Mostra monografica dedicata al pittore Gino Severini (Cortona 1883 – Parigi 1966) nel cinquantenario della morte.
Dal Divisionismo al Futurismo, dal Cubismo al Classicismo. Le stagioni creative di Severini alla Villa dei Capolavori in 100 opere, 25 inedite in Italia.
La mostra presso la Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo (Parma) dal 19 marzo al 3 luglio 2016, a cura di Daniela Fonti e Stefano Roffi, intende celebrare l’intera attività di Gino Severini - allievo di Giacomo Balla, al quale la Fondazione ha recentemente dedicato una mostra di grande successo - non concentrandosi esclusivamente sul suo periodo di adesione al Futurismo e al Cubismo, cui sarebbero seguite, secondo alcune interpretazioni, fasi interessanti ma non capitali per il linguaggio artistico del secolo XX; è infatti maturata la consapevolezza che il percorso artistico del pittore cortonese rappresenta fino alla fine, proprio nella sua articolazione e nella sua inquieta ricerca di “perfezione nella contemporaneità”, una perfetta parabola di protagonista del Novecento, attratto prima dalle rotture linguistiche dell’avanguardia e successivamente concentrato sulla ricerca di un equilibrio armonico, di ispirazione classica ma non vuotamente classicista, che caratterizzerà ogni successiva stagione, da quella, più rigorosa, della
misura aurea negli anni Venti e Trenta a quella, pittoricamente più libera ed estroversa, degli anni Quaranta, alle riprese neocubiste e neofuturiste dei Cinquanta e Sessanta.
L’esposizione prende spunto dalla presenza di due importanti opere di Severini nella collezione permanente della Fondazione Magnani Rocca: la Danseuse articulée del 1915, capolavoro futurista, e la matissiana Natura morta con strumenti musicali, della prima metà degli anni quaranta, volute dal fondatore Luigi Magnani per il proprio tempio dell’Arte. Accanto a queste, vengono esposte circa cento opere, fra dipinti e lavori su carta di dimensioni importanti, fra cui alcuni studi preparatori che integrano significativamente la sequenza delle opere su tela o tavola. Sono ben venticinque le opere inedite, frutto di recenti scoperte, o mai esposte in Italia.
La pittura di Severini, pur nelle sue diverse stagioni espressive, contraddistinte nella maturità da varie riprese di tematiche affrontate nella giovinezza, è caratterizzata da una sostanziale fedeltà ad alcuni soggetti, che emergono nei suoi esordi e che – variamente declinati nelle epoche dello sperimentalismo linguistico dell’avanguardia o nelle riprese del naturalismo - definiscono la personalità della sua creazione artistica. Un’esposizione tematica, dunque, articolata non in successione cronologica ma nella rivisitazione del tema centrale delle varie Sale che, affrontato in chiave prima divisionista, poi futurista e cubista, non cessa di essere un agente operativo anche nei decenni della maturità.
Dal ritratto alla maschera
Nei sei decenni di attività artistica, il ritratto è rimasto costantemente al centro degli interessi di Gino Severini, anche nei periodi di più sfrenata sperimentazione del linguaggio. Nel primo periodo, fortemente segnato dall’influenza di Giacomo Balla, attraverso il quale scopre il Divisionismo e si appassiona alle ricerche luministiche, i ritratti risentono del gusto simbolista dell’ambiente romano prima, di suggestioni art nouveau dopo il trasferimento a Parigi, nell’autunno del 1906; poi, fino all’adesione al Futurismo, i suoi modi espressivi si muovono liberamente fra il ritratto borghese di gusto nabis, con espliciti riferimenti a certi "tagli" compositivi alla Bonnard, e l’attenzione agli effetti emotivi creati negli interni da giochi e riflessi di luce di un divisionismo libero e sapiente, già prefuturisti.
Con l’adesione al movimento di Marinetti, soprattutto nel 1912-1913, il ritratto femminile, più raramente maschile, si associa al tema della danzatrice in un’analoga ricerca del ritmo dinamico entro un arabesco lineare di grande efficacia, per interpretare il tema futurista della figura compenetrata con l’ambiente che la circonda, ricco di echi sonori ed evocazioni della memoria. La figura della giovane moglie Jeanne Fort, sposata a Parigi nel 1913, diventa il centro delle sue riflessioni teoriche che accompagnano l’abbandono del Futurismo e l’approdo al Cubismo, nel 1916, considerato l’unico sistema logico in grado di offrire alla rappresentazione pittorica un codice di validità universale sostenuto dalla geometria e dalla matematica.
