Questa mostra tratta dei rapporti tra l'Arte ed il Volo, e si fonda per la gran parte sulle opere dell'Aeropittura. Ma che cos'è l'Aeropittura?
Una prima, immediata, risposta potrebbe indicare delle opere d'arte, di pittura, genericamente ispirate al volo, o all'aeronautica, dunque una corrente artistica d'ispirazione aviatoria.
In realtà, se da una parte è vero che l'Aeropittura trae la sua prima ispirazione dal volo, essa non va però confusa con tutto ciò che, indistintamente, al volo s'ispira. In questo caso sarebbe solo una pittura di genere.
Invece, per essere tale, un'opera di Aeropittura deve rientrare in alcuni precisi parametri operativi che sono stati codificati in un manifesto teorico e programmatico da parte di un nucleo di artisti firmatari, verso la fine degli anni Venti (ma pubblicato nella sua versione più completa solo all'inizio dei Trenta). Tutto ciò perché l'Aeropittura fu in pratica una filiazione del Futurismo, o, per la precisione, una sua metamorfosi.
Come è ormai ampiamente noto (ma un breve riassunto certo non guasterà) il Futurismo fu ideato dal poeta Filippo Tommaso Marinetti quale movimento artistico e poetico di svecchiamento della cultura italiana del primo novecento. Marinetti, figlio di un facoltoso avvocato, usò gran parte delle sue sostanze per finanziare il nuovo movimento secondo un taglio che oggi definiremmo manageriale e la cui caratteristica principale consisteva sostanzialmente nell'annunciare prima quello che si sarebbe fatto poi.
Per ottenere ciò Marinetti mutuò la consuetudine degli annunci pubblicitari a mezzo fogli volanti, molto in voga già sul finire dell'ottocento, lanciando via via, uno dopo l'altro, numerosissimi manifesti programmatici sugli argomenti più vari: dalla pittura, alla letteratura, al teatro, alla politica, alla guerra, alla morale, e così via. Quello a cui, in breve, il Futurismo mirava era lo svecchiamento, com'era definito, degli ambienti culturali italiano, prima, e della società tutta, poi. Il Futurismo dunque come slancio verso il futuro (appunto) e, conseguentemente, come taglio netto dal passato. In questa semplice equazione risiedono dunque gli elementi peculiari e d'indirizzo dell'attività futurista. Amore per le nuove tecnologie, l'aspetto meccanico delle cose, la conquista della velocità, la libertà dei costumi, la liberazione dalla sintassi, in letteratura, e dalle regole della prospettiva, in pittura, da una parte. Odio per tutto ciò che rappresenta il passato e le istituzioni che lo conservano e lo rappresentano, quali i musei, le biblioteche e le accademie, dall'altra.
Quando Marinetti lanciava i suoi primi manifesti futuristi, all'inizio degli anni Dieci, le manifestazioni della fase pionieristica dell'aviazione erano molto popolari in tutta l'Italia, e richiamavano sui prati di periferia delle principali città, ma spesso anche sui tetti delle case e sui campanili dei centri storici, migliaia di curiosi che con il naso all'insù ammiravano quelle prime, incerte, evoluzioni di apparecchi realizzati in legno di balsa, cartone e pelle. Infatti, dopo i voli dimostrativi di Delagrange, nel 1908, erano sorti un po' dappertutto vari concorsi aerei, ovvero raduni con dimostrazioni ed evoluzioni definite acrobatiche: a Brescia nel 1909, a Milano e Firenze nel 1910, a Torino nel 1911, solo per citarne alcuni. Così quei primi, tra - ballanti, aeroplani ben presto soppiantarono anni ed anni di tradizioni aerostatiche: in un attimo i grandi e policromi palloni alla Montgolfier furono spediti in cantina. Ma quello che Marinetti allora non poteva intuire era la grande portata di ciò che era accaduto sei anni prima del suo manifesto del Futurismo, cioè il 17 dicembre 1903 sui prati di Kitty Hawk, dove Orville Wright percorse in volo a bassa quota quaranta yarde. Quella non fu solo la vittoria del più pesante dell'aria: non fu, in altre parole, solo un fatto tecnico-scientifico, proprio perché la sua eco immediata, diffusa in tutto il mondo a mezzo stampa, più o meno velocemente, innescò una serie di processi in più ambiti dell'attività umana.
