FORTUNATO DEPERO FUTURISMO E PUBBLICITA'
MUST Museo del territorio, Vimercate
15 dicembre 2018 - 31 marzo 2019
a cura di Maurizio Scudiero e Simona Bartolena
Come Depero è divenuto Depero
Maurizio Scudiero
Questa mostra vede un impianto che potremmo definire
"didattico", in quanto si sono volutamente accostate opere
pubblicitarie (in genere collage, ma non sempre) con i
disegni esecutivi finali, o di progetto, di quelle stesse opere,
per far vedere come Depero procedeva dalla ideazione
all'esecuzione dei suoi prodotti artistici.
Inoltre, esposizione didattica anche perché vuole mostrare
come le idee Deperiane si muovessero trasversalmente
alle varie tecniche usate dall'artista, ma soprattutto
trasversalmente anche nel Tempo. È quella pratica che io,
a suo tempo, avevo definito "dell'idea riciclata", ma
che sarebbe più appropriato definire oggi come "dell'idea
riproposta", perché fa capire come Depero non si desse
mai per vinto… fa capire come Depero, una volta bocciata
una proposta non la mettesse nel bidone delle cose andate
"male", ma ne conservasse quell'impianto, quell'idea,
per tempi migliori. Per fare un esempio tra i tanti che si
potranno vedere più avanti nella sezione iconografica, una
proposta pubblicitaria per il Tamarindo Erba, dei primi anni
Venti, troverà una nuova collocazione a metà del decennio
presso Campari, ed inoltre sarà ancora riproposta nel
1929/30 a New York per la rivista Vanity Fair.
E così si potrà capire che quella di Depero, proprio per
questa sua versatilità, è una figura del tutto particolare
nel panorama dell'avanguardia italiana, con un ruolo di
cerniera tra l'avanguardia futurista tout court e l'ambito
grafico pubblicitario in ossequio a quel proclama futurista
che recitava "la strada sarà la nostra galleria", proclama
che solo Depero e Venna, tra i futuristi, hanno attuato
pienamente, mentre altri, come Prampolini, Diulgheroff, e
Gambini hanno praticato solo saltuariamente
La mostra inizia con un'opera tra quelle che sono state
definite come "i precedenti", vale a dire non pubblicitarie,
ma che comunque mostrano un'attitudine, o di materiali
(le carte colorate) o di commistione tra composizione
e scritte, che possono essere considerate, appunto per
questo, opere di preparazione ed affinamento di quelle
che saranno poi sia le tipologie esecutive, sia le modalità
compositive delle sue realizzazioni pubblicitarie più
conosciute. L'opera cui alludo, La Guerra, del 1915, è un
collage "interventista", cioè realizzato sulla scorta della sua
esperienza al fronte (al Col di Lana), e dunque per incitare
l'Italia a combattere ulteriormente l'Austria, per liberare
non solo Trento e Trieste, ma soprattutto la sua città,
Rovereto, che Depero in un suo grafismo auspica "italiana".
Ora, Depero non usa pennello e colori, ovvero non li usa "in
questo caso", perché vi preferisce le carte colorate, i ritagli
di giornale e le forbici, con i quali creare una composizione
dinamica fatta sia di "parole in libertà" ma anche di forme
cromatiche patriottiche, cioè i cunei rossi, bianchi e verdi,
che fronteggiano le trincee (a forma di grotte) giallo nero,
che erano i colori dell'Impero Austro-Ungarico di allora.
Dunque un solo "precedente", ma serve a farci capire come
per Depero pittura o grafica avessero la stessa valenza
creativa.
Tra questo esempio ed il prossimo c'è appunto di mezzo
una lunga guerra, finita la quale, nella tarda primavera del
1919, Depero ritorna a Rovereto dopo cinque anni vissuti
intensamente a Roma, Capri e Viareggio. In quel periodo
ha lavorato con Balla, realizzando i complessi plastici e
opere astratte, e assieme al maestro ha firmato il manifesto
Ricostruzione futurista dell'universo che ha segnato la
vera svolta da un Futurismo pittorico verso un'azione
globalizzante dell'artista nella società. Si è poi dato al teatro
d'avanguardia e nell'isola di Capri ha concepito l'idea dei
"quadri in stoffa", ovvero i suoi arazzi.
Depero trova Rovereto ancora distrutta dagli eventi bellici
e, in quel clima di ricostruzione, fonda la sua Casa d'Arte
Futurista, con la quale intende produrre arazzi unitamente a
cartelli pubblicitari, mobili e suppellettili varie, per decorare
la nuova casa futurista. Infatti, lo spirito di Ricostruzione
futurista dell'universo, con il suo caleidoscopico ventaglio
di proposte, non poteva certo rimanere ingabbiato
nell'ambito di gallerie e musei, od esercitarsi in sterili
sperimentazioni tanto eclatanti, quanto effimere. E, dato
il suo spiccato carattere operativo, l'ideale banco di prova
per verificare l'effettiva proliferazione dell'idea futurista
non poteva che essere quello delle arti applicate.