In quest’ottica dichiaratamente speculativa e di convinta adesione al Cubismo si collocano anche, sorprendentemente, i due famosi ritratti "naturalisti" di Jeanne del 1916 (Maternità e Ritratto di Jeanne), dalla critica considerati come anticipazioni del "ritorno all’ordine" del dopoguerra. Ma, come Severini stesso chiarisce, la presunta fedeltà al mondo visibile non è ottenuta d’après-nature, bensì è il risultato di un rigoroso processo di indagine sulla natura geometrica delle forme che lo riconduce, quasi inconsapevolmente, alla radice umanistica della pittura classico-rinascimentale. Tuttavia, fino al 1921 la sua pittura è totalmente fedele al linguaggio cubista: la soggettività del ritratto futurista cede allora il
passo all’oggettività della costruzione cubista all’interno della quale la fi gura umana è un "accidente spaziale" analogo alle brocche delle nature morte. In questo periodo il ritratto familiare lascia il posto alla maschera di Arlecchino (cara alla memoria dell’artista per le sue origini italiane), un tema divenuto di moda a Parigi, insieme a quello dei costumi popolari, sulla scia dell’interesse acceso in Picasso dal suo viaggio in Italia nel 1917.
La maschera diventerà un elemento distintivo della sua produzione, attraversando diverse stagioni stilistiche, dai disegni e dalle gouaches con Arlecchini dipinti per il mercante Léonce Rosenberg negli anni venti – sulla scia dell’esperienza degli affreschi toscani di Montegufoni – alle sporadiche riprese del tema negli anni trenta, fino all’esplosione gioiosa delle maschere musicanti negli anni quaranta. L’impronta concettuale che domina i suoi lavori dei primi anni venti, successivi alla pubblicazione del suo volume teorico Du Cubisme au Classicisme (Paris 1921), si sposa perfettamente con l’attitudine teorica del filosofo e amico Jacques Maritain, che scrive: "L’arte sacra dovrà conservare qualche cosa del simbolismo ieratico e, per così dire, ideografico, e in ogni caso della forte intellettualità delle tradizioni primitive": è la grande stagione degli affreschi religiosi nelle chiese della Svizzera romanda (Semsales, La Roche), per i quali è ancora una volta la moglie a posare per trepide maternità sacre e i collaboratori del posto a figurare fra gli apostoli.
Il ritratto è nuovamente al centro della sua opera negli anni trenta, tra le punte qualitativamente più alte dell’arte italiana fra le due guerre; produrrà significative innovazioni iconografiche nella pittura del tempo: pensiamo soprattutto alla riproposizione della figura di grande formato – opere attualmente nelle collezioni dei più importanti musei europei – in cui l’ispirazione dal ritratto classico imperiale si traduce in forme monumentali, dove la compostezza e una certa solenne fissità del soggetto s’intrecciano al gusto per il dettaglio quotidiano accuratamente dipinto: un giornale, una collana vivacemente colorata, un fazzoletto intorno al capo o un magniloquente abito alla moda.
Ritratto di mia madre, 1907
Ritratto di Madame Paul Fort (Dynamisme d'un chapeau), 1913
Sephora Mossé, 1909
Ritratto del Dottor Giordani, 1913
Pulcinella (Pierrot) con flauto (Il Pulcinella malinconico), 1932-1933
Arlequin à la mandoline, 1919
"La danzatrice è una metafora"
La centralità che la figura femminile danzante occupa nella produzione futurista di Gino Severini, a partire dal 1910-1911 e fino al 1915, è un dato talmente scontato da essere diventato quasi tautologico. A parte alcune sporadiche incursioni nel tema compiute da altri protagonisti delA parte alcune sporadiche incursioni nel tema compiute da altri protagonisti del movimento (Sironi, Cominetti) e quelle più sistematiche di Balla e Depero (con l’avvio della Grande Guerra), si può dire che la rappresentazione della danza rimane per Severini, fi no all’abbandono del Futurismo, la "radice simbolica" del suo stesso essere pittore. Essa, nella koiné della pittura futurista, lo identifica e lo rende riconoscibile, allora come oggi. Il catalogo di circa 170 opere dipinte fra il 1910 e il 1915, a parte qualche limitata attenzione prestata al ritratto e a poche visioni urbane, non è che l’ininterrotta celebrazione di quel rito collettivo sempre rivitalizzato dalla cronaca e dalla moda.
