La figura e l'opera di Tato attendono da anni una sistemazione definitiva. Non è semplice però fissare scadenze, data la vastità del materiale tuttora da esaminare e delle numerose opere inedite da analizzare. è chiaro, comunque, che allo stato attuale delle ricerche, la figura di Tato va letta ormai «a tutto campo». Infatti, egli è pittore, scultore, scrittore, saggista, affreschista, ceramista, arredatore pubblicitario, scenografo, fotografo futurista: questi i filoni più significativi di un impegno che si è sviluppato nell'arco di ben 60 anni. Una personalità complessa, la sua, che ha avuto rapporti strettissimi con i personaggi chiave del futurismo, sin dai suoi esordi. I documenti che testimoniano la partecipazione al movimento futurista - spesso da protagonista - non sono stati ancora del tutto messi in luce, né sistemati opportuna-mente, essendo molto vasto il carteggio composto da corrispondenza, articoli, appunti, memorie. Lo stesso libro (autografo) Tato racconTato da Tato, edito nel 1941, fornisce solo alcune indicazioni e documenta sinteticamente lo svolgersi delle sue numerose esperienze (futurismo, aeropittura, fotografia, scenografia, aeroceramica, arredamento futurista ecc).
Dunque, è quanto mai necessaria un'antologica completa nella quale possano essere ordinati e presentati dipinti, tempere, acquerelli, ceramiche, fotografie futuriste. in una parola, tutto quello che egli ha prodotto in virtù di un lungo e appassionato impegno, sì da illuminare, finalmente, di una luce nuova e «definitiva» la complessa personalità del Maestro.
Il mio reincontro con Tato è stato occasionale. Lui stesso avrebbe detto «è sTato occasionale» cosi come scrisse Tato racconTato da Tato. È avvenuto in una Galleria romana dove facevano bella mostra di sé Le bevute di Lorenzo Viani, La donna alla doccia di Guttuso ed una grande, significativa tela di Annigoni sui motivi palesi e nascosti (puttane e puritane della «Vita»), quando mi venne mostrato un paesaggio aereo di Tato. All'orecchio: «È stato uno dei fondatori dell'aeropittura, è scomparso una quarantina di anni fa...», «Ma di chi state parlando?» «Dell'aeropittore futurista»? «Se voi state parlando di Guglielmo Sansoni, bolognese, pittore, scultore, scrittore, saggista, affreschista, arredatore, ceramista, scenografo, fotografo, futurista (dieci cose messe assieme I), se voi state parlando di quel Tato che io ho conosciuto, mio amico di tanti anni fa, occorre ascoltare nel silenzio più religioso e nel rispetto della verità, le tappe più significative della sua vicenda terrena». Protagonista e testimone, ideatore ed esecutore, Guglielmo Sansoni, anagraficamente bolognese, ma socialmente italiano, fu uno dei «padrini» che tenne a battesimo il Novecento, con il nome di battaglia «Tato».
Fu un uomo libero, originale, un animatore pieno di estro, fantasia e bravura. Nel 1919 organizzò con Longanesi, Giovannini, Fanelli, Caviglioni e Federico Valli, allora universitari e ribelli al conformismo, le prime clamorose manifestazioni futuriste a Bologna e nella provincia romagnola, scandalizzando le retroguardie della critica accademica.
II «finto funerale» di Guglielmo Sansoni. Le case d'arte di Bologna e Roma
Particolarmente sollecitato dalla beffa, il 15 Settembre 1920, Tato fu anche regista e protagonista di un vero e proprio burlesco funerale, curato in tutti i particolari, a tal punto che era comparso su un quotidiano un toccante necrologio funebre che aveva coinvolto numerosissimi amici realmente addolorati per la sua «scomparsa». Ma egli aveva voluto seppellire il pittore Guglielmo Sansoni per far rinascere Tato futurista. Prima di dar vita alla Casa d'Arte, si era cimentato in vari rami delle arti applicate: suoi mobili e cuscini, di cui uno con sole al centro, venivano esposti con successo nel gennaio 1922 alla Mostra d'arte futurista che egli, sotto l'impulso entusiasta del verbo futurista, aveva organizzato al Teatro Modernissimo di Bologna. Gli oggetti ed i mobili e le decorazioni presenti nella Casa d'arte, si distinguono per il segno —spesso grottesco — impresso alle linee ed ai colori, almeno per quello che è possibile giudicare dalle poche fotografie pervenute, essendo andata smarrita tutta la sua produzione in questo settore, che non si discosta, per la freschezza dell'immaginazione, per specificità e caratteri, dalla abituale produzione futurista; anzi si distingue da essa per la frequente impronta clownesca impressa a certi singolari prodotti, come la «Futurmensolmascher» o la lampada pagliaccio, che rappresenta una stilizzata ed insieme provocatoria figura di donna in metallo colorato. Tato, particolarmente ispirato da un naturale gusto decorativo e da una sentita predisposizione alla plasticità, segnò tutta la produzione di mobili, cuscini, arazzi, vasi in creta, di gioioso colorismo e di vena sarcastica e sperimentò, in ambiti diversi, tutte le possibilità di estrinsecazione del suo estro creativo, anche se poi finì con l'applicarsi, più frequentemente, alla pittura ed alla decorazione di ambienti privati e pubblici. Comunque, la sua attività nel campo del design e dell'arredamento si esplicò, soprattutto, nell'arco degli anni Venti: a Bologna, dove egli organizzò nella sua Casa d'arte — detta anche casa dei futuristi — un punto di ritrovo di artisti ed intellettuali di ogni scuola, uniti dal comune desiderio del rinnovamento artistico e poi a Roma, dove, a cominciare dal 1924, progettò nella sua Casa d'arte, arredi sempre più vicini ad un gusto medio borghese, tra il tardo liberty ed il moresco (come è possibile intuire dalle fotografie pubblicate in varie riviste), mentre la sua fantasia continuò a sbizzarrirsi soprattutto negli arazzi, disegnati in gran numero e tessuti anche in Polonia. Ma ritorniamo alla mostra futurista 'che egli organizzò al teatro Modernissimo di Bologna il 22 Gennaio del 1922 ed a questo proposito, nel libro autobiografico Tato racconTato da Tato leggiamo: «Le vostre critiche alle opere esposte nella mostra da me organizzata sono contraddittorie, specie quando volete mettere a rapporto Lea Mauri e Jolanda da Scortichino, quando elogiate una per criticare acutamente l'altra e, quando dite la vostra su la Mazzieri (Olga), la Ravazzoni e Tato, trovando una seria preparazione da una parte, deficienza assoluta dall'altra e via dicendo... E non vi accorgete che è una sola mano quella che ha dipinto, poiché sappiate bene che tutti questi autori sono uno autore solo: Tato!». Nel catalogo della mostra Tato voleva figurassero numerosi nomi di pittori futuristi: e poiché questi erano pochi, ne aveva creato un certo numero... di sua iniziativa.
