Mitreo

BULGARI

GIULIO D’ANNA E GLI AEROPITTORI ITALIANI


Roma, il Mitreo centro per le arti e cultura contemporanea

31 maggio – 5 luglio 2024







Presentazione del direttore Artistico dell’Associazione Culturale M.I.C.RO.
Curatore dell’Archivio Storico dei Futuristi Siciliani
Salvatore Carbone

In questa presentazione non parlerò della mostra sull’aeropittura da me organizzata, già ampiamente descritta da grandi storici dell’arte. Mi vorrei piuttosto dedicare in maniera particolare ai ringraziamenti rivolti a coloro che hanno contribuito alla realizzazione dell’evento, in quanto tutti hanno partecipato gratuitamente per amore dell’arte, al fine di far conoscere questo periodo storico anche alle periferie, luoghi spesso dimenticati in cui di rado vengono realizzate grandi mostre storiche.
Inizierò con i prestatori delle opere, indispensabili nella realizzazione di una mostra.
Il primo ringraziamento va all’Associazione Culturale Futur-Ism, diretta dal dottor Massimo Carpi, che gestisce il più grande sito web del Futurismo esistente al mondo, le cui opere hanno dato un importante rilievo scientifico a questo evento.
Rivolgo un ringraziamento particolare anche all’Archivio dei Futuristi gestito dal professor Maurizio Scudiero, curatore di questa mostra in collaborazione con la professoressa Anna Maria Ruta.
Un grazie speciale va inoltre all’amico Umberto Brusasca direttore della Galleria Matteotti di Torino, che con le opere da lui prestatemi ha riempito un vuoto con le aeropitture pubblicitarie, difficilmente presenti nelle altre mostre su questo tema e all’amico Flavio Lattuada, direttore della Galleria Arte Centro, riferimento del Futurismo a Milano, per il suo prestigioso prestito.
Un ulteriore ringraziamento a tutti i collezionisti prestatori che ho tenuto a citare nel colophon di questo catalogo.
Sono allo stesso modo grato agli studiosi che hanno scritto i testi qui presenti: il professor Giancarlo Carpi, la storica dell’arte Elena Gigli e ancora una volta i due curatori, il professor Maurizio Scudiero e la professoressa Anna Maria Ruta.
Ringrazio altresì la galleria Futurism& Co. Art Gallery, di Roma, diretta da Francesca Carpi, la Leo Galleries di Monza e la Galleria Pirra di Torino.
Un grande grazie al generale Alberto Rosso che, con la sua intercessione presso lo Stato Maggiore, mi ha permesso di ottenere il prestigioso patrocinio dell’Aeronautica Militare.
Dedico infine un ringraziamento speciale a Monica Melani, direttrice della Galleria MITREO, artista di grande sensibilità con la quale è nata una collaborazione che mi auguro duri nel tempo.








GIULIO D’ANNA - Ebbrezza visiva, 1928
olio e collage su tela - 95 x 74 cm
Courtesy Futur-Ism, Roma







GIULIO D’ANNA - Aerei in volo, 1931
olio e collage su tela - 70 x 50 cm
Courtesy Futur-Ism, Roma







GIULIO D’ANNA - Paesaggio simultaneo+aerei Caproni, 1928/29
olio su tela - 55,5 x 70 cm
Collezione gen. Alberto Rosso, Roma







GIULIO D’ANNA - Aerodinamica femminile, 1934
olio su tela - 98,7 x 72,2 cm
Courtesy Futur-Ism, Roma







GIULIO D’ANNA - Rinascita, 1938 circa
olio su tela - 145 x 95 cm
Courtesy Futur-Ism, Roma







GIULIO D’ANNA - Sicilia, 1936/37
olio su tela - 105 x 180 cm
Courtesy LeoGalleries







GIULIO D’ANNA - Acrobazie sul Golfo di Catania, 1935/36
olio su tavola - 75 x 152 cm
Courtesy Futur-Ism, Roma






Balla e Ballelica: finestre aperte sull’infinito
Elena Gigli

Illustre pittrice, non le sembri scortesia se questa lettera non è firmata per motivi di delicatezza verso persone che Lei conosce, ma spero di essere scusato nell’esprimerLe la mia sincera ammirazione per l’arte sua nobilissima. Soprattutto ha portato nella nostra vita una verità nuova: la luce umana nell’incanto dei cieli misteriosi! Mai nessuno prima di Lei ha dato ai cieli tanta sensibilità di espressione così spontanea e naturale. Ho l’onore di salutare un Grande Artista elemento che il Destino adopera per il rinnovamento avvenire.

