R.M.Baldessari
Pittore ed incisore
Palazzo Trentini Mostre, Trento
5 Marzo - 31 Marzo 2002
Pre-Futurismo |
|
Futurismo (1915) |
Futurismo 1916/17 |
|
Futurismo 1916/17 |
Roberto Marcello Baldessari (1894-1965) è certamente un
artista di prima grandezza in campo nazionale, trascurato soprattutto in
Trentino, perché oscurato da Depero. In realtà, mentre Depero è artista
eclettico, geniale su più campi, Baldessari si è concentrato soprattutto sulla
pittura e nell'incisione. Come pittore è sicuramente molto superiore a Depero,
che in realtà si è limitato ad una pittura più "cartellonistica", mentre invece
Baldessari ha percorso la via del Futurismo prima Boccioniano e poi fiorentino.
Inoltre, Baldessari ha in seguito viaggiato molto nel Nord Europa, venendo a
contatto con altre correnti, come il Dadaismo (ha collaborato con Schwitters al
Merzbau) e gli Astratti di Hannover (Vordemberge Gildewart) e quindi è stato
vicino a Ruggero Vasari a Berlino.
Anche nell'incisione ha raggiunto livelli di altissima qualità, esponendo in
mezza Europa.
Nonostante le sue opere vengano ormai richieste da molti musei (Pompidou, Reina
Sofia, Dortmund, Hannover, Tokyo Modern Art Museum, ecc.,) questa mostra è di
fatto un inedito in quanto Baldessari non espone in spazi pubblici dal 1982
(solo futurismo) e un'antologica di tutta la sua opera di tale vastità non è mai
stata organizzata.
La mostra comprende :
- Pre-futurismo (periodo veneziano): 6 opere
- Futurismo: 28 opere di media grandezza
- Dadaismo: 3 opere
- Astrazione e secondo periodo futurista: 4 opere
- Periodo figurativo: 36/37 opere
- Incisioni: 18
Le opere sono in prevalenza di collezioni private. Vi sono poi 9 opere dai Musei
Civici di Rovereto, 1 dal Mart, 4 dalla Cassa Rurale di Rovereto e 1 dalla BTB
BALDESSARI - BIOGRAFIA
Marcello Baldessari nacque a Innsbruck il 23 marzo 1894, da
genitori roveretani, e là frequentò le scuole elementari. Nel 1904, per fuggire
ai moti anti-italiani, il padre riportò la famiglia a Rovereto dove aprì, sul
Corso Rosmini, il Caffè Accademia, punto di ritrovo per gli irredentisti. A
Rovereto Baldessari fu avviato all'arte dal prof. Comel che lo incoraggiò a
partire per Venezia dove già dal 1908 all'Accademia di Belle Arti fu allievo di
Guglielmo Ciardi, dal quale apprese i rudimenti della pittura, e di Emanuele
Brugnoli, dal quale invece imparò i segreti dell'incisione. Sulla laguna
incontrò e conobbe Umberto Moggioli, Tullio Garbari, Gino Rossi e Arturo
Martini. Nel 1914 si diplomò e vinse il premio "Scala" per il paesaggio. Nel
1915 si trasferì a Firenze dove aderì al cosiddetto Futurismo toscano,
nell'ambito del gruppo dei post-lacerbiani. Là, dopo aver studiato Boccioni e
Carrà, sviluppò uno stile che mutuava quello dei padri del Futurismo con il
lavoro di Soffici e certe modalità cubiste. La vicinanza con Roma gli permise di
frequentare l'amico Depero, che lo introdusse negli ambienti futuristi romani.
Tra il 1918 ed il 1919 soggiornò a Padova per sostituire un parente nell'azienda
mentre lui era al fronte. Là incontrò l'amico Rosai, sulla tradotta, diretto al
fronte. Nel 1919 partecipò all'Esposizione Nazionale Futurista tenuta a Milano e
quindi a Genova e Firenze. In seguito, grazie a continui viaggi all'estero e
specie in Germania, si accostò all'esperienza Dada, allargando così suoi
orizzonti e lasciandosi alle spalle il Futurismo.
