APPUNTI SU FUTURISMO, VELOCITÀ E MODERNITÀ
Maurizio Scudiero
Curador del Archivo Depero
Premessa
Il Futurismo ha superato da pochi anni il secolo di vita, nel 2009.Ideato dal poeta Filippo Tommaso Marinetti con l’intento di “svecchiare” la cultura italiana del primo ‘900 fu, all’inizio, un movimento poetico, di lì a poco anche artistico, ed inseguito globale. La parola d’ordine era lo “slancio” verso il Futuro (appunto) e, conseguentemente,
il “taglio netto “con il Passato. In questa semplice equazione risiedono dunque gli elementi peculiari e d’indirizzo dell’attività futurista.
Amore per le nuove tecnologie, per l’aspetto meccanico della vita, per la conquista della velocità, per la libertà
dei costumi, per la liberazione dalla sintassi, in letteratura, e dalle regole della prospettiva, in pittura. Inoltre,
odio per tutto ciò che rappresenta il passato e le istituzioni che lo conservano e lo rappresentano,
quali i musei, le biblioteche e le accademie.
FUTURISMO E PERCEZIONE DEL PROGRESSO
Ci si è spesso soffermati sugli antecedenti letterari del Futurismo, ma in realtà poco sugli evidenti influssi del cosiddetto Progresso che proprio sullo scorcio tra ‘800 e ‘900 stava avanzando a passo veloce.
Da qualche anno l’ambiente scientifico era più che mai attivo.
Nel 1892 Heinrich Nel 1892 Heinrich Rudolf Hertz aveva pubblicato le sue ricerche sul telegrafo senza fili (Untersuchungen über die Ausbreitung der Elektrischen Kraft) poi perfezionate da
Marconi nel 1896, mentre Hendrik Antoon Lorentz nel 1893 aveva annunciato la teoria dell’elettrone (La Théorie electromagnetique de Maxwell et son application aux Corps Mouvant).
Quindi, nel 1895 Wilhelm Conrad Röntgen aveva scoperto l’uso de raggi X (Über eine Neue Art von Strahlen), mentre del 1897 era stato l’annuncio, come si conveniva
alle ricerche scientifiche, della scoperta del cinematografo ad opera dei fratelli Lumiére, peraltro
già attivo dal 1895 (Notice sur le Cinématographe), e, nello stesso anno anche quello dei
raggi catodici, ad opera di Joseph John Thomson (Cathode Rays).
Proprio allo scoccare del
nuovo secolo, nel 1900, Max Planck aveva pubblicato la sua teoria dei Quanti (Zur Theorie
des Gesetzes der Energieverteilung im Normalspectrum), e infine nel 1903 Henri Bequerel pubblicava i suoi studi sulla radioattività (Recherches sur une Propriété nouvelle de la Matiére...
ou Radioactivité de la Matiére) e Marie Curie quelli sul Radio (Recherches sur le Substances
radio-actives).
L’anno seguente, i fratelli Wright pubblicavano sul “Journal of the Aeronautical Society” di Londra il resoconto dei loro primi voli (The Experiments of the Brothers Wright) e infine, per compiere un salto al 1916, Albert Einstein relazionava il mondo scientifico sulla sua teoria della relatività (Die Grundlage der allgemeinen Relativitätstheorie).
Per venire all’Italia, Mario Morasso sin dai primi del 1900 aveva pubblicato vari studi sul “nuovo aspetto meccanico della vita contemporanea”.
Insomma, i segnali di uno scarto
brusco in avanti nella storia, non solo scientifica, del genere umano erano molti. Ed è appunto in questa congiuntura, crogiolo di varie tensioni scientifiche e culturali, che avviene
un fatto determinante, di natura estetica ma con modalità espressive del tutto nuove che si andranno a proiettare ben oltre l’ambito artistico: il Futurismo.
Con queste premesse si comprende immediatamente come solo i futuristi potessero cogliere appieno le istanze di modernità insite genericamente nella scienza in senso lato, e in modo più immediato, nei nuovi aspetti meccanico-dinamici della società.
Nel manifesto di fondazione del Movimento Futurista, pubblicato a Parigi su “Le Figaro” nel febbraio del 1909, il suo ideatore, Filippo Tommaso Marinetti, scriveva: «Noi affermiamo
che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa… ruggente, che sembra correre sulla mitraglia , è più bello della Vittoria di Samotracia».