La sua pittura futurista s’identifica con "le Chahut", le danze spagnole, il "Pan-Pan", il "Tango Argentino", la "Danza dell’Orso", il "Cake Walk", il "Doppio Boston" e tutto quanto era divenuto subito sinonimo stesso della "vita moderna"; un fenomeno di costume al quale la borghesia francese affidò, fin dall’indomani della guerra franco-prussiana (1870), il compito di autorappresentarsi e autocelebrarsi. Non era solo il clima vagamente licenzioso e trasgressivo che vi si respirava, né la travolgente notorietà delle vedettes maschili o femminili ad attrarre la curiosità del pubblico che ogni sera affollava L’Alcazar, L’Horloge, L’Eden, Le Chat Noir, il mitico Moulin Rouge, le Folies-Bergère o il più recente Bal Tabarin (nato nel 1904): piuttosto era anche il loro accentuato sperimentalismo e la disponibilità ad accogliere ed esibire il nuovo, in qualsiasi veste si presentasse; il mondo del music-hall si radica ben presto nell’immaginario di Severini come quello nel quale trova la più compiuta ed efficace espressione quell’idea di dynamis e di simultaneità in cui s’incardina la radice stessa dell’idea della modernità. Se ne La Danse du "pan pan" à Monico, fra le tele più apprezzate nella prima mostra futurista da Bernheim-Jeune (1912), l’effetto dinamico creato dalla scomposizione delle forme in tasselli colorati è moltiplicato dal continuo zigzagare dei profili e da un certo "metodo prospettico" che allontana e avvicina repentinamente i punti di vista variabili, in Geroglifico dinamico del Bal Tabarin, dipinto in Italia nell’estate del 1912, l’effetto di concitato dinamismo nasce dalla concatenata costruzione del quadro, dove forme trasparenti o colorate, ma comunque dotate di una spazialità piena, s’intersecano e s’incalzano in un ritmo mobilissimo, comunque rivelando la piena assimilazione ai propri fi ni espressivi del linguaggio cubista.
Nell’inverno 1912-1913 dipinge un gran numero di opere su tela e su carta, spesso organizzate per cicli tematici, che lo rendono del tutto riconoscibile all’interno del gruppo futurista in continua tournée internazionale. Le danzatrici ora appaiono in primo piano, sulla scena e sotto le luci dei riflettori, come accadeva ogni sera negli innumerevoli cabaret parigini. Sono portatrici di diversi "caratteri", diversi tipi psicologici, tuttavia non descritti ma interpretati attraverso gli strumenti formali del quadro: la forma e il colore. Nella nuova serie dedicata alle ballerine (1914) il tema della danza si sviluppa per analogia annullando qualsiasi riferimento allo "spazio-ambiente" futurista; è la sintesi perfetta del gesto coreografico reso astratto nelle celebri performance di Loïe Fuller e dell’idea del corpo umano come macchina espressiva antipsicologica, e trova significative convergenze formali con il tema, ormai quasi astratto, delle "Espansioni della luce" (centripete e centrifughe) dipinte sullo scorcio del 1913.
Sono esplosioni di pennellate di colore-luce che continuamente scompongono e ricompongono volumi geometrici, opere felicissime e di superiore qualità decorativa, nelle quali la tecnica neoimpressionista ritorna perfettamente funzionale a una ricerca che esalta la sensazione luminosa pura associata al movimento. Infine, nei contemporanei cicli di opere dedicate alle danze di moda dell’epoca (tango argentino, danza dell’orso), l’artista non rappresenta la coppia allacciata nel ballo, ma sinestesicamente l’essenza stessa del ritmo musicale, cadenzato e martellante.
Nel drammatico inverno del 1915, nel clima psicologico ormai mutato dalla guerra, Severini dà vita, parallelamente ai "quadri di guerra", all’ultima serie delle "ballerine" futuriste ricordate fugacemente nelle memorie; fantocci disarticolati, marionette senz’anima attraversate e quasi sezionate da cunei profondi in cui è difficile ritrovare l’antica idea del fascio luminoso dei riflettori sulla ribalta. Il tema della fi gura danzante, dopo una lunghissima parentesi, riemerge con grande vitalità in una memorabile serie di opere esposte alla Biennale veneziana del 1950; l’antica fusione di luce e movimento è trasferita in una pittura che dialoga con l’astrazione geometrica contemporanea, tuttavia eliminando da essa ogni rigore normativo, riassorbendone nella felicissima chiave cromatica l’istanza più lirica.
Infine, a settantacinque anni, l’artista ritrova lo splendore della pennellata pointilliste, e rivisitando la sua lontana stagione futurista ci restituisce, ancora una volta, l’impalpabile sostanza di luce della danzatrice scomposta dalle luci della ribalta.
