AQUILE FUNESTE

Arte, letteratura e vita quotidiana nella Grande Guerra
Tra delirio e dolore


Museo storico-culturale della Provincia di Bolzano, Castel Tirolo

28 giugno - 15 novembre 2005









FRANZ MARC
Il povero Tirolo, 1913





   L'atmosfera agli albori del Novecento è pesante e carica di tensione, come quella che precede un violento temporale. Molti temono ciò che sta per scatenarsi, altri attendono passivamente. Qualcuno, invece, la invoca, la "grande guerra": è il caso di Filippo Tommaso Marinetti, che già nel primo Manifesto del futurismo (1909) la definisce "sola igiene del mondo", un'indispensabile purificazione della società borghese, così mediocre, retrograda e materialista. Anche Franz Marc crede nella necessità di questo "doloroso sacrificio". Il suo dipinto Il povero Tirolo (1913) - una parafrasi del paesaggio che circonda Castel Tirolo - ritrae al centro un cimitero con tre croci inclinate, un maniero in fiamme e due ronzini macilenti a testa bassa, in alto a destra si scorge tuttavia un'aquila rossa che si alza in volo da un albero rinsecchito e punta verso l'arcobaleno. Declino e rinascita sono temi impliciti anche in Tirolo (1913/14) - l'ultimo quadro a cui Marc lavora prima di partire volontario per il fronte - ove un paesaggio apocalittico fa da sfondo all'apparizione della Vergine: solo il totale annientamento dell'esistente può fare spazio a "un nuovo cielo" e a "una nuova terra" (R. Monig).

    Lo scoppio del conflitto è accompagnato da una cospicua produzione artistica. Mai prima d'ora l'attualità aveva ispirato tanti disegni, dipinti e litografie. Tuttavia l'orrore della guerra, inconcepibile sino allora, travalica la capacità di rappresentazione della maggior parte degli artisti. I pittori di guerra ufficiali - una delle ruote dell'ingranaggio propagandistico - si accontentano per lo più di riprodurre postazioni difensive, pattuglie, campi di battaglia e ritratti di ufficiali, attenendosi ai dettami di un convenzionale "impressionismo di trincea". "Naturalmente nessuno può aspettarsi una 'pittura di guerra' secondo l'accezione comune di questo termine", avverte significativamente una recensione della mostra di opere ispirate al conflitto, allestita nel 1916 a Innsbruck presso l'imperial-regio Ufficio stampa militare. "Assieme alle tecniche del moderno scontro bellico per il pittore al fronte sono profondamente mutate anche le possibilità espressive. L'epoca delle raffigurazioni di grandi battaglie, tra nuvole di polvere, scintille di spade e mischie pittoresche, è finita per sempre. L'odierno pittore di guerra, impossibilitato a riprodurre lo svolgersi reale delle operazioni militari, deve accontentarsi di fissare la fugace impressione di un attimo che subito svanisce."

   Per molti esponenti delle avanguardie la Grande Guerra non costituisce tuttavia nemmeno un tema di particolare interesse. "Malgrado tutta la distruzione da cui siamo circondati nulla sembra essere cambiato, nemmeno in superficie", scrive per esempio Henry Gaudier-Brzeska dopo due mesi di servizio al fronte. "Le mie opinioni sulla scultura non sono mutate di una virgola." Anche Egon Schiele, tranne che per alcuni ritratti di membri dell'esercito e prigionieri russi o per i quadri delle filiali dell'ente di consumo (che nel 1917 lo portano anche in Tirolo), mostra una fedeltà quasi ossessiva verso i suoi soggetti abituali, ossia i nudi femminili e gli autoritratti esistenziali.

   Non mancano tuttavia importanti pittori, scultori e grafici ai quali l'esperienza bellica fornisce un forte motivo di confronto artistico. In Austria ciò vale specialmente per Albin Egger-Lienz, che, con I senza nome 1914 e Finale - un coacervo di cadaveri orrendamente contorti - realizza due opere fondamentali sul tema della guerra. Anche Klemens Brosch riproduce le sue esperienze al fronte con una tale dolorosa veridicità da far apparire del tutto fortuita e inespressiva qualunque testimonianza fotografica (W. Kirschl).

   Tra coloro che in Germania non intendono volgere lo sguardo altrove figurano Max Beckmann, George Grosz, Otto Dix e Kathe Kollwitz, alcuni dei quali vivono in prima persona l'insensatezza della morte del soldato al fronte. Beckmann perde in questo modo il cognato, Kollwitz il figlio minore. Chi, però, sa cogliere con ineguagliabile verismo la cruda realtà bellica è Otto Dix. Ci riferiamo in particolare al ciclo di incisioni realizzato nel 1924: "Pidocchi, ratti, filo spinato, pulci, granate, bombe, buche, cadaveri, sangue, acquavite, topi, gatti, gas, cannoni, sudiciume, pallottole, mortai, fuoco acciaio, questa è la guerra! Un vero inferno!" (O. Dix, già nel 1915).

    Mentre in Austria e in Germania i più importanti quadri antibellicisti si collocano - a livello formale - tra Realismo ed Espressionismo, i futuristi italiani e i vorticisti inglesi, che dai primi sono influenzati, traducono le loro visioni della guerra in un linguaggio pittorico più astratto.  E' il caso, per esempio, dei Canti patriottici o delle Dimostrazioni patriottiche di Giacomo Balla, che raffigurano turbinanti condensati di energia da cui emerge un solo simbolo concreto, il Tricolore. Per Pietro Morando, invece, alla fine della guerra non rimangono che prigionieri legati ai pali e gli unici vincitori sono i corvi impazienti di nutrirsi delle loro viscere.

    Evidenti motivi di spazio ci permettono solo di accennare alle differenti reazioni degli artisti alla Prima guerra mondiale, ma il loro messaggio è inequivocabile. La guerra non determinò l'auspicata catarsi del genere umano, bensì "la più immane catastrofe del XX secolo" (G. F. Kennan) che costò la vita, tra gli altri, ad alcuni dei più promettenti artisti europei: August Macke (Champagne 1914), Henry Gaudier-Brzeska (Neuville-Saint-Vaast 1915), Albert Weisgerber (Ypern 1915),  Franz Marc (Verdun 1916), Umberto Boccioni (Verona 1916).

Carl Kraus








OTTO DIX, Grabenkampf







CARLO CARRA', Cavallo e cavaliere, 1915







OSKAR KOKOSCHKA, Lom di Tolmino, Batterie 4-50 in Feuerstellung, 1916







GIACOMO BALLA, Grido W l'Italia, 1915






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