DAL FUTURISMO AI PERCORSI CONTEMPORANEI
PORTO MONTENEGRO
5 Luglio – 15 Agosto 2013
A cura di Maurizio Scudiero
DAL FUTURISMO AL CONTEMPORANEO
(passando per la Pop Art)
Maurizio Scudiero
Sono gia' passati quattro anni da quando si e' celebrato (peraltro in maniera farraginosa) il centenario del Futurismo il cui Manifesto di fondazione fu pubblicato nel febbraio del 1909 a Parigi su «Le Figaro», che dava spazio in prima pagina agli enunciati di Filippo Tommaso Marinetti (figlio di un facoltoso avvocato italiano) di vocazione poeta ed editore della rivista «Poesia». Ma perche' la formula del manifesto e perche' a Parigi? Il manifesto programmatico fu un mezzo nuovo ed accattivante per far conoscere le idee del Futurismo. Programmatico in quanto dichiarava "prima" quello che si sarebbe fatto "dopo". Per il panorama artistico si tratto' di un evento del tutto nuovo e rivoluzionario proprio perche' sottraeva la "creativita'" artistica a quell'aura ancora bohe'mien dell'artista inteso come colui che coglie la sua "ispirazione" nell'atelier, opponendovi invece l'attitudine del tutto moderna della "progettualita'", cioe' del concepire la creazione di un'opera d'arte non piu' come un evento quasi metafisico
(l'ispirazione, intesa come una "visione psichica"...), ma piuttosto come il risultato di una speculazione intellettuale. Questi manifesti (che in realta' erano dei "volantini") furono considerati innovativi perche', facendo propria la prassi della pubblicita', erano distribuiti capillarmente a tutti, non solo agli appassionati d'arte, ma anche per la strada, ai passanti, oppure porta a porta, o ancora lanciati dal tram, dal loggione dei teatri, e cosi via. In questo modo si cercava di dare corpo a quello che diverra' in seguito uno dei cavalli di battaglia del Futurismo e cioe' all'idea di portare l'arte fuori da gallerie e musei, verso la gente, nella vita quotidiana.
R.M. Baldessari "Lilli Fenitt"
L'Italia all'epoca era ancorata a vecchi moduli del Passato e uno degli intenti del Manifesto di Mari-netti era quello di "svecchiare" e riqualificare la giovane nazione con questo suo nuovo movimento artistico di natura globalizzante. Futurismo, dunque, come slancio in avanti, verso le innovazioni della tecnica, verso una nuova era dinamica che tagliasse i ponti con tutti i "pesi" del Passato che, secondo Marinetti, rallentavano lo sviluppo del paese, e lanciarsi in avanti, nelle nuove scoperte tecnologiche che avrebbero colmato il gap industriale, ma anche sociale, rispetto alle grandi potenze europee. Marinetti, che era un poeta, uno scrittore (una disciplina elitaria in una Italia ancora largamente illetterata e contadina), capi' subito che, se voleva fare presa sulla gente, doveva usare il metodo dei "cantastorie", cioe' lavorare soprattutto con le
immagini, ma con delle immagini del tutto nuove, a forti tinte che, nel bene e nel male, attirassero l'attenzione della gente. Per questo raccolse attorno a se', per sottoscrivere quel primo Manifesto, uno sparuto gruppo di giovani pittori, ancora sconosciuti, come Umberto Boccioni, Carlo Carre', Gino Severini e Luigi Russolo, accompagnati da un artista, gia' piu' maturo ed esperto, che era Giacomo Balla, "maestro" di Boccioni e Severini.