Fondamentale, a questo proposito, l'amicizia con Kurt Schwitters che aiutò nella
costruzione del Merzbau ed in seguito di Frederick Vordemberge Gildewart, che
invece lo avvicinò alla pittura astratta. Nel 1926, a Roma, espose alla Galleria
Bragaglia. Quindi sul finire degli anni Venti e l'inizio dei Trenta avviò un
intenso tour espositivo lungo la Svizzera, la Germania e l'Olanda. Verso il 1934
fu nuovamente coinvolto da Ruggero Vasari per una breve rentrée futurista, in
occasione della mostra itinerante di aeropittura a Berlino, Amburgo e Vienna. In
quell'anno, espose con gli aeropittori alla Biennale di Venezia. Infine,
esaurita la parabola delle sperimentazioni ritornò definitivamente al genere
figurativo che praticò sino alla morte. Ma accanto alla pittura Iras Baldessari
si dedicò sempre all'incisione raggiungendo una grande notorietà come incisore
ed esponendo in gran parte d'Europa. Verso il 1924, anche per distinguersi
dall'architetto Luciano Baldessari, iniziò a firmarsi come "lras", prendendo le
ultime quattro lettere del cognome e disponendole alla rovescia. Già con la metà
degli anni Trenta iniziò ad esporre con una certa frequenza in regione ed a
partecipare alle attività del sindacato artisti. Dal 1940 si stabilì
definitivamente a Rovereto, riprendendo solo nel dopoguerra i viaggi all'estero,
ancora in Germania e nel nord della Francia.
Nel 1947 entrò a far parte del gruppo del "Cavaliere Azzurro" e dall'inizio
degli anni Cinquanta dell'Associazione Incisori Veneti. Alla fine degli anni
Cinquanta prende l'avvio la rivalutazione del suo periodo futurista che solo
negli ultimi anni è stato pienamente riconosciuto.
Nel 1962 Riccardo Maroni gli dedicò una delle sue preziosissime monografie.
ROBERTO MARCELLO "IRAS" BALDESSARI CINQUANT'ANNI DI
PITTURA ATTRAVERSO LE AVANGUARDIE STORICHE ED I RITORNI ALL'ORDINE
Maurizio Scudiero
I primi anni del secolo XX furono caratterizzati da un grande
fermento nel panorama delle arti figurative. A più latitudini, infatti, si erano
avviati "movimenti" artistici di rinnovamento dei linguaggi estetici, le
cosiddette "avanguardie storiche" del novecento. Cubismo, Futurismo,
Espressionismo e Dadaismo, secondo differenti modalità, attuarono un profondo
"svecchiamento" dell'arte, a più livelli, tanto che, una volta passata la prima
guerra mondiale, guardando indietro all'inizio del secolo sembrava fossero già
passati oltre cent'anni, tanto era lo "scarto" non solo in termini stilistici,
ma anche di audacia intellettuale, utopica.
Per un giovane, soprattutto per un artista, vivere in quell'irripetibile momento
congiunturale, fu certamente un'esperienza elettrizzante. E così fu anche per il
giovane Baldessari che, senza paure, lasciò alle spalle anni di studi per
buttarsi nella "mischia" ed abbracciare l'azzardo delle proposte futuriste. In
particolare si trattava di oltre sei anni di studi "tradizionali", di pittura ed
incisione, all'Accademia di Belle Arti di Venezia dove era giunto nel 1908 da
Rovereto, sollecitato a quella scelta dal prof. Alvise Comel, che insegnava alla
famosa Scuola Reale Elisabettina. Suoi allievi furono Depero, Wenter Marini,
Giovanni Tiella, l'altro Baldessari (Luciano), Gino Pollini, Fausto Melotti e in
seguito anche Carlo Belli e tanti altri. Roberto Baldessari non frequentò quella
fucina di talenti ma, comunque, era allievo del Comel che ne aveva intuito le
potenzialità e l'aveva convinto ad impegnarsi negli studi artistici a Venezia,
anziché a nord, a Monaco o Vienna, come invece era quasi usuale per gli studenti
d'allora. Dunque, pochi furono i contatti giovanili con i futuri artisti
roveretani. Piuttosto, Baldessari nutriva una sincera ammirazione per la pittura
di Attilio Lasta, che in quel momento si muoveva nell'area del
post-divisionismo, comunque volto ad una ricerca sulle componenti "luministiche"
del colore. E nel corso delle partecipazioni dell'artista di Villa Lagarina alle
mostre di Ca' Pesaro, sin dal 1912, Baldessari aveva potuto frequentarlo con una
certa assiduità, un contatto che proseguì anche per via epistolare. Ma la
"mediazione" del Lasta fu importante perché introdusse Baldessari nell'ambiente
veneziano di Ca' Pesaro, dove si agitava la prima "contestazione" di allora
verso la Biennale di Venezia, ritenuta troppo conservatrice. In questo modo egli
si trovò al confronto di due possibili modalità artistiche: da una parte gli
insegnamenti "accademici" di Guglielmo Ciardi che rappresentava la "tradizione",
la continuità con il passato (e i cui risultati si possono apprezzare nei
dipinti che aprono questa retrospettiva, da pag. 19 a pag. 23) e dall'altra,
invece, i fermenti dei giovani sperimentatori di Ca' Pesaro, primo fra tutti
Gino Rossi, che, come un fauve, usava i colori quale arma
"contundente". In quell'ambiente Baldessari incontrò e conobbe tanti giovani
artisti di allora, anche trentini, come Umberto Moggioli, come Tullio Garbari, o
come Arturo Martini e Ugo Valeri. E tuttavia la ricerca dei lagunari se da una
parte gli insegnò ad osare, a sperimentare senza paura, dall'altra non lo
attrasse più di tanto. Certo la loro frequentazione ne influenzò via via la
tavolozza, che divenne sempre più "accesa", mentre il segno andò a sua volta
verso una progressiva "disgregazione", ma quella filosofia dell'isolamento, del
"ritiro" sulle isole della laguna, per lavorare in "silenzio" non era per lui,
che era una natura errabonda. Comunque, tra i suoi primi lavori di "rottura"
della visione tradizionale della realtà, forse influenzati da questa
frequentazione, è un valido esempio il dipinto Venezia. I Giardini,
del 1914 (pag. 22), dove la leggibilità dell'immagine è portata ai limiti, ed il
segno e la singola pennellata dilatati al massimo. Siamo, in effetti, alla
vigilia di una svolta. Ben oltre Venezia si muovevano anche altri fermenti.