Poi, nel manifesto La Pittura futurista, del 1910, sottoscritto da Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini, fu introdotta l’idea del “dinamismo universale” : «… tutto si muove,
tutto corre… una figura non è mai stabile davanti a noi, ma appare e scompare incessantemente… e per la persistenza dell’immagine sulla retina le cose in movimento si moltiplicano…».
Insomma, con il Futurismo la pittura andava oltre i paesaggi, i ritratti e le nature morte, per divenire la pittura del movimento e della velocità.
Ora, all’inizio, i soggetti privilegiati per questa pittura furono il cavallo, la bici, che comunque avevano una loro componente dinamica, ma ben presto furono soppiantati dalla
motocicletta, dall’automobile ed e dal treno, per gli ovvi esiti delle loro componenti meccaniche, quali il rumore, cioè la vera “colonna sonora” della Modernità. Ma non solo.
L’ebbrezza
di velocità + rumore era anche sinonimo di “sfida del pericolo”. Emblematica, a questo riguardo, la foto della potente auto di Marinetti rovesciata in un fosso per via dell’eccessiva velocità con cui il suo conducente, appunto lo stesso Marinetti, aveva affrontato una curva. E, uscito vivo
da questa “sfida” Marinetti si ritenne un eroe, un eroe dell’era moderna, che era sopravvissuto alle insidie del “mostro meccanico”.
Sul piano strettamente artistico queste esperienze di velocità erano poi funzionali, specie per gli artisti, piuttosto che per i poeti futuristi, alla formulazione e all’affinamento della
teoria del “dinamismo futurista” e a quella della “simultaneità”, che poi erano connesse fra loro.
In altre parole, dipingere un oggetto che si muoveva veloce nello spazio non era dipingere l’oggetto “in quanto tale”, ovvero la sua forma, perché questa si sarebbe potuto dipingerla
anche se fosse stato fermo… Si trattava piuttosto di dipingere le varie posizioni che l’oggetto assumeva avanzando nello spazio, un po’ come le foto stroboscopiche che Edward Muybrige e Marey avevano fatto sul finire del secolo XIX per studiare l’anatomia dei corpi in movimento.
E dunque, la pittura dinamico-futurista ritraeva “simultaneamente” le varie fasi del movimento di un corpo con immagini che si succedevano sulla tela, spesso compenetrandosi per creare un’immagine “nuova” che non era solo la somma di tutte le immagini precedenti, secondo la tipica visione
ottica, ma, piuttosto, una nuova immagine ottenuta secondo una visione simultanea.
Di qui i tanti dipinti di Balla denominati “linea di velocità di un’automobile” e quelli di Boccioni sul simultaneismo dei corpi in movimento. Per citarne uno: Dinamismo di un footballer.
Di fatto, la visione simultanea fu come una sorta di grimaldello, per scardinare il vecchio e logoro senso della visione ottica, naturalistica, ed aprire la porta ad una nuova fase
della pittura italiana, verso l’idea di astrazione, ovvero di una pittura non-oggettiva, non più legata ad un soggetto, ad un oggetto, ma che viveva di dinamiche tutte sue… dentro la pittura stessa, in rapporto unicamente con una nuova idea concettuale dell’arte.
Questa sarà la stagione astratta che dal 1913 al 1916 vedrà impegnati i futuristi-astrattisti Balla, Depero e Prampolini.
Mentre invece Boccioni, Carrà, Russolo e Severini rimarranno comunque ancorati ad un’idea di “figura”.
Ma qui siamo andati “oltre”… quindi torniamo indietro al concetti di “Velocità”.
Il teorico della velocità futurista fu Umberto Boccioni che nel suo fondamentale libro Dinamismo plastico, del 1914, codificò la sua visione teorica.
Scrive Boccioni nel capitolo 10 (“Dinamismo”) che «il Dinamismo è l’azione simultanea del moto caratteristico particolare all’oggetto (moto assoluto), con le trasformazioni che l’oggetto subisce nei suoi spostamenti in relazione all’ambiente mobile o immobile (moto relativo).