R.M. Baldessari "Velocita’ sul lago"
Ma, come sempre accade, la teoria e' molto piu' veloce della pratica e, di fatto, quando fu pubblicato quel manifesto e quello che segui di 11 a poco, dedicato alla "nuova" pittura futurista, una "nuova pittura futurista" non esisteva ancora. Questi artisti presero percio' a modello le opere dei cubisti cui aggiunsero i nuovi concetti della velocita' e della macchina. Ben presto si verifico' quello che Marinetti aveva previsto, sia per l'idea del Futurismo, che in breve divenne popolarissimo in tutta Europa, sia nella scelta di quei giovani artisti, tra i quali emerse prepotentemente la personalita' di Boccioni, che si rivelo' dotato non solo di tecnica pittorica ma anche d'idee e progettualita' teorica. Cio' permise a Marinetti di concentrarsi meglio nei settori a lui piu' "cari", quelli letterari della prosa e della poesia, lanciando un manifesto dietro l'altro ed avviando una nutrita serie di edizioni futuriste, occupandosi anche di Teatro e organizzando le famose "serate futuriste". Queste, per l'epoca, furono un evento inimmaginabile: una sorta di guerra tra poesia ed ortaggi. Da una parte i futuristi che, sul palcoscenico, tra il serio e il provocatorio, declamavano i manifesti e le loro liriche e, dall'altra, il pubblico che fischiava, ululava e lanciava ortaggi. Spesso le serate proseguivano anche fuori dai teatri, con scazzottate e tafferugli per le vie che si concludevano quasi sempre in cella.
In seguito, una lettura critica non esente da precisi "paletti ideologici", defini' come "eroico" quel primo periodo futurista che andava dall'anno della sua fondazione, il 1909, sino alla morte di Boccioni e Sant'Elia, nel 1916. Quindi, a differenza di Boccioni, la cui parabola artistica nel Futurismo e' rimasta all'interno di quel periodo, un grande artista come Balla che ebbe la "sfortuna" di sopravvivergli, e tutti quegli altri, validissimi artisti, come Depero, Pram-polini, Dottori, Baldessari, D'Anna, Rizzo, Filila, ecc, che caratterizzarono le stagioni a venire, furono fortemente penalizzati da giudizi piu' politici che estetici. Ma essi, lasciarono una "eredita'" alle generazioni che seguirono.
Pippo Rizzo "Treno sul ponte"
Questa mostra, dunque, vuole portare alla ribalta quell'eredita' del Futurismo nelle correnti contemporanee, dalla Pop Art in poi. Perche' l'eredita' del Futurismo, se per molti anni la critica diceva che il Futurismo era morto nel 1916 con la morte di Boccioni? Oppure, tra poco, con la grande mostra al Guggenheim Museum di New York si potra' dire che e' morto nel 1944, con la morte di Marinetti, suo fondatore? Appunto perche' il Futurismo ha "comunque" chiuso la sua parabola vitale, preparando la strada alle avanguardie che sono venute "dopo", possiamo parlare di "eredita' del Futurismo". "Eredita'" perche' il Futurismo per primo ha "scardinato" il "sistema dell'arte", che era "Parigi-centrico", e vi ha opposto una situazione policentrica. "Eredita'" perche' il Futurismo per primo ha attivato le "connessioni" tra Arte e Poesia, che sono i due "motori" delle avanguardie del '900. "Eredita'" perche' il Futurismo ha portato l'arte fuori dai musei e dalle gallerie: nelle strade (la Pubblicita'), nei Teatri (il Nuovo teatro Futurista), nella citta'
(L'Architettura futurista) e nella vita dei cittadini (l'Arte Applicata, la Moda, la Cucina, ecc.). Dunque parlare di "Eredita' del Futurismo", oggi, e' come parlare di "reazione alla perdita del Centro", intendendo come "centro" quel polo appunto centrale e assoluto, di eccellenza, di verita' e di eternita' che e' appunto l'unico centro di gravita della vita umana, sociale e culturale.
E dico questo perche' credo sia sotto gli occhi di tutti che oggi (da tempo) si e' avverata la profezia che Hans Sedlmayr aveva espresso cosi lucidamente nel suo libro di oltre sessantanni fa titolato, non a caso, "La perdita del Centro". E se questo fatto e' chiaramente verificabile in vari aspetti della vita contemporanea, divenuta ormai vuota di "valori esistenziali", dedita solo al lavoro, alla carriera ed alla ricchezza, ecc, lo e' un po' meno in ambito artistico-culturale, dove vari "veli" confondono le idee, secondo una logica di auto-refe-renzialita' assoluta cui e' pervenuto il settore negli ultimi trent'anni.