A Roma, dove si era trasferito nel 1924, si presentò al pubblico e alla critica con una personale nella Galleria di Anton Giulio Bragaglia il 20 aprile 1925, divenendo tra i più attivi collaboratori di Marinetti nell'organizzazione tecnica del futurismo. Infatti, con Marinetti firmò il 16 aprile 1930, il Manifesto della fotografia futurista, da lui redatto e concepito e con Balla, Benedetta, Depero, Dottori, Fillia, Prampolini, Somenzi e lo stesso Marinetti il Manifesto dell'Aeropittura, allargando così i confini del futurismo. Il pittore Tato è tra i fondatori dell'aeropittura. Ma se egli non fosse stato un vero artista, con o senza la tessera di fondatore, come è accaduto a molti, sarebbe un personaggio di poco conto, si intende dal punto di vista dell'arte. I manifesti ed i programmi non hanno mai supplito il genio, quando non c'è.
È indubbio, invece, che Tato non solo dice, ma fa: anzi fa quello che dice. Vuole una pittura che spezzi gli schemi tradizionali della triplice dimensione: che dia il segno della libertà negli spazi, e permetta di fondere insieme la linea rigida di un longarone d'ala con il carosello multicolore di un paesaggio sottostante: che sappia intersecare aria, terra, mare in una infinita varietà di piani compenetranti; che frantumi, polverizzi, evapori, in un arcobaleno di sensazioni velocissime, la pigra tavolozza dei colori tradizionali, sino a darci uno spettro visivo del paesaggio in volo, rispondente alle nuove esperienze umane, create da un venticinquennio di attività aviatoria.
Questo, i quadri di Tato, ci danno. Non pongono soltanto un problema astratto; lo risolvono nell'opera d'arte. Ecco il grande merito del pittore: i suoi quadri non sono polemiche a colori, sono paesaggi, figure, sintesi pittoriche. Sopra un piano, che si presume incatenato e rigido nella fissità dell'estasi, il pittore tradizionale coglie un aspetto della realtà, con le proporzioni estremamente precise, i particolari accuratamente studiati e ritratti, la luce e l'ombra divisi così a puntino da fare esclamare allo spettatore: «come è vera questa pittura!». Tato spezza questi vincoli di istantaneità fotografica e tenta di interpretare la realtà così come la vede e la sente chi è trascinato nella vertigine del volo.
A questo punto è d'obbligo riportare quello che Marinetti scrisse in occasione della presentazione della mostra personale di Tato di aeropitture futuriste di guerra presso l'OND del Ministero dell'Aeronautica, nel catalogo edito nel Marzo 1941-XIX: «L'aeropittore futurista Tato che in questo tempo dell'Aeropoesia Aeropittura Aeroscultura Aeromusica Aeroarchitettura generata dal futurismo italiano è stato il primo a dare palpiti e sudori di benzina olio di ricino calorie e slancio ai pesanti trimotori in contrasto-amicizia con le più soffici trasparenti e svaporanti ovatte garze o bambagie dell'atmosfera sente ora che non si può fermarsi alla interessante invenzione di un primo contrasto tra il pesante e il lieve. Vuole quindi e lo dimostra mediante 70 aeropitture ambientare gli apparecchi fra la più svariata fantasia di sfumature che lo spazio possiede e sogna di moltiplicare. A questo scopo Tato costruisce numerose individualità distinte di macchine aeree ognuna con la sua eleganza i suoi scatti le sue borie le sue delicatezze le sue amorose seduzioni le sue insidiose e illusorie fughe o i suoi prepotenti ritorni ecc. Ogni aeropittura presentata da Tato gli permette di far parlare in un dato modo quell'alluminio quel compensato quel patino quell'ala o quell'elica che forse si prevede perderà i giranti baffi nell'imminente cozzo con quel caccia nemico anch'esso originale sorprendente mai conosciuto prima dell'attimo sparante. Non soddisfatto però di moltiplicare così la sua sensibilità creatrice in questi palpitanti ritratti di apparecchi Tato li agguerrisce di crudeltà e veemenza poi si occupa sempre più dall'alto e in volo del cielo e di tutte le bizzarrie dei suoi colori cangianti mattutini meridiani burrascosi crepuscolari lunari o notturnamente catastrofici. Nasce nella sua anima di grande plastico un'anima di poeta che vuole sempre meglio combinare le sue macchine aeree ormai individuate in un cielo e in molti cieli perfezionati e degni di loro. Le battaglie i bombardamenti le città tempestate dalle bombe sono quindi anche pretesti allo scapricciarsi del suo pennello che non si sazia più fra la rissa e lo sciorinamento delle potenti dure e soavissime colorazioni a scoppio sdivinquimento cesello veloce schizzi e piogge d'oro delle colorazioni ebbre d'essere e sentirsi colorate. La guerra si svolge così con la ruvidezza dell'orgoglio militare italiano logicamente amico dell'acciaio perché privo o quasi di femminilità. I metallici apparecchi trasfigurati e lanciati dal grande ingegno di Tato potenti sverginanti all'italiana fra le squisitezze e le morbide civetterie di atmosfere desiderate possedute e profondamente godute all'italiana. Originalissimo e senza mai imitare nessuno del grandi aeropittori e delle grandi aeropittrici futuriste [...] tutti armati di una propria ispirazione volontà partecipa energicamente alla campagna di propaganda guerresca con cui distrae temporaneamente il suo desiderio di battersi se mai ancora in cielo per l'Italia». In alcune delle opere più rappresentative di Tato, degli anni Venti e Trenta — qui in mostra — non è difficile trovare i risultati felici della sua ricerca di sintesi cromatica e semplicità espressiva.
La fotografia futurista ed il relativo Manifesto
A Roma, dal 1930 al 1931, due grandi manifestazioni artistiche caratterizzano l'instancabile attività di Tato: la Mostra della fotografia futurista e una Esposizione di aeropittura, la prima mai avvenuta nel mondo. Questi due avvenimenti, organizzati da Tato, ebbero come risultato la stesura dei due manifesti, già citati: il Manifesto della fotografia futurista ed il Manifesto dell'Aeropittura.
NNel 1930 venne bandito a Roma il «Primo Concorso Fotografico Nazionale». Tato illustrò subito a Marinetti i risultati ottenuti con alcune sue esperienze fotografiche, che sconfinando in un nuovo mondo indagatore, «la fotografia dell'avvenire», ne ispirarono gli elementi fondamentali per redigere il Manifesto della fotografia futurista.