Dunque non è vero che la sola decomposizione delle forme di un oggetto sia Dinamismo. Certamente la decomposizione e la deformazione hanno in sé un valore di moto in quanto rompono la
continuità della linea, spezzano il ritmo siluettistico e aumentano
gli scontri e le indicazioni, le possibilità, le direzioni
delle forme. Ma questo non è ancora il Dinamismo plastico
futurista… Dinamismo è la concezione lirica delle forme
interpretate nell’infinito manifestarsi della loro relatività tra
moto assoluto e moto relativo… E’ la creazione di una nuova
forma… Questo succedersi… non lo afferriamo con la
ripetizione di gambe, di braccia, di figure, come molti hanno
stupidamente supposto, ma vi giungiamo attraverso la ricerca
intuitiva della forma unica che dia la continuità nello
spazio».
In altre parole, secondo Boccioni va mutato il “senso della
visione” per cui «un cavallo in movimento non è un cavallo
fermo che si muove, ma è un cavallo in movimento, cioè
un’altra cosa, che va concepita ed espressa come una cosa
completamente diversa».
Per i futuristi, per Boccioni, si trattava in sostanza di concepire
gli oggetti in movimento oltre al loro stesso moto. Ovvero
di trovare una forma che fosse l’espressione di questo
nuovo elemento assoluto che si chiama Velocità, la quale
era il vero temperamento della Modernità.
Marinetti, a sua volta, ne dava un’interpretazione più poetica,
e sanguigna, quando parlava della sua automobile: «Non
sono versi liberi ma parole in liberà i ruggiti del tubo di scappamento
della mia centocavalli… Velocità crescente e impeto
del motore che vuole strapparmi il volante dalla mani
mie fragili di poeta… Nessuno davanti al mio slancio ed è
un inaspettato lirismo che spalanca orizzonti, sbaraglia a
destra e a sinistra caseggiati che il sogno sonno immensifica
» ( da La grande Milano tradizionale e futurista, 1969:
pag. 88).
Secondo Gino Severini, il più “francese” dei futuristi, «la
velocità ci ha dato una nuova nozione dello spazio e del
tempo e per conseguenza della vita stessa. Niente di più
logico che le nostre opere futuriste caratterizzino tutta l’arte
della nostra epoca con la stilizzazione del movimento
che è una delle manifestazioni più immediate della vita…»
(in Le analogie plastiche del dinamismo – Manifesto futurista,
1913).
E in seguito anche Ardengo Soffici nel suo libro
Primi principi di una estetica futurista (1920) si dilungava
sull’influenza della velocità sulla visione artistica affermando,
tra l’altro, che «dalla modificazione per mezzo della velocità
fisica … della nostra percezione dello spazio e delle
durata, risulta la contiguità e la contemporaneità di cose e
fatti quali stimoli della nostra sensibilità».
Come si può vedere, il “mito della velocità” s’intreccia indissolubilmente
con il “mito della macchina” dando origine
ad un modello anche estetico sul quale s’impegneranno, chi
più chi meno, gran parte degli artisti futuristi.
Si tratta di un percorso estetico, che potremmo definire
della “velocità terrestre”, che si snoda dai primi anni Dieci
del secolo scorso sin dentro ai Trenta, ma che già nel corso
dei Venti si vede affiancato da una nuova visione, che poi si
affermerà nel corso del Trenta, che, per converso, è quella
della “velocità aerea”, che a sua volta più che ritagliarsi uno
spazio diviene il nuovo corso del Futurismo sotto al nome di
Aeropittura e le cui origini, in termini di riferimento tecnologico,
risalgono però a ben prima della fondazione del Futurismo.
Infatti, quando, all’inizio degli anni Dieci, Marinetti “lanciava”
i suoi primi proclami teorici e programmatici, i manifesti
futuristi, le manifestazioni della fase pionieristica dell’aviazione
erano già divenute popolari anche in Italia, richiamando
sui prati di periferia delle principali città, ma spesso anche
sulle case ed i campanili dei centri storici, migliaia di
curiosi che con il naso all’insù ammiravano quelle prime,
incerte, evoluzioni di apparecchi realizzati in legno di balsa,
cartone e pelle.