È il primo febbraio del 1931 quando a Roma a “La Camerata degli Artisti” in Piazza di Spagna 35 viene inaugurata la Prima Mostra di Aeropittura dei Futuristi Balla, Ballelica, Benedetta, Diulgherof, Dottori, Fillia, Oriani, Prampolini, Bruna Somenzi, Tato, Thayaht organizzata da Filippo Tommaso Marinetti come Omaggio Futurista ai Trasvolatori.
In catalogo viene pubblicato il Manifesto della Aeropittura firmato dai Futuristi Balla, Benedetta, Depero, Dottori, Fillia, Marinetti, Prampolini, Somenzi, Tato.
Al numero 1 figura Balla con il suo Celeste metallico aeroplano; al numero 2 la figliola - con lo pseudonimo Ballelica - espone Bolama. La grande tavola di Balla si configura come un omaggio a Italo Balbo (Quartesana-Ferrara 1896-Tobruk- Libia 1940), il quale dal 1929 al 1933 ricopre l’incarico di Ministro dell’Aeronautica.
Durante la II Guerra Mondiale, il 28 giugno 1940, per un errore dell’antiaerea italiana, viene colpito nei cieli di Tobruk. Nella recensione alla mostra si parla del “grande quadro allegorico di Balla” che “pareva aver saccheggiato le viole, le rose, le margherite di Piazza di Spagna. […] Si tratta di un’esposizione viva, vibrante, pulsante. Vibrante di eliche, pulsante di motori. Futurista o meglio di attualità immediata. Si tratta della mostra di Aero-pittura, organizzata in omaggio ai Trasvolatori: la prima d’Italia e di Europa”. E conclude: “Ritornando al grande quadro di Balla ove in un’apoteosi cromatica l’emblema del Fascio si erge a fianco di ognuno dei dodici idroplani che attraversano l’Oceano dobbiamo riconoscergli un modernissimo sapore di manifesto rurale che non nuoce certo all’esaltazione dell’impresa, né all’arte impetuosamente sincera, e prospetticamente sapientissima”.
Invece, dell’opera che presenta Elica Balla con lo pseudonimo Ballelica, Bolama non si sa nulla. La Rossati nella sua recensione parla di “molti di questi quadri contengono (come dice l’interessante programma della pittura aerea) simultaneamente ‘il doppio movimento dell’aeroplano e della mano del pittore che muove matita, pennelli e diffusore’”. Tuttavia la prima volta che troviamo Balla Giacomo e Ballelica che espongono insieme è nel 1929 alla Galleria Pesaro di Milano: Giacomo ha 58 anni ed espone Un attimo della mia vita, Elica ha 15 anni ed espone Compenetrazione.
Filippo Tommaso Marinetti “illustra la mostra e si batte senza esclusione di colpi per i principi e le interessanti leggi della ‘Aeropittura’”: “Osservando i quadri esposti è facile notare una tale varietà di temperamenti, di forze pittoriche e di personalità inventive che annulla ogni accusa di scuola, di ripetizione e di artificiosità. …Ballelica, Bot, hanno ognuno una tavolozza futuristica speciale. Trasfigurazioni plastiche nelle realtà di oggi e di domani. Stati d’animo e forze misteriose espresse plasticamente. Prospettive aeree, architetture, architetture degli spessori d’atmosfera. Simultaneità e compenetrazione di tempo e spazio, lontanovicino ricordatosognato esternointerno. Una pittura virile, ottimista, coloratissima e movimentata che risponda alla fantasia e ai muscoli volontari del Carso, degli squadristi e balilla”. Conclude analizzando i vari artisti, e scrive di Balla: “Passando rapidamente in rassegna le 300 opere dei 33 pittori futuristi, indicherò lo stato d’animo del grande Giacomo Balla che rinfresca la sua vasta e universale produzione con un nuovo balzo lirico verso quella pittura degli stati d’animo che si lega oggi intimamente alla nostra sensibilità”.
A fine dicembre, nella Mostra del Centenario della Società Amatori e Cultori di Belle Arti10 a Roma ambedue espongono nella sala del Gruppo Futurista: Balla è presente con 5 opere degli anni Venti, da Futurfascismo a Tormento d’animo, da Sincero-Falso a Fiorlutto (non identificato) a Mio istante mentre la partecipazione di Ballelica è circoscritta a due lavori non ancora identificati: Ciao e Sigarette.
Così Elica ricorda la sua partecipazione: “Nella Mostra del Centenario anche io esponevo, nella sala futurista, due quadretti futuristi che poi ripudiai perché fu solo in quel breve periodo della prima giovinezza che ebbi qualche entusiasmo per il Futurismo; da allora non dipinsi ma più nulla con quella intenzione e come già dissi mio padre non disse mai una parola in proposito”.
Nella primavera del 1931, Ballelica è tra i 22 espositori al Circolo Artistico di Trieste: espone Aeropittura insieme a Le forze di un bosco di Benedetta e opere dal titolo Aeropittura di Diulgheroff, Fillia, Oriani, Pozzo, Prampolini insieme a 2 Paesaggio aereo di Tato. Infine, nell’ottobre alla Galleria Pesaro di Milano si inaugura la Mostra Futurista di Aeropittura e di Scenografia dove Ballelica è presente con Dinamismo aereo insieme a 41 Aeropittori Futuristi: si va da Benedetta, la moglie di Filippo Tommaso Marinetti e allieva di Balla con 3 opere a Dottori e Fillia presenti con 10 lavori ciascuno. Poi Prampolini con 8 e Tato con 26, Munari con 13 e Crali con 2 e Oriani con 9.
Nella prefazione, Marinetti scrive: “Una curiosità morbosa affollò le prime mostre di Roma (Febbraio 1931) Trieste e Parigi (Marzo 1931 Sala de l’Effort). Una polemica intelligente agitò i duemila visitatori quotidiani della mostra di Firenze. Questa che presentiamo ora nelle sale della Galleria Pesaro di Milano, supera di molto le precedenti. 41 aeropittori, ormai usciti dalle ricerche e dai tentativi, realizzano plasticamente la sensibilità aviatoria”. Chiude la mostra la sezione intitolata Architettura di Aeroporti (da notare De Giorgio con una Aerovisione della città futura e Sartoris con Progetto di grande Aeroporto) e quella dedicata all’Arte Decorativa con le Ceramiche Futuriste di Fillia, Tullio d’Albissola, Farfa e Diulgheroff. Se da un lato ad oggi non abbiamo ancora rintracciato opere esposte dall’ancora non ventenne Ballelica – si ricordano Compenetrazioni, Stato d’animo, Bolama, Aeropittura e Dinamismo aereo – il 1935 segna un forte cambiamento nell’arte della “piccola acchiappanuvole”.
Nel volume che dedica alla vita del papà Giacomo, scrive: “Feci dei bozzetti per un salone, che naturalmente nessuno mi aveva ordinato, decorato con cieli solamente, nuvole e nuvole; mio padre apprezzò molto quel lavoro e da quel momento lo studio delle nuvole mi occupò tutta la vita”.
Contemporaneamente, nell’autunno, viene inaugurata alla Galleria d’Arte L’Antonina a Roma la Mostra delle opere di pittura di Giacomo Balla di Luce e di Elica Balla: Giacomo espone 59 opere che attraversano tutta la sua arte, la primogenita Luce presenta 30 lavori che vanno dalle nature vive ai paesaggi ai notturni. Elica è presente con 21 opere: dai ritratti ai fiori ai paesaggi. “Elica, invece, è classica, il suo tocco è virile; la sua ricerca è di un verismo da grande maestro dell’arte. […] Oltre ai suoi capolavori, Balla ha creato due grandi artiste che continueranno ad esprimere la sua anima molteplice in due delle sue molteplici espressività”, ne scrive Guido Cremonese recensendo la mostra.
Il cielo è sempre stato per Elica un soggetto da rimirare e studiare di continuo. Nel 1942 partecipa con un notevole gruppo di olii e pastelli alla mostra organizzata al Lyceum Romano dal titolo Nel vero verso la luce: al numero 53 un Vivendo di cielo figura con il prezzo di lire 80018. Nel 1946 Renzo Fanti parla dei Cieli di Elica Balla come finestre aperte sull’infinito: “…. La piccola ‘…acchiappanuvole’. Sembra che il cielo l’abbia sempre attratta, sin da bambina (non per nulla suo Padre le diede quel nome), quando passava lunghe ore ad osservare il mutar delle luci e l’incalzarsi delle nubi, sorda ai richiami dei suoi: sicché Balla, scherzando affettuosamente su questa specie di mania della sua bambina, la battezzò acchiappanuvole. […] Dei mezzi tecnici, dopo averli tutti sperimentati con risultati lodevolissimi, scelse il pastello, più intonato alla sua natura, più morbido, più lieve, più adatto a rendere i suoi soggetti preferiti. […]
Torniamo dunque ai cieli. Fu cinque o sei anni fa che Elica Balla, dopo essersi cimentata nelle varie espressioni pittoriche già considerate pensò di fissare sulla tela e sui cartoni il frutto delle sue osservazioni di tanti anni. E i primi risultati furono tali che il buon Maestro non ironizzò più su questa particolare inclinazione della sua figliola e si accorse di trovarsi in maniera inattesa di fronte a una manifestazione d’arte nuova e originalissima. […] questi quadri di Elica non sono alla portata di tutti i visitatori: essi costituiscono una specie di diario intimo, che l’artista tiene gelosamente riposto e che solo in casi eccezionali viene mostrato a qualche iniziato. E’ questo un vero peccato!
Ma Balla, oltre che padre sollecito e affettuoso, è anche severissimo maestro: perciò è bene lasciarlo fare e non contrariarlo”.