Uno di questi fu appunto il settore culturale ed artistico che accolse la notizia come l'ennesima conquista di un percorso positivista, identificato genericamente nel Progresso, che già sul finire dell'Ottocento agitava poeti ed artisti. I toni erano ancora simbolisti, e per questo motivo nei manifesti di fine secolo le conquiste del progresso erano ritratte nelle fattezze di conturbanti bellezze vestite spesso solo di veli trasparenti che le avvolgevano amorevolmente. E dunque anche artisticamente la dimensione del volo rientrò ben presto in questa visione post-romantica, a volte epica, altre ancora melodrammatica, che nella pratica si risolveva nel consueto uso di copiosi cascami floreali tipici dello stile Art Nouveau, che in Italia fu ribattezzato come stile Liberty. I risultati, nei termini di manufatti d'arte o di grafica applicata, furono in questo senso più vicini alle suggestioni del Passato, anziché proiettarsi verso il Futuro, come la portata dell'evento avrebbe richiesto. Non si riusciva, in altre parole, a cogliere lo strappo con tutto quello che era stato prima, e che la nuova dimensione del volo portava in sé, proprio perché tutto l'ambiente culturale ed artistico mancava di adeguati strumenti di pensiero per giungere al cuore del Nuovo che avanzava.
Non si trattava solo del Volo, infatti. Da qualche anno l'ambiente scientifico era più che mai attivo. Nel 1892 Heinrich Rudolf Hertz aveva pubblicato le sue ricerche sul telegrafo senza fili ( Untersuchungen über die Ausbreitung der Elektrischen Kraft ) poi perfezionate da Marconi nel 1896, mentre Hendrik Antoon Lorentz nel 1893 aveva annunciato la teoria dell'elettrone ( La Théorie electromagnetique de Maxwell et son application aux Corps Mouvant ), quindi nel 1895 Wilhelm Conrad Röntgen aveva scoperto l'uso de raggi X ( Über eine Neue Art von Strahlen ). Del 1897 era stato l'an- nuncio, come si conveniva alle ricerche scientifiche, della scoperta del cinematografo ad opera dei fratelli Lumiére, peraltro già attivo dal 1895 ( Notice sur le Cinématographe ), e, nello stesso anno anche quello dei raggi catodici, ad opera di Joseph John Thomson ( Cathode Rays ), mentre nel 1900 Max Planck aveva pubblicato la sua teoria dei Quanti ( Zur Theorie des Gesetzes der Energieverteilung im Normalspectrum ).
Proprio in quello stesso 1903 Henri Bequerel pubblicava i suoi studi sulla radioattività ( Recherches sur une Propriété nouvelle de la Matiére... ou Radioactivité de la Matiére ) e Marie Curie quelli sul Radio ( Recherches sur le Substances radio-actives ). L'anno seguente, gli stessi fratelli Wright pubblicavano sul “Journal of the Aeronautical Society” di Londra il resoconto dei loro primi voli ( The Experiments of the Brothers Wright ) e infine, per compiere un salto al 1916, Albert Einstein relazionava il mondo scientifico sulla sua teoria della relatività ( Die Grundlage der allgemeinen Relativitäts- theorie ). Non ultimo, in Italia Mario Morasso pubblicava vari studi sul “nuovo aspetto meccanico della vita contemporanea”. Insomma, i segnali di uno scarto brusco in avanti nella storia, non solo scientifica, del genere umano erano molti. Ed è appunto in questa congiuntura, crogiolo di varie tensioni scientifiche e culturali, che avviene un fatto determinante, di natura estetica ma con modalità espressive del tutto nuove che si andranno a proiettare ben oltre l'ambito artistico: appunto il Futurismo, che forse deve a quel volo dei fratelli Wright più di quanto si possa pensare.