Dopo i voli dimostrativi di Delagrange, nel
1908, erano sorti un po’ dappertutto vari “concorsi” aerei,
ovvero raduni con dimostrazioni ed evoluzioni definite “acrobatiche”:
a Brescia nel 1909, a Milano, Verona, Firenze e
Palermo nel 1910, a Torino nel 1911, solo per citarne alcuni.
Così quei primi, traballanti, aeroplani ben presto soppiantarono
anni e anni di tradizioni aerostatiche, e in un attimo i
grandi e policromi palloni alla “Montgolfier” furono spediti
in cantina.
Tuttavia il Futurismo forse non era completamente pronto in
questo slancio verso il cielo e verso il futuro, nel senso che
in un primo momento tutto questo fervore aviatorio filtrò
nel Futurismo quasi esclusivamente nell’ambito letterario,
rimanendone invece la pittura pressoché indenne da ogni
influenza, forse perché troppo impegnata, all’epoca, nella
definizione di uno stile “proprio” e, all’esperienza vissuta
della velocità terrestre dell’automobile o del treno.
Il Futurismo,
infatti, nel suo bruciare tappe e tempi, spesso lanciava
troppo avanti il sasso delle sue provocazioni, o delle sue
invenzioni. Tra queste, appunto, la pittura futurista che fu
annunciata ben prima che uno stile futurista vero e proprio
fosse stato delineato sulla tela.
Pensando invece a quelle poche yarde (40) di volo a
bassa quota che Orville Wright percorse il 17 dicembre
1903, la prima cosa che torna nella mente è una frase
ormai storica, ma di ben sessant’anni dopo, e cioè l’esclamazione
di Neil Armstrong nel momento in cui stava per
posare il suo piede sulla superficie lunare, il 20 luglio
1969: «Un piccolo passo per l’uomo, un grande balzo per
l’umanità». Certo, si tratta di due situazioni completamente
differenti: la prima a pochi metri da suolo terrestre, la
seconda, invece, a circa trecentomila chilometri. Ma
quello che intendo dire è che la “ricaduta”, non solo
tecnologica, del primo avvenimento fu di una portata
eccezionale per tutto il genere umano, mentre la seconda
fu essenzialmente di ambito “strategico”, ed anche psicologico,
nel momento in cui si era ancora in pieno clima di
“guerra-fredda”.
Quello che accadde là, sui prati di Kitty Hawk nel dicembre
1903, non fu solo la vittoria del “più pesante dell’aria”: non
fu, in altre parole, solo un fatto tecnico-scientifico, proprio
perché la sua eco immediata, diffusa in tutto il mondo a
mezzo stampa, più o meno velocemente, innescò una serie
di processi in più ambiti dell’attività umana. E uno di questi
ambiti fu appunto il settore culturale ed artistico che accolse
la notizia come l’ennesima conquista di un percorso “positivista”,
identificato genericamente nel “Progresso”, che
già sul finire dell’Ottocento agitava poeti ed artisti.
I toni
avevano un ché di epico, eroico, ancora in pieno clima simbolista,
e per questo motivo nei dipinti e nei manifesti murali
di fine secolo le “conquiste” del progresso erano ritratte
nelle fattezze di conturbanti bellezze vestite spesso solo
di veli trasparenti che le avvolgevano voluttuosamente. E
dunque anche artisticamente la dimensione del volo piuttosto
che in ambito futurista rientrò ben presto in questa visione
post-romantica, a volte melodrammatica, che nella
pratica si risolveva nel consueto uso di copiosi cascami floreali
tipici dello stile Art Nouveau, che in Italia fu ribattezzato
“stile Liberty”.
I risultati, nei termini di manufatti d’arte o
di grafica applicata, furono in questo senso più vicini alle
suggestioni del Passato, anziché proiettarsi verso il Futuro,
come la portata dell’evento avrebbe richiesto. Non si riusciva,
in altre parole, a cogliere nell’immediatezza lo “strappo”
con tutto quello che era stato “prima”, e che la nuova
dimensione del volo portava in sé, proprio perché tutto l’ambiente
culturale ed artistico mancava di adeguati “strumenti”
di pensiero per giungere al cuore nel “nuovo che avanzava”.
