Balla e Dorazio tra Roma e New York tra continuità e ispirazione
La riscoperta dell'astrazione di Balla
GIANCARLO CARPI
Il percorso che è stato pensato per questa mostra presenta oltre 25 lavori di Giacomo Balla e
di Piero Dorazio secondo un rapporto di assonanza stilistica che descrive 3 momenti, dalla
fine degli anni Quaranta alla fine dei Sessanta.
La prima fase di ispirazione di Piero Dorazio
nella seconda metà degli anni Quaranta focalizzata soprattutto sulla dimensione ritmica o
di scomposizione dinamica, come rilevato da
Marisa Volpi, un “lavoro che oscilla tra Magnelli
e Kandinsky, tra il Futurismo e Klee”.
La mostra presenta per questa parte Sviluppo orizzontale di una cornamusa dolcissima, 1948, e
Il ponte di Carlo, 1947. Quest’ultimo richiama
da vicino Fisionomia della cattedrale di Praga,
1947. Un confronto possibile è con i disegni di
velocità di Balla come Linea di velocità + cielo
+ rumore, 1913 c. qui esposto, mentre Sviluppo orizzontale di una cornamusa dolcissima
può ben richiamare le sintesi astratte degli anni
immediatamente seguenti, dal 1915 al 1920,
come testimoniato dal prezioso collage in mostra, Linee forza di paesaggio + esplosione,
1918. Si tratta qui per entrambi di un rapporto
più sensuale e sinestetico con l’oggetto o con
l’oggetto-paesaggio.
Natura morta, del 1948, in mostra, ha invece un accento più volumetrico ottenuto con trasparenze e sovrapposizioni
tonali, ed è apparentabile a Natura morta del
1945>1947. Si tratta tuttavia di una fase nella quale, come è stato indagato da Denis Viva,
l’apporto principale alla produzione di Dorazio veniva da quel sincretismo tra un’astrazione “costruttivista, geometrizzante e purista”4
e un’altra “surrealista, fantastica e indefinita” che
Prampolini stesso professava, grazie al suo
attraversamento della stagione del secondo
futurismo verso l’organicismo surrealista, fino
poi al recupero di elementi di scomposizione
cubista. Benché si stesse assistendo, a partire
dalla Quadriennale del 1948, a una inarrestabile
riscoperta del futurismo come fondamento della giovane arte italiana astratta, tra Forma 1 e
Mac, le riprese astrattiste del futurismo di Balla appaiono sostanzialmente ancorate ai temi
del dinamismo: “la composizione vettoriale, da
un lato all’altro della tela, che guidava lo sguardo nel riconoscere un moto; la ragione cinetica
delle curve; o la scansione ritmata e paratattica
della superficie.”
Nonostante certa confusione
interpretativa, tuttavia, la notorietà di Balla e la
possibilità che influenzasse l’arte presente si
andavano manifestando attraverso una serie di
esposizioni e di prese di posizione degli artisti di
Forma e del fondatore dell’Art Club, Prampolini.
Specie a partire dal 1951, la mostra alla Galleria
Bompiani organizzata da Guido Le Noci, “Arte
Astratta italiana”, “Giacomo Balla” alla galleria
Borromini “Amici della Francia” di Firenze, sempre a cura di Le Noci, e “Omaggio a Giacomo
Balla” a Roma nella galleria Origine. La comprensione delle potenzialità dell’astrattismo di
Balla per la sua stessa pittura venne dalla riscoperta prampoliniana delle Compenetrazioni iridescenti, nella mostra del 1952 a Firenze, alla
Galleria d’Arte Contemporanea Lungarno delle
Grazie, “Futur-Balla 1912-1920”. Nella presentazione, “Prampolini reputava le compenetrazioni
iridescenti il definitivo passaggio del pittore dal
primo periodo divisionista alla ‘costruzione geometrica astratta’, ossia alla ‘sintesi geometrica
della costruzione anti figurativa’ che era a tutti
gli effetti un ‘non oggettivismo [che] si identificava con l’astrazione formale’, con una ‘espres-
sione autonoma a se stante’”.