Baldessari sicuramente aveva avuto sentore della poetica futurista che già da
qualche anno (1909) stava infiammando le giovani generazioni. Nella sua stessa
Rovereto già dal 1913 vi era un circolo futurista animato da Depero, Luciano
Baldessari e Remo Costa. A Venezia vi era stato il lancio di manifesti futuristi
dalla torre dell'orologio, l' 8 luglio 1910, con il proclama Contro Venezia
Passatista e Baldessari certo ne era venuto a conoscenza. Inoltre, con il
1914, i futuristi s'impegnarono anche sul versante politico, avviando
un'insistente campagna "interventista", per l'ingresso dell'Italia in guerra
contro l'Austria e la liberazione di Trento e Trieste. L'arte stava insomma
divenendo un fatto non solo figurativo ma propriamente esistenziale, totale. Ed
è proprio in questo periodo, ed in questo contesto sociale che, anche in seguito
al ricongiungimento con la famiglia, che lo raggiunge a Venezia per sfuggire al
precipitare degli eventi, nei primi mesi del 1915 avvenne il trasferimento a
Firenze. "Già nel 1915 frequentavo il Caffè Giubbe Rosse" - racconta
Baldessari in uno scritto autobiografico - "Ebbi i primi contatti con i
futuristi e il dono di tante care amicizie: Marinetti, Settimelli, Chiti, Lega,
Conti, Campana, Nannetti, Venna e Rosai"1. Baldessari insomma sposa
la causa del cosiddetto "futurismo fiorentino" che seguiva il metodo analitico,
cioè boccioniano, in contrasto con le ricerche analogiche portate avanti in area
romana da Balla e Depero. I suoi principali artefici erano, da una parte,
Ardengo Soffici che operava una mediazione tra cubismo e futurismo, e,
dall'altra, Ottone Rosai che perseguiva invece una lettura "popolare" del
programma futurista, con accenti vernacolari. E passando dall'ambiente
veneziano, tutto sommato ancora "lontano" dal futurismo, a quello fiorentino che
in vece sembrava una polveriera in procinto di esplodere, Baldessari, di là da
una prima adesione "ideale" ed emotiva, al futurismo, si trovò subito nella
necessità del "definire" un proprio stile futurista, che certo non poteva
improvvisare da un giorno all'altro ma che dovette costruire via via,
sperimentazione dopo sperimentazione, partendo da un "modello" che si era dato e
che, all'inizio (come per tanti giovani futuristi), fu il lavoro di Umberto
Boccioni. A questa prima fase, che potremmo definire "didattica", appartengono
una serie di lavori che si possono definire come boccioniani, per l'evidente
influenza stilistica e cromatica del maestro futurista, ma che in molti casi
vanno oltre il lavoro del maestro, coniugandolo cioè con le ricerche "astratte"
portate avanti, proprio in contrapposizione al lavoro di Boccioni, da Balla e
Depero a Roma. In altre parole, questi primi lavori di adesione al futurismo di
Baldessari vanno propriamente ad inquadrarsi nella breve stagione di "astrazione
futurista" del 1914-16, che anticipa di quasi un ventennio la cosiddetta "prima"
esperienza astratta italiana, e cioè quella degli "astratti di Como". Ma si
tratta di un'esperienza fugace, forse perché troppo "avanti" per quegli anni,
esperienza che del resto lo stesso Depero abbandona già sulla fine del 1916,
proprio per l'evidente problematicità a collocare nel mercato italiano lavori
non-figurativi. Baldessari, da parte sua, sempre più vicino a Rosai ed alla
frequentazione di caffè e cabaret quali luoghi d'incontro e ispirazione, coniuga
la sua ricerca formale con le tematiche più vernacolari e una montante rilettura
di Cézanne. In particolare i cabaret, ed il tema teatrale in genere, diviene un
filo conduttore che per anni attraverserà la produzione dell'artista. Forse per
il gioco delle luci, nel contrasto fra la scena illuminata e la platea al buio;
o per il continuo dinamismo, nel vorticoso movimento di attori, ma soprattutto