Tato organizzava, quindi, alla Mostra del «Primo Concorso Fotografico Nazionale» una apposita sezione per i fotografi futuristi italiani. Il successo di questa sezione fu notevole: le fotografie futuriste, messe al confronto con quelle degli altri fotografi, non solo davano la immediata visione di un effettivo progresso tecnico innovatore, ma dimostravano, con molta evidenza e chiarezza, quanto fossero interessanti le nuove ricerche illustrate dal manifesto futurista. Tato si impose con le sue fotografie, ottenendo un grande successo personale e il primo premio con medaglia d'oro al Primo Concorso Fotografico Nazionale. I maggiori quotidiani italiani commentarono con vivo interesse le opere dei fotografi futuristi; e Tato, per precisare alcuni punti importanti delle sue ricerche fotografiche, scrisse sul Giornale d'Italia ampie argomentazioni di carattere tecnico, con un voluminoso articolo dal titolo: La fotografia futurista e la trasparenza dei corpi opachi. Al riguardo Tato dice: arte futurista del «camuffamento» non più soltanto per nascondere gli oggetti esistenti ma anche, e soprattutto, per far vedere oggetti inesistenti, dando l'illusione della loro realtà. Il camuffamento si realizza con elementi di estrema semplicità.
Una Ballerina è composta da una fruttiera rovesciata, due candelieri e un limone.
Un Somarello con pastore è composto da un martello, un imbuto e un uovo. Il Perfetto borghese è realizzato da una giacca appesa a un attaccapanni con due mani reali e vari oggetti complementari (indovinata realizzazione umoristica, pubblicata ripetutamente in riviste italiane ed estere).
Tutte queste realizzazioni, pur raffigurando grotteschi umoristici, indicano, nel loro complesso, come «l'arte del camuffamento» rappresenti un vastissimo interessante ed utile campo aperto a nuove ricerche ed esperienze. Per mezzo della fotomicrografia si possono ottenere delle immagini ingrandite da oggetti microscopici. Dal camouflage degli oggetti e dalla fotomicrografia alla trasparenza dei corpi opachi il passo è breve.
Il Galeotto (annuncio della liberazione) è la testa di un prigioniero dietro le sbarre di ferro (trasparenti) di una prigione. Ritratto meccanico è la testa di un uomo fotografata nell'interno di un cronometro. Per le complicate trasparenze della orologeria e per il movimento del bilanciere, la testa si divide in due parti diverse che possono essere ben visibili separando le due parti con l'uso di un cartoncino: si vedrà così il volto della parte sinistra con una espressione triste e quello di destra con una espressione allegra.
Aeroritratto di Tato è stato composto, invece, con la trasparente fusione dell'elica e del motore di un aeroplano.
Con l'occhio sulle trasparenze dei corpi opachi è molto interessante il ritratto di un letterato, nella cui testa appaiono in trasparenza, tutti i libri relativi alla sua produzione letteraria. E sempre in tema di ritratti, sono stati ottenuti da Tato straordinari «stati d'animo», polifisionomici, deformazioni, meccanici, dinamici, fantastici, politici, ecc.. Tato, come fotografo d'arte, oltre che come pittore, dopo avere abbandonato per sempre l'arte applicata, continuerà ad operare a Roma fino all'immediato dopoguerra.
Tato, Balla e compagni sorvolano Roma su un potente trimotore da bombardamento «Caproni».
Tato sentiva prepotente il desiderio del volo, della velocità, dell'altezza, e una mattina, manifestando ad alcuni amici il suo entusiasmo per il volo fatto su un minuscolo apparecchio d'alta acrobazia con l'asso dell'aviazione Donati, suscitò nervosismo nel pittore Balla che non aveva mai volato. Così Tato si procurò un permesso presso il Ministero dell'Aeronautica e il giorno successivo con Balla e compagni si imbarcò su un potente «Caproni» trimotore da bombardamento, sorvolando Roma.
Il poeta futurista Giovanni Rotiroti scriveva su «L'Impero»: «C'era un po' di vento e qualche nuvola. Avevamo paura di non poter volare. Ci accolsero a Centocelle (il magnifico campo dell'aviazione militare) gli ufficiali azzurri, i fanti geometrizzati sulla linea diritta e rigida; l'aria sferzante, tutti gli scudisci dell'ossigeno che ci mitragliavano addosso gli atomi e pulviscoli di sole, profumo di siepi e risate argentine di rotaie che cigolavano sotto la brutale carezza dei treni la loro gioia meccanica. Eravamo in otto... Chi si contorceva dalla felicità era Balla. Dalla sua anima gioconda e multicolorata s'innalzavano ininterrottamente piccoli aeroplani spirituali, eliche gialle di riso, motori rombanti di parole in libertà, corse vertiginose di fantasie simultanee. Avevamo tutti sete di altezza, desiderio di superare lo spazio, sogno di raggiungere culmini sconfinati. Incontrammo per primo il tenente Gostoli il quale, dopo aver visto il permesso, ci guidò verso una grande aviorimessa. Sull'ingresso, neanche a farlo apposta, attendeva il pilota tenente Bruni. — Voleremo con un «Caproni» — disse. E ce lo indicò. Lo vedemmo: enorme mole argentea dalle grandi ali tese, tutto immobile, circondato da altri aeroplani che gli facevano scorta d'onore.
S'intuiva nel suo corpo un terribile respiro ora silenzioso. Dai tubi di scappamento, paragonati da Balla a costole meccaniche, si delineava la febbre turbinosa dell'infinito. Tutta la civiltà meccanica era racchiusa in quelle potenti architetture d'acciaio! La luce, penetrando l'ampia porta frontale dell'aviorimessa, carezzava le grandi ali d'argentó e si innalzava dal corpo degli apparecchi mettendo a nudo il loro apparato nervoso, la colonna vertebrale, le costole, le vene, tutta la scheletrica conformazione motrice che sembrava invocasse libertà di volo.
Ecco l'angelo meccanico moderno! — esclamava Tato.
L'aeroplano fu portato fuori, nell'ampia spianata verde che odorava di spazio e di muschio. Ordini precisi degli ufficiali. Sfolgorio di ruote, raggi, manovelle. Ci avvicinammo al «Caproni». Al di sopra di noi la diabolica risata del motore. Il tenente Gostoli e il tenente Bruni dalla carlinga gridano — Contatto!
Uno scatto e l'aeroplano si sposta veloce nel campo, si solleva, libra potente nell'aria, taglia l'azzurro, punta in alto. Guardavamo giù, nell'abisso trapunto di verde e di bruno. Roma, si stendeva su di un immenso piano inclinato con tutta la sua massa panoramica. Il Tevere pareva scendesse da una montagna paurosa, i treni minuscoli giocattoli, le case, le strade, le piazze, i monumenti, i giardini sintetiche miniature sulla terra inondata di sole. Tato e Balla si abbracciavano. Poi Balla si alzò in piedi e cominciò a danzare. — Sale e pepe... sale e pepe. Il suo grido è confuso nel sordo aspro respiro del motore. Navigammo su di un mare di nuvole...». Tato usciva da questi voli ebbro di sole, luce, di velocità colore: nel suo spirito prendevano forma sempre più concreta le sensazioni e le impressioni che dovevano poi, a breve distanza di tempo, portarlo alle maggiori conquiste nel campo dell'aeropittura, sulla cui valutazione convergono interpretazioni contrastanti e diverse, che variano tra linguaggio figurativo ed astratto, i cui confini sarebbero segnati dalla dilatazione della visione dell'ambiente, alla visione illustrativa ed iconografica analizzata da E. Crispolti. Ma osserviamo il paesaggio panoramico di una grande città così come appare dall'alto di un apparecchio che la sorvola. Le case a sghembo, le torri straziate, le ciminiere pendolanti, le strade che si dilatano come alvei di un fiume alla foce per diventare una cruna d'ago o gli uomini che punteggiano il piano di una piazza come mosche su un vetro. Un mondo che si accorcia e si stringe a vista, e sembra che cammini con le gambe in aria. Tato aggiunge una sua nota caricaturale al terremoto delle sensazioni che l'esperienza aviatoria gli ha prodotto.