Su queste basi, sin dal 1918 sorgono un po' in tutta l'Italia
varie «case d'arte» di impronta futurista: a Roma quelle
di Prampolini e Recchi, di Bragaglia, di Giannattasio, e di
Melli; a Palermo quella di Rizzo; a Bologna quella di Tato; e,
a Rovereto, appunto quella di Depero. L'avvio di questo
progetto Deperiano non poté però concretizzarsi prima
del 1919, oltre che a causa dei continui impegni teatrali,
anche perché prima di lanciarsi in avventure utopiche,
Depero aveva voluto verificare l'effettiva applicabilità
delle sue ideazioni per evitare di cadere in una linea
di piatto decorativismo, spesso applicato ad oggetti di
difficile uso (problema, questo, che ha interessato un
po' tutta la produzione delle case d'arte italiane del
periodo). La Casa d'Arte di Depero, grazie alle continue, e
azzeccate, ideazioni dell'artista, diverrà la più conosciuta
ed apprezzata, occupandosi di Pubblicità, Arte del tessuto
(arazzi, cuscini, panciotti, nei colori più sgargianti), Arredo
d'interni ed Architettura pubblicitaria. Tra alterne vicende
(e temporanei trasferimenti a Parigi e New York) rimarrà in
attività sino all'inizio degli anni Quaranta.
I primi importanti incarichi per la nuova Casa d'Arte sono
del 1920: da una parte due grandi arazzi commissionati
da Umberto Notari, scrittore e direttore de L'Ambrosiano
e, dall'altra, una serie di cartelli pubblicitari per conto
dell'agenzia I.I.I. illustranti i prodotti italiani promossi
dalla Fiera Navigante nei porti del Mediterraneo. Poi, nel
gennaio del 1921, Depero tiene una grande personale
a Palazzo Cova di Milano, che in seguito è trasferita da
Bragaglia a Roma. Si tratta di una mostra importante perché
nel relativo catalogo Depero include un testo teorico che
presenta e motiva il suo nuovo lavoro "oltre la pittura":
«Scopo di questa mia industria d'arte, che si limita per
ora alla produzione di arazzi e cuscini, è in primo luogo di
sostituire con intenzioni ultramoderne ogni tipo di arazzogobelin,
tappeto persiano, turco, arabo, indiano, che oggi
invade qualsiasi distinto ambiente; in secondo luogo e
di conseguenza al primo, è di iniziare una necessaria e
urgente creazione di un ambiente interno, sia salotto,
sia salone teatrale o d'hotel, sia palazzo aristocratico,
ambiente corrispondente ad una moda contemporanea,
atto a ricevere poi tutta l'arte d'avanguardia che oggi è nel
suo pieno sviluppo».
È evidente che la produzione di Depero è, e sarà, di
carattere artigianale, non giungendo mai a quei "grandi
numeri" che avrebbe richiesto una produzione che avesse
voluto penetrare in vasti mercati, come ad esempio
quello americano. Ma ciò a scapito della qualità e senza
la possibilità di un diretto controllo dell'artista sul singolo
pezzo. Dunque scelta cosciente, voluta, e forse anche
suggerita dalla lettura del manifesto della Bauhaus, del
1919, laddove incitava: «Architetti, scultori, pittori, noi tutti
dobbiamo tornare all'artigianato! Non esiste infatti un'arte
"professionale". Non c'è alcuna differenza sostanziale
tra l'artista e l'artigiano... Formiamo dunque una nuova
corporazione di artigiani...». Che Depero avesse
avuto notizia del Manifesto di Gropius è un'ipotesi non del
tutto remota proprio per i rapporti e le relazioni culturali
e scolastiche che Depero mantenne con gli ex colleghi
dell'Elisabettina in seguito studenti a Vienna o Monaco
di Baviera. Cosi come i suoi rapporti con ambienti artistici
tedeschi, come l'entusiasmo di Kurt Schwitters per il suo
lavoro, e le vaste recensioni a suo favore su riviste come
Gebrauchsgraphik.
E dunque l'area della "Casa d'Arte Futurista Depero"
è quella definita da un'intensa "autopromozione",
cioè quell'attitudine tutta Deperiana di promuovere,
continuamente, con annunci grafici la propria attività,
quasi fosse essa stessa un prodotto. Depero, anche su
questo aspetto, fu un assoluto innovatore, proprio perché
egli appunto riteneva che il primo prodotto da promuovere
era "Depero stesso".