di ballerini; e per il forte cromatismo, negli sgargianti colori dei costumi e
del trucco delle ballerine; o infine per le suggestioni dell'orchestra, e delle
chanteuse. Un vortice di suoni, luci e colori: insomma, il dinamismo. Ma con
un'avvertenza. Quella di Baldessari è una posizione "passiva" nei confronti del
teatro e dello spettacolo. Una fruizione di sensazioni e impressioni da
riportare sulla tela da spettatore, un po' alla maniera di Toulouse-Lautrec, che
manca dunque di quella progettualità attiva che portò invece Depero ad un
coinvolgimento ben maggiore, cioè anche alla realizzazione di costumi e
coreografie teatrali. Baldessari, però, a differenza di Depero è soprattutto un
pittore, e vive appunto il teatro nella sua trasposizione pittorica, secondo
quelle componenti cromatiche, dinamiche e sonore più sopra esposte. Sintomatiche
di questa visione, e qui esposte, sono Eden, del 1916 (pag. 28), che ci
restituisce le suggestioni dei forti contrasti di luce ed ombra del boccascena
dell'omonimo teatro milanese; Chanteuse, sempre del 1916 (pag. 27), che
ci offre un primo piano sull'enfasi del trucco di scena; Scene per Teatro
Spaziale, del 1919 (pag. 48), che invece fissa, sinteticamente, un momento
dell'azione scenica. Oltre a questi vi è ancora una lunga fila di titoli che
denunciano chiaramente il profondo interesse per il Teatro. Ed al tema teatrale,
come accennavo, è strettamente connesso il rapporto luce-ombra come elemento di
"costruzione" dello spazio tridimensionale che Baldessari scandisce secondo un
rigoroso geometrismo elementare. I forti fasci di luce in Eden, che
ricordano quelli dei lampioni stradali nella nebbia, possono essere ritrovati
anche in altre opere, come Strada - Notte 2 del 1918 (pag. 44), laddove
tutto l'impianto delle luci rinvia, a sua volta, a quello di una scenografia
teatrale. Analogamente altre opere, come il Cellista del 1919 (pag.
49), sono "parti", ovvero sparse citazioni, della componente "sonora" della
spettacolarità teatrale. E pure scenografica e teatrale è la "spettacolarità" di
luci e suoni di un capolavoro come La Giostra, del 1920, (attualmente
nella prestigiosa Collezione Von Thyssen), qui rappresentata da un vitalissimo
studio a pastelli colorati di alcuni anni prima (pag. 32).
E' in sostanza, quello teatrale, un approccio che Baldessari introduce quale
visione preferenziale del mondo, visto appunto come una "teatralizzazione dello
spazio", e forse anche quale gioiosa alternativa alle opere di dichiarata
meditazione sociale realizzate negli anni bellici, oppure agli indugi
vernacolari di Osteria toscana, del 1917 (pag. 31). Quanto alle opere
di piena adesione alla linea del futurismo toscano vanno ricordate la Cocomeraia, del 1917 (pag. 34), Marzocco e Notte + Strada + Luna
(pp. 36-37), entrambe del 1918, realizzate con la tecnica della gouache stesa su
di un collage di giornali, che rinvia alle mediazioni di Soffici dai papier-collée di Picasso. Ma, come già a suo tempo annotava Maria Drudi
Gambillo, curatrice assieme a Teresa Fiori degli Archivi del Futurismo2,
spesso le sue opere si pongono sulla linea della continuità, riferendosi
esplicitamente a quelle dei primi firmatari dei manifesti futuristi, piuttosto
che a quelle dei fiorentini. E questo ad ennesima conferma della sua
"indipendenza di fondo", il suo non aderire mai completamente ad una linea, ma
piuttosto lo sperimentare, prendere ciò che serve, e proseguire oltre. Lo
confermano, ad esempio, Donna + Pesci rossi, del 1918 (pag. 41), di
evidente impianto boccioniano seppur lontana dal periodo didattico e già
scandita in uno stile ben riconoscibile all'artista. Di lì a poco subentrano
però gli interessi sociali, come in Treno dei feriti, del 1918 (pp.