Questa nota è il segno personale, una specie di firma autografa di Tato: la troveremo in ogni suo lavoro.
Insomma, l'aeropittura di Tato è un paesaggio che ha colori di festa e di ironia ed egli vi esprime non solo quello che ha visto, ma quello che ha sentito: è una realtà vera e trasfigurata nello stesso tempo.
Ma ancora sulla soglia di quel paesaggio artificiale che egli ha creato mescolando cielo, acqua e terra, ecco un longarone d'ala con la sua ombra beffarda e la prua della carlinga che compare tozza nello scorcio del cielo estatico. I voli successivamente effettuati da Tato, da Roma a Tunisi, a Tripoli, a Marsiglia, Parigi, Rodi, ecc. e la possibilità di osservare sempre più da vicino la vita degli aviatori negli aeroporti, gli suggeriscono gli elementi necessari per esprimere nel campo dell'aeropittura nuove ed ormai definitive affermazioni. Il «Giornale della Domenica» del 12 Febbraio 1931 pubblicava su sei colonne un articolo dal titolo La prima affermazione nel mondo di una nuova arte italiana e, per la prima volta, il Manifesto dell'Aeropittura che, impropriamente, è stato fatto risalire da «fonti qualificate» al 22 Settembre 1929. Era Tato che, in base ad accordi con Marinetti, aveva organizzato nella Camerata degli Artisti, in piazza di Spagna, a Roma, la prima mostra di Aeropittura alla quale parteciparono undici aeropittori con le seguenti opere: Balla: Celeste metallico aeroplano Ballelica: Bolama Benedetta: Prendendo quota Diulgheroff: Volo 1 e Volo 2 Dottori: Stormo d'aeroplani; Sintesi di mare dall'alto; Il trasvolatore di oceani; Ponti sull'oceano; Schizzo aereo; Paese dall'alto; Eliche; Sensazioni di awitamento; bozzetto e fotografie decorazione Sala d'aspetto «Idroscalo di Ostia» Fillia: Aeroplano; Aeroplano Oriani: Volo 1 e Volo 2 Prampolini: Volo 1; Volo 2; Volo 3; Volo 4; Volo 5;
Volo 6 Somenzi Bruna: ldrocorsa; AerVolo 6 Somenzi Bruna: ldrocorsa; Aeroplano di notte Tato: Motivo di aeropittura (1931); Cortine di fumo(1930); Combattimento aereo (1929); ldrovelocità (1931); Cortine di fumo (1918); Stracielo(1931); Panorama aereo (1929); Studio (1930); Lancio paracadute (1931); Dinamica aerea (1930); Volo 1 e Volo 2 Thayaht: Volo 1 e Volo 2 Balla, Ballelica, Benedetta, Diulgheroff, Dottori, Fillia, Oriani, Prampolini, Bruna Somenzi e Thayaht contribuirono al successo di questa mostra che diede vita al Manifesto dell'Aeropittura.
La prima pubblicazione del Manifesto dell'Aeropittura sul «Giornale della Domenica» del 1-2 Febbraio 1931.
Prima della divulgazione del Manifesto dell'Aeropittura sul «Giornale della Domenica» del 12 Febbraio 1931, impropriamente fatta risalire al 22 Settembre 1929 — epoca in cui Marinetti effettivamente espresse sulla Gazzetta del Popolo i principi fondamentali della nuova «grande arte» — non risulta edito un «testo identico»; sussistono, invece, elementi fondati e probanti per datarne la pubblicazione al 1 Febbraio 1931 e, non prima, tra cui: una attenta lettura del medesimo Manifesto, laddove Marinetti dice testualmente «Fra le molte idee da me esposte nella "Gazzetta del Popolo" del 22/9/1929, noto quella del superamento artistico del mare, ultimo grande ispiratore d'avanguardisti e novatori ormai tutti in cielo». È di significativa evidenza, nel riferimento temporale al 1929, riportato nel documento fondamentale pubblicato il 1 Febbraio 1931, come a questa seconda data e non alle preliminari ed appena abbozzate enunciazioni dell'immediato passato, debba farsi datare la pubblicazione del Manifesto «tel quel»; la biografia essenziale, apparsa, in epoca non sospetta, sui cataloghi di tutte le mostre personali di Tato che, al riguardo, rappresenta una fonte di verità; un articolo apparso il 16 Luglio 1932 su «Futurismo» dal titolo Considerazioni sulla XVIII Biennale Veneziana, a firma di Gerardo Dottori, più avanti riportato, laddove lo stesso futurista legittima con le sue affermazioni la data di nascita del Manifesto.
Tra l'altro, la sua affrettata pubblicazione creò malumori fra alcuni futuristi, perché determinati dati e precisazioni di idee e di principi vennero attribuiti ad un futurista anziché ad un altro. Infatti, il Manifesto risultò prodigo nei riguardi dell'aviatore futurista Azari (designato come il creatore della prima opera di aeropittura), trascurando in maniera equivoca Mino Somenzi cui — secondo quanto si legge, in modo evidente, nell'articolo di Marinetti Prospettive di volo apparso in «Gazzetta del Popolo» del 22 Settembre 1929, ritenuto impropriamente come la prima pubblicazione del Manifesto dell'Aeropittura — si doveva la concezione di un manifesto genialissimo sull'aeropittura e l'aeroscultura fin dal 1928. Inoltre, il documento non precisava che la nuova tematica futurista ebbe inizio non per merito di precedenti artisti, bensì esclusivamente, in seguito alla prima mostra di aeropittura — organizzata da Tato — che raggruppava, per la prima volta nel mondo, circa cinquanta opere di undici aeropittori. Successivamente, tutto ciò venne chiarito e precisato in ulteriori pubblicazioni, ed in particolare da Anton Giulio Bragaglia, nel suo esame storico critico sulla «Aeropittura»: «Il primo quadro di aeropittura fu presentato nel 1926 alla Biennale di Venezia dal pittore e aviatore futurista Azari. Esso era intitolato Prospettive di volo. Nell'ottobre del 1927 Tato dipingeva la Madonna dell'Aria che si trova nella stanza del Ministro Balbo al «Corriere Padano» di Ferrara. Lo stesso Tato alla Mostra del Centenario della Esposizione degli Amatori e Cultori nel 1928 espone tre Tempi sensazioni di volo acquistati dal Governatore per la Galleria Mussolini dove sono esposti. Nel 1929 Dottori dipingeva affreschi aviatori per l'aeroporto del Littorio e l'anno seguente Tato riceveva con un'aeropittura un primo premio alla Biennale di Venezia, mentre a Roma organizzava alla Camerata degli Artisti la prima Mostra di aeropittura, dove Tato aveva una sala personale con venti aeropitture. L'anno seguente Tato e Dottori dipingevano grandi pannelli per l'Idroscalo di Ostia, mentre altre mostre di aeropittura venivano tenute a Bologna e a Roma dallo stesso Tato e dagli altri. La precisa ideologia dell'aeropittura è successivamente dovuta a Mino Somenzi. Comunque i primi aeropittori, dopo Azari, Tato e Dottori furono Balla, Ballelica, Benedetta, Prampolini, Bruna Somenzi, Thayaht, Oriani, Fillia, Diulgheroff.