GIACOMO BALLA - Linea di velocità+paesaggio+rumore, 1913 circa
pastelli colorati su carta pesante - 38 x 57,5 cm
Courtesy Futur-Ism, Roma






L’Hangar futurista di Corviale. Estetica relazionale e artiste futuriste.
Giancarlo Carpi

Sono sempre stato affascinato da Corviale e dalla sua storia, a causa probabilmente del mio carattere un po’ decadente e anche come appassionato di fantascienza e scenari distopici. Certo non conosco i tantissimi progetti di riqualificazione e rivitalizzazione degli ultimi venti anni, perciò, questa mia impressione si prenda per quel che vale, un ricordo personale, in certo modo affettuoso anche degli anni trascorsi.
Agli albori, Corviale nasceva con delle prospettive anche avanguardistiche, se non altro perché il progetto vedeva la collaborazione di alcuni artisti contemporanei, tanto che nel suo insieme fu inquadrato da Enrico Crispolti, che in quegli anni si occupava di arte partecipata – le vicende di Volterra 73 – negli scritti del Padiglione Italia della Biennale del 1976. Precisamente nella categoria dell’“Ipotesi di rapporto sociale attraverso l’ente statale”. Vi si scriveva: “Ciò che qui particolarmente interessa sottolinearvi è la presenza attiva di operatori visivi nella soluzione di questioni progettuali in rapporto alla problematica della grande scala. Gli interventi degli scultori romani Carrino, Magnoni, Santoro, Uncini e Lorenzetti nel complesso di Corviale hanno un compito preciso: quello di connotare differentemente in senso orientativo (proprio come ‘riferimenti’, secondo Lynch) i cinque punti nodali fra percorsi d’accesso e percorsi interni di questo enorme complesso-quartiere. Inoltre Carrino ha studiato per le facciate del grande nastro un elemento modulare che varia secondo le incidenze solari. E il giovane Stefano Fiorentino ha studiato una caratterizzazione visiva dell’intricato repertorio segnaletico interno al complesso (che prevede strade pedonali a più livelli ecc.).”
Ed ecco il riferimento al Futurismo come suo sviluppo: “Si tratta di qualcosa di più dell’integrazione delle arti che ha una ricca quanto varia vicenda nella storia delle avanguardie contemporanee, proprio perché la finalizzazione degli interventi non è tesa alla definizione di valori estetici a sé stanti, quanto proprio alla configurazione di segni che nella loro pur indubbia natura estetica hanno tuttavia preminente funzione appunto di comunicazione collettiva e che proprio in vista di assolvere al compito da questa proposto sono stati in realtà progettati”.
Si trattava, in effetti, di una dimensione “relazionale” che poi avrebbe avuto un grande successo, dagli anni Novanta a oggi, dalla critica influente di Nicolas Bourriaud a Claire Bishop che nel futurismo ravvisa aspetti relazionali. Ecco, dunque che l’ardita e bella idea di Salvatore Carbone di organizzare una mostra futurista proprio qui, negli spazi del Mitreo, incontra la natura stessa di Corviale, era quasi qualcosa che, prima o poi, sarebbe accaduto. E, a ben vedere, la scelta di dedicarla principalmente alle donne attive nell’avanguardia sollecita ulteriormente quell’aspetto sociale inscritto nelle mura di questo edificio, non perché le donne abbiano prodotto un’arte futurista più partecipativa (anche se forse sono state più libere di variare tra i linguaggi) ma perché il taglio degli studi a loro dedicati nel contesto dell’avanguardia tiene spesso conto di quelle componenti.
Si ha, poi e per me, la fantascientifica suggestione di un “Hangar” futurista e aeropittorico tra le mure di questa macrostruttura. Altresì, si spera che gli abitanti di Corviale possano fruire al massimo grado di queste opere d’arte, che sono state futuribili, nel loro tempo, quanto alcune delle soluzioni architettoniche del Corviale. Trattasi davvero, in questo contesto, di una necessità della partecipazione non tanto per la riuscita, ma per il senso stesso del dispositivo “mostra” (come, peraltro, auspicava lo stesso Crispolti nel 1980 per una mostra futurista, presentando il suo allestimento di Ricostruzione futurista dell’Universo alla Mole Antonelliana di Torino). Insomma, se i futuristi sono venuti qui, non è per farsi ammirare, ma per interagire con il pubblico.
Passiamo dunque a una carrellata delle artiste, a partire da quella Benedetta che emerse come pittrice di primo piano negli anni Venti, con quadri come il celebre Velocità di Motoscafo, e poi Ritmi di rocce e mare, esposto e riprodotto in catalogo nella Biennale del 1930. In Benedetta, che fu per tutta la sua carriera fedele al colore azzurro, si osserva la presentazione degli assunti formali meccanici anni Venti (la macchina come entità formale, gli incastri di forme geometriche, taglienti e “aristocratiche”) sempre in scenari naturali, dall’acqua all’aria, con un sottotesto animistico delle forze della natura, che propongono la loro energia nuova meccanica ma non per questo ridotta alla sola dimensione metallica e privata della immensa varietà degli stimoli sensoriali che ogni ambiente può dare.