Danseuse articulée, 1915
Danseuse et violoniste, 1915
Danse de l'ours, 1913-1914
Ballerina spagnola al Tabarin, 1912-1913
Danseuse dans la lumière, 1913-1914
Danza dell'orso, 1912
Danseuse, 1957-1958
La Danse macabre, 1964
La stagione della grande pittura decorativa
Nell'immediato dopoguerra, mentre i futuristi italiani Balla, Depero e Prampolini rilanciano nelle "Case d'arte" l'idea dell'opera d'arte totale, Severini – già fuori dal movimento – accetta l'incarico della decorazione a fresco del salottino delle Maschere nel castello di Montegufoni, al quale univocamente gli studi storico-artistici attribuiscono il valore di una profetica anticipazione della tendenza che verrà chiamata di "ritorno all'ordine" e della sua estensione all'ambito della pittura murale.
Chiamato dai proprietari, gli inglesi Sitwell, a eseguire una decorazione su soggetto italiano, viene da loro indirizzato verso il tema, molto amato dagli inglesi, delle maschere della Commedia dell'arte. Ma molto più del soggetto interessa all'artista mettere in pratica quel complesso di considerazioni teoriche sulla pittura che andava elaborando esattamente nello stesso periodo per il libro Du Cubisme au Classicisme, pubblicato a ridosso dell'esecuzione degli affreschi toscani.
Del salottino delle Maschere, dipinto fra la primavera del 1921 e quella del 1922, sono stati ricostruiti interamente i tracciati geometrici, basati su complesse combinazioni di fi gure in cui nulla è lasciato all'ispirazione del momento e all'improvvisazione. Perché, come l'artista va sostenendo in sede teorica, la geometria è l'unico sistema logico in grado di sottrarre la rappresentazione pittorica all'arbitrio individuale.
Da questo punto di vista, dunque, non c'è alcuna soluzione di continuità fra le nature morte cubiste dipinte dal 1916 al 1920 e le maschere del salottino; e non c'è più storia, emozione o racconto qui di quanto ce ne sia nella pittura cubista precedente. Severini con Montegufoni consegna un esempio di estrema chiarezza, assolutamente classica, di come si possa dipingere sul muro stabilendo un perfetto equilibrio fra la spazialità virtuale suggerita dalla pittura e lo spazio reale dell'ambiente, che non viene occultato e tradito, ma anzi esaltato e sottolineato nella sua perfetta stereometria. La ricerca di equilibrio fra spazio fisico e spazio pittorico trapasserà di lì a poco nell'esperienza della pittura religiosa per le chiese svizzere che, a vario titolo, occuperà tutti i secondi anni venti dell'attività del pittore.
L'impronta concettuale che domina i suoi lavori a partire dalla fi ne del secondo decennio si sposa perfettamente con il pensiero neoscolastico del filosofo e amico Jacques Maritain, il quale assegna all'arte sacra un valore ideografico. Nella decorazione religiosa la centralità del soggetto e il rispetto per l'iconografia non possono essere elusi e di fatto nei cicli pittorici di Semsales (1925-1926), di La Roche (1927-1928), poi seguiti da altre imponenti commissioni, Severini pone in primo piano la tecnica, mentre sul piano linguistico si muove disinvoltamente, anche nella stessa chiesa, fra reminiscenze paleocristiane e bizantine giungendo fino all'arte dei giorni nostri, nell'esibito e spigliato cubismo della chiesa di La Roche, nella quale – sull'arco trionfale – spicca una commovente e spirituale Pietà, vero esempio di "gusto Rosenberg".
Tuttavia, pone nella pratica pittorica e negli scritti un tema fondamentale per il muralismo nascente, e cioè quello del rispetto della natura fisica dello spazio architettonico, della parete che non deve essere "bucata" dalla pittura murale. La piena intelligibilità dell'immagine, unita a una forte esigenza morale, sarà per Severini come per Sironi – il grande ispiratore della rinascita della "pittura murale" – la strada maestra dell'arte pubblica, anche se è propriamente suo il rifiuto di un linguaggio che traduca con troppa immediatezza l'emotività del suo autore e il rispetto addirittura sacrale per l'architettura ospitante e per la natura dei supporti murari e delle tecniche.
È questo, come è stato rilevato, uno dei punti di forte dissonanza dall'estetica muralista di Sironi, condivisa, anche nelle difformità di stile, dai pittori che parteciperanno a quella nutrita stagione; ma ancor più lo sarà il fatto che certamente Severini, anche impegnato per tutti gli anni trenta in diverse commissioni di decorazione pubblica, contribuirà assai poco alla creazione di quella "mitografia suggestiva e trionfante" (F. Benzi) che caratterizza l'epoca dei grandi cantieri di regime.