Tuttavia il Futurismo non era ancora pronto in questo slancio verso il cielo, nel senso che in un primo momento tutto questo fervore aviatorio filtrò nel Futurismo quasi esclusivamente nell'ambito letterario, rimanendone invece la pittura pressoché indenne da ogni influenza, forse perché troppo impegnata, all'epoca, nella definizione di uno stile proprio. Il Futurismo, infatti, nel suo bruciare tappe e tempi, spesso lanciava troppo avanti il sasso delle sue provocazioni, o delle sue invenzioni. Tra queste, appunto, la pittura futurista che fu annunciata ben prima che uno stile futurista vero e proprio fosse stato delineato sulla tela. Di fatto, la prima stagione futurista, che va dal 1909 al 1915, da un punto di vista pittorico fu essenzialmente Boccioni-centrica, nel senso che la prorompente personalità di Umberto Boccioni ne condizionò pesantemente uno sviluppo più polifonico. In ambito letterario, invece, la fantasia dei futuristi si concesse più e più volte al brivido del volo. Vari fu- rono, ad esempio, i riferimenti aviatori nelle opere di F.T. Marinetti. Primo tra tutti Le Monoplane du Pape ( L'Aeroplano del Papa ), edito nel 1912 per il quale l'autore s'ispirò al raid Parigi-Roma di André Beaumont, dell'anno precedente. Il romanzo era in realtà un'opera irredentista, anti-austriaca, ed anticlericale, nella quale egli immaginava di volare sopra l'Italia per sollevare la popolazione contro l'Austria, che bombardava poi dal cielo. Non pago, rapiva poi il Papa per andare a gettarlo nell'Adriatico, realizzando così lo “svaticanamento” dell'Italia. Nel 1914, ancora Marinetti, nel suo Zang cieLi fuTurisTi 8 Tumb Tumb , in assoluto il primo libro parolibero, inserì una “carta sincrona dei suoni, rumori, colori, immagini, odori, speranze, voleri, energie e nostalgie”, tracciata dall'aviatore Y.M. sul cielo di Adrianopoli durante la guerra bulgaro-turca del 1912. Un altro grande scrittore futurista, Paolo Buzzi, già nel 1909 titolò Aeroplani i suoi “canti alati”, e qualche anno dopo, nel 1915, pubblicò L'Ellisse e la Spirale dove descrisse, in stile parolibero, il volo di possenti squadroni aerei. Luciano Folgore ne Il Canto dei Motori , del 1912, esaltò ulteriormente il nuovo aspetto meccanicistico dell'epoca moderna, mentre Enrico Cavacchioli in Cavalcando il sole , del 1914, raccontò invece di una lunga e perigliosa fuga in aeroplano. Quanto al mito della Velocità, l'iconografia prodotta dai pittori futuristi della prima generazione fu sostanzialmente terrena, greve, ben radicata al suolo. I soggetti favoriti erano infatti di volta in volta la velocità di un treno, di un tram, di un'automobile, di una bicicletta, o persino di un cavallo, soggetto ben poco futuribile.
Insomma, a dispetto del loro ruolo di innovatori ed iconoclasti essi erano ancora legati al vecchio secolo, all'Ottocento, cioè al secolo della velocità terrestre (treno a vapore ed automobile), mentre invece il Novecento sarà appunto il secolo dell'aria e dello spazio: dall'aeroplano al viaggio sulla Luna. Poi scoppiò la prima guerra mondiale dove l'aereo giocò un ruolo importantissimo. L'Italia ne comprese appieno le potenzialità, tanto che nel corso del conflitto furono costruiti in Italia circa 12 mila velivoli e 24 mila motori: uno sforzo bellico che vide il paese superare la produzione di Austria, Russia e Stati Uniti. Ma l'immaginario collettivo non si nutre solo di numeri, e quindi la guerra produsse anche i primi eroi dell'aria. Uno per tutti: Francesco Baracca, che cadde sul Montello nel giugno del 1918 dopo aver abbattuto 34 aerei nemici. E poi l'impresa di Gabriele D'Annunzio, che con una squadriglia di sette aeroplani Ansaldo (la “Serenissima”) il 9 agosto 1918 volò nel cielo di Vienna lanciando migliaia di manifestini che causarono danni morali ben maggiori di quelli che avrebbero potuto infliggere le poche bombe trasportate da quei traballanti velivoli. Finita la guerra, si avviò un rinnovamento generale, non solo nella società ma anche nelle arti. Prese l'avvio in quel periodo anche una serie di imprese solitarie di aviatori italiani, di record di velocità, altezza, e distanza, che crearono un mito aereo italiano circondato da un'aura d'invincibilità, e delineando anche l'idea di un'aviazione che primeggiava nel mondo e che veicolava l'idea di uno stato potente e moderno.