Benedetta, allieva di Balla, aveva ben appreso la lezione dei “fiori futuristi”, la concretizzazione dell’energia dei fiori, dell’energia scorrente “sotto” la pelle visibile della natura. I fiori parevano sì astratti oggetti plastici ma per nulla asettici. E così le rocce e il mare, perdendo un po’ della loro riconoscibilità immediata, restano vivi nelle loro astratte – e oggettive – energie.
Vediamo poi un’artista eclettica, scrittrice e pittrice, attiva a Catania in contatto con Giulio D’Anna, trattasi di Adele Gloria. Qui presente con un quadro Vortici, che pare mettere in moto la lussureggiante vegetazione del Sud, ove poi vi si scopre una maschera teatrale, che ghigna, in un paesaggio indeciso tra la notte e il giorno, come ben indica l’astro, luna o sole sulla sinistra. Forse il quadro, nell’elemento trasparente a destra che ricorda la calandra conica della locomotiva, rimanda al suo libro di poesie FF.SS 89 Direttissimo. Dal quale possiamo citare qualcosa, “Pensiero a tracolla”: “Ho messo sul muso / al mio pensiero / laccato di nero / un fazzoletto cloroformizzato / e l’ho lanciato / sul tetto di un grattacielo. / Poi / spiccato un salto / mi son messa a nuotare nell’aria / attraverso i raggi del sole / cristallizzata di gioia e di libertà. / Ho tirato le trecce alle stelle / nascoste / più bionde che mai / dietro il paravento celeste / e sospesa ad esse / ho dondolato sul mondo. / Così / ho rincorso le nuvole / ho parlato col vento / che messosi / a farmi la corte / ha tirato un sospiro / che mi ha lanciato nel vuoto. / Ed ho rotolato / giù / giù / perdendo di vista le stelle. / Ho chiuso gli occhi / atterrita / e quando l’apersi / mi ritrovai adagiata / vicino / daccapo / al mio pensiero / laccato di nero. / L’ho messo a tracolla / e l’ho dovuto portare / peccato / di nuovo / con me”.
Nella vasta area di invenzione della pittura aerea e della scultura e scrittura aerea, troviamo due artiste, che negli ultimi decenni, specie la prima si sono guadagnate spazio di riconoscibilità e attenzione. Leandra Angelucci Cominazzini fu prima di tutto una pittrice, ma poi anche autrice di arazzi e ceramiche, e infine anche di un poemetto. Ella si inquadra nell’ambiente culturale del futurismo umbro, tra i più omogenei e prodighi di filiazioni: dal maestro Dottori ad Alessandro Bruschetti, e poi appunto alla Cominazzini, ma anche a Preziosi.
Se per Benedetta il colore dominante era l’azzurro, per la Cominazzini è il rosa. Il quadro in mostra è Virate astrali, 1934, uno tra i suoi più belli. Vi è una pittura astratta, ma sfumata, e dei bolidi, diciamo pure astronavi piuttosto che aerei, le quali compiono una virata tra gli astri – o nell’atmosfera di Venere. V’è qui, con notevole scarto e originalità, tutto il mondo del “futurismo cosmico” degli anni Trenta, una fase coeva ma conseguente a quella dell’aeropittura, poiché i futuristi – Prampolini, Oriani, Fillia – vanno oltre, non paghi di essere passati da una visione terrestre a una visione aerea, dall’alto in basso su paesaggi e città, ora immaginano mondi, e che l’uomo possa oltrepassare l’atmosfera e mutare e incontrare altre creature. A dire il vero, Leandra si muove a metà tra questi due immaginari adiacenti spesso tenendo al centro della sua immaginazione l’Elica, che, come essere senziente/meccanico, compie la sua vita nell’aria (Eliche in festa, 1935). V’è pure, nell’ispirazione della Cominazzini, di questo animismo del mondo dell’aria, un sottotesto sacro: “maggio rosato / sottostante mio parco / in rigoglio / profumo resinoso / Assisi Trevi / Montefalco Spello / nella freschezza / d’azzurro e di porpora / chiudono gli occhi / potenti santi riflessi / Chiara Francesco / raggi abbaglianti / purità luce amore”.
Tra le aeropittrici, Magda Falchetto, moglie di Giovanni Korompay, Aeropittura (Ali tricolori), 1937/38. In questo bel quadro predomina l’idea “classica” dell’aeropittura: una distorsione del paesaggio come se avesse più di un centro, per rappresentare nello stesso spazio le diverse visioni durante un volo. Al di là del riferimento al tricolore, tema che nasce nel 1915 all’intendo del futurismo con le opere di Giacomo Balla, si apprezzi come l’artista abbia usato colori puri per gli aerei unendo il bianco di quello in mezzo con le nuvole nella loro vertiginosa altitudine: non si tratta di una rappresentazione realistica, ma di una “visione” che immette elementi artificiali nella natura. L’aspetto concettuale di quella scelta cromatica è dunque stemperato dal rapporto con la natura. E poi Marisa Mori, aeropittrice non canonica sempre attenta a una costruzione volumetrica e plastica delle figure. Sperimentatrice anche nella cinematografia.
Infine, la presenza di Elica Balla, figlia del grande Giacomo e pittrice futurista anch’essa, qui presente con uno dei suoi “cieli”, di suggestivo impianto verista – come nelle scelte del padre dalla metà degli anni Trenta – ma fedele al centrale tema della luce.