42-43), che introduce una "meditazione umana" sul tema della guerra futurista, e
che certo prende le distanze dagli scoppiettanti proclami interventisti del
futurismo ortodosso, avvicinandosi piuttosto ad una revisione ideologico-sociale
che trova riscontro in un acceso "sfogo" di Rosai, e che il futurista roveretano
ricorda nei suoi scritti autobiografici. Baldessari lo aveva accompagnato alla
stazione di Padova, in partenza per il fronte, e Rosai gli raccontò di avere
ucciso un soldato-pittore mostrandogli pure un piccolo bloc-notes fitto di
scritte e di disegni: "Leggi, tu che sai il tedesco" - gli disse porgendoglielo
- "Capisci, voglio mandarlo ai suoi dopo la guerra, voglio dir loro che non ne
ho colpa. È venuto giù come una valanga, non potevo scansarlo neanche a volerlo,
capisci. Ed era un pittore come noi, un fratello! Capisci, devo ritornare lassù
ad ammazzare altri fratelli, capisci!... Porca guerra sporca!"3. Per
Baldessari fu l'inizio di una sorta di incrinatura, una falla nel sistema che
modificò i suoi rapporti con l'ortodossia futurista. Di lì a poco l'artista si
trovò di fronte agli ovvi esiti linguistici del futurismo fiorentino che,
esaurito il suo percorso analitico, si volse decisamente alla rimeditazione di
Cézanne (la cosiddetta crisi figurativa neo-cézanniana) e quindi si avviò ad una
greve ricostruzione plastica vicina alla poetica del Novecento, al
ritorno al rigore, al primitivismo, all'ordine appunto, che ha caratterizzato il
generale ripiegamento del primo dopoguerra dopo i furori delle avanguardie. Ma è
questa una via che Baldessari, a differenza di un Primo Conti, percorse con
alterne vicende, e con bruschi scarti di direzione che comportarono una precisa
svolta linguistica, grazie al suo continuo viaggiare che lo pose a contatto con
la più colta cultura europea. "Nel 1920" - scrive ancora - "ebbe inizio il mio
vagabondaggio attraverso l'Europa, vagabondaggio che doveva durare quasi vent'anni.
Anche in questo inquieto periodo gli incontri ed i contatti con gli artisti non
mancarono"4. Poté così verificare di persona come altri movimenti,
quali il Costruttivismo, De Stijl, Dada, e lo stesso lavoro di Kandinskij,
avessero già da tempo superato la poetica futurista, perlomeno come Baldessari
la intendeva. All'inizio degli anni Venti, dopo alcune opere di sperimentazione
volumetrica che stanno a metà strada tra Futurismo e Novecento (come Lucienne, 1919, il ritratto della prima moglie, esposto in questi giorni a
Dortmund), Baldessari si trasferì per lunghi anni in Germania, dapprima a
Hannover quindi ad Altona, presso Amburgo. Nella prima città tra il 1922 ed il
1923 frequentò assiduamente Kurt Schwitters collaborando all'opera Merzbau,
una sorta di scultura-costruzione che l'artista tedesco aveva realizzato
all'interno della casa, e che cresceva attraverso i piani, quasi fagocitandola.
E sono di quegli anni una serie di collage futur-dadaisti (come Berlino-Notte, Dada, e Amsterdam, pp. 53-55) che
testimoniano la grande apertura di Baldessari alla poetica Dada. A Hannover,
fondamentale fu pure l'incontro con Frederick Vordemberge-Gildewart che lo
introdusse nell'area del "Die Abstrakten Gruppe", la cui frequentazione produsse
verso il 1923-1924 una nuova stagione sperimentale con lavori di natura
astratta, qui documentati da Composizione con pesci, del 1923 (pag.
60), e dallo splendido Composizione-Rosso Venezia, del 1924 (pag. 61).
Insomma, due incontri fondamentali per Baldessari, specie considerando il fatto
che, qualche anno dopo, nel 1934, a Milano in occasione della mostra di
Gildewart alla Galleria del Milione, il critico Siegfried Giedion profeticamente
scriveva che "quando qualcuno, fra una cinquantina d'anni, si domanderà quale
pittore di questi nostri tempi abbia vissuto nella città di Hannover, non
saranno che due i nomi rimasti: il pittore Vordemberge-Gildewart e il pittore e
poeta dadaista Kurt Schwitters"5. A questo punto, essendo giunto
quasi ai limiti delle sperimentazioni d'avanguardia del tempo, Baldessari subì
una sorta di crisi di crescita: aveva provato tutto, con convinzione, ma nulla
di tutto ciò sentiva come la sua vera strada. Uniche certezze erano il suo
innato amore per la pittura, da una parte, e le necessità vitali dall'altra.