E, di fatto, la prima stagione futurista, che va dal 1909 al
1915, da un punto di vista pittorico fu essenzialmente Boccioni-
centrica, nel senso che la prorompente personalità di
Umberto Boccioni ne condizionò pesantemente uno sviluppo
più polifonico. E Boccioni era più legato alla terra che al
cielo.
In ambito letterario, invece, la fantasia dei futuristi si concesse
più e più volte al brivido del volo. Vari furono, ad
esempio, i riferimenti aviatori nelle opere di F.T. Marinetti.
Primo tra tutti Le Monoplane du Pape (L’Aeroplano del
Papa), edito nel 1912 per il quale l’autore s’ispirò al raid
Parigi-Roma di André Beaumont, dell’anno precedente. Il
romanzo era in realtà un’opera irredentista, anti-austriaca,
ed anticlericale, nella quale egli immaginava di volare sopra
l’Italia per sollevare la popolazione contro l’Austria, che bombardava
poi dall’alto. Non pago, rapiva poi il Papa per andare
a gettarlo nell’Adriatico, realizzando così lo “svaticanamento”
dell’Italia.
Un altro grande scrittore futurista, Paolo
Buzzi, già nel 1909 titolò Aeroplani i suoi “canti alati”, e
qualche anno dopo, nel 1915, pubblicò L’Ellisse e la Spirale
dove descrisse, in stile parolibero, il volo di possenti squadroni
aerei. Luciano Folgore ne Il Canto dei Motori, del 1912,
esaltò ulteriormente il nuovo aspetto meccanicistico dell’epoca
moderna, mentre Enrico Cavacchioli in Cavalcando
il sole, del 1914, raccontò invece di una lunga e “perigliosa”
fuga in aeroplano.
Come detto, bisognerà attendere
gli anni Venti per vedere un effettivo coinvolgimento del
Futurismo nelle tematiche del volo. In quel periodo, infatti,
presero l’avvio una serie d’imprese solitarie di aviatori italiani,
di record di velocità, altezza, e distanza, che ebbero
grande eco nell’opinione pubblica e che crearono un mito
aereo italiano circondato da un’aura d’invincibilità, delineando
anche l’idea di un’aviazione che primeggiava nel mondo
e che veicolava l’idea di uno stato potente e moderno.
Il
regime fascista, che dal 1922 reggeva le sorti del paese,
intuì subito le potenzialità del settore e già dal 1923 istituì
l’Arma Aeronautica quale arma indipendente dall’esercito,
un provvedimento che la vedeva seconda solo all’inglese
Royal Air Force, istituita nel 1918. Nel 1925 sorprese tutti il
raid di Francesco de Pinedo che con l’Idrovolante S16 percorse
55 mila chilometri attraverso l’Asia e l’Australia sino
al Giappone e ritornò trionfalmente a Roma, dove ammarò
sul Tevere. Due anni dopo, nel 1927, fu istituito anche il
Ministero dell’Aeronautica (che sostituì il precedente Commissariato
dell’Aeronautica creato nel 1923), con funzioni
non solo militari, ma anche di sviluppo dell’aviazione civile e
di promozione per diffondere una cultura aeronautica ed attrarre
le giovani generazioni all’arruolamento.
E’ in questo clima che cresce la seconda generazione di
futuristi, nata cioè all’insegna della “liberazione dalla terra”.
Fedele Azari, Fortunato Depero, Gerardo Dottori, Benedetta,
Tato, Tullio Crali, Renato Di Bosso, Verossi, chi più chi
meno, si ritrovarono spesso a volare, a “spiralare” sopra le
città, ed a riplasmare così la loro “visuale” del mondo. Il
loro taglio con il passato fu, simbolicamente, il volo di D’Annunzio
su Vienna, nel 1918. La loro prima ispirazione, appunto
le imprese degli aviatori italiani, da Laureati, a Ferrarin,
a De Pinedo, a Balbo, che nel corso degli anni Venti
mietono record su record, da quello di velocità, a quello di
altezza, a quello della distanza. Il loro teorico, Fedele Azari,
autore del manifesto Teatro Aereo Futurista, del 1919, pittore,
aviatore, tombeur de femmes e pioniere dell’aviazione
civile italiana.