BENEDETTA - Studio per la scenografia di “Sintesi dell’oceano del cuore” di F. T. Marinetti, 1927
tempera su masonite - 34 x 48 cm
Courtesy Futur-Ism, Roma







BENEDETTA - Ritmi di rocce e mare, 1929 ca.
olio su tela - 80 x 125 cm
Courtesy Futur-Ism, Roma






Dal Futurismo all’Aeropittura
Maurizio Scudiero

Come è ormai ampiamente noto (ma un breve riassunto certo non guasterà) il Futurismo fu ideato nel 1909 dal poeta Filippo Tommaso Marinetti quale movimento artistico e poetico di svecchiamento della cultura italiana del primo novecento, secondo un taglio che oggi definiremmo manageriale e la cui caratteristica principale consisteva sostanzialmente nell’annunciare prima quello che si sarebbe fatto poi.
Per ottenere ciò Marinetti mutuò la consuetudine degli annunci pubblicitari a mezzo fogli volanti, molto in voga già sul finire dell’ottocento, lanciando via via, uno dopo l’altro, numerosissimi manifesti programmatici sugli argomenti più vari: dalla pittura, alla letteratura, al teatro, alla politica, alla guerra, alla morale, e così via.
Quello a cui, in breve, il Futurismo mirava era lo svecchiamento, com’era definito, degli ambienti culturali italiano, prima, e della società tutta, poi. Il Futurismo dunque come slancio verso il Futuro (appunto) e, conseguentemente, come taglio netto dal Passato. In questa semplice equazione risiedono dunque gli elementi peculiari e d’indirizzo dell’attività futurista. Amore per le nuove tecnologie, l’aspetto meccanico delle cose, la conquista della velocità, la libertà dei costumi, la liberazione dalla sintassi, in letteratura, e dalle regole della prospettiva, in pittura, da una parte. Odio per tutto ciò che rappresenta il passato e le istituzioni che lo conservano e lo rappresentano, quali i musei, le biblioteche e le accademie, dall’altra. Quando Marinetti lanciava i suoi primi manifesti futuristi, all’inizio degli anni Dieci, le manifestazioni della fase pionieristica dell’aviazione erano molto popolari in tutta l’Italia, e richiamavano sui prati di periferia delle principali città, ma spesso anche sui tetti delle case ed sui campanili dei centri storici, migliaia di curiosi che con il naso all’insù ammiravano quelle prime, incerte, evoluzioni di apparecchi realizzati in legno di balsa, cartone e pelle.
Infatti, dopo i voli dimostrativi di Delagrange, nel 1908, erano sorti un po’ dappertutto vari concorsi aerei, ovvero raduni con dimostrazioni ed evoluzioni definite acrobatiche: a Brescia nel 1909, a Milano e Firenze nel 1910, a Torino nel 1911, solo per citarne alcuni. Così quei primi, traballanti, aeroplani ben presto soppiantarono anni ed anni di tradizioni aerostatiche: in un attimo i grandi e policromi palloni alla Montgolfier furono spediti in cantina. Ma quello che Marinetti allora non poteva intuire era la grande portata di ciò che era accaduto sei anni prima del suo manifesto del Futurismo, cioè il 17 dicembre 1903 sui prati di Kitty Hawk, dove Orville Wright percorse a bassa quota quaranta yarde in volo. Quella non fu solo la vittoria del più pesante dell’aria: non fu, in altre parole, solo un fatto tecnico-scientifico, proprio perché la sua eco immediata, diffusa in tutto il mondo a mezzo stampa, più o meno velocemente, innescò una serie di processi in più ambiti dell’attività umana. Uno di questi fu appunto il settore culturale ed artistico che accolse la notizia come l’ennesima conquista di un percorso positivista, identificato genericamente nel Progresso, che già sul finire dell’Ottocento agitava poeti ed artisti.
I toni erano ancora simbolisti, e per questo motivo nei manifesti di fine secolo le conquiste del progresso erano ritratte nelle fattezze di conturbanti bellezze vestite spesso solo di veli trasparenti che le avvolgevano amorevolmente. E dunque anche artisticamente la dimensione del volo rientrò ben presto in questa visione post-romantica, a volte epica, altre ancora melodrammatica, che nella pratica si risolveva nel consueto uso di copiosi cascami floreali tipici dello stile Art Nouveau, che in Italia fu ribattezzato come stile Liberty.
I risultati, nei termini di manufatti d’arte o di grafica applicata, furono in questo senso più vicini alle suggestioni del Passato, anziché proiettarsi verso il Futuro, come la portata dell’evento avrebbe richiesto. Non si riusciva, in altre parole, a cogliere lo strappo con tutto quello che era stato prima, e che la nuova dimensione del volo portava in sé, proprio perché tutto l’ambiente culturale ed artistico mancava di adeguati strumenti di pensiero per giungere al cuore nel “Nuovo” che avanzava. Tuttavia il Futurismo non era ancora pronto in questo slancio verso il cielo, nel senso che in un primo momento tutto questo fervore aviatorio filtrò nel Futurismo quasi esclusivamente nell’ambito letterario, rimanendone invece la pittura pressoché indenne da ogni influenza, forse perché troppo impegnata, all’epoca, nella definizione di uno stile proprio.
Il Futurismo, infatti, nel suo bruciare tappe e tempi, spesso lanciava troppo avanti il sasso delle sue provocazioni, o delle sue invenzioni. Tra queste, appunto, la pittura futurista che fu annunciata ben prima che uno stile futurista vero e proprio fosse stato delineato sulla tela. In ambito letterario, invece, la fantasia dei futuristi si concesse più e più volte al brivido del volo.
Vari furono, ad esempio, i riferimenti aviatori nelle opere di F.T. Marinetti. Primo tra tutti Le Monoplane du Pape (L’Aeroplano del Papa), edito nel 1912 per il quale l’autore s’ispirò al raid Parigi-Roma di André Beaumont, dell’anno precedente. Il romanzo era in realtà un’opera irredentista, anti-austriaca, ed anticlericale, nella quale egli immaginava di volare sopra l’Italia per sollevare la popolazione contro l’Austria, che bombardava poi dal cielo. Non pago, rapiva poi il Papa per andare a gettarlo nell’Adriatico, realizzando così lo “svaticanamento” dell’Italia.
Nel 1914, ancora Marinetti, nel suo Zang Tumb Tuuum, in assoluto il primo libro parolibero, inserì una “carta sincrona dei suoni, rumori, colori, immagini, odori, speranze, voleri, energie e nostalgie”, tracciata dall’aviatore Y.M. sul cielo di Adrianopoli durante la guerra bulgaro-turca del 1912. Un altro grande scrittore futurista, Paolo Buzzi, già nel 1909 titolò Aeroplani i suoi canti alati, e qualche anno dopo, nel 1915, pubblicò L’Ellisse e la Spirale dove descrisse, in stile parolibero, il volo di possenti squadroni aerei. Luciano Folgore ne Il Canto dei Motori, del 1912, esaltò ulteriormente il nuovo aspetto meccanicistico dell’epoca moderna, mentre Enrico Cavacchioli in Cavalcando il sole, del 1914, raccontò invece di una lunga e perigliosa fuga in aeroplano.
Quanto al mito della Velocità, l’iconografia prodotta dai pittori futuristi della prima generazione fu sostanzialmente terrena, greve, ben radicata al suolo. I soggetti favoriti erano infatti di volta in volta la velocità di un treno, di un tram, di un’automobile, di una bicicletta, o persino di un cavallo, soggetto ben poco futuribile. Insomma, a dispetto del loro ruolo di innovatori ed iconoclasti essi erano ancora legati al vecchio secolo, all’Ottocento, cioè al secolo della velocità terrestre (treno a vapore ed automobile), mentre invece il Novecento sarà appunto il secolo dell’aria e dello spazio: dall’aeroplano al viaggio sulla Luna.