Concerto di maschere e marinai, 1921
Trionfo di san Tommaso d'Aquino (bozzetto per il mosaico dell'Università Cattolica di Friburgo) 1948-1949
Zeus partorito dal sole, 1954
Dal rigore cubista alla fantasia del secondo dopoguerra: il trionfo della natura morta
Trascurata di necessità durante la lunga stagione futurista, per essere il tema prediletto – e quasi programmatico – dei pittori cubisti, la natura morta diventa a partire dal 1915 e per i cinquant'anni successivi quasi un rifugio, potremmo dire l'approdo sicuro e senza scosse del lungo attraversare le stagioni della pittura di Severini.
La riflessione teorica che dal 1916 lo porta fuori dal Futurismo, affidata alle pagine del testo La Peinture d'avant-garde (1917), rende già personali e mature le opere del 1915-1916 nelle quali l'artista affronta il tema del rapporto fra la geometrizzazione della forma (aspetto concettuale) e la risonanza del colore (aspetto emotivo). Si può fare in modo che anche il colore possa assumere un valore assoluto senza che l'integrità della forma venga meno per questo? Sì, se il colore non viene chiamato a descrivere, cioè a connotare aspetti marginali della realtà, ma selezionato e portato al suo grado di massima purezza a sottolineare e assecondare la gerarchia implicita dei piani e la struttura logica dell'insieme, arricchita tuttavia di tutti quei contenuti emotivi che sono legati alla sensazione.
Nelle opere dipinte fino al 1919, l'autore consolida un suo personale linguaggio ispirato ai presupposti logici dei papiers collés: il continuo slittare dei piani, sempre obbediente a una logica che li individua e li seleziona con grande chiarezza, rivela nell'implicita sequenza temporale le fasi attraverso le quali l'immagine si forma e si organizza nella disciplinata mente del pittore; assicura alle opere un sottile dinamismo interno che spiega assai bene perché l'autore le considerasse sintesi delle istanze complementari del Futurismo e del Cubismo. Approssimandosi alla fi ne del secondo decennio, la ricerca di Severini – che non si accontenta di una formula felice e alla moda – diventa più "inquieta" e anticipa la formulazione di un problema che diventerà centrale negli anni a venire: la possibilità di mettere in relazione dialettica lo spazio tradizionale (prospettico) e quello di derivazione cubista.
Il pittore sembra voler sottoporre a verifica la "tenuta logica" del Cubismo, nonché le sue possibili forzature, ricorrendo a esibiti contrasti. In coincidenza con la pubblicazione del libro Du Cubisme au Classicisme (1921), le sue nature morte evolvono verso una figurazione ambigua e affascinante, perché nell'apparente semplicità – e immediata leggibilità – nasconde una pluralità di informazioni e direzioni spaziali non immediatamente percepibili. Inserita con grande affabilità e leggerezza anche negli affreschi delle chiese svizzere, la natura morta riprende uno spazio fondamentale nella pittura di Severini dal 1928,
quando, conclusa quell'esperienza di grande decorazione artigiana, si sente attratto di nuovo verso la pittura da cavalletto. Al suo rientro in Francia si trova naturalmente immerso nell'atmosfera di interesse creatasi intorno al gruppo degli "Italiens de Paris" (Tozzi, Campigli, de Pisis, de Chirico, Savinio, Paresce), un orientamento sostenuto dal critico Waldemar George, che intende coniugare sensibilità d'avanguardia (soprattutto nei criteri di costruzione di uno spazio pittorico) e chiare riprese classiciste alla luce di un ritrovato spirito mediterraneo – fatto di italiana chiarezza – che si vuole contrapporre alle brume oniriche del Surrealismo allora trionfante. L'ispirazione dall'antico (sempre documentato in ripetute visite ai musei archeologici) si traduce in immagini piene di fascinazione poetica in cui si celebra la vita silenziosa degli oggetti quotidiani in dialogo con frammenti delle antiche rovine.
Le opere stanno in bilico fra il capriccio fantastico e la visione realistica: un singolare equilibrio che la tecnica pittorica assicura riscoprendo pratiche, come la pittura romana su vetro. La rivisitazione di iconografie e tecniche lo conduce alla pittura romana "minore", espressione collettiva dell'istinto decorativo. Il tocco pittorico si sostanzia allora di una materia brillante e corrusca, che vibra sotto la luce con effetti ricercatamente simili al mosaico. Negli anni bui del nuovo conflitto mondiale, a Roma, sembra di poter dire che la pittura rappresenta per lui il mezzo per sottrarsi alle angustie del presente; il suo mondo privato fatto di oggetti quotidiani e ritagli di carte a fiorami, che nello spirito di Matisse (studiato e divulgato in un libricino del 1944) dialogano sui brevi prosceni di tavolini da salotto borghese, rispondono al desiderio di suscitare nel riguardante "una soddisfazione profonda, il riposo, il piacere più puro dello spirito appagato".