Il regime fascista, che dal 1922 reggeva le sorti del paese, intuì subito le potenzialità del settore e già dal 1923 istituì l'Arma Aeronautica quale arma indipendente dall'esercito, un provvedimento che la vedeva seconda solo all'inglese Royal Air Force, istituita nel 1918. Nel 1925 meravigliò tutti il raid di Francesco de Pinedo che con l'Idrovolante S 16 percorse 55 mila chilometri attraverso l'Asia e l'Australia sino al Giappone e ritornò trionfalmente a Roma, dove ammarò sul Tevere. Due anni dopo, nel 1927, fu istituito anche il Ministero dell'Aeronautica (che sostituisce il precedente Commissariato dell'Aeronautica creato nel 1923), con funzioni non solo militari, ma anche di sviluppo dell'aviazione civile e di promozione per diffondere una cultura aeronautica ed attrarre le giovani generazioni all'arruolamento. È in questo clima che cresce la seconda generazione di fu- turisti, nata cioè all'insegna della liberazione dalla terra. Fedele Azari, Fortunato Depero, Gerardo Dottori, Benedetta, Tato, Tullio Crali, Renato Di Bosso, Verossi, chi più chi meno, si ritrovarono spesso a volare, a spiralare sopra le città, a riplasmare la loro visuale del mondo. Il loro taglio con il passato fu, simbolicamente, il volo di D'Annunzio su Vienna, nel 1918. La loro prima ispirazione, appunto le imprese degli aviatori italiani, da Laureati, a Ferrarin, a De Pinedo, a Balbo, che nel corso degli anni Venti mietono record su record, da quello di velocità, a quello di altezza, a quello della distanza. Il loro te- orico, Fedele Azari, autore del manifesto Il Teatro Aereo Futurista , del 1919, pittore, aviatore, tombeur de femmes e pioniere dell'aviazione civile italiana.
E se da una parte bisognerà attendere la fine degli anni Venti perché l'idea di Aeropittura abbandonasse la sua posizione periferica per divenire il vero cuore, motore, e di lì a poco anche il nuovo volto del Futurismo alla soglia dei vent'anni dal manifesto di fondazione, già nel corso del decennio vari segni premonitori, una sorta di fil rouge, mostrano già una generale adesione all'epica del volo: ad iniziare dal Ritratto psicologico dell'Aviatore Azari che Fortunato Depero dipinge a Torino nel 1922 dopo aver volato a lungo con lo stesso Azari e Franco Rampa Rossi. Affianca, incoraggia ed aiuta questi giovani artisti attratti dal fascino del volo il pioniere dell'aviazione italiana Gianni Caproni. Nato ad Arco, in Trentino, ha studiato alla Scuola Reale Elisabettina di Rovereto, trovandosi sui banchi fianco a fianco con Depero, Luciano Baldessari, Fausto Melotti, Adalberto Libera ed altri futuri protagonisti dell'avanguardia italiana del ‘900. E Gianni Caproni comprende immediatamente che solo il Futurismo, in virtù del suo DNA, può entrare in sintonia e sentire il battito e lo spirito di un motore aereo, di una cabrata, di un'impennata, di una vite.
