ROBERTO MARCELLO BALDESSARI.
UN NUOVO RUOLO NELLA CRITICA FUTURISTA.
Maurizio Scudiero
Quando, nel
1989, pubblicai il primo volume del Catalogo generale ragionato delle opere
futuriste ero ben conscio che esso avrebbe documentato solo una parte della
produzione di Baldessari che s’intuiva ben più vasta del corpus conosciuto
allora, ed ivi poi pubblicato. Lo suggeriva, oltre che al contenuto numero delle
opere a fronte di “almeno” otto anni di militanza futurista, anche, ma direi
soprattutto, l’altissima qualità di quelle che erano ritenute allora essere le
sue primissime opere d’adesione al futurismo.
Opere che
mostravano un impeccabile senso compositivo, una ben acquisita “lezione” dai
maestri del cosiddetto “primo futurismo” (Carrà e Boccioni, inizialmente, ma poi
anche Balla e Soffici) ed una cifra personale già ben delineata nelle sue
componenti basilari, sia tematiche sia stilistiche. Si poteva ben supporre,
scrissi allora (e poi, si è visto, a ragione), che vi fosse stato, come per
molti giovani futuristi, un periodo di “avvicinamento”, di studio, e quindi di
formazione graduale di un proprio stile riconoscibile come tale. Altrimenti,
sarebbe stato come accettare tranquillamente (e per lungo tempo la critica l’ha
fatto) il fatto che Baldessari da un giorno all’altro passasse dai suoi paesaggi
veneziani “alla Ciardi”, al futurismo più maturo. Concetto accettabile solo da
chi intende la storia dell’arte come un mosaico nel quale le tessere mancanti si
adattano “a piacere”.
E dunque,
seppur con questa consapevolezza, si andò comunque alla stampa di quel primo
volume nella certezza che sarebbe stato utile a veicolare la conoscenza
sull’artista verso un più vasto ambito di quello locale, del Trentino per
intenderci, o di alcuni illuminati critici e galleristi che già dai primi anni
Sessanta lo seguivano con interesse. Infatti, il suo rientro a Rovereto, verso
la fine degli anni Trenta, ed il suo definitivo allontanamento dall’attività
futurista dopo il periodo tedesco del 1933-36, lo confinarono dapprima
nell’ombra opprimente di Depero, e quindi in un limbo critico dal quale fu
ripescato solo alla fine degli anni Cinquanta grazie agli Archivi del Futurismo.
Ma, che la statura dell’artista, e il suo ruolo nell’ambito della seconda
stagione futurista, fosse tutt’altro che marginale lo si poteva già intuire da
un’attenta lettura dei documenti, i cataloghi delle principali mostre futuriste
del periodo, come quella di Milano del 1919, e poi quelle “storiche”, come
quella di Zurigo del 1951, nelle quali gli fu concesso grande spazio, poi
appunto confermato dai citati archivi del futurismo.
Comunque uno
spazio ben maggiore, già allora, rispetto ad una serie di comprimari che,
invece, poi hanno a lungo spesseggiato in mostre e mostrucole sul futurismo, a
conferma che spesso più che la “ragion critica” vale la “facile reperibilità
delle opere”. Per contro, la rarefazione di opere del nostro, l’ampia
dispersione sia in Italia che in Europa, hanno per anni fortemente penalizzato
una sua adeguata presenza alle principali esposizioni e, di riflesso, la piena
consapevolezza del suo lavoro.
La
pubblicazione del catalogo sortì comunque gli effetti sperati e condusse, da una
parte, all’identificazione di alcuni consistenti nuclei di opere dell’artista in
area veneta, e, dall’altra, ad una nuova attenzione da parte di critica ed
istituzioni museali. Nel giro di pochi anni, a seguito di questi ripetuti
ritrovamenti, si rese necessaria la pubblicazione di un secondo volume, nel
1996, nel quale si affrontò anche il “nuovo orizzonte critico” dell’artista alla
luce di una feconda stagione giovanile futurista, di avvicinamento al proprio
stile, che appunto precedeva di almeno un biennio la datazione ufficiale
d’inizio dell’attività futurista (1916), e d’altra parte ne illuminava
ampiamente le origini e le modalità operative. Il resto è storia recente, con
una serie di altri ritrovamenti, in area toscana e svizzera (dove risiedeva un
facoltoso mecenate dell’artista) e con una presenza sempre più massiccia di
opere di Baldessari alle più qualificate esposizioni sul movimento futurista,
come, ad esempio, la recente tenuta allo Sprengel Museum di Hannover, dove
Baldessari emergeva con una serie di opere di altissima qualità, al pari dei
maestri riconosciuti del futurismo. Questa mostra, e questo catalogo che si
propone meritoriamente anche come un “quaderno di aggiornamento” ai due volumi
del catalogo generale (cioè pubblicando molte più opere di quelle effettivamente
esposte), documenta perciò quest’ulteriore cammino di conoscenza, con opere che
spaziano dall’iniziale adesione al futurismo con sperimentazioni sul “dinamismo
plastico” e comunque di rilettura Boccioniana sui temi delle linee-forza e della
scomposizione e compenetrazione dinamica di forme, all’influenza del soggiorno
romagnolo, a Lugo, sia con una serie di paesaggi che vivono nel rapporto
scomposizione formale e rapporti luminosi, sia poi con vari ritratti futuristi
della maestrina Dafne Gambetti (della quale s’invaghì, non corrisposto...),
tutti evidentemente preparatori al famoso olio Donna + finestra del 1916, che
prima della pubblicazione del secondo volume del catalogo generale era
solitamente ritenuta come la sua prima opera futurista, ma che in realtà si è
poi dimostrato essere un’opera però troppo “matura” e rifinita per essere tale.
E quindi via via, il periodo di sperimentazione cubista, con alcune opere che
occhieggiano a Picasso, e poi le opere più riconoscibili, perché vicine al suo
stile codificato, quello “toscano”, come le nature morte, i collage, e le sue
tipiche “figure”, come il Ritratto della signora Wawruff di Vienna o come il
Salotto giapponese 2°, per concludere con le opere vicine al dadaismo, relative
al primo soggiorno berlinese, tra il 1922 ed il 1923.
Insomma un
insieme, variegato, di suggestioni che non mancherà di far conoscere anche ai
suoi già numerosi estimatori, nuovi aspetti della sua multifaccettata
personalità artistica.
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