Rientrato in Francia nell'autunno del 1946, a Meudon, in casa dell'amico Maritain, attraverso la natura morta riallaccia il dialogo con il Cubismo, allora nuovamente imperante, anche per motivi ideologici: quasi un rinnovato passaporto per l'avanguardia dopo le angustie e le polemiche del dopoguerra. I suoi quadri evolvono verso un neocubismo dichiarato e osservante, anche se sempre personale nella cifra cromatica; la disinvoltura e la felicità compositiva con le quali impagina i suoi guizzanti arabeschi lineari dimostrano nelle numerose nature morte la mano del vecchio maestro nel muoversi all'interno del linguaggio, senza gl'impacci e le tensioni concettuali dei giovani neofiti.
Nature morte, 1917
Natura morta con strumenti musicali 1943-1944
Melon sur papier rose, 1948
Le buffet jaune, 1948
Natura morta, circa 1951
Il paesaggio dal vitalismo futurista al rigore cubista
La trasfigurazione panica del vitalismo della metropoli rappresenta il volto complementare della celebrazione futurista della danza. II paesaggio urbano è uno dei temi centrali dell'immaginario futurista e insieme significativo punto di raccordo con il Divisionismo romano dei primi anni del secolo.
Introdotto a Roma da Giacomo Balla alla poesia degli scorci cittadini segnati dal rinnovamento dei cantieri primo Novecento, Severini dedica alla raffigurazione dei boulevard parigini alcune sfolgoranti visioni ormai lontane dal malinconico intimismo dei suoi esordi romani. Appena insediatovi, l'artista ha modo di percepire la metropoli francese come epicentro della modernità, quella in cui le profezie del futuro sono già realizzate; e se l'utopismo visionario di Marinetti può all'inizio averlo fatto sorridere, sottoscrive con convinzione quelle parole del Manifesto tecnico della pittura futurista (1910) nelle quali si legge: "Le sedici persone che avete intorno a voi in un tram che corre sono una, dieci, quattro, tre; stanno ferme e si muovono; vanno e vengono, rimbalzano sulla strada, divorate da una zona di sole, indi tornano a sedersi, simboli persistenti della vibrazione universale…".
Così rimarrà pressoché un unicum della sua produzione futurista lo splendido Paesaggio toscano, del 1912, una memoria della sua terra d'origine costruita come una visione rotante di frammenti di architetture rurali e alberi come masse circolari in movimento; mentre l'idea dell'universo come "continuum", flusso energetico, progettualità senza fi ne, luogo dell'interagire universale (derivata dal pensiero di Henri Bergson) impronta chiaramente le immagini urbane e il ciclo pittorico dedicato agli autobus e alla ferrovia Nord-Sud che attraversa Parigi. Tram e treni avevano già trovato i loro cantori futuristi (Carrà, Russolo), come temi privilegiati per l'esaltazione del dinamismo e la percezione simultanea della velocità, ma a Severini interessano altri aspetti: l'autobus non è solo un veicolo in movimento, bensì è il luogo di interferenza delle psicologie individuali e collettive; queste interagiscono fra di loro e con il ritmo vitale della città, proiettando i loro stati d'animo al di fuori dell'involucro vetrato che attraversa lo spazio urbano.
Così l'autore dipinge l'autobus come un tunnel spaziale percorso da fasci di energia, onde di empatia che pongono l'interno in rapporto con l'esterno, mentre l'evidenza delle insegne dei negozi e degli hotel, le onomatopee o i nomi delle stazioni urbane riconfermano che all'origine del quadro è una esperienza polisensoriale davvero vissuta dall'artista. Nell'autunno del 1913, tornato in Italia con la giovane moglie Jeanne, e trattenutovi contro la sua volontà da risorgenti problemi di salute, Severini affianca all'attività pittorica una intensa riflessione su una questione per lui capitale: la natura e l'origine delle forme nel quadro futurista. Va riflettendo sulla necessità di integrare la resa della forma generata dal movimento della realtà-ambiente con elementi che scaturiscono, in modo analogico, da processi non del tutto riconducibili al dato visivo, ma originati da quel tessuto di emozioni miste a ricordi che oggi verrebbe definito come "vissuto soggettivo". Da questo rovello concettuale, condotto in assoluta solitudine, nascono le riflessioni contenute nella prima bozza del Manifesto Le analogie plastiche del dinamismo, corretto e modificato molte volte ma mai definitivamente accettato da Marinetti.