Tutta l'altra pittura, al confronto è didascalica, narrativa, se non fotografica. E questo perché solo il Futurismo ha compreso, fra le tante, che la possibilità di un nuovo punto di vista che non fosse quello terreno, è anche la possibilità non solo di un nuovo senso della visione, ma anche di un nuovo stato di pensiero. Dunque è un clima nuovo quello che percepiscono i futuristi, e, per poter poi dipingere gli stati d'animo del volo, quegli stati d'animo li devono provare sulla loro pelle. E sia la sensazione psicologica che filtra poi nella loro pittura, quella sensazione che è propriamente la percezione psico-fisica del distacco dalle contingenze terrene, sia la nuova angolazione visiva della terra, dall'alto ed in movimento, sono due connotazioni specifiche della pittura futurista di quegli anni che conferiscono alle loro opere quel pathos che manca invece alla pittura di genere, sia pure di tema aeronautico. A chiudere il decennio con un'altra svolta epocale ci pensa F.T. Marinetti che con l'articolo Prospettive del volo e Aeropittura , pubblicato da “La Gazzetta del Popolo” di Torino del 22 settembre 1929, va a coagulare tutti questi sintomi in un vero e proprio manifesto programmatico. In seguito il testo fu più volte ripubblicato, anche come prefazione ai cataloghi delle mostre itineranti che dovevano promuovere l'Aeropittura, con l'aggiunta di altri punti teorici e delle firme di Balla, Benedetta, Depero, Dottori, Fillia, Prampolini, Somenzi e Tato, insomma dello stato maggiore del Futurismo del momento.
Ma la forza propositiva di questo documento teorico non risiedeva certo nelle firme a supporto quanto nei punti programmatici che andavano a scardinare il senso tradizionale della visione con proposte di un tecnicismo così analitico che era appunto il frutto delle effettive esperienze di volo degli artisti. Per riassumere, i primi quattro punti del manifesto (nella versione più completa del 1931) vertono sulle mutevoli prospettive visive offerte dal volo, del tutto nuove e rivoluzionarie rispetto a quelle terrestri proprio per questa continua modificazione dei punti di vista che costringono il pittore a ulteriori sintesi e trasfigurazioni. Nei successivi cinque punti si analizza il tipo di visione, affermando che «tutte le parti del paesaggio appaiono al pittore: schiacciate, artificiali, provvisorie, appena cadute dal cielo». Esse inoltre «accentuano agli occhi del pittore in volo i caratteri di: folto, sparso, elegante, grandioso». Si afferma inoltre che «ogni aeropittura contiene il doppio movimento dell'aeroplano e della mano del pittore». Il risultato finale dovrebbe poi condurre ad «una nuova spiritualità plastica extraterrestre».
Ecco, specie in quest'ultima definizione si può cogliere uno dei principali elementi d'interesse del manifesto. L'Aeropittura, in altri termini, è il risultato di un'acquisita nuova sensibilità visiva. La terra è osservata dall'alto e, cosa ancora più interessante, è osservata dinamicamente, dunque in una continua successione di visioni mutevoli. Tutto ciò il pittore deve poi riversare sulla tela, ma aggiungendovi inoltre anche il senso di una nuova coscienza spirituale quale risultante psico-fisica dell'affrancamento dalla pesantezza della condizione terrestre. È qui fin troppo evidente come queste proposizioni teoriche siano ben lontane da qualsiasi accento ideologico o politico, anzi esse mostrano un'urgenza, una pulsione, verso la ricerca di una ulteriore dimensione che ad un certo punto non sarà più né terrena, né aerea, ma propriamente cosmica. Si tratta di una nuova connotazione che, nello strappo dalle contingenze terrene, si scopre una vocazione anche mistica e spirituale, che sfocerà di lì a poco nell'Arte Sacra Futurista. Ma questa è un'altra storia.
Ritornando ancora al Manifesto dell'Aeropittura , sarà interessante leggere alcuni degli esempi di possibili visioni che sono proposte: «Il decollare crea un inseguirsi di V allargantisi. Il Colosseo visto a 3000 metri da un aviatore, che plana a spirale, muta di forma e di dimensione ad ogni istante e ingrossa successivamente tutte le facce del suo volume nel mostrarle... Nelle virate, il punto di vista è sempre sulla traiettoria dell'apparecchio, ma coincide successivamente con tutti i punti della curva compiuta, seguendo tutte le posizioni dell'apparecchio stesso... Queste visioni roteanti si susseguono, si amalgamano, compenetrando la somma degli spettacoli frontali. Noi futuristi dichiariamo che il principio delle prospettive aeree e conseguentemente il principio dell'Aeropittura è un'incessante e graduata moltiplicazione di forme e colori con dei crescendo e diminuendo elasticissimi, che s'intensificano o si spaziano partorendo nuove gradazioni di forme e colori».