E se da una parte bisognerà attendere la
fine degli anni Venti perché l’idea di “aeropittura” abbandonasse
la sua posizione periferica per divenire il vero cuore,
motore, e di lì a poco anche il nuovo volto del Futurismo alla
soglia dei vent’anni dal manifesto di fondazione, già nel corso
del decennio vari segni premonitori, come una sorta di fil
rouge, mostrano una generale adesione all’epica del volo: a
iniziare dal Ritratto psicologico dell’Aviatore Azari che Fortunato
Depero dipinge a Torino nel 1922 dopo aver volato a
lungo sulla città con lo stesso Azari e Franco Rampa Rossi.
Affianca, incoraggia ed aiuta questi giovani artisti attratti
dal fascino del volo il pioniere dell’aviazione italiana Gianni
Caproni. Nato ad Arco, in Trentino, ha studiato alla Scuola
Reale Elisabettina di Rovereto, trovandosi sui banchi fianco
a fianco con Depero, Luciano Baldessari, Fausto Melotti,
Adalberto Libera ed altri futuri protagonisti dell’avanguardia
italiana del ‘900. E Gianni Caproni comprende immediatamente
che solo il Futurismo, in virtù del suo DNA, può
entrare in sintonia e “sentire” il battito e lo spirito di un
motore aereo, di una cabrata, di un’impennata, di una vite.
Tutta l’altra pittura, al confronto è didascalica, narrativa, se
non fotografica. E questo perché solo il Futurismo ha compreso,
fra le tante, che la possibilità di un “nuovo punto di
vista” che non fosse quello terreno, è anche la possibilità
non solo di un nuovo “senso della visione”, ma anche di un
“nuovo stato d’animo e di pensiero”. Dunque è un clima
nuovo quello che percepiscono i futuristi che, per poter poi
dipingere gli “stati d’animo del volo”, quegli stati d’animo li
devono provare sulla loro pelle. E sia la sensazione psicologica
che “filtra” poi nella loro pittura, quella sensazione che
è propriamente la “percezione psico-fisica del distacco dalle
contingenze terrene”, sia la nuova angolazione visiva della
terra, dall’alto ed in movimento, sono due connotazioni
specifiche della pittura futurista di quegli anni che conferiscono
alle loro opere quel pathos che manca invece alla
pittura di genere, sia pure di tema aeronautico.
A chiudere il decennio con un’altra svolta epocale ci pensa
F.T. Marinetti che con l’articolo Prospettive del volo e Aeropittura,
pubblicato da “La Gazzetta del Popolo” di Torino
del 22 settembre 1929, va a coagulare tutti questi sintomi
in un vero e proprio manifesto programmatico. In seguito il
testo fu più volte ripubblicato, anche come prefazione ai
cataloghi delle mostre itineranti che dovevano promuovere
l’Aeropittura, con l’aggiunta di altri punti teorici e delle firme
di Balla, Benedetta, Depero, Dottori, Fillia, Prampolini,
Somenzi e Tato, insomma dello stato maggiore del Futurismo
del momento.
Ma la forza propositiva di questo documento
teorico non risiedeva certo nelle firme a supporto
quanto nei punti programmatici che andavano a scardinare il
senso tradizionale della visione con proposte di un tecnicismo
così analitico che era appunto il frutto delle effettive
esperienze di volo degli artisti. Per riassumere, i primi quattro
punti del manifesto (nella versione più completa del 1931)
vertevano sulle mutevoli prospettive visive offerte dal volo,
del tutto nuove e rivoluzionarie rispetto a quelle terrestri
proprio per questa continua modificazione dei punti di vista
che costringono il pittore a ulteriori sintesi e trasfigurazioni.
Nei successivi cinque punti si analizzava il tipo di visione,
affermando che «tutte le parti del paesaggio appaiono al
pittore: schiacciate, artificiali, provvisorie, appena cadute
dal cielo». Esse inoltre «accentuano agli occhi del pittore in
volo i caratteri di: folto, sparso, elegante, grandioso». Si
affermava inoltre che «ogni aeropittura contiene il doppio
movimento dell’aeroplano e della mano del pittore».