L'approdo operativo va invece riconosciuto nel grande quadro Luce + velocità + rumore. Inter penetrazione simultanea, ritrovato dopo molti decenni di oblio. I prospetti dei palazzi solcati dai vuoti bui delle finestre, i tetti delle architetture, le chiome degli alberi rotondeggianti dei boulevard sono attraversati non già dal treno, di cui è appena percepibile un vago bagliore metallico, ma appunto dalla sensazione della velocità che irrompe da sinistra e attraversa il campo visivo in un frastuono baluginante di prismi multicolori che si inseguono a ritmo incalzante. Sono le forme-rumori del suo Manifesto, "linee saltellanti a zig-zag, forme ed angoli acuti sovrapposti", trascrizione sintetica, per via analogica, del multiforme sovrapporsi di luci, colori e rumori nella città più dinamica del mondo.
Il tema del paesaggio godrà ancora di una effimera fortuna nei quadri di epoca cubista, sottoposto a quel processo di stilizzazione e sintesi della forma che lo assimila alla natura morta. La sottile poesia di queste immagini è affidata al ritmo interno e alla serrata dialettica fra le superfici colorate à plat , i dettagli descrittivi profilati con segno chiaro, gl'inserti "materici" sperimentati con l'inserimento di sabbie e varie grane nella materia pittorica.
Terrazza a un caffè di Montmartre (Déjeuner à la terrasse), 1913
Paesaggio toscano, 1912
Étude pour "L'Autobus", 1913
Lumière + vitesse + bruit. Interpénétration simultanée, 1913
Il tunnel di Montsouris, 1917
Paysage (Le Canon), 1917
Livre de peintre
Fleurs et Masques è per Severini quello che Jazz è per Matisse o Miserere per Rouault: uno dei capolavori della sua intera produzione, un'opera tra le sue opere, al pari de La Danse du "pan pan" à Monico, di Maternità o del ciclo di affreschi di Montegufoni. L'artista ha realizzato numerose illustrazioni nella sua carriera, ma soltanto una volta ha creato un vero e proprio livre de peintre, in cui limita la presenza della parola scritta alla funzione didascalica ed editoriale.
Stampato a Londra dalla Pelican Press per Frederick Etchells & Hugh MacDonald in formato in folio moderno, con copertina in simil-pergamena, l'album ha una tiratura di centoventicinque esemplari numerati su papier Lafuma. Le sedici planches a colori furono realizzate con la tecnica del pochoir da Jean Saudé nel suo atelier parigino, riproducendo in maniera fedele le pregevoli gouaches originali. Dopo la tiratura delle tavole da una matrice unica, ove necessario veniva applicata la foglia d'oro. In seguito i colori venivano stesi a pennello attraverso numerose mascherine.
Sebbene dai primi anni venti nei suoi dipinti avesse abbandonato l'estetica cubista, in alcune illustrazioni di questo portfolio Severini ne mantiene certi elementi, impiegando come tòpos iconografico la natura morta. Altre planches si inscrivono nel solco tematico postcubista, in quel suo personalissimo retour à l'ordre ispirato alle maschere della Commedia dell'arte. Altre ancora sembrano evocare i "fondi oro" prerinascimentali del Centro Italia, impressi indelebilmente nell'immaginario del pittore cortonese. In esse l'iconografia romana e paleocristiana affiorano come allegorie e simboli allusivi intimamente partecipati dall'artista. Le illustrazioni paiono quasi gli incompiuti "arcani maggiori" d'un lieve ma spirituale gioco di carte. La prima planche ha sulla sommità un cartiglio con il titolo Prélude e fregi ai quattro angoli; sul campo ovale in oro, quasi araldico, è sovrapposta una composizione geometrica di ispirazione cubista con fi gure evocanti strumenti a corde e pagine al cui centro è un triangolo con fi ori stilizzati. Nella seconda, Polichinelle au livre, Pulcinella è seduto alle prese con un libro sotto una tenda a decori floreali, con accanto uno strumento a corde.
Un'essenziale quinta architettonica, immersa in un'atmosfera dai riflessi liquidi, fa da scenario metafisico alla terza, Les Pigeons et le raisin: al centro di un tavolo in un'alzata campeggiano dei frutti, accanto mezza pera e in primo piano due piccioni, uno che si accosta a un grappolo posto su un cartiglio e un altro che sul cartiglio posa la sua zampa. La quarta, Le Concert, ritrae tre musici: Arlecchino con la chitarra e Scapino con il piffero, seduti su due massi, e Colombina che suona la mandola. Nature morte au compas, la quinta tavola, è una composizione con cesto di fiori, mandolino, fogli, frutti, riga e compasso, sotto la quale si stende un paesaggio raffigurante un borgo nella vegetazione. Ancora la musica ispira la sesta, Sérénade à la lune, che raffigura sullo sfondo un paesaggio notturno al quarto di luna, un edificio di gusto metafisico e in primo piano Arlecchino in piedi che suona il mandolino insieme a Pulcinella seduto che lo accompagna con la chitarra.