Ai fini di un completo esame storico della «questione», si riporta, integralmente l'articolo a firma di Gerardo Dottori apparso su «Futurismo» in data 16 Luglio 1932 dal titolo Considerazioni sulla XVIII Biennale Veneziana che, in pratica, fa ulteriore giustizia sulle inesattezze finora apparse, dilatando al 1931 la fondazione ufficiale dell'aeropittura e, ponendo, contemporaneamente, nella giusta luce la figura di «Tato aeropittore», quale grande protagonista della nuova tematica futurista.
«Personale nelle sue creazioni, inconfondibile in tutte le opere create, Tato si differenzia totalmente dagli altri aeropittori. Dopo i primi tentativi egli affronta pubblicamente questa nuova arte ed ottiene un inequivocabile successo a Ferrara nel 1927 compiendo il grande affresco La Madonna dell'aria che ha sede nel palazzo del «Il Corriere Padano». Questo è il primo di una serie di successi sempre più ampi e significativi. Nel 1928 a Roma nella Mostra del centenario, il Governatore acquista per la Galleria Mussolini tre aeropitture di Tato: Sensazioni di volo in tre tempi. Queste sono le prime aeropitture che rappresentano ufficialmente la nuova arte futurista nelle gallerie pubbliche. Nel 1930 Tato ottiene il premio più ambito: alla Biennale di Venezia partecipa al Concorso indetto dal Comitato organizzatore per un soggetto aereo. Tato con il lavoro Aeroplani ottiene il primo premio, superando tutti i partecipanti tra i quali erano noti pittori italiani di varie tendenze artistiche. Eccoci, quindi, alla prima esposizione collettiva di aeropittura a Roma organizzata il 1 Febbraio 1931 da Tato. In questa occasione il capo del movimento futurista lancia il manifesto della Aeropittura. In esso oltre la parte tecnica curata da Mino Somenzi, Marinetti espone sinteticamente gli scopi degli antesignani di questa nuova arte ed indica come primo realizzatore di essa il pittore Fedele Azari, morto recentemente, che già nel 1926 creava il geniale quadro Prospettive aeree.
A questa esposizione collettiva Tato partecipa con una mostra personale ed assieme a Dottori si afferma soprattutto per i quadri che glorificano le gesta del trasvolatore Italo Balbo. Questa esposizione, la prima del genere nel mondo, segna il trionfo di Tato e Dottori e la formazione di un primo nucleo di aeropittori: Balla, Prampolini, Benedetta, Diulgheroff, Fillia, Onani, Ballelica, Thayaht, Somenzi. Il successo continua. Dopo Roma l'Esposizione alla Galleria Pesare di Milano alla quale partecipano ben 40 aeropittori. Vi figurano più di cento opere e due mostre personali di cui una di Scenografia di Prampolini e l'altra di Aeropittura di Tato. Intanto il Ministero dell'Aeronautica acquista il quadro Aeroplani di Tato e ad Ostia la Società Aerea Mediterranea inaugura ie decorazioni dell'Idroscalo create da Tato stesso».
In ogni modo Tato ha sempre sostenuto che la vera e propria aeropittura futurista ebbe inizio nel 1931 e con essa tutti i suoi derivati: l'aerodanza, l'aeroplastica, l'aeromusica, l'aeropoesia ecc. che rappresentarono le nuove espressioni artistiche inventate dai futuristi italiani. Negli anni successivi seguirono altre importanti esposizioni che raggrupparono un numero sempre crescente di aeropittori espositori. Di queste mostre vanno ricordate quelle svoltesi a Milano alla Galleria Pesaro, Torino, Genova, Napoli, Bologna, Trieste, Venezia, Firenze, Palermo e, di quelle svoltesi all'estero, la Mostra di aeropittura alla Galene de la Renaissancea Parigi nel 1932; la Mostra di aeropitton futuristi a Bruxelles nello stesso anno; le Mostre di aeropittura a Berlino, ad Amburgo alla galleria Kunstverein ed a Nizza nel 1934; l'Esposizione Internazionale ed Universale di Bruxelles; la Mostra futurista di aeropittura ad Atene; la Mostra «20 artistes Italiens» alla Galleria Bernheiin a Parigi nel 1935; l'Esposizione Internazionale d'arte al Museo Municipale di Amsterdam e la Mostra d'arte Italiana Moderna e Contemporanea a Serlino, nel 1937, dove esposero 28 aeropittori".
La Prima Mostra Nazionale di Plastica Murale a Genova ed il relativo Manifesto.
Nel 1934 due manifestazioni artistiche di notevole importanza diedero l'occasione a Tato di raccogliere nuove affermazioni: la Prima Mostra Nazionale di Plastica Murale a Genova e la Seconda Mostra internazionale d'arte coloniale a Napoli che portarono, rispettivamente, alla stesura del «Manifesto sulla Plastica Murale» e del «Manifesto sull'Arte Africana». Alla successiva Mostra Nazionale di plastica Murale ai mercati Traianei del 1936, Tato realizzò con Benedetta ed Ambrosi una grande vetrata policroma di 40 mq raffigurante le «comunicazioni ferroviarie» ed esprimente, in una sintesi dinamica, l'ansietà di tutti gli itinerari di viaggio turistici verso Roma; vetrata di cui oggi non si ha più alcuna traccia.
