Il processo che nell’ambito della pittura e della scultura ha portato
all’introduzione di materie diverse da quelle tradizionali fino, sempre più
frequentemente, alla loro totale sostituzione, con il ricorso ai materiali più
vari e ad oggetti, è una delle caratteristiche dell’arte del XX secolo e prende
le mosse dalle prime avanguardie, soprattutto dal Cubismo e dal Futurismo.
Nell’arte italiana, il polimaterismo futurista dà il via ad una serie di
ricerche che si sviluppano nel secondo dopoguerra con la pittura di Alberto
Burri e proseguono, tra l’altro, nella vicenda dell’ arte povera.
La mostra si articola in quattro sezioni.
La prima sezione è dedicata al "Polimaterismo futurista".
L’iniziatore è Umberto Boccioni, che nel manifesto Scultura futurista (1912)
propone di adottare piani di legno o di metallo, immobili o meccanicamente
mobili per un oggetto, forme sferiche pelose per i capelli, semicerchi di vetro
per un vaso, fili di ferro e reticolati per un piano atmosferico, ecc..
Aggiunge poi Boccioni: “Il tic-tac e le sfere in moto di un orologio, l’entrata
o l’uscita di uno stantuffo nel cilindro, l’aprirsi e il chiudersi di due ruote
dentate, (…) la furia di un volante o il turbine di un’elica, sono tutti
elementi plastici e pittorici, di cui un’opera scultoria futurista deve valersi.
L’aprirsi e il richiudersi di una valvola crea un ritmo altrettanto bello ma
infinitamente più nuovo di quello di una palpebra animale”.
Successivamente Balla e Depero nel manifesto “Ricostruzione futurista
dell’universo” (1915), progettano dei “complessi plastici” composti di “fili
metallici, di cotone, lana, seta, (…) tessuti, specchi,lamine metalliche,
stagnole colorate, (…) liquidi chimicamente luminosi di colorazione
variabile” ed altro, nonché “congegni meccanici ed elettronici”, atti a metterli
in moto, farli suonare o addirittura scoppiare.
I “ complessi plastici” interpretavano l’invito di Marinetti a produrre un’
“arte azione” e a introdurre nell’arte, oltre al movimento, la “realtà brutale”,
come già lo stesso Marinetti aveva fatto con le onomatopee in letteratura e
Russolo in musica con l’ “intonarumori”.
Più volte, infatti, Marinetti aveva parlato di sostituire la “psicologia
dell’io” con l’ “ossessione lirica della materia”, con le sue forze di
comprensione, le sue torme di molecole o i suoi turbini di elettroni”, mentre i
pittori futuristi citavano i raggi X e l’elettricità.
In effetti, la visione dinamica futurista, interessata alla manifestazione
dell’energia, trovava nell’indagine e nell’impiego della materia uno sfocio, non
solo alla propria ambizione di realizzare il movimento nell’opera d’arte, ma
anche di entrare in sintonia con le ricerche della scienza moderna, non a caso
toccata, proprio allora, dal nuovo principio della materia-energia. Sempre in
Italia, Guglielmo Marconi, partendo dalle indagini delle onde elettromagnetiche
studiate da Hertz, aveva intanto realizzato un primo sistema di
radiotrasmissione a distanza.
Negli anni Venti e Trenta, particolarmente con Enrico Prampolini a Roma (dove
Enrico Fermi conduceva le sue prime ricerche sulla liberazione dell’energia
nucleare), il “polimaterismo” futurista trova una larga applicazione, con
l’impiego dei materiali più vari. Prampolini contrassegna i suoi dipinti con
titoli come “Guglielmo Marconi” e “Quanta B. Moto dell’elettrone”, mentre
Marinetti parla già nel 1930 della “immensa rete di onde corte lunghe lanciate
sopra oceani e continenti”.
Questa prima sezione, oltre agli artisti già citati, comprende Severini, Carrà,
Soffici, Sironi, Zatkova, Dottori, Farfa, Diulgheroff, Bot. Le sculture
polimateriche di Boccioni e i “complessi plastici” di Balla e Depero, in gran
parte distrutti saranno rappresentati attraverso le opere rimaste, i disegni, la
documentazione fotografica.
Il polimaterismo di Prampolini fa da ponte con le ricerche della seconda metà
del secolo.
La seconda sezione , intitolata “La presenza della materia”, si apre con
le opere di Alberto Burri, erede in forme del tutto nuove del polimaterismo dei
futuristi. Dalle materie di coinvolgimento esistenziale, come i famosi “sacchi”,
i “legni” e i “ferri”, Burri passa in seguito all’uso di materie industriali
come la plastica e il cellotex.
Eredi del futurismo sono Fausto Melotti e Lucio Fontana, che è attento in modi
molto espliciti ai rapporti con la scienza. Oltre a sperimentare diverse materie
che riflettono ed emanano luce, come i vetri e i lustrini, Fontana crea
“ambienti” in cui usa la luce del neon e di Wood.
L’arte di Burri ha riflessi nelle prime sperimentazioni di Rauschenberg e, in
Italia, apre una stagione di ricerche materiche che è testimoniata, già negli
anni Cinquanta e poi nei Sessanta, dall’opera di artisti come Colla, Manzoni,
Scarpitta, Rotella, Mauri, Angeli, Tacchi, Festa. Questi artisti operano ormai,
in clima neo-dadaista con tangenze pop, al di fuori di un rapporto diretto con
la scienza.
La terza sezione, “La materia entra nello spazio”, presenta gli artisti
che di queste ricerche hanno gettato le nuove basi, operando nell’ambito del
gruppo dell’ “arte povera” o fuori di esso (Anselmo, Calzolari, Fabro, Kounellis,
Merz, Paolini, Penone, Pistoletto, Zorio, Pascali, Ceroli, Mattiacci,
Parmiggiani, Vettor Pisani, Ontani).
Con la quarta sezione, “La materia e l’immateriale”, s’impone l’uso della
luce, la più immateriale delle materie, delle labili immagini video e della
comunicazione interattiva. La linea italiana delle ricerche sulla materia si
ricongiunge in qualche modo agli interessi originari dei futuristi per i
fenomeni dell’elettricità, della materia come radiazione di energia, della
comunicazione via etere. Questa sezione presenta le opere di Mochetti, Studio
Azzurro e dei più giovani Albanese, Cornli, Messina e Modica.
La mostra, curata da Maurizio Calvesi e Rossella Siligato,
è promossa dal Ministero degli Affari Esteri Italiano e dall'Istituto Italiano di Cultura di Berlino.
Il catalogo è a cura di Rosella Siligato.
Info Mostra
L'Avventura della Materia
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