Il titolo dell'intera raccolta, Nature morte (Fleurs et Masques), è anche quello della settima illustrazione, che mostra su fondo oro una composizione con rose, maschera e strumenti musicali. A introdurre la tematica erotica è l'ottava, Les Amours d'Arlequin, che ritrae seduti Arlecchino con il mandolino che abbraccia Colombina con la chitarra, sormontati da un amorino sospeso che brandisce una freccia. Il tema mitologico raffigurato nella nona planche, Enlèvement d'Europe, la distingue dalle altre: è in essa raffigurato il ratto d'Europa da parte di Giove in fattezze taurine con corteggio di tre amorini. Si torna alle maschere, con un'iconografia che suggerisce un astrattismo quasi kandiskijano, nella decima, Arlequin au repos, raffigurante un Arlecchino seduto che regge una chitarra. Una natura morta con colombo è l'undicesima, Compotier et colombe, che con un primitivismo realistico raffigura su un tavolo un'alzata con frutti e poi ancora un grappolo, un cartiglio e un libro.
Il soggetto di Maternité, la dodicesima, è molto caro all'artista e, distaccandosi dal tono generale, raffigura in ambiente metafisico una madre seduta che regge abbracciato un figlio in piedi sulle sue ginocchia. La tredicesima, Nature morte au pigeon, è ancora una composizione di uva, piccione, pagine e strumenti. L'ardimento ero(t)ico di Arlecchino – che deposti in terra mandolino e fogli doma un cavallo rampante con donna sulla groppa – è il soggetto della quattordicesima, Les Prouesses d'Arlequin. Di evidente qualità pittorica è Paysage et nature morte sur une table, il quindicesimo pochoir, in cui uno scenario metafisico e ruderi fanno da sfondo a una natura morta con frutti, alzata, maschera teatrale antica e mandolino. Épilogue, la sedicesima, chiude la suite mostrando una donna virginale e materna che dispensa fi ori su Arlecchino seduto che brandisce un compasso. Questo album è annoverabile tra i capolavori del genere prodotti tra le due guerre: la raffinatezza di concezione e realizzazione lo individua come uno dei livres illustrés più ricercati dal collezionismo mondiale.
La straordinaria bellezza delle singole tavole, vendute spesso sciolte, rende difficile trovarne una copia integra nelle aste d'arte moderna.
Fleurs et Masques, 1930 16 tavole litografiche a colori su carta
Prélude Polichinelle au livre Les Pigeons et le raisin Le Concert
Nature morte au compas Sérénade à la lune Nature morte (Fleurs et Masques) Les Amours d'Arlequin
Enlèvement d’Europe Arlequin au repos Compotier et colombe Maternité
Nature morte au pigeon Les Prouesses d’Arlequin Paysage et nature morte sur une table Épilogue
Info mostra
SEVERINI L’emozione e la regola
Mamiano di Traversetolo Fondazione Magnani Rocca
Parma
Fondazione Magnani Rocca
tel. 0521 848327 / 848148 Fax 0521 848337
info@magnanirocca.it
www.magnanirocca.it
Date della mostra
19 marzo – 3 luglio 2016
Orario
- dal martedì al venerdì continuato 10-18 (la biglietteria chiude alle 17)
- sabato, domenica e festivi continuato 10-19 (la biglietteria chiude alle 18).
- Lunedì chiuso, aperto lunedì di Pasqua e lunedì 25 aprile.
- Aperto anche tutti i festivi.
Biglietti
€ 10,00 valido anche per le raccolte permanenti – € 5,00 per le scuole.
Il martedì ore 15.30 e la domenica ore 16, visita alla mostra con guida specializzata; non occorre prenotare, basta presentarsi alla biglietteria; costo € 13,00 (ingresso e guida).
Ristorante e Caffetteria nella corte del museo tel. 0521 848135.
Mostra e Catalogo (Silvana Editoriale) a cura di Daniela Fonti e Stefano Roffi saggi in catalogo di Mauro Carrera, Alice Ensabella, Daniela Fonti, Giovanni Lista, Stefano Roffi.
Partners
La mostra è realizzata grazie a: FONDAZIONE CARIPARMA, CARIPARMA CRÉDIT AGRICOLE.
Media partners: Gazzetta di Parma, Kreativehouse.
Sponsor tecnici: Angeli Cornici, Aon S.p.A. – Fine Arts & Jewellery Specialty, TEP, Società per la Mobilità e il Trasporto Pubblico.