Lori Mangano, in un articolo apparso su «Gente Nostra», Roma, del 9 Novembre 1936 dal titolo La ll Mostra di plastica Murale scriveva che i «Mercati Traianei rivestiti così futuristicamente erano irriconoscibili e che l'alluminio, il rame, il vetro, la ceramica, il sughero, il marmo ed il legno costituivano la nuova tavolozza ispiratrice». Un'altra ventata di originalità e genialità Tato dimostrerà ancora in occasione della Seconda Esposizione d'Arte Coloniale a Napoli nel 1934 (il solito umorismo felice e il solito segno spontaneo anche quando fissa tipi e scene di vita africana) dove, tra gli altri, esponevano i futuristi Cocchia, Mori, Belli, Favalli, Ambrosi, Crali, Di Bosso, in apposito padiglione loro riservato. Marinetti, nella circostanza, tenne una conferenza su L'Africa nella Poesia e nelle Arti Plastiche e, partendo dalla constatazione dell'alta importanza del problema di un'arte coloniale, espose le qualità ed i difetti che tale arte ebbe, nel complesso, in Italia e all'estero, sostenendo che l'Africa doveva essere considerata come il naturale dominio dei pittori e dei poeti italiani, che dovevano amarla nella sua varietà, approfondirne le misteriose sensibilità, sforzandosi di cantarla originalmente, cioè, trascurandone le superficiali tipicità e catturandone le essenze. «L'Africa — disse Marinetti — è una miniera inesauribile di realtà ispiratrici»: e da poeta ne sintetizzò un gran numero, con rapide descrizioni del Nilo e del tipico distacco fra la fertilità abbondante e grassa delle sue rive e l'atmosfera vetrosa ed arida del deserto.
L'avvenimento, come è noto, portò alla stesura del Manifesto sull'Arte Africana, scritto da Marinetti in collaborazione con Fillia, Tato e Cocchia.
La scenografia e l'Esposizione Internazionale del Teatro a Vienna.
In termini cronologici, la partecipazione di Tato alla Esposizione Internazionale del Teatro a Vienna avvenne nel 1925, cioè cinque sei anni prima rispetto alle mostre futuriste di fotografia, aeropittura, plastica murale ed arte coloniale africana, da cui scaturirono i noti manifesti. Allo scopo di illuminare, vieppiù, la personalità poliedrica dell'artista, è quanto mai necessario fare riferimento a tale partecipazione, perché proprio da quell'avvenimento la scenografia futurista italiana rappresentata dalle opere di Depero, Paladini, Dottori, Pannaggi, Tato, Carmelich, De Pistoris, Valente, Ago, Fornari, Marchi e Prampolini, compì il miracolo di porsi a fianco dei maggiori scenografi esteri, attingendo alle vive fonti della fantasia, anziché alle palestre di esperienza rappresentate dai principali palcoscenici dei Teatri francesi, berlinesi e russi. Questa schiera di giovani scenografi futuristi presentò una serie di bozzetti e progetti scenografici che, esposti alla ribalta della pubblica critica internazionale all'Esposizione di Vienna, ottenne un successo indiscusso, soprattutto perché all'estero si riteneva che gli artisti italiani fossero impreparati a dare un forte contributo al rinnovamento scenico teatrale. Il carattere della scenografia futurista italiana, pur avendo teoricamente influenzato quella russa e quella tedesca, si differenziò totalmente da queste per una sua peculiarità cromatica e spaziale e, infine, architettonica. La visione «italiana» dell'ambiente scenico si estrinsecò in uno spettacolo panoramico e spaziale con elementi di equilibrio architettonico e suggerimenti plastici, e l'elemento «colore» risultò determinante per dare spirito, vita, ossigeno all'ambientazione ed all'azione teatrale. In tale contesto, le scene per dramma e per balletto eseguite da Tato, affidate esclusivamente alla fantasia dell'artista, senza che questi potesse sussidiare la propria «creazione» con «esperienza pratica» o, misurarla con le esperienze altrui, furono determinanti per dare all'ambiente scenico quella dimensione lirica che scandisce lo spazio emozionale come fluido magico, dando respiro e continuità all'azione scenica medesima. Libero nella tematica, originale nella stesura, Tato va considerato analiticamente sotto i diversi aspetti del futurista, dell'aeropittore futurista, del «neo impressionista», dell'espressionista, del pittore di figura, di composizioni, di nature vive (come giustamente usava chiamarle lui), d'argomento sacro, di tematica paesistica, di clown, cavalli, tendoni da circo o di qualsiasi altro accidente che egli abbia preso a pretesto della sua arte; e in materia di tecniche: di olio come di tempera, di sassopittura come di ceramica. Impossibile, quindi, inquadrare in questa o in quell'altra tendenza Tato che, al di sopra di ogni regola, resta un maestro qualificatissimo. Nel 1963, Tato ancora vivente, autorizzava questo ritratto di sé, espresso da Aurelio Prete in ERSRoma sulla collana «Artisti d'oggi», il quale evidenziava che nell'opera complessiva dell'artista si riscontrava una pluralità di stili; quasi dei periodi strettamente staccati l'uno dall'altro, specie se vengono raffrontati ad una certa continuità degli altri compagni della cordata futurista. Questo, infatti, è il primo e più eclatante aspetto del lavoro di Tato: poliedrico negli interessi e nelle realizzazioni, egli amò mostrare un trasformismo atto ad esprimere una capacità creativa che si rinnova continuamente. Dietro l'apparente divertissement c'è in realtà un'abile e programmata tessitura, dove nonsense e accostamenti anomali, già auspicati dal capo del Futurismo, giocano proprio sull'onirico: dal funerale di sé stesso alla mostra sul treno, dalle foto tipo il perfetto borghese, che ritrae un'audace gruccia ben vestita in atto di bere spumante, al brulichio furoreggiante che avanza come un esercito nelle sue opere più caratteristiche quali Pavillon dorè, Festa di gagliardetti, L'Assalto ecc. Tato si offre, dunque, con percorsi panoramici carichi di sorprese inattese, usando al massimo forme, colori, per farci scoprire «vuoti» (si pensi al vento fisico che sottende l'aereo e ci toglie il fiato) cui velocemente contrappone «pieni» (le folle pullulanti, gli assembramenti di case sotto le spiralate, tutto il peso ingombrante dei fantasmi aerei...).
L'aeropittura celebra l'anelito di liberazione reso possibile dalla «macchina volante». Attraverso il volo è consentito all'artista di rovesciare il tradizionale senso prospettico e di vedere il mondo dall'alto al basso, inebriandosi della visione delle nuvole, del sole, degli spazi celesti. Alcuni artisti portarono colori e cavalletti sugli aerei, altri cercarono di portare nella pittura le emozioni provate nel volo, influenzati dalla grande crociera atlantica di Balbo del 1933, molti aeropittori accesero le loro fantasie, aggiungendo grattacieli e spazi oceanici alle loro opere. I presupposti teorici dell'aeropittura risalgono ai primi anni dieci del secolo, cioè alla fase «eroica del futurismo». Si legge testualmente nel Manifesto di Marinetti pubblicato in primo luogo il 5 Febbraio 1909 sul quotidiano bolognese «Gazzetta dell'Emilia» (cosi come ampiamente dimostrato da Beatrice Buscaroli nel testo di presentazione alla mostra da lei curata 5 Febbraio 1909 Bologna avanguardia Futurista, tenutasi a Bologna dal 5 Febbraio al 30 Aprile 2009), e successivamente pubblicato il 20 Agosto 1909 sul francese «Le Figaro»: «L'appello è rivolto a poeti e scrittori chiamati ad inneggiar il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera».