Il grande ventaglio operativo di queste proposizioni fu accolto con entusiasmo dalla terza generazione di futuristi. In breve tempo il termine Aeropittura divenne sinonimo di Futurismo, e ben presto crebbero anche l'Aeropoesia, l'Aeroplastica, e l'Architettura aerea. Nel corso del decennio, per tornare all'Aeropittura, il dato forse più interessante fu l'ampia e variegata evoluzione di indirizzi e di stili, che avvenne proprio al suo inter - no, una serie di tendenze che F.T. Marinetti andò a riassumere in un'articolata premessa alla mostra degli aeropittori pubblicata nel catalogo della III Quadriennale romana, del 1939, nella quale presentava l'Aeropittura «stratosferica cosmica e biochimica, che si allontana da ogni verismo e che esprime il senso umano e terreno della metamorfosi che l'uomo contiene nel suo slancio stratosferico», ed il cui principale interprete fu Prampolini.
A questa aggiunse un'Aeropittura «essenziale, mistica, ascensionale, simbolica... che riduce i paesaggi visti dall'alto alla loro essenza e spiritualizza aeroplani e volatori fino a ridurli a puri simboli», per la quale indicò Fillia (Luigi Colombo) e Diulgheroff. Un'altra tendenza fu individuata nell'Aeropittura «trasfiguratrice, lirica, e spaziale che armonizza sistematicamente il paesaggio italiano imbevendolo di appassionate velocità aeree, estraendone tutti i misteriosi fascini e tutte le suggestioni letterarie» e nella quale si cimentarono principalmente Gerardo Dottori e Benedetta (pittrice, scrittrice e moglie di Marinetti). Infine fu definita un'Aeropittura «sintetica e documentaria» tramite la quale furono realizzati «paesaggi e urbanismi visti dall'alto e in velocità». Tra gli artisti presenti in questa mostra bisogna ricordar - ne almeno tre che ebbero un particolare rapporto non soltanto di lavoro ma ancor più di amicizia con Gianni Caproni, pioniere dell'Aviazione italiana. Il primo fra questi che dipinse aerei molto tempo prima che si potesse pensare all'Aeropittura, cioè nel corso degli anni Dieci, fu Luigi Bonazza, nato, come Caproni, ad Arco, in Trentino, che studiò nella stessa scuola, la Scuola Reale Elisabettina di Rovereto, frequentata anche da G. Dottori - Progetto decorativo per aeroscalo di Ostia, 1928 fuTurisT sKies 11 Depero, e da tanti altri poi divenuti importanti artisti del ‘900 (Melotti, Belli, Baldessari, Libera, ecc.).
Allo scoppio della prima guerra mondiale, Bonazza, che era da poco rientrato da Vienna, dove era stato nella cerchia di Klimt ed altri secessionisti, dovette lasciare anche il Trentino e se andò a Vizzola Ticino, proprio da Gianni Caproni, per il quale iniziò a realizzare sia disegni tecnici (spaccati e vedute prospettiche degli aerei) sia dipinti ed incisioni artistiche, a scopo promozionale. Caproni, però, così come farà anche per i dipinti di Amerigo Contini, li tenne per sé quale primo nucleo della sua futura collezione di dipinti aeronautici. Più tardi, una volta lanciata ufficialmente l'Aeropittura, altri due artisti furono quelli che, grazie alle continue acquisizioni di Caproni, riuscirono a sbarcare il lunario per molti anni: il veronese Alfredo Gauro Ambrosi ed il bolognese (ma romano acquisito) Tato, al secolo Guglielmo Sansoni. Di Tato ci informerà nel testo seguente il suo curatore storico, e cioè il Gen. Salvatore Ventura. Di Ambrosi va detto che fu tra i fondatori, nel 1931, del gruppo futurista veronese “Umberto Boccioni” e, l'ispirazione per i dipinti sul volo fu la risultante delle continue frequentazioni dell'aeroporto di Boscomantico, nei pressi di Verona. Anzi, uno dei suoi primissimi dipinti fu realizzato su un frammento di legno della fusoliera di un aereo che si schiantò in fase di atterraggio. Nel giro di pochi anni Ambrosi divenne una delle punte di diamante dell'Aeropittura e spesso rivaleggiava con Tullio Crali. Ma va detto che fu proprio Ambrosi ad introdurre nuove soluzioni, come la “soggettiva dal cielo” (dall'alto verso il basso), anche se poi Crali ne realizzò una versione più famosa, che è Incuneandosi nell'abitato, qui in mostra.