Il passaggio così riconosciuto in Balla dal divisionismo all’astrazione, e la compresenza di una interazione divisionistica tra i colori, le scale tonali e la vibrazione ottica, è quanto in effetti chiarisce l’influenza
più forte di Balla su Piero Dorazio, come pure
egli riconoscerà nel 1977, scrivendo quello che
ho imparato da Giacomo Balla:
“Che non esistono le immagini senza tenere
conto della luce che le compenetra e le fa palpitare insieme a tutto ciò che le circonda. Luce
e movimento sono l’essenza della realtà tutto il
resto è illusione, apparenza”.
Sviluppi dell'astrazione in Dorazio
Della breve fase di passaggio intorno al 1956,
sono presenti in mostra tre lavori su carta più informi e frementi in libero accostamento
con alcune minute figure balliane della serie delle "futurlibecciate". Sono questi anni in cui, rileva
ancora Marisa Volpi, si ha una "strana (e apparente) identificazione di forme e pennellate, che
fa del quadro una massa magmatica e bioccolosa, [...] una fase emozionale, quasi informale
della sua pittura", esito del soggiorno americano di Dorazio e della su conoscenza dell'Espressionismo Astratto.
Risalgono invece alla fine degli anni Cinquanta le prime texture, a sovrapposizioni di linee colore, nella conquista di una posizione estetica
che si contrappone all'informale per "identificare il dipingere con il processo di dipingere, senza tuttavia caricarlo di accenti gestuali espressivi".
Quanto mostra il quadro esposto, Purple Wink, del 1958, i cui margini rossi lasciati scoperti
stanno a indicare e esporre l'atto della realizzazione e lasciano intendere l'arte come processo. Il raffronto è qui con le "compenetrazioni0
iridescenti" di Balla, nella ricerca della vibrazione luminosa data dal rapporto tra gli intrecci
tonali o di colori distinti. Si sviluppa poi a partire
dagli anni Sessanta quello che, volendo richiamare un'espressione sempre della Volpi, è una
"struttura stellare". In mostra tale passaggio e
sbordare della texture in un richiamo figurativo,
senza tuttavia perdere la sua quintessenza geometrica, è presente nel piccolo Textur, del 1962.
Ed è proprio tale confondersi e infinito approssimarsi della forma geometrica alla suggestione
figurativa che mi ha suggerito l'accostamento
con una compenetrazione balliana che sviluppa un effetto simile, quasi fitomorfo, Studio di
compenetrazione iridescente 1912.
Dal 1963, avviene una nuova modificazione
nella struttura degli intrecci coloristici di Dorazio, che si semplificano e ingrandiscono. La
Volpi cita come centrale di questa fase Cercando la Magliana, del 1964, "quadro importante
perché per la prima volta la struttura tissulare
ingrandita si propone in modo semplificato",
è questo anche l'ulteriore sviluppo di La Corsa,
1968. Il possibile confronto con Balla, qui, è ancora da ricercarsi nelle compenetrazioni iridescenti ma in quelle della serie che espongono
il colore puro, in forme geometriche o para-geometriche chiaramente scandite. La Corsa è
un lavoro che peraltro richiama puntualmente
nello sviluppo quadrato delle bande rettangolari opere come Linear, del 1968, e, per il contrasto tra forme oblique e orizzontali, Karezza,
del 1966-67. Si ha qui internamente al quadro
un contrasto tra staticità e dinamismo, come il
titolo evidenzia.