Anche a livello pittorico molte opere, specialmente di Tato e Dottori, precedono di molto il lancio ufficiale dell'aeropittura. Ciò dimostra come, contrariamente al Futurismo, il quale pittoricamente nasce dopo quasi due anni dalle enunciazioni di Marinetti, l'aeropittura come linguaggio artistico preceda di molto il Manifesto.
Sui passaggi, diciamo così, pubblicisti che portarono alla pubblicazione del manifesto dell'aeropittura si dirà più avanti. Nel 1991 nel mio opuscolo L'aeropittura futurista. Tato e le vere origini del Manifesto dell'Aeropittura (Edizioni Fragmenta, Roma 1991) ponevo in luce il testo pubblicato nel 1931 su il «Giornale della Domenica» con il titolo La prima affermazione nel mondo di una nuova arte italiana e con il sottotitolo Un manifesto di Marinetti, effettivamente firmato dal solo capo del movimento con riproduzione delle firme autografe.
Il lancio di questo manifesto coincideva con la prima mostra di aeropittura organizzata da Tato a Roma alla camerata degli Artisti a piazza di Spagna, nel cui catalogo detto Manifesto è poi riprodotto con le firme di Balla, Benedetta, Depero, Dottori, Fillia, Prampolini, Semenzi (Bruna) e Tato.
Da qui la conclusione che il Manifesto è da datare 1931, avvalorata dallo stesso Enrico Crispolti nella presentazione del sopra citato opuscolo il quale così scrive: «In realtà tutta la vicenda di Tato è ancora da studiare seriamente ed è ora di decidersi a farlo, anche se le difficoltà sono molte. Ma certo non solo un invito è l'intervento di Ventura, quanto un significativo contributo di recupero di opere e di documenti. Così che la partecipata passione del suo scritto si fonda su una conoscenza effettiva dei testi oltreché dell'artista stesso nei suoi ultimi venti anni. Introduco volentieri queste sue pagine sottolineando un paio di questioni alle quali lo scritto di Ventura ci richiama. La prima delle quali riguarda l'esatta ricostruzione della vicenda del Manifesto dell'aeropittura futurista, comunemente riferito al 1929, ma in realtà divulgato soltanto nel 1931 in occasione della prima mostra di aeropittura a Roma, alla Camerata degli artisti, a piazza di Spagna. Tale pubblicazione è merito di Ventura averla ricordata. La seconda questione è quella posta dal profilo creativo complessivo di un personaggio come Tato, irregolare e sfuggente. La pittura di Tato è traversata da un gruppo di interessi d'intervento creativo più vari ed inquieti. E non soltanto perché abbia praticato il muralismo e non solo la tela, e perché il suo essere pittore si collochi fra interessi di creazione oggettistica e fotografica. Il che rientra del resto nel parametro della prospettiva di una volontà di "ricostruzione futurista dell'universo"».
Sostanzialmente Tato è un narratore immaginativo dai molteplici interessi, da mitopoiesi meccaniche e squadristiche a invenzioni fabulistiche africane, a una sorta di svelta pittura che racconta suggestioni aeree e poi eventi bellicosi con la disinvoltura rinnovata di un antico battaglista, senza tuttavia che in questo continuo narrare, come in fondo sono le sue composizioni di oggetti e le sue stesse fotodinamiche, non si insinui anche un gusto grottesco, ironico, persino sfrontatamente caricaturale. Del resto Tato non si era anche sdoppiato come personalità di pittore in più di un'occasione per ironizzare ferocemente sui diritti di una critica meramente giudicante?
Anche Giorgio Di Genova nel «Giornale dell'Arte» n. 282 del mese di Dicembre 2008, a proposito di sviste o inesattezze storiografiche scrive: «La topica più eclatante riguarda l'aeropittura. Ed è un altro pasticcio critico. Si fa nascere l'aeropittura il 22 Settembre 1929, quando quella data è solo inclusa in un rimando di un suo articolo su «Il Giornale della Domenica» del '31. Questo eclatante qui pro quo, ahimè, avallato da tanti studiosi è stato sciolto (purtroppo non con molta fortuna) da un collezionista di Tato, Salvatore Ventura, il quale ha reperito e pubblicato La prima affermazione nel mondo di una nuova arte italiana: l'aeropittura di Marinetti». Con l'affermarsi del linguaggio aeropittorico Tato diventa protagonista primario indiscusso, con Balla che aveva mollato il gruppo, Depero impegnato all'estero o nella sua Casa d'arte e Prampolini già proiettato verso altri lidi oltre il Futurismo.
Per anni, complice una visione storica che privilegiava la prima fase del Futurismo e che, come nell'illustre caso di Giulio Carlo Argan faceva coincidere la fine del Futurismo con la morte di Boccioni e Sant'Elia, l'aeropittura è stata confinata in ambiti periferici dalla attenzione critica troppo a lungo isolata in case private ed in città periferiche come Verona, Trieste, Perugia, Livorno.
La prima mostra di atomicopittura nel mondo.
Tato, come nella aeropittura, doveva essere, logicamente, il primo ad affrontare pittoricamente il nuovo «mondo atomico». Le opere che egli espose alla Galleria Fontanella di Roma nel 1955, di cui dieci destinate a un Centro di Studi atomici di una nazione estera (almeno così si legge nella presentazione della mostra a cura della direzione della Galleria) rappresentano il primo saggio di «atomicopittura» che gli scienziati di oggi gli hanno suggerito quale motivo per evadere ancora una volta dalla terra, nello spazio, agevolato in tale compito dalla sua riconosciuta esperienza di aeropittore. Federico Valli, direttore della rivista «Ala d'Italia» scriveva: «Noi abbiamo sempre creduto nell'ingegno di Tato aeropittore. Sin dalla sua prima esposizione a cui assistemmo a Bologna nel 1919 noi sentimmo nella pittura di Tato l'aviazione. Erano i tempi in cui volare voleva dire essere perlomeno pazzi, e credere nel volo, nell'ingegno, nel coraggio e nel "me ne frego di morire" di chi al volo dedicava il proprio entusiasmo voleva dire essere rivoluzionari pericolosi». L'Aeronautica ebbe in Tato il massimo glorificatore che con l'aeropittura, come scrisse il poeta Marinetti: «Fu il primo a dare palpiti e sudori di benzina, olio di ricino, calorie e slancio ai pesanti trimotori in contrasto-amicizia con le più soffici trasparenti evaporanti ovatte garze o bambagie dell'atmosfera, inventore di un primo contrasto tra il pesante e il lieve». È straordinaria la presenza in questa mostra dell'opera Lampo di esplosione atomica del 1955 a testimonianza di questa importante fase della sua produzione artistica.
L'ultimo Tato e le sue sette anime. L'affascinante visione retrospettiva di Comacchio e l'arte Sacra.