Quindi, il secondo "esempio" in mostra è per documentare
questa sua attitudine auto-promozionale, ed è il progetto
esecutivo del logo per la Pubblicità Depero, una china
nella quale le forme spesso si compenetrano con effetti
di negativo-positivo nelle aree di sovrapposizione. Pratica
grafica del tutto Deperiana della quale, in questo senso,
il logo funge anche da "manifesto d'intenti" per molte
realizzazioni di grafica pubblicitaria che realizzerà in
seguito.
Ma il vasto corpus della mostra, è forse l'area più
didattica, che mette in fila vari esempi di "Deperismi",
cioè quell'insieme di stilemi che sono ricorrenti nella
pratica pubblicitaria di Depero, e che proprio per questo la
caratterizzano come sua.
Iniziamo dal "lettering", cioè dalle scritte, che non sono
quelle di cassetta tipografica che in genere si accostano ad
un'immagine, ma piuttosto parte di un design integrato,
di volta in volta studiato in funzione della figurazione,
come, ad esempio, nel caso del digestivo Rim. Depero,
poi, ha portato talmente avanti quest'idea che spesso il
lettering si solidifica, e diviene immagine in sé e per sé, non
necessitando di un ulteriore dato figurativo. In sostanza la
scritta "si fa immagine", autonoma, iconica.
È il caso del progetto per il frontespizio del Numero Unico
Futurista Campari 1931 nel quale la scritta, solidificata, sembra
"sparata" da un cannone verso lo Spazio. Proseguendo nella
panoramica degli stilemi Deperiani, vi è poi il "diagonalismo",
o comunque l'idea di una "direzionalità". Si tratta in questo
caso di un accorgimento grafico che dinamizza tutta la
composizione che "attorno" a questa orditura compositiva
appunto si costruisce e poi cresce.
Anche qui, un esempio d'impaginato diagonale fra le cose
in mostra è la copertina della rivista Sparks, mentre per la
"direzionalità" citerei la pubblicità del Linoleum.
Last but not least, quale ultima area operativa stilemica
Deperiana vi è quella inerente alla cosiddetta "animazione
del prodotto", che certo vede i suoi antecedenti nelle
figurazioni d'inizio ‘900 (prima fra tutte l'omino della
Michelin), ma che con Depero assurge a livelli impensati.
E così, dovendo organizzare la campagna pubblicitaria
delle Matite Presbitero, Depero s'inventa l'uomo-matita,
il cavallo-matita, la farfalla-matita, la fabbrica-matita, e
così via. Per la ditta Alberti, di Benevento, che produceva
(e produce) il Liquore Strega, Depero s'inventa invece una
serie di progetti dove questi "folletti pubblicitari" (vaga
eco di quelli di Cappiello) sono di volta in volta composti
di bicchieri oppure a mo' di strega. Per la ditta Unica di
Torino, che produceva cioccolato, abbiamo infine (e qui in
mostra) i "pupi-cioccolato", patriottici quanto basta.
Non possiamo comunque non ricordare, parlando di
Pubblicità-Depero, le sue campagne pubblicitarie più
famose. E qui i nomi importanti si sprecano: dalla Campari
alla S. Pellegrino, dalla Richard Ginori all'Unica (cioccolato
e biscotti), dalla Fago (biscotti) alla Schering (analgesico
Veramon), dalla Verzocchi (mattoni refrattari) alla Cirio
(caffè), dalla Vido (mandorlato) alla Strega (liquori), la
maggior parte di queste documentate in mostra.
E, a proposito della Schering, produttrice del Veramon,
un analgesico sul mercato dalla metà degli anni Venti,
abbiamo qui in mostra due bozzetti esecutivi di Depero,
ambedue giocati su quella tecnica del negativo-positivo
cui si accennava più sopra. Uno di questi è lo storico logo
del Veramon, che nessuno, penso, sapeva fosse di Depero,
ma che soprattutto pensando che è del 1928 bisogna
ammettere che per allora era di assoluta modernità.
Un'altra area operativa della creatività Deperiana è quella
dedicata all'Editoria, cioè a tutto quello che ha a che
fare con la stampa periodica (riviste) e libraria. Anche in
questo caso si notano collaborazioni importanti come
quella dal 1925 al 1935 con La Rivista Illustrata del Popolo
d'Italia (qui documentata con varie copertine a stampa e
bozzetti esecutivi), con XX Secolo, con Citrus, la rivista della
Camera Agrumaria di Messina (anche questa in mostra),
con Vesuvio, Il Trentino, Olimpionica, e poi con le riviste
americane, quali Vanity Fair, Movie Makers, The New
Yorker e The News Auto Atlas.
A margine del percorso della mostra vorrei infine
soffermarmi su altri due aspetti della creatività Deperiana.
Il primo ruota attorno a un interrogativo che, parlando
di Depero, bisogna porsi: ma Depero realizza Art Déco
o Futurismo ? La domanda non è peregrina, specie se si
mostrano tutta una serie di prodotti Deperiani a chi, ad
esempio, non conosce Depero.
Ma andiamo con ordine.