Il risultato
finale doveva poi condurre ad «una nuova spiritualità
plastica extraterrestre». Ecco, specie in quest’ultima definizione
si può cogliere uno dei principali elementi d’interesse
del manifesto. L’Aeropittura, in altri termini, fu il risultato di
un’acquisita nuova sensibilità visiva. La terra andava osservata
dall’alto e, cosa ancora più interessante, doveva essere
osservata “dinamicamente”, dunque in una continua successione
di visioni mutevoli. Tutto ciò il pittore doveva poi
riversare sulla tela, ma aggiungendovi inoltre anche il “senso”
di una nuova coscienza spirituale quale risultante psicofisica
dell’affrancamento dalla “pesantezza” della condizione
terrestre. E’ qui fin troppo evidente come queste proposizioni
teoriche siano ben lontane da qualsiasi accento ideologico
o politico, anzi esse mostrano un’urgenza, una pulsione,
verso la ricerca di una “ulteriore” dimensione che ad
un certo punto non sarà più né terrena, né aerea, ma propriamente
cosmica. Si tratta di una nuova connotazione che,
nello “strappo” dalle contingenze terrene, si scopre una
vocazione anche mistica e “spirituale”, che sfocerà di lì a
poco nell’Arte Sacra Futurista che vede il torinese Fillia in
prima linea. Ma questa è un’altra storia.
Ritornando ancora al Manifesto dell’Aeropittura, sarà interessante
leggere alcuni degli esempi di possibili visioni che
sono proposte: «Il decollare crea un inseguirsi di V allargantisi.
Il Colosseo visto a 3000 metri da un aviatore, che plana
a spirale, muta di forma e di dimensione ad ogni istante e
ingrossa successivamente tutte le facce del suo volume
nel mostrarle... Nelle virate, il punto di vista è sempre sulla
traiettoria dell’apparecchio, ma coincide successivamente
con tutti i punti della curva compiuta, seguendo tutte le posizioni
dell’apparecchio stesso... Queste visioni roteanti si
susseguono, si amalgamano, compenetrando la somma degli
spettacoli frontali…».
Il grande ventaglio operativo di queste proposizioni fu accolto
con entusiasmo dalla terza generazione di futuristi.
In
breve tempo il termine Aeropittura divenne sinonimo di Futurismo,
e ben presto crebbero anche l’Aeropoesia, l’Aeroplastica,
e l’Architettura aerea.
Nel corso del decennio 1930-1940, il dato forse più interessante
fu l’ampia e variegata evoluzione d’indirizzi e di
stili, che avvenne proprio in seno alla stessa corrente aeropittorica,
una serie di tendenze che F.T. Marinetti andò a
riassumere in un’articolata premessa alla mostra degli aeropittori pubblicata nel catalogo della III Quadriennale romana,
del 1939, nella quale presentava un’Aeropittura «stratosferica
cosmica e biochimica, che si allontana da ogni verismo
e che esprime il senso umano e terreno della metamorfosi
che l’uomo contiene nel suo slancio stratosferico».
A questa aggiunse un’Aeropittura «essenziale, mistica,
ascensionale, simbolica... che riduce i paesaggi visti dall’alto
alla loro essenza e spiritualizza aeroplani e volatori fino a
ridurli a puri simboli». Un’altra tendenza fu individuata nell’Aeropittura
«trasfiguratrice, lirica, e spaziale che armonizza
sistematicamente il paesaggio italiano imbevendolo di
appassionate velocità aeree, estraendone tutti i misteriosi
fascini e tutte le suggestioni letterarie». Infine fu definita
un’Aeropittura «sintetica e documentaria» tramite la quale
furono realizzati «paesaggi e urbanismi visti dall’alto e in
velocità».
Giunti a questo punto, e per semplificare, possiamo affermare che la produzione aeropittorica può essere definita in due grandi tendenze. Quella “cosmica”, da una parte, per la
quale l’aeroplano è solamente il “mezzo” per acquisire un nuovo senso della visione e quindi sviluppare una sensibilità cosmica, staccata dalle contingenze terrene. Dall’altra,
invece, si può individuare una tendenza “documentaria”, nella quale l’aeroplano diviene invece il “soggetto” ritratto (spesso con indulgente verismo) in una varietà di situazioni di
volo. E se nella prima metà degli anni Trenta le due tendenze furono grossomodo in equilibrio, con l’inizio della seconda metà del decennio, ed il coinvolgimento bellico dell’Italia,
dapprima in Africa, quindi in Spagna, e poi nella seconda guerra mondiale, si andò via via consolidando sempre più il dato documentaristico e spettacolare, spesso con gli aerei
colti nel corso di missioni di guerra, grazie anche agli accattivanti dipinti di Tato, Crali, Ambrosi, Di Bosso e Verossì.
