerebralità in questo, ma l'esperimento è suggestivo. A maggior ragione perché diversamente dai soggetti di Muyebridege, il performer, avendo lo status dell'artista, pone - indipendentemente dalla sua volontà - un conflitto tra valore documentale delle fotografie della performance (il cui autore genericamente resta il performer stesso) e il supposto valore di traccia oggettiva. In secondo luogo perché l'esistenza stessa del genere della foto-performance accorda centralità al soggetto della fotografia travalicando ogni possibilità di documentazione: la fotografia è l'opera del soggetto fotografato. In questo senso, sembra che questa composizione voglia disdire sia il carattere di semplice documentazione della performance sia il carattere di creazione autonoma, irrelata da quell'aspetto vitale proprio del codice performativo. Sono già questi elementi che si ritrovano storicamente, per la prima volta, nella foto-performance futurista: «Depero si serve del gesto e dell'enfasi fisionomica per proiettare una teatralizzazione esibizionista e provocatrice dei modelli comportamentali, delle idee estetiche e della determinazione sovversiva del futurismo».15 Altro punto, portato a consonanza dalla mostra, è proprio il rapporto tra il performer e l'oggetto associato al dinamismo, si è detto il copertone con il quale Baumanns ha improntato il proprio corpo - oggetto che ha un precedente tematico nel suo lavoro almeno nel dipinto Eco-Biker del 2017 - in chiave ovviamente anche di body art, che richiama quegli inusitati e stranianti abbinamenti che gli artisti futurista compivano fotografandosi insieme agli oggetti, incontri tra essere umano e oggetto, volti a far risuonare la marinettiana "vita della materia" attraverso la negazione dell'umano. Colpisce, però, di questa composizione, soprattutto quello «stile gestuale che intensifica il dinamismo dell'immagine»,16 che possiamo ritrovare nel lavoro di Arnulf Rainer, per Lista «principale erede della foto-performance futurista ».17 Altri elementi figurativi della maschera di Baumanns paiono riprendere, invero, alcune precedenti figure grottesche dei suoi dipinti, come a esempio Proto, 2014.
INTRO
La ricomposizione relazionale dell'amico Gio Montez dei materiali di Baumanns, nella sua analogia alla ricomposizione fotografica del movimento in Muybridge, sposta verso l'interpretazione la ricostruzione del movimento del fotografo. Questa mostra, accostando le tre entità, le fotografie di Muybridge, il disegno futurista e l'operazione Baumanns- Montez, riattiva quella mobilità nell'interpretazione intertestuale. Ciò facendo, specie nell'accostamento catalogico, la mostra è come un terzo livello di ricostruzione che ha incontrato la resistenza debole dell'opera appropriazionista scomponendola in senso relazionale. Nella composizione alcune categorie storico-analogiche già le conoscevo e ho cercato di enuclearle nel testo critico, ma altre si sono rivelate nell'insieme, plurisenso, in particolare un legame trasfigurante tra la traccia, la luce, il segno di velocità e la figura umana. Il percorso di immagini attinge, tuttavia, a una sua specifica unità, non tanto per la ricorrenza di queste categorie, quanto perché vi si trasfigurano i soggetti. Il soggetto più esterno e fantasmatico, tra i molti che ho messi in rapporto, è appunto il performer Dirk Baumanns, che, nelle sue trasfigurazioni, è protagonista di una storia di associazioni formali e concettuali con i soggetti di altre opere e con altre opere, e è, in tale movimento esterno, come i soggetti mobili dentro le opere.
Info Mostra
IL CORPO CON LE ALI
FUTURISM & CO Art Gallery
Via Mario de' Fiori, 68 . Rome, Italy
Date della mostra:
8 febbraio – 30 aprile 2018
Orario
Lunedì: 14.00 - 19.30
Martedì - Sabato: 11.30 - 19.30
Domenica e festivi solo per appuntamento