Nel 1925 si tiene a Parigi l'Exposition Internationale des
Arts Décoratifs et Industriels Modernes, che consacrò
definitivamente il cosiddetto stile Art Déco (altrimenti
anche chiamato anche Stile 1925), in realtà un coacervo
di tendenze che trovarono punto comune nell'applicazione
estetica ai materiali d'uso corrente nella casa.
Balla, Depero e Prampolini, inviati da Marinetti a "difendere
l'Italia"… con i loro lavori a tinte piatte si sentono
perfettamente a proprio agio, e anzi dal loro punto di vista
tutto è futurista all'Expo tanto che dichiareranno ai giornali
italiani che «Parigi è invasa dal Futurismo!...». In realtà
tutto poteva sembrare di stile futurista ai loro occhi, per
il semplice fatto che – come notava a suo tempo Bruno
Passamani – «il nuovo gusto internazionale aveva ricalcato
la loro strada». In altre parole, quegli stilemi futuristi
che soprattutto Balla e Depero avevano praticato sin dal
1914/15 (forme sintetiche, dinamiche, a tinte piatte, con
accostamenti elettrici) e che allora erano stati considerati
iconoclasti, ora si "ripresentavano" a più latitudini spacciati
come un'aggiornata moda decorativa sotto il grande
ombrello del cosidBalla, Depero e Prampolini, inviati da Marinetti a “difendere
l’Italia”… con i loro lavori a tinte piatte si sentono
perfettamente a proprio agio, e anzi dal loro punto di vista
tutto è futurista all’Expo tanto che dichiareranno ai giornali
italiani che «Parigi è invasa dal Futurismo!...». In realtà
tutto poteva sembrare di stile futurista ai loro occhi, per
il semplice fatto che – come notava a suo tempo Bruno
Passamani – «il nuovo gusto internazionale aveva ricalcato
la loro strada». In altre parole, quegli stilemi futuristi
che soprattutto Balla e Depero avevano praticato sin dal
1914/15 (forme sintetiche, dinamiche, a tinte piatte, con
accostamenti elettrici) e che allora erano stati considerati
iconoclasti, ora si “ripresentavano” a più latitudini spacciati
come un’aggiornata moda decorativa sotto il grande
ombrello del cosiddetto Modernismo.
Depero espose una gran quantità di stoffe, tra le quali due
grandi arazzi come Modernità e Serrada, e portò anche
molte costruzioni in legno, giocattoli e soprammobili,
così come vari esempi delle sue coloratissime pubblicità
realizzate a collage di carte colorate. Mentre Vittorio Pica
dichiarò a più riprese che i futuristi avevano «salvato
l’Italia», Margherita Sarfatti motivò più a fondo il suo
pensiero affermando che «l’Italia era stata alla testa della
reazione contro il greve peso della tradizione... mantenendo
questa posizione di punta, assieme al padiglione sovietico,
per merito dei futuristi».
Innanzitutto il famoso Depero futurista 1913-1927,
altrimenti noto come libro imbullonato, libro-oggetto
ideato come sorta di autocelebrazione di quasi tre lustri
di attività artistica nel Futurismo, fornito di un'originale
legatura ideata dall'amico futurista, ed editore del volume,
Fedele Azari: non sono colla e filo a tenerlo assieme,
bensì due grossi bulloni che trapassano tutto il volume. E
il contenuto dell'opera non è certamente da meno della
sua presentazione esterna. L'impaginazione è quanto mai
fantasiosa, con lettere di vari formati, parole e frasi che
scorrono in varie direzioni: orizzontalmente, verticalmente,
diagonalmente, ed anche ad angolo retto. Il testo è
impresso su vari tipi di carta: sottile, grossa, bianca e di vari
colori. Spesso i testi assumono varie forme anziché essere
impressi a pacchetto come usuale: abbiamo così testi
composti come figure geometriche, in forma circolare o
quadrata o triangolare; oppure in forme alfabetiche come
la presentazione di Marinetti che è composta in modo
tale da formare un'enorme scritta "Depero". Insomma
un importante passo avanti e un deciso rinnovamento
dello strumento tipografico che è così investito di nuove
valenze estetiche. Un'opera che valse a Depero più di un
apprezzamento eccellente come quello ad esempio di
Schwitters che non mancò di esaltare le doti rivoluzionarie
di quell'autentico primo libro-oggetto. Il libro tuttavia non
era solo un'esercitazione tipografica, poiché conteneva
notevoli contributi teorici che puntualizzavano, chiarivano
e programmavano la poliedrica attività dell'artista
roveretano fra pittura (W la macchina e lo stile d'acciaio,
Il nuovo fantastico, Ritratto psicologico, Architettura della
luce) e scultura-architettura (Glorie plastiche-Architettura
pubblicitaria-Manifesto agli industriali, Architettura
tipografica e Plastica in moto).