In altre parole, se e' ormai assodato che l'Arte con l'avvento delle Avanguardie Storiche ha cessato di essere un'estetica in atto per divenire via via un evento sociologico prima, e concettuale poi, gli ultimi decenni hanno imposto un ulteriore registro, che ha soverchiato tutto, e che ha dichiarato il primato del "mercato" su quello dei "contenuti". E qui sta il collegamento con Sedlmayr che appunto vedeva, nell'espulsione dal suo "ventre" (da parte dell'Arte) dei "significati" (e dei "significanti") autentici per divenire pura azione tecnicista e mercantile, un chiaro segno della perdita del "potere comunicativo" dell'Arte (e di qui la necessita' della "mediazione" del critico) che puo' condurre solo alla catastrofe del "Silenzio" culturale. Ovvero alla "perdita del Centro". Ne consegue che l'Arte, oggi, non e' piu' un ambito di contenuto e di merito, cioe' un sistema "meritocratico", ma solo una filiera di mercato.
Ebbene, a tutto cio', si puo' reagire solo cercando le "fonti" di un fare arte che non era solo mercificazione ma anche, e soprattutto, "contenuto". E sembra oggi paradossale parlare di "contenuto" e, allo stesso tempo, di "eredita'" del Futurismo proprio perche' i futuristi erano un vero e proprio gruppo di iconoclasti che azzeravano tutto e proclamavano l'assoluta novita' delle loro proposte di rinnovamento. E poi, a partire dai futuristi, che inneggiavano alla moderna civilta' delle macchine, passando per la Pop Art, che ha proclamato invece la bellezza della "serialita' quotidiana", per giungere sino alle contestazioni alla Biennale di Venezia del 1968, e' stata una sequenza di azioni "contro" l'establishment dell'arte conservatrice, dunque vere azioni di "lotta culturale".
Richard Hamilton "Just what was it that made yesterday"
Dopodiche', quella macchina schiacciasassi che e' il "mercato dell'arte" ha preso il sopravvento, ed anche quella grande operazione dei primi anni Ottanta del secolo scorso, che fu la Transavanguardia, cioe' la reazione al concettuale con il recupero critico della pittura-pittura (e per giunta figurativa), passo' solo per il fatto che fu messa in campo a "casa loro", cioe' dove sta la plancia di comando del mercato: a New York.
Abbiamo citato la Pop Art. Ma che c'entra la Pop Art con il Futurismo ?
Come e' noto, il movimento della Pop Art tecnicamente sorge in Inghilterra alla meta' degli anni Cinquanta soprattutto ad opera di Hamilton e Paolozzi, ma e' sulla scena Newyorkese, verso la fine del decennio, che iniziano ad apparire dei "nuovi" dipinti, quasi nello stile dell'Action Painting (che era allora la tendenza dominante), e questi dipinti mo-stravano degli inserimenti "iconici" del tutto nuovi, perche' riferivano a quella che potremmo definire come una "segnaletica di uso quotidiano": bandiere, numeri, marche di bevande, ecc. Ed e' propriamente li, in quel momento (anche se non se ne ebbe l'esatta percezione sino alla Biennale di Venezia del 1964), che il "segno" non piu' gestuale, creativo, pittorico, ma "cavato fuori" dalla realta', dall'uso comune della massa, divenne l'ordinatore di un nuovo senso della percezione artistica che, paradossalmente, chiudeva quel corto circuito avviato dai futuristi. E se "quelli", i futuristi, avevano portato l'arte "nelle strade", fuori dai musei e dalle gallerie, ora quei nuovi artisti, presto denominati Pop (da "Popular"), portavano i "segnali" della strada e della pubblicita' nella direzione opposta, cioe' nei luoghi "eletti" dell'Arte. Ecco dove sta il collegamento. Ma perche', poi, mettere assieme delle proposte operative cosi distanti nel tempo, come il Futurismo e la Pop Art? Qui ci vuole uno scarto utopico, ovvero un "salto