Infine un'ultima inaspettata assonanza si
ha tra il ritmo di reticolati ancora non strutturali – Senza titolo, 1954 – coevo di alcune
sperimentazioni debitrici a Mondrian come I
Giardini di Pogo, 1954, e i segni onomatopeici
di Balla nella trasfigurazione astratta di un momento o di una atmosfera. La mostra riunisce
peraltro per la prima volta dopo molti decenni
le due versioni di Rumoristica plastica Baltrr di
Giacomo Balla (1914 e 1916). Della prima, tra
i vertici della sperimentazione dei materiali in
direzione post-mediale e di sconfinamento
dai cardini ordinari dei generi, dal formato del
quadro, negli anni appunto della ideazione del
manifesto Ricostruzione futurista dell'Universo e di invenzione dei "complessi plastici", va
quantomeno ricordato il rapporto tra elementi
astratti circolari colore arancio e le onomatopee stesse. Davvero nell'atto di sondare i limiti
della significazione (con un rapporto che può ricordare quello delle sintesi astratte di Benedetta). Un quadro importante anche per la sua storia espositiva, presentato a New York nel 1973
– Finch College Museum & Instituto Italiano di
Cultura, Italian Visual Poetry, 1912-1972 – in
atmosfera evidentemente di riscoperta delle
interazioni verbo-visive come fu negli anni Settanta. E proprio sulla rotta della scena artistica
newyorkese, ma degli anni 50, ritorniamo per
altro verso ai rapporti di Dorazio con Balla.
Dorazio e Perilli organizzatori della mostra di Balla e Severini alla Rose Fried Gallery
Le tre lettere riprodotte in questo catalogo,
indirizzate da Piero Dorazio da New York a
Achille Perilli, documentano l'attività di Dorazio
giunto nella capitale dell'arte americana, a favore
del futurismo italiano oltreoceano. Invitato all'International Seminar dell'Università di Harvard
nella primavera del 1953, Dorazio soggiorna a
New York per un anno e ha modo di conoscere
il più avanzato ambiente delle arti visive d'allora.
Nella lettera datata 4 ottobre 1953 l'ambiente
dell'arte newyorkese è descritto come fecondo
di possibilità sia lavorative che intellettuali: "Quì
la gente campa molto comoda. Si può vendere un pò di pittura ma per noi ci vuole qualche
anno ancora; pare che Leger quando era quì durante la guerra non avesse una lira. In compenso, ci sono un'infinità di lavori da fare che rendono abbastanza bene." I vari artisti italiani citati,
da Burri a Colla, da Prampolini a Afro, mostrano
non solo che Dorazio era inserito nella migliore avanguardia italiana di allora, ma anche la
sua personale attenzione e condivisione delle
vicende dell'arte italiana contemporanea e del
futurismo a New York. New York pareva anche
rappresentare, per l'ultima generazione di artisti
italiani, della quale faceva parte, un nuovo orizzonte di possibilità rispetto ai sistemi culturali
romani: "Poi c'è il fatto che noi siamo più giovani
e che tutti ci odiano lì a Roma. Quì la gente è
molto più cordiale e sincera, dei tipi come Afronoj hanno affittato per niente; tutti sono molto
curiosi della nuova generazione italiana". Allo
stesso tempo interessa l'arrivo dei futuristi: "La
galleria che farà la mostra di Balla è una delle
più serie e ha fatto delle mostre bellissime; è la
galleria di Duchamp, di Vantongerloo, di Kupka
etc. La padrona viene questa sera da me. Bisogna che trovi due Boccioni da vendere subito!
anche dei disegni andrebbero bene".