Infatti, nel corso di un temporaneo rientro in Italia, verso il 1925, le sue
sperimentazioni dadaiste e astratte furono per nulla comprese, e il futurismo
stesso sembrava quasi caduto in disgrazia. Per sopravvivere non vi era che una
strada: il definitivo ritorno al figurativo che lasciò solo per alcuni anni, dal
1934 al 1937, richiamato all'impegno futurista dall'amico Ruggero Vasari, a
Berlino, in occasione del lancio internazionale dell'Aeropittura, voluto da
Filippo Tommaso Marinetti con una mostra itinerante in Germania ed Austria, che
toccò Amburgo, Berlino e Vienna. Ma il futurismo era profondamente cambiato, ed
anche l'aeropittura aveva perduto l'iniziale afflato cosmico per scadere in una
cruda documentazione di azioni di guerra aerea. Baldessari non si riconosceva
più in questo ruolo e quindi si defilò nuovamente, e stavolta per sempre,
dedicandosi alla pittura di paesaggio e all'incisione.
A fianco del Baldessari futurista e sperimentale vi è il poi Baldessari forse
più amato in ambito locale: quello figurativo, dei dipinti carichi di materia
pittorica e delle incisioni, con le periferie delle città tedesche, il porto di
Amburgo, i contadini spagnoli, gli scorci trentini e del Garda od anche
ticinesi. Quella figurativa è però una stagione complessa, non ancora
compiutamente analizzata, proprio perché s'intreccia ed a volte convive con la
stagione sperimentale, a testimoniare anche del grande travaglio di un artista
dibattuto tra le necessità "alimentari" e il desiderio di una continua recherche. I primi dipinti figurativi iniziano a comparire già verso il
1923, durante il soggiorno spagnolo, e si tratta di opere contrassegnate da un
rutilante cromatismo e da un segno dinamico e sintetico, come in Pescatori
spagnoli (pag. 58), e da volumi levigati e modulati, come in Finkerwarder (pag. 56), ma, già dal 1924, anche da un indugiare su un certo
realismo descrittivo, comunque mai didascalico, come in Bistrot a Parigi
(pag. 59). Più avanti, verso lo scorcio degli anni venti e l'inizio del 1930, le
suggestioni di Novecento ed i suoi stilemi neo-classicisti si fanno sentire, e
ne è un valido esempio il ritratto della seconda moglie, Gertrude (Trudi),
del 1927 (a pag. 62), mentre già solo tre anni dopo un altro ritratto della
moglie mostra un pastosità di materia ed un segno nervoso che gli sono più
congegnali (pag. 63). I dipinti di soggetto tedesco, come Taverna ad Amburgo
e Antica casa ad Altona, realizzato tra il 1929 ed il 1930 (pp. 66-67)
confermano infatti questo dialogo, tra pulsioni novecentesche da una parte ed
un'insofferenza agli stilemi neo-classici, dall'altra. Ma questo è il Baldessari
di quell'epoca, continuamente oscillante tra le suggestioni che gli derivano
dalle sue molteplici esperienze artistiche. Un'altra verifica ci proviene
dall'Autoritratto, del 1932 (pag. 68), realizzato ad Amburgo, e caratterizzato
da un segno rude ma efficace e da una tavolozza densa e molto lavorata, al quale
si affianca un altro ritratto della moglie, realizzato a cavallo degli anni
1932-33 (pag. 69), nel quale Baldessari riprende le modalità novecentesche ma le
abbina, paradossalmente, ad uno sfondo futuristeggiante: paradossalmente proprio
perché Novecento e Futurismo erano movimenti antagonisti. Baldessari, però, in
quel periodo vive ad Altona, presso Amburgo, ed è dibattuto se proseguire nella
sua strada o rientrare nei ranghi futuristi, sollecitato in questo da Ruggero
Vasari che a Berlino dirige la locale sezione futurista. Si farà convincere, ma
a modo suo, vale a dire riprendendo dipinti del 1923 che ritocca e modifica e
realizzando una serie di tele di aeropittura e afflato cosmico (pp. 70-71). Ma
si tratterà di una brevissima stagione, e già con il 1935, rientrato per qualche
tempo in Italia, Baldessari si dà ad un'intensa attività espositiva e si rituffa
immediatamente nella pittura di paesaggio, peraltro con un cromatismo più
sostenuto, grazie forse anche alla nuova esperienza futurista (pp. 72-75). Con
la seconda metà degli anni Trenta, la sua pittura assume via via caratteristiche
di un monocromatismo rotto da pochi scarti tonali. Si tratta di una pittura per
certi versi consolatoria, ma sapiente, che si fonda su anni di esperienza e che
non indugia mai in fronzoli e romanticherie. Pittura a volte greve, dura, altre,
invece, ai limiti del ruffiano. La potremmo definire una Stimmungmalerei,
una pittura degli stati d'animo, come l'ha chiamata un critico tedesco, proprio
perché si adatta continuamente all'animo dell'artista. Solo questo spiega, ad
esempio, lo scarto tonale e di segno che caratterizza Vicolo fiorentino
(1937-38, pag.76), Villa Bianca e Sera al Tusculum (ambedue
del 1941-42, pp. 80-81), da una parte, rispetto ad Annelise [La tennista],
del 1939 ed Orti a Burano, del 1940-41 (pp. 78-79), dall'altra, che
invece si collocano temporalmente nel mezzo dei dipinti precedenti.