Questi testi teorici s'inserivano a pieno diritto nel dibattito
sull'architettura futurista che aveva preso le mosse dalla
visione utopica e futuribile di una città aerea e proiettata
nel cielo, così come era stata delineata da Antonio Sant'Elia
nel 1914. Una visione dove l'elemento tecnologico
condizionava fortemente la tipologia degli edifici, collegati
tra loro da un sistema di interconnessioni orizzontali a più
livelli (sistema che oggi ci è molto familiare anche grazie a
romanzi e film di fantascienza). E pure Umberto Boccioni
si occupò di architettura, seppur a livello teorico e le sue
formulazioni furono ancora più circostanziate laddove
precisava che anche l'architettura futura, così come
molte macchine tecnologiche, avrebbe dovuto essere
«plasmata» per aderire alla necessità del mondo, creando
così una nuova estetica morfogenetica. Lo stesso Depero,
dal canto suo, in occasione della sua personale romana del
1916, teorizzò anche architettura, ma la sua era, ancora
una volta e nonostante il suo grande sforzo teoretico, una
visione utopica, una visione che si protendeva nel futuro
più lontano, e dunque di difficile applicabilità. Per poter
dunque soddisfare le sue pulsioni plastico-costruttive, nel
corso degli anni Venti Depero si trovò a confrontarsi con
la cosiddetta «architettura dell'effimero», quella degli
allestimenti di ambienti e locali, quella dei padiglioni
fieristici dove finalmente riuscì a dare corpo alle sue
formulazioni di plastica pubblicitaria.
Di qui progetti e realizzazioni di padiglioni pubblicitari,
come quello ideato per la Fiera di Milano nel 1924 (qui in
mostra), poi per le Matite Presbitero, e quello tipografico,
il Padiglione del Libro, realizzato alla III Biennale di Arti
Decorative tenuta a Monza nel 1927, perfetto esempio
di architettura tipografica. Certamente, immersi nel
panorama di padiglioni barocchi, rococò e Art Nouveau
che costellavano le fiere dell'epoca, i padiglioni di Depero
sembravano provenire da un altro pianeta.
Non si può dimenticare il rapporto di Depero con la
Campari.
È appunto con la ditta milanese, produttrice dei famosi
Bitter e Cordial, che Depero intrattenne uno stretto
sodalizio che coprì la seconda metà degli anni Venti e
l'inizio dei Trenta.
Per Campari Depero produsse un'enorme mole di schizzi,
chine, collage di carte colorate, progetti per plastici
pubblicitari, di cui solo una minima parte fu realizzata
(ovvero soprattutto i disegni in bianco-nero pubblicati
sui quotidiani di grande tiratura). Per Campari, inoltre,
Depero dipinse Squisito al Selz (qui in mostra una prima
versione) che espose alla XV Biennale di Venezia del
1926, definendolo «quadro pubblicitario, non cartello».
Ma al di là delle creazioni grafiche l'impegno del futurista
roveretano è anche per il design di prodotto, come nel caso
della famosa bottiglietta della Campari Soda, come pure
in quello editoriale, con la pubblicazione, nel 1931, del
Numero Unico Futurista Campari, una raccolta di creazioni
grafiche e poetiche di carattere pubblicitario, unite al
lancio del Manifesto dell'Arte Pubblicitaria Futurista. Infine,
vanno ancora segnalati tutta una serie di oggetti come la
lampada Campari, il vassoio Campari ed i pupazzi plastici
che adornavano i primi distributori automatici di bevande,
ideati dalla Campari verso il 1933, e, ancora, i progetti per
stand tipografici sul tema della parola-immagine Campari.
Finalmente, nel settembre 1928 parte per New York
dove sarà l'unico futurista a vivere non episodicamente
l'esperienza con la grande metropoli nordamericana.
A parte un notevole impegno teatrale per il Roxy
Theatre, lavora inoltre anche nel settore della pubblicità
e dell'illustrazione realizzando copertine di riviste quali
Vogue, Vanity Fair, Sparks, The New Yorker, The News Auto
Atlas, Atlantica, ed altre ancora.
Infatti, per Depero New York "è" la Pubblicità.
Ai suoi occhi la metropoli nordamericana appare come
un immenso, luminoso e rutilante cartello pubblicitario.
«Anche le vetrine delle più rinomate vie delle metropoli,
come ad esempio la Quinta Avenue di New York – scrive -
sono di una modernità azzardata: costruzionismo dinamico
e cromatico, decorativismo espresso con i materiali più
contrastanti...»