Nella lettera del 21 novembre dello stesso
anno Dorazio i lavori per la preparazione di una
mostra di artisti italiani sono molto avanzati,
accanto alla vendita avvenuta di tre suoi pezzi
tramite la Rose Fried Gallery, Dorazio rimarca
l'interesse della galleria per una mostra d'arte
futurista e quanto fosse importante anche per
i contemporanei "Perché fare una mostra di
Balla buona significa alzare la reputazione degli
Italiani e favorire tutte quelle possibilità che quì
realmente esistono, di vendere, di avere visite
allo studio a Roma, di avere mostre, di essere
invitati al premio Carnegie e in fondo di vendere un mucchio di roba. Per noi Italiani quì non
esiste reputazione e perciò bisogna farsela e io
pensavo che cominciare con Balla fosse una
ottima cosa. Si è parlato della mostra di Balla
da tre mesi quì, tutti i collezionisti, i musei, le riviste etc. la aspettavano con ansia e curiosità,
pronti a pagare notevoli somme e a continuare
a seguire con interesse le cose italiane." La lettera di Dorazio raggiunge toni di sentita fraternità con l'amico Perilli allorché gli scrive di una
possibile cooperativa di lavoro di arti applicate tra Roma e New York, "Ho fatto dei disegni per
stoffe che qui pagano dai 40 ai 65 dollari l'uno,
dei pezzettini di carta 7cm. per 10! Ne ho venduti cinque visitando solo due ditte. Ora ho preso
contatto con un agente e con una organizzazione che si chiama Associated American Artists
in modo da poter fare delle cose in Italia e da
venderle quì attraverso loro.. [...] Questo lavoro lo
voglio fare insieme a te perché risolverebbe anche i tuoi problemi e perché c'è bisogno di uno
che stia a Roma. Ti prego di non scoraggiarti
mai, quando sei più scoraggiato del solito, alzati
e vai a rompere i coglioni all'ultima persona che
ti aspetta. Se tu mi aiuti seriamente possiamo
fare i soldi per dipingere senza uscire dal seminato". E meraviglia leggere come l'interesse di
Dorazio per il futurismo non fosse solo stilistico
o strategico ma una vera e propria scelta di vita:
"Tu non hai idea di che avventura sia venire quì,
sposarsi, non avere un dollaro, avere la famiglia
della moglie incazzata sì da non farti neanche
un regalo [...]E' un'esperienza che mi ha insegnato molte cose e che mi fa sentire più sicuro di
me stesso e un pò più futurista." Non si tratta qui di una semplice nota di colore ma del fatto
che Dorazio avesse compreso che il futurismo,
anche e soprattutto nella concezione di Marinetti, fosse una filosofia della vita al di là della
storia.
L'ultima lettera, del 10 gennaio del nuovo
anno, ha un tono piuttosto allegro: la mostra
di Balla è finalmente fissata, "si apre il 25"
"Questa mattina tutto coperto di neve e 10
sottozero. Sono andato a prendere i quadri di
Balla dallo spedizioniere che si chiama Cerillo
ed è alto 1 metro e trenta!" Dorazio appare
sempre più inserito nell'ambiente e nella discussione della scena artistica newyorkese, o
tra New York e Italia – "è uscito un mio articolo su Art News sui futuristi", "C'è un mucchio
di gente che verrà a Roma durante la primavera e l'estate, incluso Motherwell e moglie"
e tra descrizioni di vari personaggi la lettera si
chiude con un simpatico progetto imprenditoriale, per la realizzazione di film TV e importazione di pomate anticoncezionali! Tutto ciò,
a dispetto della Baronessa Rebai che pensava
e diceva in giro che "tutti quelli che fanno la
pittura non-oggettiva sono comunisti!" Una
nota invece futurista si legge proprio alla fine
in questo passo: "Ci sono venti centimetri di
neve fuori, qui la natura è ancora selvaggia,
primitiva, preistorica!" e nel saluto finale che
usa i segni aritmetici come nella scrittura
marinettiana: "Ciao da me e Virginia + saluta
Franca e i tuoi. –piero".