Con gli anni Quaranta la pittura di Baldessari oltre a proseguire un convinto
impegno nel paesaggio, sempre con una tavolozza pastosa e tonalità a volte
accese (pp. 84-85), ritorna spesso sui temi vernacolari, le osterie, le partite
a carte (pag. 89), nei quali aleggia sempre la presenza di Cézanne, che è sempre
stato il suo grande amore. "Ma" - come avvertiva Manlio Belzoni in una sua
recensione - "il fascino di questi "interni" sta forse in ciò che hanno di meno
cézanniano: cioè nella raffinatezza di un colore caldo e vibrante, ricco di
sfumature sottili e di delicatissimi accordi, che è forse la cosa più
intimamente sentita di tutta la pittura del Baldessari"6.
Vi è poi il Baldessari del bianco-nero: incisore indimenticabile che già solo
per quello meriterebbe un'intera monografia7. Quella dell'incisione è
in pratica un'altra carriera nella carriera, che inizia già precocissimamente
nel 1916 con un'importante stagione di incisioni futuriste che trova pochi
riscontri di analoga qualità e continuità anche tra i più titolati "colleghi",
come Boccioni8. Prosegue poi nel corso degli anni Venti
accompagnandolo sempre nei suoi vari spostamenti, dalla Spagna alla Francia alla
Germania, al periodo romano ed a quello trentino: tutti periodi ai quali
corrisponde una copiosa produzione di punte secche ed acqueforti nell'ordine di
qualche centinaio di soggetti.
Insomma Baldessari si rivela un artista a tutto tondo, un sorprendente,
poliedrico, talento naturale che ha fatto dell'arte la sua ragione di vita ma
che dall'arte ha ricevuto anche molte amarezze, in vita e postume. E le sue
ultime parole erano purtroppo avvolte da un crudo pessimismo. "Ho dietro di me"
- scriveva nel maggio del 1962 - "una lunga esperienza artistica. Ed è appunto
per questo che le mie conclusioni non possono che essere amare. Stiamo
avvicinandoci al dissolvimento di una cultura grandiosa e plurisecolare? Temo
che la profezia dello Spengler sull'Untergang des Abendlandes [Baldessari
cita il libro "Il Tramonto dell'Occidente", che concepiva l'avanzata della
modernità anche come una decadenza della cultura occidentale] si avveri:
temo che le future generazioni di supertecnici e di cosmonauti non avranno più
interesse per l'arte, né chiodi per appendere alle loro pareti di cristallo e
acciaio, i manufatti dei futuri Maestri"9.
Oggi, esattamente a quarant'anni da quelle parole, possiamo assicurare che
Baldessari si sbagliava. Possiamo affermare che, nonostante i moderni palazzi ed
i musei siano costruiti con pareti di "cristallo e acciaio", le opere d'arte
hanno sempre uno spazio privilegiato. Specie le sue, che nella nuova sede del
Mart, presso il Polo Culturale di Rovereto, in fase ultimazione, troveranno
un'adeguata collocazione.