Poi scoppiò la prima guerra mondiale dove l’aereo giocò un ruolo importantissimo. L’Italia ne comprese appieno le potenzialità, tanto che nel corso del conflitto furono costruiti in Italia circa 12 mila velivoli e 24 mila motori: uno sforzo bellico che vide il paese superare la produzione di Austria, Russia e Stati Uniti.
Finita la guerra, si avviò un rinnovamento generale, non solo nella società ma anche nelle arti. Prese l’avvio in quel periodo anche una serie di imprese solitarie di aviatori italiani, di record di velocità, altezza, e distanza, che crearono un mito aereo italiano circondato da un’aura d’invincibilità, e delineando anche l’idea di un’aviazione che primeggiava nel mondo e che veicolava l’idea di uno stato potente e moderno.
Il regime fascista, che dal 1922 reggeva le sorti del paese, intuì subito le potenzialità del settore e già dal 1923 istituì l’Arma Aeronautica quale arma indipendente dall’esercito, un provvedimento che la vedeva seconda solo all’inglese Royal Air Force, istituita nel 1918.
Nel 1925 meravigliò tutti il raid di Francesco de Pinedo che con l’Idrovolante S 16 percorse 55 mila chilometri attraverso l’Asia e l’Australia sino al Giappone e ritornò trionfalmente a Roma, dove ammarò sul Tevere.
Due anni dopo, nel 1927, fu istituito anche il Ministero dell’Aeronautica (che sostituisce il precedente Commissariato dell’Aeronautica creato nel 1923), con funzioni non solo militari, ma anche di sviluppo dell’aviazione civile e di promozione per diffondere una cultura aeronautica ed attrarre le giovani generazioni all’arruolamento.
E’ in questo clima che cresce la seconda generazione di futuristi, nata cioè all’insegna della liberazione dalla terra. Fedele Azari, Fortunato Depero, Gerardo Dottori, Benedetta, Tato, Tullio Crali, Renato Di Bosso, Verossi, chi più chi meno, si ritrovarono spesso a volare, a spiralare sopra le città, a riplasmare la loro visuale del mondo. Il loro taglio con il passato fu, simbolicamente, il volo di D’Annunzio su Vienna, nel 1918.
La loro prima ispirazione, appunto le imprese degli aviatori italiani, da Laureati, a Ferrarin, a De Pinedo, a Balbo, che nel corso degli anni Venti mietono record su record, da quello di velocità, a quello di altezza, a quello della distanza. Il loro teorico, Fedele Azari, autore del manifesto Teatro Aereo Futurista, del 1919, pittore, aviatore, tombeur de femmes e pioniere dell’aviazione civile italiana. E se da una parte bisognerà attendere la fine degli anni Venti per vedere il nuovo volto del Futurismo alla soglia dei vent’anni dal manifesto di fondazione, già nel corso del decennio vari segni premonitori, una sorta di fil rouge, mostrano già una generale adesione all’epica del volo, ad iniziare dal Ritratto psicologico dell’Aviatore Azari che Fortunato Depero dipinge a Torino nel 1922 dopo aver volato a lungo con lo stesso Azari e Franco Rampa Rossi, e così il Futurismo comprese che la possibilità di un nuovo punto di vista che non fosse quello terreno, era anche la possibilità non solo di un nuovo senso della visione, ma anche di un nuovo stato di pensiero. Dunque è un clima nuovo quello che percepiscono i futuristi, e, per poter poi dipingere gli stati d’animo del volo, quegli stati d’animo li devono provare sulla loro pelle.
E sia la sensazione psicologica che filtra poi nella loro pittura, quella sensazione che è propriamente la percezione psico-fisica del distacco dalle contingenze terrene, sia la nuova angolazione visiva della terra, dall’alto ed in movimento, sono due connotazioni specifiche della pittura futurista di quegli anni che conferiscono alle loro opere quel pathos che manca invece alla pittura di genere, sia pure di tema aeronautico. A chiudere il decennio con un’altra svolta epocale ci pensa F.T. Marinetti che con l’articolo Prospettive del volo e Aeropittura, pubblicato da “La Gazzetta del Popolo” di Torino del 22 settembre 1929, va a coagulare tutti questi sintomi in un vero e proprio manifesto programmatico.
In seguito il testo fu più volte ripubblicato, anche come prefazione ai cataloghi delle mostre itineranti che dovevano promuovere l’Aeropittura, con l’aggiunta di altri punti teorici e delle firme di Balla, Benedetta, Depero, Dottori, Fillia, Prampolini, Somenzi e Tato, insomma dello stato maggiore del Futurismo del momento. Ma la forza propositiva di questo documento teorico non risiedeva certo nelle firme a supporto, quanto nei punti programmatici che andavano a scardinare il senso tradizionale della visione con proposte di un tecnicismo così analitico che era appunto il frutto delle effettive esperienze di volo degli artisti. Per riassumere, i primi quattro punti del manifesto (nella versione più completa del 1931) vertono sulle mutevoli prospettive visive offerte dal volo, del tutto nuove e rivoluzionarie rispetto a quelle terrestri proprio per questa continua modificazione dei punti di vista che costringono il pittore a ulteriori sintesi e trasfigurazioni.
Nei successivi cinque punti si analizza il tipo di visione, affermando che «tutte le parti del paesaggio appaiono al pittore: schiacciate, artificiali, provvisorie, appena cadute dal cielo». Esse inoltre «accentuano agli occhi del pittore in volo i caratteri di: folto, sparso, elegante, grandioso». Si afferma inoltre che «ogni aeropittura contiene il doppio movimento dell’aeroplano e della mano del pittore». Il risultato finale dovrebbe poi condurre ad «una nuova spiritualità plastica extraterrestre». Ecco, specie in quest’ultima definizione si può cogliere uno dei principali elementi d’interesse del manifesto. L’Aeropittura, in altri termini, è il risultato di un’acquisita nuova sensibilità visiva.
La terra è osservata dall’alto e, cosa ancora più interessante, è osservata dinamicamente, dunque in una continua successione di visioni mutevoli. Tutto ciò il pittore deve poi riversare sulla tela, ma aggiungendovi inoltre anche il senso di una nuova coscienza spirituale quale risultante psico- fisica dell’affrancamento dalla pesantezza della condizione terrestre. E’ qui fin troppo evidente come queste proposizioni teoriche siano ben lontane da qualsiasi accento ideologico o politico, anzi esse mostrano un’urgenza, una pulsione, verso la ricerca di una ulteriore dimensione che ad un certo punto non sarà più né terrena, né aerea, ma propriamente cosmica. Si tratta di una nuova connotazione che, nello strappo dalle contingenze terrene, si scopre una vocazione anche mistica e spirituale, che sfocerà di lì a poco nell’Arte Sacra Futurista. Ma questa è un’altra storia…