A New York Depero sforna centinaia
e centinaia di bozzetti, collabora con le maggiori agenzie
pubblicitarie e con le più diffuse riviste di moda, grafica
e letteratura. Quasi sempre riesce ad imporre il suo stile,
le sue creazioni, come nel caso della rivista Vanity Fair,
oppure di Movie Makers, o ancora dell'Auto Atlas del
News. In altri casi, invece, come nei bozzetti per la famosa
rivista Vogue l'artista è costretto a scendere a compromessi
(caso più unico che raro) con la linea editoriale, di evidente
ispirazione Art Déco (si veda qui in mostra). Tuttavia New
York con il suo vasto panorama delle arti, lo avvicina anche
a certa grafica costruttivista, che vive nel contrappunto di
bianco, rosso e nero, o nel foto-collage, e che sperimenta
in un gruppo di lavori sulla memoria di visione della città,
realizzati una volta rientrato in Italia.
Un cammeo finale del soggiorno americano sono le due
tavole parolibere e onomatopeiche realizzate a New
York nel 1929/30, e aventi come soggetto il Luna Park di
Coney Island. Si tratta di esempi unici nel panorama del
Futurismo dell'epoca, sia per il contenuto dei testi sia per
la loro formulazione grafica per la quale i gruppi di parole
sono "messi in forma" e l'insieme delle forme-parole poi va
a definire un percorso compositivo. Ma al di là dell'aspetto
grafico si tratta assolutamente di tavole da leggere,
specie Miniera di carbone, che in realtà non ha nulla di
minerario ma è un'esperienza amorosa nel famoso "Tunnel
dell'amore" presente in tutti i luna park.
Il Depero che nell'ottobre del 1930, dopo due anni di dure
battaglie, tornava in Italia non era più lo stesso di prima.
L'esperienza americana lo aveva profondamente cambiato,
togliendogli quello slancio vitalistico verso il futuro che lo
aveva sempre sostenuto. New York, con i suoi alti grattacieli
luccicanti, ma anche con i suoi tristi sobborghi fatiscenti;
New York, con la sua ricchezza ostentata, ma anche con
la sua miseria malcelata, gli ha mostrato il vero volto del
futuro tecnologico che i futuristi italiani avevano sempre
sognato. E questo futuro non s'identificava in quella città
solare, efficiente e affratellante vista da Sant'Elia, ma in un
caotico e brulicante crogiuolo di razze e genti affannate,
ansanti, insensibili, diffidenti, violente e spaventate. Non
un futuro per il bene dell'uomo ma, forse, la sua prigione
tecnologica.
Tornato quindi tra i suoi monti, nel Trentino, Depero ritrova
il contatto con la realtà, con la concretezza, con i valori della
terra e della famiglia. il ritorno alla pittura, all'arte, risente
di questo suo stato emozionale, risente inoltre anche della
caduta di pulsione creativa dovuta proprio al fatto di aver
"verificato" quel futuro tanto vagheggiato per cui, ora, non
rimane più niente da immaginare, e niente per cui sognare.
Al contrario, nel settore pubblicitario, almeno ancora per
un po', la sua verve non ne risente affatto.
Nel 1931 pubblica il Numero Unico futurista Campari al
cui progetto ha lavorato già a New York nel 1929/30. Il
libro è di fatto uno dei primi libri di "poesia pubblicitaria",
coadiuvato in questo dallo scrittore Giovanni Gerbino. Il
tutto in funzione del prodotto. Inoltre nel libro compare
il suo manifesto sull'Arte Pubblicitaria Futurista, dove
propugna che «l'arte dell'avvenire sarà potentemente
pubblicitaria».
Vedendo quanto accade oggi, come dargli torto ?
Padiglione del libro (architettura tipografica). Casa editrice Treves-Bestetti-Tumminelli., 1927
Ritmi di strada, 1914
Bozzetto per Mimismagia, 1916
Costumi per Le Chant du Rossignol, 1917
Le opere
UN'IDEA DI ARTE
UN'IDEA DI ARTE
Per anni interi mi dedicai alla pittura della velocità, agli equivalenti plastici, alla pittura dei suoni e dei rumori. Il Futurismo mi
avvinse ed elevò, mi iniettò nuove forze, mi illuminò nuovi orizzonti. Al Futurismo in questo senso devo la mia gratitudine.
Benché mi senta figlio delle mie rocce, cocciuto come i muli, semplice e rude - quindi realista - sono giornalmente animato
dalle più belle forze ideali che iddio ci abbia donato: la fede, l'ispirazione, l'entusiasmo.
(Fortunato Depero, da “Futurismo”, Numero Unico per la visita di Marinetti nel Trentino,1932)
I miei balli plastici, 1918
Rotazione di ballerina e pappagalli, 1918
Guerra! Italia!, 1915
La ciociara, 1919
Lettrice e ricamatrice automatiche, 1920/1921
Corsa ippica tra le nubi, 1924
Gondoliere, 1927
Nitrito in velocità, 1935/1940 ca.
Le opere
DALL'IDEA AL BOZZETTO
DALL'IDEA AL BOZZETTO ESECUTIVO
Come realizzava Depero le sue creazioni pubblicitarie?