Ma le parole di Baldessari introducono il destro ad un'ultima considerazione che
verte sulla sua "sfortuna critica", come la potremmo definire. Infatti, l'inizio
della sua rivalutazione, per quanto riguarda il periodo futurista, data non
prima della fine degli anni Cinquanta, un lavoro reso difficile dalla grande
dispersione delle sue opere sia in Italia che per mezza Europa, ma soprattutto
nel Veneto ed in Svizzera. Lo stesso Baldessari prima della sua morte, avvenuta
nel 1965, ha potuto assistere ad un certo interesse per la sua produzione
futurista, con una serie di mostre a Milano, Udine, Trento e Rovereto. Nel 1967
e nel 1982 il Comune di Rovereto lo ha ricordato con due mostre di un certo
spessore, la prima di carattere antologico, la seconda invece mirata al periodo
futurista con l'intervento anche di uno specialista del settore, qual è Enrico
Crispolti. E tuttavia, per gli annosi vizi ideologici che hanno pesato sul
Futurismo sino a pochi anni fa la sua considerazione rimase più che altro un
"fatto locale" o saltuariamente presente con alcune opere a mostre collettive
sul Futurismo, in veste di comprimario, spesso a fare da paggetto a futuristi di
quart'ordine il cui unico merito era quello di essere ancora vivi, dunque di
promuovere sfacciatamente le proprie opere, magari in veste di co-organizzatori,
e dunque falsando l'effettiva valutazione dei valori in campo. Ma nella
maggioranza dei casi era proprio la mancanza di "strumenti di conoscenza",
presso la critica più accreditata, che ha fatto sì che Baldessari sia stato
sistematicamente "dimenticato" nelle rassegne più prestigiose. Con la
pubblicazione del Catalogo Generale delle Opere Futuriste10, nel
1989, e la sua veicolazione presso critici ed istituzioni museali, la reale
"statura" dell'opera di Baldessari ed il suo ruolo non certo marginale nella
stagione futurista sono apparsi definitivamente palesi. Conseguentemente le sue
opere hanno iniziato via via a viaggiare versi i musei più prestigiosi, e
nell'ambito delle più recenti rassegne sul Futurismo, come quella sul Futurismo
dal 1909 al 1918, tenuta allo Sprengel Museum di Hannover nel 2000 e quella
invece sul Futurismo dal 1915 al 1944, che si terrà in concomitanza con questa
mostra al Museum am Ostwal di Dortmund, Baldessari ha finalmente il "peso" ed il
ruolo che gli competono: quello di un grande della stagione futurista.
Note
1 - Roberto Marcello Baldessari, Note autobiografiche, in: Riccardo
Maroni (a cura di), Roberto Iras Baldessari. Pittore e Incisore,
Collana Artisti Trentini, Trento, 1962
2 - Archivi del Futurismo, a cura di Maria Drudi Gambillo e Teresa
Fiori, 2 vol., Ed. De Luca, Roma, 1958-62
3 - Roberto Marcello Baldessari, Note autobiografiche, op. cit.
4 - ibidem
5 - Sigfrid Giedion, Vordemberge-Gildewart, in: "Bollettino della
Galleria del Milione", n° 31, Milano 2 novembre 1934
6 - Manlio Belzoni, Iras Baldessari, in: "Il Gazzettino", Venezia, 8
dicembre 1942
7 - Per una panoramica sull'attività incisoria vedere: Renato Pacini, R.Iras
Baldessari. Punte secche, Ed. Bottega d'Arte di Varese, 1954; Maurizio
Scudiero, Il fondo delle incisioni di Roberto Marcello Baldessari ("Iras"),
in: L'Arte riscoperta. Opere dalle collezioni civiche di Rovereto e
dell'Accademia Roveretana degli Agiati dal Rinascimento al Novecento, a
cura di Ezio Chini, Elvio Mich, Paola Pizzamano, catalogo della mostra al Museo
Civico e all'Archivio del '900 di Rovereto, Ed. Giunti, Firenze, 2000
8 - In merito alle incisioni futuriste di Baldessari e con uno sguardo allargato
ad altri autori futuristi vedere: Tullio Fait, Roberto Marcello Baldessari
Incisore futurista. Contributo a una prima catalogazione dell'incisione
futurista italiana, in: "Atti dell'Accademia Roveretana degli Agiati
Contributi Classe Scienze Filosofico-Storiche e Lettere", anno accademico 215,
serie VI, vol. V, fasc. A, Rovereto, 1965
9 - Roberto Marcello Baldessari, Note autobiografiche, op. cit. 10 - La
catalogazione generale delle opere futuriste di Baldessari dopo un primo volume
è proseguita con le integrazioni di un secondo volume e di un primo quaderno di
aggiornamento. E' prevista in futuro, una volta chiarito il quadro complessivo
delle opere nelle varie ubicazioni, specie all'estero, l'edizione di un'edizione
unica e riassuntiva. 1) Maurizio Scudiero, R.M. Baldessari. Catalogo
Generale delle Opere Futuriste, L'Editore, Trento, 1989; 2) Maurizio
Scudiero, R.M. Baldessari. Catalogo Ragionato delle Opere Futuriste. Volume
2°, 1914-1937, Editrice La Grafica, Mori, 1996; 3) Maurizio Scudiero, R.M. Baldessari. Opere Futuriste. 1914-1923. Quaderno di aggiornamento al
Catalogo Ragionato delle Opere Futuriste
Palazzo Trentini Mostre
Via Manci, 27
Trento
Tel.: 0461213111
http: www.consiglio.provincia.tn.it
Orario: dal lunedì al sabato: 10-12 / 15-19
domenica e festivi chiuso
ingresso libero
Catalogo disponibile presso la
sede del museo.
|