d'orizzonte" intendendo con questo quello slancio mentale che porta a superare la visuale del possibile appunto per andare oltre l'orizzonte, se l'idea dello spazio curvo Einsteiniano. In sostanza l'Arte deve interconnettersi con gli altri sistemi, quello scientifico compreso, e dunque superare quell'idea storicista dell'incasellatura dei "prodotti d'arte" secondo un ordinamento dapprima sti-
lemico e poi cronologico. Vale a dire che deve considerare la possibilita' che la "Pop Art" sia immediatamente dietro all'orizzonte "visibile" del Futurismo, cosi come le correnti contemporanee lo possano essere subito dietro all'orizzonte del "visibile" della Pop Art. Viste da questa angolazione, le varie avanguardie sarebbero dunque ben piu' "vicine" di quanto si possa immaginare, proprio perche' il Tempo diverrebbe in questo modo una variabile "manipolabile": e in un certo modo lo sarebbe anche lo Spazio.
Ma come si fa a manipolare una "variabile" come il Tempo?
Tano Festa "Da Michelangelo"
Pensiamo all'orologio. Non a quello digitale, ma al vecchio quadrante rotondo. Esso ci dava visivamente l'idea della ruota temporale, che gira continuamente, ritornando sempre nello stesso punto, ma non nello stesso Tempo. Come recitava appunto un vecchio proverbio: "Torna il Sole, ma non il Tempo".
Quello che bisogna dunque qui approfondire e' questo "eterno ritorno sullo stesso luogo", che, se lo trasliamo al settore artistico, non e' solo una posizione "visiva" (il quadrante dell'orologio) ma anche fattuale, cioe' che si sostanzia con i famosi "ritorni" concettuali che si sono succeduti nel panorama artistico specie dopo il "furore" delle avanguardie sto rie he. Si pensi, in Italia, ai "Nucleari" che nei primi anni
Cinquanta hanno fondato la loro azione su concetti futuristi. Si pensi al MAC (Movimento Arte Concreta), oppure al lavoro di Burri che ha ripercorso, rilanciandole in avanti, le posizioni polimateriche di un futurista come Prampolini.
Mario Schifano "Cocacola"
Si pensi all'attenzione che la giovane arte inglese ed americana degli anni Cinquanta ha per le cosiddette manifestazioni di "arte di massa": dai comics alla pubblicita'. Ora se i comics, in Italia hanno avuto la palla al piede da un vizio di origine (sono stati considerati adatti solo ai bambini, mentre negli States erano essenzialmente pensati per gli adulti) mentre invece i pop-artisti (primi fra tutti Lichtenstein, Ramos e Warhol) li hanno elevati a icona della modernita', della seconda, della Pubblicita', i futuristi, ed in particolare Depero, sono stati degli autentici precursori non solo nella realizzazione stessa della Pubblicita', ma soprattutto nella concezione fondante che la Pubblicita' era una vera e propria manifestazione artistica: solo differente, perche' massificata e contemporanea. Dunque incomprensibile agli operatori d'arte a lei contemporanei...Complicato? Si pensi al manifesto sull'arte pubblicitaria di Depero, del 1931, che postulava posizioni allora inconcepibili (... "l'arte del futuro sara' potentemente pubblicitaria... i capitani d'industria sono i mecenati di oggi..."), ma che sono divenute ovvie trentanni dopo, quando Andy Warhol inizio' a tappezzare le sale delle gallerie con gigantografie delle lattine della Campbell, od a costruire moderne torri Tatliniane con le scatole della Brillo. E il logo della Coca-Cola "sanguinante" di Mario Schifano a cosa alludeva, se non al fatto, appunto preconizzato dai futuristi, che il logo commerciale era oggi (allora, ieri...) de facto un "segno gestuale" di arte contemporanea (di allora? di oggi? di ieri?).