Certamente tra i suoi capolavori vi è quel Scendendo in città da cielo che è una soggettiva di un paracadutista che vede i suoi piedi e sotto di essi il territorio dove andrà ad atterrare. Il rapporto con Caproni, come dicevo, fu lungo e continuativo coprendo tutti gli anni Trenta e poi almeno sino al 1943, con una produzione che si può stimare su 40-50 dipinti acquisiti dall'ingegnere, e tra questi molti ritratti di famiglia. Giunti a questo punto, e per semplificare, possiamo affermare che la produzione aeropittorica può essere definita in due grandi tendenze. Quella cosmica, da una parte, per la quale l'aeroplano è solamente il mezzo per acquisire un nuovo senso della visione e quindi sviluppare una sensibilità cosmica, staccata dalle contingenze terrene e che spesso si evolve in trasfigurazioni spirituali. Dall'altra, invece, si può individuare una tendenza documentaria, nella quale l'aeroplano diviene invece il soggetto ritratto (spesso con indulgente verismo) in una varietà di situazioni di volo. E se nella prima metà degli anni Trenta le due tendenze furono grossomodo in equilibrio, con l'inizio della seconda metà del decennio, la scomparsa di Fillia ed il coinvolgimento bellico dell'Italia, dapprima in Africa e quindi in Spagna, si andò via via consolidando sempre più il dato documentaristico e spettacolare, grazie anche alle accattivanti visioni di Tato, Crali, Ambrosi, Di Bosso e Verossì.
Contemporaneamente, si registrò un generale cambiamento, un restringimento del campo d'azione delle dinamiche culturali, e comunque nei confronti di tutta la società civile italiana. Da questo momento in poi gli artisti non poterono più esimersi da un plateale appoggio politico. Anche l'Aeropittura dovette allinearsi e, di pari passo con gli sviluppi politici della nazione, sempre più drammatici, si giunse all'Aeropittura di Guerra. Il lirismo cosmico, l'abbandono mistico vennero via via soppiantati da un manierismo rude, descrittivo, essenziale, funzionale alla necessità di documentare situazioni di guerra aerea, spesso di bombardamento, e quasi sempre con manifeste intenzioni dottrinali. Il risultato fu una serie di opere che dichiaravano in sorta di un'eclettica, truculenta, koinè, il loro debito alle necessità della propaganda. Si era al preludio del massimo coinvolgimento nella celebrazione dell'ideologia del regime (come accade usualmente in ogni periodo totalitario). La supremazia positivista dell'uomo sui cieli, soggetto privilegiato della prima fase aeropittorica, lasciò dunque spazio alla celebrazione di quei mezzi aerei che, dal cielo, portavano invece la morte.