Nel corso del decennio, per tornare all’Aeropittura, il dato forse più interessante fu l’ampia e variegata evoluzione di indirizzi e di stili, che avvenne proprio al suo interno, una serie di tendenze che F.T. Marinetti andò a riassumere in un’articolata premessa alla mostra degli aeropittori pubblicata nel catalogo della III Quadriennale romana, del 1939, nella quale presentava l’Aeropittura «stratosferica cosmica e biochimica, che si allontana da ogni verismo e che esprime il senso umano e terreno della metamorfosi che l’uomo contiene nel suo slancio stratosferico», ed il cui principale interprete fu Prampolini. A questa aggiunse un’Aeropittura «essenziale, mistica, ascensionale, simbolica... che riduce i paesaggi visti dall’alto alla loro essenza e spiritualizza aeroplani e volatori fino a ridurli a puri simboli», per la quale indicò Fillia (Luigi Colombo) e Diulgheroff. Un’altra tendenza fu individuata nell’Aeropittura «trasfiguratrice, lirica, e spaziale che armonizza sistematicamente il paesaggio italiano imbevendolo di appassionate velocità aeree, estraendone tutti i misteriosi fascini e tutte le suggestioni letterarie» e nella quale si cimentarono principalmente Gerardo Dottori e Benedetta (pittrice, scrittrice e moglie di Marinetti). Infine fu definita un’Aeropittura «sintetica e documentaria» tramite la quale furono realizzati «paesaggi e urbanismi visti dall’alto e in velocità». Giunti a questo punto, e per semplificare, possiamo affermare che la produzione aeropittorica può essere definita in due grandi tendenze.
Quella cosmica, da una parte, per la quale l’aeroplano è solamente il mezzo per acquisire un nuovo senso della visione e quindi sviluppare una sensibilità cosmica, staccata dalle contingenze terrene e che spesso si evolve in trasfigurazioni spirituali. Dall’altra, invece, si può individuare una tendenza documentaria, nella quale l’aeroplano diviene invece il soggetto ritratto (spesso con indulgente verismo) in una varietà di situazioni di volo. E se nella prima metà degli anni Trenta le due tendenze furono grossomodo in equilibrio, con l’inizio della seconda metà del decennio, la scomparsa di Fillia ed il coinvolgimento bellico dell’Italia, dapprima in Africa e quindi in Spagna, si andò via via consolidando sempre più il dato documentaristico e spettacolare, grazie anche alle accattivanti visioni di Tato, Crali, Ambrosi, Di Bosso e Verossì. Contemporaneamente, si registrò un generale cambiamento, un restringimento del campo d’azione delle dinamiche culturali, e comunque nei confronti di tutta la società civile italiana.
Da questo momento in poi gli artisti non poterono più esimersi da un plateale appoggio politico. Anche l’Aeropittura dovette allinearsi e, di pari passo con gli sviluppi politici della nazione, sempre più drammatici, si giunse all’Aeropittura di Guerra. Il lirismo cosmico, l’abbandono mistico vennero via via soppiantati da un manierismo rude, descrittivo, essenziale, funzionale alla necessità di documentare situazioni di guerra aerea, spesso di bombardamento, e quasi sempre con manifeste intenzioni dottrinali. Il risultato fu una serie di opere che dichiaravano in sorta di un’eclettica, truculenta, koinè, il loro debito alle necessità della propaganda. Si era al preludio del massimo coinvolgimento nella celebrazione dell’ideologia del regime (come accade usualmente in ogni periodo totalitario). La supremazia positivista dell’uomo sui cieli, soggetto privilegiato della prima fase aeropittorica, lasciò dunque spazio alla celebrazione di quei mezzi aerei che, dal cielo, portavano invece la morte. Forse gli aeropittori, nel clima del generale isolamento culturale e dunque nella mancanza di strumenti critici appropriati, non avevano colto quest’ulteriore aspetto, in tutta la sua tragica valenza, e credevano piuttosto che il loro supporto potesse sortire una vaga, quanto improbabile, forma di Artecrazia. Così, nel giro di pochi anni si trovarono invischiati nella Nuova Estetica della Guerra, un manifesto pubblicato nel 1940, di lì a poco seguito dal Manifesto della pittura di bombardamento, del 1941. Furono pochi anni di grande sbandamento, del resto condivisi con gran parte della nazione. Produssero decenni di purgatorio critico, ben al di là della riabilitazione del gruppo di Novecento, e di Sironi, certo ben più compromessi con il regime degli aeropittori.
Con il secondo dopoguerra le cose mutarono completamente. L’Italia si ricollegava all’Europa ed usciva da un lungo isolamento culturale. Nel 1948 alla Biennale di Venezia si teneva la prima rassegna personale di Pablo Picasso. Le nuove suggestioni, sia artistiche che grafiche che venivano dall’estero, ed i nuovi assetti geo-politici, furono elementi tutti di grande rivolgimento nel panorama delle arti. L’Aeropittura in quanto tale era chiusa: non vi erano più i presupposti per la sua sopravvivenza, essendo venuti a mancare da una parte le motivazioni teoriche e gli slanci utopici, superati ormai dall’evoluzione tecnologica che accelerava continuamente, e dall’altra la componente ideologica, quella tensione all’Artecrazia che aveva sotteso il movimento Marinettiano sino alla fine, nel 1944, anno della morte del suo creatore. Ma vi era ancora posto per una rimeditazione critica sul fenomeno, che con il passare degli anni era sempre più difficile liquidare solo con l’aggettivo fascista. Si dovette perciò attendere la fine degli anni Sessanta quando alcuni critici (in particolare Enrico Crispolti e Franco Passoni), alcuni aeropittori (come Tullio Crali e Benedetto) ed alcuni galleristi (tra i quali Peppino Palazzoli della Galleria Blu di Milano), iniziarono ad affrontare in maniera organica il periodo, cercando di avviarne una lettura sistematica, essenzialmente di natura estetica e non viziata dall’approccio ideologico che per oltre vent’anni l’aveva invece penalizzata con una pregiudiziale politica. Nel 1970, alla Galleria Blu di Milano fu tenuta la prima mostra di Aeropittura dalla fine della seconda guerra mondiale.
In seguito, completamente dimenticati dalla grande esposizione veneziana sul Futurismo tenuta a Palazzo Grassi, nel 1986 (che aveva chiuso temporalmente ai primi anni Venti), si dovette attendere il 1989 quando, con la mostra Aero e Pittura (tenuta a Castel S. Elmo di Napoli, e poi trasferita a Londra, all’Accademia Italiana delle Arti all’inizio del 1990), gli aeropittori furono in un certo senso istituzionalmente riabilitati. Dieci anni dopo, nel dicembre 2000, con Ali d’Italia, una mostra di manifesti e dipinti sul volo in Italia dal 1908 al 1943, gli aeropittori trovarono la loro ideale collocazione in una mostra realizzata proprio come loro stessi l’avrebbero voluta, perché allestita nello spazio più consono possibile: l’aeroporto di Bologna. Là, tra il continuo rombo dei motori, tra decolli e partenze, migliaia di visitatori hanno condiviso, dopo quelle del volo sui moderni jet di linea, anche le emozioni dei pionieri del volo grazie alle rutilanti tele degli aeropittori futuristi. Insomma, quest’arte nata sull’onda di una genuina ispirazione sul campo, frequentando aeroporti le cui piste erano dei prati verdissimi, è tornata alle sue origini. E il cerchio, così, fu chiuso.
Infine, nel 2003, la mostra per il Centenario del Volo, tenuta alla Mole Antonelliana di Torino, titolata Oggi si vola!, scrisse non solo la storia dell’Aviazione ma anche quella dell’Aeropittura, e, nel 2016, la mostra Cieli futuristi, tenuta nel prestigioso Palazzo dell’Aeronautica di Roma, ricongiunse l’Aeropittura alla sua fonte d’ispirazione: gli aerei ed il volo.