L'ultimo Tato, quello del dopoguerra, è stato colorito e tonale, moderno e composto allo stesso tempo. Quel Tato che non aveva raccolto echi più o meno alla moda, che non era ridisceso nell'astratto, malgrado sin dal 1921 con intersecazioni di figura con paesaggio ed altre numerose opere avesse dato chiara dimostrazione di come far poesia e di come quest'ultima potesse essere scoperta e posta in evidenza dall'artista, attesta, in questo periodo, una singolarità espressiva quanto mai significante che ha modo di estrinsecarsi ancora nelle meravigliose opere di Comacchio dei 1958-1959.
In quella Comacchio, dove egli ritornò dopo cinquant'anni per riscoprire i luoghi più cari della sua adolescenza, mentre scorreva l'affascinante visione retrospettiva di uomini e cose legati dal sottile filo della commozione e del ricordo, egli poté dipingere, con la stessa emozione provata nel rivederla, le sue luci, i suoi ponti, le sue case, i suoi canali, una realtà fiabesca che, come lui stesso ebbe a dire, venne pervasa da sintesi futuriste, invenzioni, dinamismi, astrattismi allusivi e, nella vastità del paesaggio, persino dalle sue esperienze aeropittoriche.
Accanto a quei lavori comparvero poi i quadri a soggetto sacro, composizioni nelle quali — tessere preziosissime — s'alternano a campiture facenti quadro a sé, quasi un mosaico di tavolette, sulle quali a volte campeggia un crocefisso in ceramica o in metallo (ancora di sua produzione), con una impostazione bizantineggiante, ma con una vivissima e penetrante dimostrazione della sua personalità.
I paesaggi, invece, pur accostandosi a motivi cari ad Utrillo ed a Vlaminck (senza per nulla emularli) sono realizzati con una tecnica, tono, luce o segno che più si adattarono ad esprimere il suo stato d'animo. Sironi, Funi, Carrà, Severini, Balla, Rosai, Conti (e l'elenco sarebbe ancora lungo) passati attraverso il futurismo non fecero la stessa cosa? Le opere qui in mostra documentano la tipica produzione di un artista sempre in moto che ha operato — all'interno ma anche all'esterno — dell'équipe dei futuristi, rivendicando la propria personalità, persino, nel linguaggio della «aeropittura», specialmente, in quella di guerra, laddove il sintetismo ed il dinamismo, ne accentuano i caratteri realistici e documentativi. Infine, nelle altre opere di arte sacra, egli mostra di aver assorbito a fondo tutte le lezioni della vita e dell'arte esprimendo, attraverso l'angoscia del Cristo, non solo il dolore personale, ma le colpe e gli umani errori che portano al dolore universale. In queste, ma soprattutto nella scenografia della Natività dove si avverte l'arte strenna di Natale, semplice, popolare e ieratica, nell'Ultima Cena con il delizioso polimaterismo dei primitivi, sembra che egli abbia dimenticato rancori e battaglie, ed i motivi polemici che avevano vitalizzato tutta la sua produzione, quasi un'offerta di ex voto di un'anima salvata dalla disperazione. È giunta l'ora che la critica torni ad occuparsi di Tato, personalità quanto mai poliedrica e penetrante, in modo tale da dare al «movimento futurista», in particolare, ed all'«arte moderna e contemporanea», in generale, maggiore consistenza e più precisione storica. Basterebbero, nel caso, le testimonianze e le lodi che Marinetti gli volle esprimere, in qualità di suo grande estimatore.
Per concludere, tornando all'epoca della sua giovinezza, quando, uno dei tanti critici che si occupava della sua attività scriveva: «È un uomo con sette anime» non si può fare a meno di notare che si trattò di una osservazione lungimirante. E se è vero che ad ogni anima corrisponde una vita, Tato nell'ultimo periodo della sua esistenza mostrò di possederne sette di vite, proprio come i gatti.
Ma, nonostante le sofferenze sempre più gravi e gli scoraggiamenti culminati nel 1970, dopo cinque o sei anni di quasi immobilità, con l'amputazione di una gamba, se non si fosse trattato di un paziente prowisto di così tante risorse, non avremmo potuto assistere al miracolo di rivederlo lì, seduto in carrozzella, ma davanti al cavalletto, con la stessa espressione e la stessa jattànza di tanti anni prima, instancabile, sempre carico. Forse quello che nel lontano 1919 Bino Binazzi definiva «spirito di atleta in un corpicciolo di acrobata» gli aveva permesso di resistere e di ricominciare.
Tato al Guggenheim IVIuseum di New York alla mostra Italian Futurism 1909-1944 Reconstructing the Universe.
Per finire, nella eccezionale rassegna Italian Futurism 1909-1944 Reconstructing the Universe, a cura di Vivien Greene, ricca di oltre 300 opere, che si sarebbe dovuta tenere in Italia nel 2009 per il centenario della pubblicazione del manifesto del Futurismo di Marinetti, Tato ha un ruolo di grandissimo rilievo, essendo presente con le seguenti opere riprodotte a colori ai numeri 231 e 232 di pagina 274 del catalogo: Spiralata del 1936, di cui è qui esposto il lavoro preparatorio; Sorvolando in spirale il Colosseo del 1930 che, rientrata dagli Stati Uniti, conferisce il «lustro» che merita a questa importantissima rassegna alla Galleria Russo di Roma.
Inoltre, nel medesimo catalogo figura il testo La fotografia futurista: Tato ed il 1930 a cura di Maria Antonella Pelizzani, laddove risultano riprodotte le fotografie Drama of Mobile and Immobile Objects with Views from Above Looking Down and Below Looking Up del 1932, II perfetto borghese, camuffamento di oggetti del 1930, Portrait di Mario Carli del 1932, AeroSelf Portrait del 1930, Fantastical aeroportrait of Mino Somenzi del 1934, Amorous or Violent lnterpenetrations: Dynamic Nude del 1933, Tato sta ad indicare una sua presenza inventiva di primissimo piano, di rilievo internazionale nell'ambito della creatività fotografica. Per di più, nella «guida» al Guggenheim Museum, laddove in copertina è riprodotta l'opera Mercurio passa davanti al sole del 1914 di Giacomo Balla, in prestito dalla Peggy Guggenheim Collection di Venezia, spicca in corrispondenza dello spazio dedicato alla mostra Italian Futurism 1909-1914 la riproduzione a colori dell'opera Sorvolando in spirale il Co/osseo di Tato, che per tale motivo pubblicizza e impreziosisce, da sola, la medesima mostra, essendo state riprodotte nelle pagine seguenti ma in più ridotte dimensioni soltanto le opere Cartellone per Balli Plastici di F. Depero del 1918 e Velocità di motoscafo di Benedetta Cappa Marinetti del 19231924. La mostra dedicata al Futurismo al Guggenheim Museum di New York ha rappresentato pertanto una eccezionale occasione per dare maggiore valore a figure artistiche come quella di Tato, certamente non minori rispetto ad altri riconosciuti artisti europei ed americani della sua epoca.