Forse gli aeropittori, nel clima del generale isolamento culturale e dunque nella mancanza di strumenti critici appropriati, non avevano colto quest'ulteriore aspetto, in tutta la sua tragica valenza, e credevano piuttosto che il loro supporto potesse sortire una vaga, quanto improbabile, forma di Artecrazia. Così, nel giro di pochi anni si trovarono invischiati nella Nuova Estetica della Guerra, un manifesto pubblicato nel 1940, di lì a poco seguito dal Manifesto della pittura di bombardamento , del 1941. Furono pochi anni di grande sbandamento, del resto condivisi con gran parte della nazione. Produssero decenni di purgatorio critico, ben al di là della riabilita- zione del gruppo di Novecento, e di Sironi, certo ben più compromessi con il regime degli aeropittori. Con il secondo dopoguerra le cose mutarono completamente. L'Italia si ricollegava all'Europa ed usciva da un lungo isolamento culturale. Nel 1948 alla Biennale di Venezia si teneva la prima rassegna personale di Pablo Picasso. Le nuove suggestioni, sia artistiche che grafiche che venivano dall'estero, ed i nuovi assetti geo-politici, furono elementi tutti di grande rivolgimento nel panorama delle arti. L'Aeropittura in quanto tale era chiusa: non vi erano più i presupposti per la sua sopravvivenza, essendo venuti a mancare da una parte le motivazioni teoriche e gli slanci utopici, superati ormai dall'evoluzione tecnologica che accelerava continuamente, e dall'altra la componente ideologica, quella tensione all'Artecrazia che aveva sotteso il movimento Marinettiano sino alla fine, nel 1944, anno della morte del suo creatore. Semmai si stava andando verso un'arte spazialista, dove però la modalità operativa era di natura astratta, muovendo da presupposti teorici concettuali, anziché retinici. Rimasero, come paria, gli ultimi testimoni dell'epoca, che rintanati nei loro studi continuarono a dipingere da aeropittori sino alla morte, come Tullio Crali, forse il più fedele di tutti agli ideali marinettiani e futuristi. Ma vi era ancora posto per una rimeditazione critica sul fenomeno, che con il passare degli anni era sempre più difficile liquidare solo con l'aggettivo fascista.
Si dovette perciò attendere la fine degli anni Sessanta quando alcuni critici (in particolare Enrico Crispolti e Franco Passoni), alcuni aeropittori (come Tullio Crali e Benedetto) ed alcuni galleristi (tra i quali Peppino Palazzoli della Galleria Blu di Milano), iniziarono ad affrontare in maniera organica il periodo, cercando di avviarne una lettura sistematica, essenzialmente di natura estetica e non viziata dall'approccio ideologico che per oltre vent'anni l'aveva invece penalizzata con una pregiudiziale politica. Nel 1970, alla Galleria Blu di Milano fu tenuta la prima mostra di Aeropittura dalla fine della seconda guerra mondiale. In seguito, completamente dimenticati dalla grande esposizione veneziana sul Futurismo tenuta a Palazzo Grassi, nel 1986 (che aveva chiuso temporalmente ai primi anni Venti), si dovette attendere il 1989 quando, con la mostra Aero e Pittura (tenuta a Castel S. Elmo di Napoli, e poi trasferita a Londra, all'Accademia Italiana delle Arti all'inizio del 1990), gli aeropittori furono in un certo senso istituzionalmente riabilitati. Dieci anni dopo, nel dicembre 2000, con Ali d'Italia, una mostra di manifesti e dipinti sul volo in Italia dal 1908 al 1943, gli aeropittori trovarono la loro ideale collocazione in una mostra realizzata proprio come loro stessi l'avrebbero voluta, perché allestita nello spazio più consono possibile: l'aeroporto di Bologna.
Là, tra il continuo rombo dei motori, tra decolli e partenze, migliaia di visitatori hanno condiviso, dopo quelle del volo sui moderni jet di linea, anche le emozioni dei pionieri del volo grazie alle rutilanti tele degli aeropittori futuristi. Insomma, quest'arte nata sull'onda di una genuina ispirazione sul campo, frequentando aeroporti le cui piste erano dei prati verdissimi, è tornata alle sue origini. E il cerchio, così, fu chiuso. Infine, nel 2003, la mostra per il Centenario del Volo, tenuta alla Mole Antonelliana di Torino, titolata Oggi si vola! ,scrisse non solo la storia dell'Aviazione ma anche quella dell'Aeropittura.
Info mostra
Cieli Futuristi Futurist Skies
Palazzo Aeronautica
Roma
Date della mostra:
10 – 18 settembre 2017