ALFREDO GAURO AMBROSI - Paesaggio aereo, 1937 circa
olio su tela - 118,5 x 108 cm
Archivio dei Futuristi, Rovereto (deposito a lungo termine)







ALESSANDRO BRUSCHETTI - Paesaggio collinare, 1935 circa
olio su tavola - 53 x 63 cm
Courtesy Futur-Ism, Roma







ENZO BENEDETTO - Aerei, 1936
olio su tela - 52 x 62 cm
Courtesy Futur-Ism, Roma







ARTURO CIACELLI - Aeropittura, 1924
olio su tela - 92 x 109 cm
Courtesy Futur-Ism, Roma







TULLIO CRALI - Incuneandosi nell’abitato, 1938
olio su tela - 60 x 70 cm
Courtesy Futur-Ism, Roma







GERARDO DOTTORI - Volo sul paese (studio per A 300 km sulla città), 1930
idromatita e tempera su cartone - 36,5 x 45 cm
Courtesy Futur-Ism, Roma







FILLIA - Paesaggio cosmico, 1930 circa
olio su tela - 130 x 98 cm
Courtesy Futur-Ism, Roma







SIBO’ - Dalle paludi alle città, 1933/37
olio e tempera su tela - 136 x 176 cm
Courtesy Futur-Ism, Roma







TATO - Diavolerie di eliche, 1936
olio su tela - 50 x 60 cm
Courtesy Futur-Ism, Roma






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GIULIO D’ANNA E GLI AEROPITTORI ITALIANI

ROMA, il Mitreo centro per le arti e cultura contemporanea
31 maggio – 5 luglio 2024