Dove sta la frattura temporale tra questi estremi? Ma c'e' poi una frattura temporale? Oppure e' solo nella
mente bacata dei critici, che per una congenita afflizione borghese, e positivista, tendono, come detto, ad incasellare e ad in-scatolare, "scientificamente", tutto in ambiti ben precisi, perche' il solo "pensare" che
l'I DEA artistica sia come un magma flut-tuante e primigenio, che scavalca, va oltre il limite
dell'orizzonte e poi, magari, torna pure indietro, e' un concetto troppo vasto da chiudere in una casella.
Soprattutto e' un concetto anti-commerciale, in quanto attesta l'idea di un continuum, e dunque l'impossibilita' della storicizzazione... che e' alla base del mercato.
Andy Warhol "Campbell’s"
Ma che questMa che quest'idea abbia iniziato a balenare nelle menti dei piu' acuti manager dell'Art-System si puo' invece supporre dall'accelerazione che certi segmenti del contemporaneo hanno subito negli ultimi anni, segmenti per i quali giovani artisti di venticinque anni, appena usciti dall'Accademia, ed appena inseriti nella giusta filiera di mercato, "staccano" quotazioni stratosferiche rispetto a chi la "storia dell'arte" l'ha fatta per davvero, come ad esempio i futuristi, tuttora sottovalutati e dunque, paradossalmente, che invece dovrebbero essere appetibili al mercato in quanto II ci potranno essere i "rialzi" maggiori.
E se questo non e' un continuum che ha strizzato l'arte alla stregua di un supermercato, che altro e'?
GINO SEVERINI - Le restaurant a' Monmartre, 1913
CARLO CARRA' - Studio per sobbalzi di una carrozzella, 1911 ca.
UMBERTO BOCCIONI - Dinamismo di un corpo umano, 1913
ENRICO PRAMPOLINI - Architettura di nudo, 1916
ROBERTO MARCELLO BALDESSARI - La cucitrice, 1918 ca.
GIACOMO BALLA - Velocita' d'automobile + luci (lato 1), 1913 ca.
FORTUNATO DEPERO - Scomposizione + volumi di danza, 1915
ENRICO PRAMPOLINI - Figura + paesaggio, 1914 ca.
G. DOTTORI - Forze ascensionali, 1923
FILLIA - Paesaggio meccanico, 1926 ca.
GIULIO D'ANNA - Il musicista, 1928
VITTORIO CORONA - Dinamismo di un treno, 1921
ENRICO PRAMPOLINI - Analogie plastiche, 1930
GIULIO D'ANNA - Aerei in volo, 1931
GUGLIELMO SANSONI - Sorvolando in spirale il Colosseo, 1930
MARIO SCHIFANO – Monocromo, 1978
TANO FESTA – Specchio, 1963
FRANCO ANGELI – Half dollar, 1969
PINO PASCALI – I.M.B.Arco, 1964
JANNIS KOUNELLIS – Colori, 1964
DENNIS HOPPENHEIM – Gathering, 1983
ANDY WARHOL – Invito Leo Castelli Gallery firmato
DANILO BUCCHI – Senza titolo, 2011
GABRIELS – Ninfa moderna, 2008
GAMPISTONE - 1995
CLAUDIO CANTELLA – Najs missing service, 2009
CRISTIANO PETRUCCI – Palline da ping pong + blister, 2012
RICCARDO FIORE PITTARI – Senza titolo, 2011
PATRICIA PRE – Diva najs, 2012
Info Mostra
DAL FUTURISMO AI PERCORSI CONTEMPORANEI
IDEAZIONE EVENTO:
ASSOCIAZIONE CULTURALE M.I.C.R.O. Roma
Direttore artistico Salvatore Carbone
Catalogo edito da LANTANA EDITORE, ROMA
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