Depero usava dei block-notes formato 23 x 16 cm dove, quando riceveva l’incarico per realizzare una pubblicità, iniziava
a stendere, pagina dopo pagina, una serie di abbozzi veloci per fissare le idee che via via la sua mente vulcanica partoriva
a getto continuo.
Usava matite rosso-blu, quelle a doppia punta, che da una parte avevano il rosso e dall’altra il blu.
Poi, riguardava tutti i disegni, e quelli che riteneva meritevoli li “riprendeva” con tratti più definiti, cioè meno abbozzati,
su fogli di maggior dimensione, di circa 30 cm di altezza.
A questo punto faceva la selezione finale, cioè di quale o quali dovevano essere realizzati a colori, e quelli scelti erano
ridisegnati, ma in maniera precisa, a matita su carta di circa 50 x 35 cm (ma a volta anche 60 x 40 cm). A quel punto
Depero (secondo quanto raccontavano i suoi aiutanti) entrava come in “trance”, rimanendo ad occhi chiusi davanti al
foglio di carta, perché lui, nella sua mente, vedeva il bozzetto già finito, ed una volta riaperti gli occhi scriveva negli spazi
bianchi il colore da usare per il collage finale. A questo punto il disegno veniva “ricalcato” con carta trasparente (quella
che usano i tecnici, i geometri…) la quale serviva poi per il ritaglio preciso delle varie forme in carta colorata.
La fase finale era quindi quella dell’incollaggio su cartoncino per “ricostruire” la figurazione del disegno. A questo punto,
spesso Depero tornava sul bozzetto “corrispondente” e vi apponeva un “fatto!”.
Dunque la maggior parte delle creazioni furono realizzate a collage, mentre una piccola parte, a seconda delle necessità,
fu realizzata a tempera su cartone.
Lo stesso procedimento era usato anche per le stoffe, per realizzare i suoi famosi “arazzi”, che in realtà erano, appunto
dei “mosaici”, proprio come i collage, solo che in quel caso la parte finale era realizzata dalle ”cucitrici” che mettevano
assieme i vari pezzi su di una tela olona ben stesa sui telai di legno.
Studio per copertina del numero di gennaio 1926 de "La Rivista", 1925
Copertina per "La rivista illustrata del Popolo d'Italia", 1925/1927
La Rivista, 1931/1932
Copertina di rivista edita dalla Camera Agrumaria di Messina, 1926/1930
Fonografo, 1923
Bevitore, 1923
Ricco-straccione (progetto per cuscino), 1927
Il gondoliere, 1935
Pupi-Cioccolato (Unica), 1925/1927
Le opere
CASA D'ARTE E PUBBLICITÀ
CASA D'ARTE FUTURISTA E LA PUBBLICITÀ
La creazione pubblicitaria è, per Depero, solo uno degli aspetti della sua Casa d’Arte Futurista, e dunque va visto il
complessivo del suo impegno creativo nelle arti applicate.
Quando torna a Rovereto, nella primavera del 1919, la trova ancora distrutta dalla guerra, e, in quel clima di ricostruzione,
fonda la sua Casa d'Arte Futurista, con la quale intende (una volta perfezionata la tecnica) produrre arazzi in gran
quantità, unitamente a cartelli pubblicitari, mobili e suppellettili varie, per decorare la nuova casa futurista. Infatti, lo
spirito di Ricostruzione futurista dell'universo, con il suo caleidoscopico ventaglio di proposte, non poteva certo rimanere
ingabbiato nell'ambito di gallerie e musei e, dato il suo spiccato carattere operativo, l'ideale banco di prova per verificare
l'effettiva proliferazione dell'idea futurista non poteva che essere quello delle arti applicate. La Casa d'arte di Depero,
grazie alle continue, ed azzeccate, ideazioni dell'artista, diverrà la più conosciuta ed apprezzata, occupandosi di Pubblicità,
Arte del tessuto (arazzi, cuscini, panciotti, nei colori più sgargianti), Arredo d'interni ed Architettura pubblicitaria. Tra
alterne vicende (e temporanei trasferimenti a Parigi e New York) rimarrà in attività sino all'inizio degli anni Quaranta.
I primi importanti incarichi per la nuova Casa d'Arte sono del 1920, come i due grandi arazzi commissionati da Umberto
Notari, scrittore e direttore de «L'Ambrosiano» ed una serie di cartelli pubblicitari per conto dell'agenzia I.I.I. illustranti i
prodotti italiani promossi dalla Fiera Navigante nei porti del Mediterraneo.
Ma gli anni dal 1924 al 1928 sono i più intensi per quanto concerne l’attività pubblicitaria. Depero lavora moltissimo
per le ditte più diverse quali Verzocchi (mattoni refrattari), Richard Ginori (ceramiche), Alberti (Liquore Strega),
Bianchi (biciclette), Linoleum (pavimenti), Pathé (Cinema)‚ Schering (farmaceutica), Presbitero (matite colorate), Vido
(mandorlato), Banfi (sapone), Rim (digestivo), Rimmel (cosmetici) e molte altre ancora.