Ma con il dilungarsi della guerra ci sarà sempre meno spazio per l’arte.
VELOCIDAD TERRESTRES |
|
LUIGI RUSSOLO, Dinamismo di un'automobile, 1911 circa |
UMBERTO BOCCIONI, Studio di cavallo in corsa + case, 1914/15 |
GIACOMO BALLA, Velocità + rumore, 1913 |
CARLO CARRA', Sintesi di paesaggio di velocita' da un treno, 1913 |
GERARDO DOTTORI, Motociclista, 1914 |
ACHILLE FUNI, Motociclista, 1914 |
ROBERTO MARCELLO BALDESSARI, Motociclista + città, 1916 |
|
ROBERTO MARCELLO BALDESSARI, Auto + strada + corsa, 1916 |
|
VITTORIO CORONA, Targa Florio, 1923 |
|
MARIO GUIDO DALMONTE, Motociclista, 1927 |
UGO GIANNATTASIO, Motociclisti, 1922 |
VITTORIO CORONA, Gran Premio di Tripoli, 1927 |
ROBERTO MARCELLO BALDESSARI, Treno + binario + vapore, 1917 |
ROBERTO MARCELLO BALDESSARI, Locomotiva + velocità, 1917 |
VITTORIO CORONA, Dinamismo di un treno, 1921 |
GIULIO D'ANNA, Stazione + treno, 1928/29 |
PIPPO RIZZO, Treno in corsa, 1929 |
ANTONIO MARASCO, L'arrivo in stazione, 1932 |
|
IVANO GAMBINI, Auto in velocità, 1930 ca |
GIOVANNI KOROMPAY, Bolidi + strada, 1933 |
VELOCIDAD AERODINAMICA |
|
GERARDO DOTTORI, Volo su paese, 1925 |
|
TATO, S16 in navigazione, 1927 |
|
GIULIO D'ANNA, Verso il sole, 1930/31 |
GIULIO D'ANNA, Virata sul golfo, 1929/30 |
ANGELO CANEVARI, Scivolata d'ala, 1930 |
|
GIULIO D'ANNA, Aerei sul golfo, 1930 |
GIULIO D'ANNA, Aeropaesaggio, 1930 ca. |
GIULIO D'ANNA, Decollo + Paesaggio, 1931 |
TULLIO CRALI, In volo su città, 1931 |
TULLIO CRALI, Eliche tricolore, 1930 |
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TATO, Lo stormo, 1931 |
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MINO DELLE SITE, Aerosfida, 1932 |
ANTONIO MARASCO, Attacco al treno, 1932 |
OSVALDO BRUSCHETTI, Aeroveduta del fiume, 1932 |
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GIULIO D'ANNA, Picchiata sull'aeroporto, 1932 |
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IVANO GAMBINI, Quota 3000, 1933 |
IVANO GAMBINI, Arresto d'elica, 1933 |
NELLO VOLTOLINA, Seduzione aerea, 1932 |
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LEANDRA ANGELUCCI, Virate astrali, 1934 |
BRUNO TANO, Aeropittura africana, 1935 |
TULLIO CRALI, Nel mirino, 1936 |
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TATO, Spiralata, 1TATO, Spiralata, 1936 |
IVANO GAMBINI, Il Caproni 101 torna dall'Amba, 1936 |
IVANO GAMBINI, Le due ere, 1936 |
TULLIO CRALI, Aerocaccia II, 1936 |
BARBARA, Pensieri BARBARA, Pensieri in carlinga, 1938 |
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RENATO DI BOSSO, Macchine di guerra, 1942 |
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VEROSSÌ, Allegoria dell'Aviazione, 1942 |
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VEROSSÌ, Bombardiere a tuffo, 1942 |
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VEROSSÌ, Mitragliando, 1942 |
TULLIO CRALI, Bombardamento fabbriche, 1942 |
Info mostra
FUTURISMO y VELOCIDAD
Museo de Arte Italiano
LIMA
Data della mostra:
6 giugno – 6 agosto 2017