Risaliva a sei anni prima della mostra del gennaio del 1954 l'ultima presenza a New York di
Balla, in Twentieth-century Italian Art, Museum
of Modern Art, a cura di J. Thrall Soby e Alfred
H. Barr Jr. – nel 1936 si era tenuta la fondamentale Cubism and Abstract Art, sempre al MoMa,
a cura di Barr. Le lettere di Dorazio testimoniano
di una prospettiva storiografica di notevole interesse nel suo voler appassionatamente rivendicare e vedere riconosciuta proprio nel futurismo l'origine e l'autorevolezza storica ed estetica del
proprio lavoro. Accanto a questo è da notare,
poi, una diretta continuità, che passava attraverso lo svolgimento della seconda fase del futurismo e soprattutto attraverso l'opera di Enrico Prampolini. Vieppiù che Dorazio aveva partecipato quattro anni prima all'organizzazione delle
mostre dell'Art Club – del quale era consigliere
– come si sa, fondato da Prampolini e Severini
nel 1945. Gli sforzi di Dorazio per l'organizzazione di una mostra di artisti futuristi a New York
si rivelarono proficui e nel 1954 si tennero oltre
alla citata "The Futurists. Balla Severini 1912-1918" alla Rose Fried Gallery, con presentazione
di J. Maritain e Lionello Venturi, anche "Futuri-
sm: Balla, Boccioni, Carrà, Russolo, Severini", dal 22 marzo al 1 maggio, organizzata nella galleria
di Sidney Janis. Come ricostruito da Giovanni
Lista, "alla Rose Fried Gallery di New York sono
esposte alcune ‘velocità d'automobile' e delle
Iridescent interpretation (sic)". Non stupisce,
dunque, che questa mostra includesse proprio
delle compenetrazioni iridescenti, che erano alla
basse della ricerca astratta di Dorazio in quello
stesso momento. La mostra che si tenne poco
dopo, dal 22 marzo al primo maggio, presentava alcuni capolavori di analisi del movimento,
tra i quali Velocità d'automobile, 1912, Velocità
d'automobile + luce + rumore 1913, Linee andamentali + successioni dinamiche – Volo di rondini, 1913, Mercurio passa davanti al sole, 1914,
nonché Spazolridente, 1918 (uno dei quadri più
cubo futuristi di Balla). Questa diversa selezione
si spiega anche perché Janis era un gallerista e
critico interessato in quegli anni a confronti tra
l'arte europea dei primi decenni del Novecento
e la pittura americana, come racconta Leo Castelli, per un periodo suo collaboratore: "A quel
tempo, non avevamo affatto capito quale legame ci fosse tra il passato, la Francia, e il presente, l'America, e quindi cercavamo di analizzare i
collegamenti tra il vecchio e il nuovo mondo".
Ciò che resta di questo breve spaccato della
vicenda dell'arte italiana in America alla metà
degli anni Cinquanta è dunque anche vedere
come l'influenza del colorismo luminoso di Balla
e di Severini si sia trasmessa all'opera di Dorazio secondo una consonanza con uno dei centri della sperimentazione dell'arte americana, in direzione dell'Astrazione Post-pittorica, in parte
saltando le vicende storico-artistiche degli anni
venti, trenta e quaranta. Dorazio infatti, esporrà
ripetutamente a New York tra il 1953 e il 1964
– con un precedente nel 1950, Loan Exhibition,
Museum of Non-Objective Painting –: mostre
personali presso la Wittenborn One-Wall Gallery
nel 1953 e la Rose Fried Gallery, aprile e maggio
1954, la collettiva "International Collages Exhibition", sempre alla Rose Fried nel 1956, e una
nuova personale nel 1965 presso la Marlborough-Gerson Gallery. Nonché nel decennio citato
almeno una decina di mostre collettive tra New
York e varie città americane anche della Weast
Coast, grazie anche al riconoscimento che aveva ottenuto nel 1960 come direttore del Dipartimento di Arti Visive della School of Fine Arts
dell'Università della Pennsylvania. Non stupisce allora che quando Cercando la Magliana
fu esposto alla Marlborough-Gerson Gallery nel
1965, sia stato "accolto con interesse nell'ambiente americano da Greenberg a Newman, da
Noland a Feeley, a Rothko", cioè dagli artisti
e dal critico americano che si opponevano in
quegli anni alla Pop Art professando appunto
l'astrazione post-pittorica.
Info mostra
QUELLO CHE HO IMPARATO DA GIACOMO BALLA
Futurist & Co Art gallery, Roma
Date della mostra:
23 novembre - 20 gennaio 2017