Ma su tutte, certamente, svetta il rapporto con la Campari, con la quale Depero collaborò dal 1925 sino al 1937.
Attenti! Mattoni Verzocchi, 1927
Mandorlato Vido, 1924
Strega (Liquore), 1928
Le opere
NEW YORK
NEW YORK. TRA FUTURISMO E ART DECO
Per Depero New York “è” la Pubblicità.
Ai suoi occhi, infatti, la metropoli nordamericana appare come un immenso, luminoso e rutilante cartello pubblicitario.
«Anche le vetrine delle più rinomate vie delle metropoli, come ad esempio la Quinta Avenue di New York, sono di una
modernità azzardata: costruzionismo dinamico e cromatico, decorativismo espresso con i materiali più contrastanti»
afferma l’artista.
A New York Depero sforna centinaia e centinaia di bozzetti, collabora con le maggiori agenzie pubblicitarie e con le più
diffuse riviste di moda, grafica e letteratura. Quasi sempre riesce ad imporre il suo stile, le sue creazioni, come nel caso
della rivista Vanity Fair, oppure di Movie Makers, o ancora dell'Auto Atlas del News. In altri casi, invece, come nei bozzetti
per la famosa rivista Vogue l'artista è costretto a scendere a compromessi (caso più unico che raro) con la linea editoriale,
di evidente ispirazione Art Déco. Tuttavia New York con il suo vasto panorama delle arti, lo avvicina anche a certa grafica
costruttivista, che vive nel contrappunto di bianco, rosso e nero, come ci conferma l'opera New York-Film vissuto.
Depero, infine, fisserà in una serie di grandi disegni a china varie “visioni urbane” della grande metropoli e, al rientro,
scriverà per un quotidiano nazionale, vari articoli di “vita vissuta a New York”.
Auto-pubblicità per la "Depero Futuristic House", 1929
Prima e quarta di copertina per l'Auto-Atlas 1930 del "The News", 1929
Copertina per la rivista "Vanity Fair", 1930
Miniera di carbone, 1930
New York – Film vissuto, 1931
Big sale, 1929/1930
Prima e quarta di copertina per la rivista "Sparks", 1930
Le opere
DEPERO PER CAMPARI
DEPERO PER CAMPARI
Con la ditta milanese, produttrice dei famosi Bitter e Cordial Campari Depero intrattenne uno stretto sodalizio che coprì
la seconda metà degli anni Venti e l'inizio dei Trenta.
Per Campari Depero produsse un'enorme mole di schizzi, chine, collage di carte colorate, progetti per plastici pubblicitari,
di cui solo una minima parte fu realizzata (ovvero soprattutto i disegni in bianco-nero pubblicati sui quotidiani di grande
tiratura). Per Campari, inoltre, Depero dipinse il famoso dipinto “Squisito al Selz”, sottotitolato “quadro pubblicitario
non cartello”, ed esposto alla XV Biennale di Venezia del 1926, a sottolineare che anche la Pubblicità poteva essere Arte.
Ma al di là delle creazioni grafiche l'impegno del futurista roveretano è anche per il design di prodotto, come nel caso della
famosa bottiglietta del Campari Soda, come pure in quello editoriale, con la pubblicazione, nel 1931, del “Numero Unico
Futurista Campari”, una raccolta di creazioni grafiche e poetiche di carattere pubblicitario, unite al lancio del “Manifesto
dell'Arte Pubblicitaria Futurista”.
Infine, vanno ancora segnalati tutta una serie di oggetti come la lampada Campari, il vassoio Campari ed i pupazzi plastici
che adornavano i primi distributori automatici di bevande, ideati dalla Campari verso il 1933, e, ancora, i progetti per
stand tipografici sul tema della parola-immagine Campari.
Squisito al selz, 1926
Presi il Bitter Campari tra le nuvole, 1926/1927
Aperitivo Bitter Campari, 1927
Bitter Campari (Automa al tavolino che beve), 1928
DOVE: MUST Museo del territorio, via Vittorio Emanuele II 53
QUANDO: Dal 15 dicembre 2018 al 31 marzo 2019
ORARI D'APERTURA: mer e gio 10-13; ven, sab e dom 10-13 e 15-19
BIGLIETTO INGRESSO (mostra + museo): 5 € intero | 3 € ridotto per 15-24 anni e residenti a Vimercate | 8 € cumulativo famiglia | Gratis per under 14 anni e per disabili e accompagnatore
VISITE GUIDATE: tutte le domeniche ore 16.30 (costo 2 € + biglietto d'ingresso)
INFO E PRENOTAZIONI: 0396659488 – www.museomust.it – info@museomust.it
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